American Gods

American Gods

Neil Gaiman

Le luci arancioni della notte a occidente brillano e pulsano come lampi lontani, chissà dove sull’acqua, e Bilqis sa che tra poco ricomincerà a piovere. Sospira. Non vuole farsi sorprendere dalla pioggia. Tornerà a casa, decide, si farà un bagno e si depilerà le gambe — ha l’impressione di passare molto tempo a depilarsi le gambe con il rasoio — e dormirà.
Si avvia verso la sommità della collina dove ha parcheggiato la macchina.

Due fari si avvicinano, rallentano, lei gira la testa e sorride. Il sorriso si raggela quando vede che si tratta di una limousine bianca, di quelle lunghe. Gli uomini con le lunghe limousine bianche vogliono fottere sulle loro limousine bianche, non nell’intimità del tempio di Bilqis. Però potrebbe essere un investimento per il futuro.
Un finestrino dal vetro scuro viene abbassato e Bilqis si avvicina, sorridente. «Ciao, dolcezza» dice. «Hai bisogno di qualcosa?»

«Di tanto amore» risponde una voce dal fondo della macchina. Lei cerca di guardare dentro: una ragazza di sua conoscenza una notte è salita su una limousine di quel tipo con cinque giocatori di football ubriachi che l’hanno ridotta male, ma qui c’è un solo cliente e da quello che riesce a vedere dal finestrino sembra molto giovane. Non ha l’aria del probabile adoratore, però i soldi che passeranno dalle mani di lui alle sue sono pur sempre energia, a modo loro —
baraka,

la chiamavano tanto tempo fa — e di questi tempi, in cui ne girano pochi, le farebbero francamente comodo.
«Quanto?» chiede lui.
«Dipende da quello che vuoi e per quanto tempo. E se te lo puoi permettere.» Dal finestrino esce un odore di fili elettrici bruciati e circuiti surriscaldati. La portiera si apre.

«Posso permettermi tutto quello che voglio» dice il cliente. Lei si affaccia nell’abitacolo e da un’occhiata intorno. C’è soltanto lui, un ragazzino con le guance paffute che non sembra avere nemmeno l’età per comprarsi da bere. Siccome è solo, entra.
«Ricco, eh?» dice.
«Ricchissimo» risponde lui scivolando sul sedile di pelle per avvicinarsi. Si muove in modo strano. Lei sorride.
«Mmm. Questo mi eccita, tesoro» gli dice. «Devi essere uno di quei ricconi della new economy.»

Lui gongola, fa la ruota come un pavone. «Sì. Tra le altre cose. Sono un ragazzo tecnologico.» L’automobile riparte.
«Allora, Bilqis, quanto vuoi per un pompino?»
«Come mi hai chiamata?»
«Bilqis» ripete lui. E poi, con una voce del tutto inadeguata, si mette a cantare «You are an immaterial girl living in a material world.» Sembra preparato, come se si fosse esercitato davanti allo specchio.
Lei smette di sorridere, la sua faccia diventa quella di una donna saggia, più dura. «Cosa vuoi?»

«Te l’ho detto. Tanto amore.»
«Ti darò quello che vuoi» dice lei. Bilqis deve assolutamente uscire da quella limousine. Sta correndo troppo veloce perché possa buttarsi giù, ma è pronta a farlo se non la faranno scendere con le buone. Qualsiasi cosa stia succedendo lì dentro, non le piace.

«Quello che voglio. Sì.» Il ragazzo si interrompe per passarsi la lingua sulle labbra. «Voglio un mondo pulito. Voglio essere padrone del domani. Voglio l’evoluzione, la devoluzione, la rivoluzione. Voglio che la mia gente passi dalle zone periferiche alle luci della ribalta. Voi vivete nelle tenebre dei bassifondi. È sbagliato. Noi abbiamo bisogno di stare sotto le luci e brillare. Da ogni angolazione. Voi vivete nelle tenebre da tanto di quel tempo che non sapete più usare gli occhi.»

«Mi chiamo Ayesha» dice lei. «Non so di che cosa parli. Su quell’angolo c’è un’altra, Bilqis. Possiamo tornare sul Sunset, se vuoi ci puoi avere insieme…»

«Oh, Bilqis» dice lui con un sospiro teatrale. «La fede è limitata. Stanno arrivando al limite delle loro possibilità. Al buco di credibilità.» E poi ricomincia a cantare con la sua voce stonata e nasale. «You are an analog girl, living in a digital world». La limousine prende una curva troppo veloce e il ragazzo le cade addosso. L’autista è nascosto dietro un paio di occhiali scuri. Lei viene assalita dall’irrazionale certezza che non ci sia nessuno, al volante, che la limousine bianca stia attraversando Beverly Hills come

Un Maggiolino tutto matto,
che sia stregata.
Poi il cliente allunga una mano e batte sul finestrino scuro.
L’auto rallenta e prima che sia ferma del tutto Bilqis spalanca la portiera e un po’ saltando un po’ cadendo finisce sull’asfalto. È una strada in salita. Alla sua sinistra un ripido pendio, a destra un precipizio. Comincia a correre in discesa.
La limousine rimane ferma.

Comincia a piovere, i tacchi alti la fanno scivolare e prende una storta. Si libera delle scarpe e corre, fradicia di pioggia, cercando il modo di togliersi da lì. Ha paura. È dotata di poteri, è vero, ma si tratta di magia legata al desiderio e al sesso. L’hanno tenuta in vita in quella terra per tanto tempo, ma quanto al resto ha sempre dovuto usare occhi, cervello e presenza.

A destra, all’altezza delle ginocchia, c’è un guardrail di metallo per impedire alle macchine di cadere dal precipizio, adesso la pioggia sta trasformando la strada nel letto di un fiume, e a lei sanguinano le piante dei piedi.
Le luci di Los Angeles si estendono come la mappa intermittente di un regno immaginario, il paradiso in terra, e Bilqis sa che per mettersi in salvo deve lasciare la strada.

«Io son nera ma son bella» sussurra alla notte e alla pioggia. «Sono la rosa di Saron, il giglio delle valli. Fortificatemi con l’uva, sostentatemi con i pomi, perché io son malata d’amore.»

Un fulmine brucia verde nel cielo. Lei perde la presa e scivola per qualche metro escoriandosi una gamba e un gomito; si sta rialzando quando vede i fanali della limousine che si avvicinano. Scende pericolosamente troppo veloce; lei si chiede se sia meglio buttarsi a destra, dove potrebbe finire schiacciata contro il fianco della collina, o a sinistra, dove rischia di finire nel burrone. Attraversa di corsa determinata ad arrampicarsi quando la limousine bianca arriva sbandando, diavolo, deve fare almeno i centoventi all’ora, sembra un acquaplano, e lei affonda le mani nella terra, tra i cespugli, intenzionata a rialzarsi e scappare, quando la terra bagnata cede sotto il suo peso facendola ricadere sulla strada.

L’impatto con il corpo sfonda la griglia del radiatore e la lancia per aria come un burattino. Atterra accanto alla limousine e nella caduta si frattura pelvi e cranio. Sulla sua faccia scende la pioggia fredda.
Comincia a maledire il suo assassino: lo maledice in silenzio perché non può più muovere le labbra. Lo maledice per la veglia e il sonno, in vita e in morte. Lo maledice come soltanto una donna che è mezzo demone da parte di padre può maledire.

Si sente sbattere una portiera. Qualcuno si avvicina a Bilqis. «You are an analog girl» canta ancora stonato «living in a digital world.» E poi aggiunge: «Madonne di merda. Tutte madonne di merda». Si allontana.
La portiera sbatte di nuovo.
La limousine ingrana la retromarcia e le passa sopra, lentamente, una volta. Le ossa si frantumano sotto gli pneumatici. Poi la limousine ci ripassa sopra di nuovo.

Quando infine si allontana giù per la collina lascia dietro di sé soltanto il rosso ammasso di carne di una creatura difficilmente identificabile come umana, e presto anche quella macchia sarà lavata dalla pioggia.

Interludio numero due

«Ciao, Samantha.»
«Mags, sei tu?»
«E chi, sennò? Leon mi ha detto che zia Sammy ha telefonato mentre ero sotto la doccia.»
«Abbiamo fatto una bella chiacchierata. È un bambino così dolce.»
«Sì, piace anche a me.»

Seguì un momento di disagio per entrambe, un fruscio nella linea. Poi: «Sammy, come va l’università?».
«Abbiamo una settimana di vacanza per qualche problema alla caldaia. E come si sta nei North Woods?»

«Bene, ho un nuovo vicino. Fa giochi di prestigio con le monete. Attualmente nella rubrica della posta del "Lakeside News" c’è in corso un violento dibattito sulla ricollocazione del terreno vicino al cimitero, sulla sponda sudorientale del lago, e la qui presente ha scritto un energico editoriale in cui riassume la posizione del giornale senza offendere nessuno e in effetti senza far capire a nessuno da che parte stiamo.»
«Sembra divertente.»

«Non lo è. Alison MacGovern è scomparsa la settimana scorsa… la figlia maggiore di Jilly e Stan McGovern. Una brava ragazzina. Qualche volta veniva a fare la baby-sitter per Leon.»
La bocca si aprì per dire qualcosa ma si richiuse, lasciandolo in sospeso e aggiungendo invece: «È orribile».
«Sì.»
«Allora…» e siccome qualsiasi altro commento ferirebbe la sorella, dice: «È carino?».
«Chi?»
«Il vicino.»

«Si chiama Ainsel. Mike Ainsel. Non è male. Troppo giovane per me. Un uomo grande e grosso, sembra come si dice… comincia con la lettera M?»
«Malvagio? Musone? Magnifico? Marito?»
Una risata e poi: «Sì, ha un’aria sposata, credo. Voglio dire che se gli uomini sposati hanno un’aria particolare allora lui ce l’ha. Ma stavo pensando a Malinconico. Ha un’aria malinconica».
«E Misterioso?»

«Non particolarmente. Quando è arrivato sembrava un po’ imbranato, non sapeva neanche sigillare le finestre. Adesso sembra uno che non sa che cosa debba fare in questo posto. C’è per un po’, poi sparisce per lavoro. Ogni tanto lo vedo camminare nella zona.»
«Forse è un rapinatore di banche.»
«Già. Proprio quello che pensavo.»
«Non è vero. È stata un’idea mia. Senti, Mags, tu come stai? Te la cavi?»
«Sì.»
«Davvero?»
«No.»
Una lunga pausa, poi: «Vengo a trovarti».
«Sammy, non è necessario.»

«Prima che rimettano in funzione la caldaia e riapra l’università. Ci divertiremo. Puoi prepararmi il letto sul divano e invitare a cena il misterioso vicino.»
«Sam, vuoi combinare matrimoni?»
«Cosa dici? Dopo Claudine-la-puttana-venuta-dall’inferno forse sono di nuovo pronta per un uomo. Mentre facevo l’autostop fino a El Paso, a Natale, ho incontrato un ragazzo strano.»
«Oh. Senti, Sam, la devi smettere di fare l’autostop.»
«Secondo te come arrivo a Lakeside?»

«Alison McGovern faceva l’autostop. Non è sicuro nemmeno in una cittadina come questa. Prendi il Greyhound.»
«Me la cavo.»
«Sammy.»
«Va bene. Spediscimi i soldi, se la cosa ti farà dormire più tranquilla.»
«Certo che sì.»
«Va bene, sorellona prepotente. Abbraccia Leon da parte mia e digli che la zia viene a trovarlo ma questa volta non deve nasconderle i giocattoli nel letto.»
«Glielo dirò. Comunque non prometto che servirà a qualcosa. Quando pensi di arrivare?»

«Domani sera. Non venire a prendermi alla stazione, chiederò a Hinzelmann di darmi un passaggio con la sua Tessie.»
«Troppo tardi. Tessie è in naftalina per l’inverno. Comunque Hinzelmann ti accompagnerà lo stesso. Gli sei simpatica. Ascolti sempre le sue storie.»

«Magari potresti far scrivere a lui l’editoriale Vediamo "sulla riconversione dei terreni vicini al cimitero". Accadde che nell’inverno tal dei tali un giorno mio nonno sparò a un cervo vicino al cimitero. Finiti i proiettili usò i noccioli delle ciliege che gli aveva dato la nonna. I noccioli entrarono nel cranio del cervo senza ucciderlo. Due anni dopo, mentre si trovava da quelle parti, vide questo enorme maschio con un grande ciliegio ben ramificato tra le corna. Be’, gli sparò, e la nonna preparò tante di quelle torte di ciliege che ancora le mangiavano il quattro luglio dell’anno dopo…"»

E a quel punto le due sorelle risero insieme.

Interludio numero tre

Jacksonville, Florida, due di notte

«Sul cartello c’è scritto che avete bisogno di personale.»
«Ne abbiamo sempre bisogno.»
«Posso fare solo i turni di notte. Va bene, per lei?»
«Benone. Vado a prenderle il modulo da compilare. Ha mai lavorato a una pompa di benzina?»
«No, però non dovrebbe essere difficile.»
«Be’, di sicuro non è ingegneria spaziale. Sa signora, mi scusi se glielo dico ma non mi sembra molto in forma.»

«Lo so. E una malattia. Però sembra peggio di quello che è. Niente di pericoloso.»
«Okay. Mi lasci il modulo. Al momento per i turni di notte siamo a corto. Qui lo chiamano il turno degli zombie. Se se ne fanno troppi è così che ci si sente. Dunque com’è… Larna?»
«Laura.»
«Laura. Okay. Bene, spero che non le dispiaccia avere a che fare con i tipi strani. Perché di notte vengono tutti fuori.»
«Non ne dubito. Me la caverò.»


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