American Gods

American Gods

Neil Gaiman

10
Ti dirò tutto di me
ma tacerò il passato
perciò mandami a letto per sempre.
TOM WAITS,
Tango Till They’re Sore

Un’esistenza intera nelle tenebre e nel sudiciume, sognò Shadow quella prima notte a Lakeside. Un bambino, la sua vita, lontana nel tempo e nello spazio, in una terra di là dell’oceano, dove sorge il sole. Una vita senz’alba, dove regnano incontrastate penombra diurna e notturna cecità.
Nessuno parlava con lui. Sentiva voci umane, fuori, ma non capiva il loro linguaggio più di quanto capisse il grido della civetta e i guaiti dei cani.

Ricordava, o gli sembrava di ricordare, che una notte, tanto tanto tempo prima, un essere grande era entrato piano, ma non per ammanettarlo né per nutrirlo; lo aveva preso e se l’era stretto al petto in un abbraccio. Aveva un buon odore. Calde gocce d’acqua erano cadute dalla faccia di lei sulla sua. Allora si era spaventato e aveva pianto di paura con tutto il fiato che aveva in gola.

Lei lo aveva rimesso in gran fretta sul pagliericcio ed era uscita dalla capanna chiudendosi la porta alle spalle.
Conservava il ricordo di quel momento come se fosse un tesoro, prezioso al pari della dolcezza del cuore del cavolo, del sapore aspro delle prugne, della durezza delle mele, dell’unta squisitezza del pesce arrosto.

Adesso, alla luce del fuoco, vedeva le loro facce; erano tutti lì che guardavano lui quando venne portato fuori dalla capanna per la prima volta, l’unica volta. Allora erano quelle, le sembianze umane. Cresciuto al buio, non aveva mai visto un volto. Era tutto nuovo. Tutto strano. La luce del falò gli feriva gli occhi. Gli misero una corda intorno al collo per condurlo nel luogo dove lo aspettava un uomo.

E quando la lama si levò, quali grida di gioia lanciò la folla. Il bambino delle tenebre rise con loro, libero e felice.
Poi la lama si abbassò.
Shadow aprì gli occhi: moriva di fame e stava congelando in quell’appartamento che aveva i vetri delle finestre coperti all’interno da uno strato di ghiaccio.
Era stato il suo respiro, pensò. Si alzò dal letto, lieto di non doversi rivestire. Passando grattò il pannello di vetro e sentì il ghiaccio sciogliersi sotto l’unghia.

Provò a ricordare il sogno ma aveva dimenticato tutto, eccetto l’infelicità e la tenebra.

Si infilò le scarpe. Sarebbe arrivato fino in centro a piedi, decise, attraversando il ponte all’estremità settentrionale del lago, se aveva capito bene come orientarsi a Lakeside. Indossò la giacca leggera ricordando che si era ripromesso di comprare un cappotto caldo per l’inverno, aprì la porta dell’appartamento e uscì sul portico. Il freddo gli tolse il respiro; quando provò a inspirare dal naso sentì la peluria nelle narici irrigidirsi, come se si stesse congelando. Dal portico si godeva una bella vista del lago, chiazze irregolari di grigio circondate da una distesa bianca.

L’ondata di gelo era arrivata, non c’erano dubbi. A quindici gradi sotto zero non sarebbe stata una bella passeggiata, ma Shadow era certo di potercela fare ad arrivare in centro. Che cosa gli aveva detto Hinzelmann: dieci minuti di strada? E in fondo lui era un uomo forte, camminando di buon passo si sarebbe riscaldato.
Partì in direzione del ponte.

Cominciò a tossire quasi subito, una tosse secca, come se l’aria tagliente gli irritasse i polmoni. Dopo pochi minuti gli facevano male le orecchie, le guance, la bocca, poi cominciarono a dolere i piedi. Spinse più a fondo le mani nelle tasche della giacca e chiuse le dita nel disperato tentativo di non disperdere calore. Si riscoprì a pensare alle storie sugli inverni del Minnesota che gli aveva raccontato Low Key Lyesmith, soprattutto a quella del cacciatore costretto da un orso ad arrampicarsi su un albero durante una gelata particolarmente dura. A un certo punto il cacciatore aveva tirato fuori l’uccello per pisciare e l’arco di urina fumante si era ghiacciato prima di toccare terra, permettendogli di usarlo come scivolo e riconquistare la libertà. Il sorriso sardonico che gli provocò il ricordo fu seguito da un altro colpo di tosse secco e doloroso.

Cammina e cammina, quando si voltò a guardare l’edificio dove abitava si accorse di non essere così lontano come pensava.
Aveva preso la decisione sbagliata. Però ormai camminava da tre o quattro minuti, e già si vedeva il ponte. Proseguire o tornare richiedeva lo stesso sforzo (e una volta a casa cos’avrebbe fatto? Chiamato un taxi da un telefono scollegato? Aspettato il disgelo? Nel frigorifero non c’era niente da mangiare).

Decise di proseguire, e intanto riformulò la prima stima della temperatura. A quanti gradi sotto zero potevano essere? Venti? Trenta? Forse quaranta, forse quello strano valore in cui il termometro in centigradi e quello Fahrenheit dicono la stessa cosa. No, non poteva essere così freddo. Comunque il vento era gelido e soffiava costante sul lago, disceso attraverso il Canada direttamente dall’Artico.
Pensò con rimpianto agli scaldini chimici. Peccato non averli in quel momento.

Ancora dieci minuti, secondo lui, ma il ponte sembrava sempre lontano. Aveva troppo freddo per tremare. Gli facevano male gli occhi. Quello era un freddo da fantascienza, era una storia ambientata sul lato buio di Mercurio all’epoca in cui pensavano che il pianeta avesse un lato buio. O sul roccioso Plutone, dove il sole è soltanto una stella che nell’oscurità brilla poco più luminosa delle altre. Qui, pensò Shadow, ci manca poco che l’aria arrivi a secchiate, spargendosi come birra per l’atmosfera.

Le rare macchine che passavano sembravano irreali: navicelle spaziali, scatolette congelate di vetro e metallo, abitate da gente meglio equipaggiata di lui. Gli venne in mente una vecchia canzone, tra le preferite di sua madre:
Walking in a Winter Wonderland,
e la canticchiò a labbra chiuse camminando al ritmo della musica.
Non sentiva più i piedi. Guardò le scarpe nere di cuoio e le calze di cotone leggero e cominciò a preoccuparsi seriamente del rischio di congelamento.

Non era uno scherzo, quella camminata. A quel punto non era più neanche una stupidaggine, ormai si trattava di un autentico caso di: Oh-cazzo-sono-nella-merda-fino-al-collo. Gli indumenti che portava offrivano contro il vento la stessa protezione di un velo di pizzo o una rete da pesca; le raffiche gli congelavano le ossa, il midollo, gli stavano congelando le ciglia, quel posticino caldo sotto le palle che cercavano di ritirarsi nella cavità pelvica.
Si esortò a continuare.

Continua a camminare. Quando torno a casa, mi bevo una secchiata d’aria.
Adesso nella testa gli ronzava una canzone dei Beatles, e adeguò il passo al nuovo ritmo. Fu soltanto quando arrivò al ritornello che si rese conto di canticchiare
Help!
Era quasi al ponte. Doveva attraversarlo, poi ci sarebbero voluti altri dieci minuti per arrivare fino ai negozi sulla riva occidentale, forse poco di più…

Un’automobile scura lo superò, rallentò, proseguì di poco e fece retromarcia con un sbuffo di gas per fermarsi proprio accanto a lui. Si abbassò un finestrino, e il vapore che uscì dall’abitacolo si mescolò ai gas di scarico formando una nuvola di alito di drago che rimase sospesa. «Va tutto bene?» chiese il poliziotto.

Il primo istinto fu di rispondere: Sì, alla grande. Durò un attimo, e invece provò a dire: «Sto congelando, credo. Stavo andando in centro a comperare cibo e vestiti caldi ma ho calcolato male il percorso», però quando finì di formulare la frase mentalmente si rese conto che dalla bocca gli era uscito soltanto «C-c-ongelo» e un battito di denti. «S-scusi. Freddo. Scusi.»

Il poliziotto spalancò la portiera e disse: «Entri immediatamente a riscaldarsi, ha capito?». Shadow salì con un enorme senso di gratitudine sul sedile posteriore e cominciò a strofinarsi le mani cercando di non preoccuparsi troppo per le dita dei piedi. Il poliziotto tornò al volante e Shadow lo fissò attraverso la grata metallica sforzandosi di non pensare all’ultima volta che si era trovato in una macchina della polizia e di non vedere che alle portiere posteriori mancavano le maniglie d’apertura. Si concentrò soltanto a far scorrere di nuovo la vita nelle mani; gli doleva la faccia e gli dolevano le dita, paonazze, e al caldo ricominciavano a far male anche le dita dei piedi. Era un buon segno, forse.

La macchina ripartì. Senza voltarsi a guardarlo il poliziotto disse: «Sa, se posso permettermi, lei ha fatto una cosa molto stupida. Non ha sentito le previsioni? Fa meno trenta, là fuori. Dio solo sa com’è freddo il vento, anche se a queste temperature il vento è l’ultimo dei problemi».
«Grazie» disse Shadow. «Grazie di essersi fermato. Le sono molto, molto grato.»

«Questa mattina a Rhinelander una donna è uscita in vestaglia e pantofole per riempire il beccatoio ed è rimasta congelata, letteralmente congelata, sul marciapiede. Adesso è in terapia intensiva. L’hanno detto alla televisione. Lei è nuovo?» Forse era una domanda, ma il poliziotto conosceva già la risposta.
«Sono arrivato ieri sera con il Greyhound pensando che oggi avrei potuto comprarmi degli indumenti caldi, provviste, una macchina. Non mi aspettavo un freddo simile.»

«Infatti. Ha colto di sorpresa anche me. Ero troppo preoccupato per l’effetto serra mondiale. A proposito, mi chiamo Chad Mulligan. Sono il capo della polizia di Lakeside.»
«Piacere, Mike Ainsel.»
«Allora, Mike. Posso chiamarti Mike? Va un po’ meglio?»
«Sì, certo. Meglio.»
«Dove vuoi che ti porti?»

Shadow allungò le mani verso la grata del riscaldamento; al contatto con l’aria calda il dolore divenne intenso e ritrasse le mani. Doveva lasciare che si riprendessero gradualmente. «Mi potresti lasciare in centro?»
«Non ci penso nemmeno. Ti accompagno molto volentieri con la macchina ovunque tu debba andare, eccetto che in banca a fare una rapina, ovviamente. Consideralo una specie di benvenuto da parte della cittadinanza.»
«Tu da dove mi consiglieresti di cominciare?»

«Sei arrivato ieri sera?»
«Sì.»
«Hai fatto colazione?»
«Non ancora.»
«Be’, allora questo mi sembra un ottimo punto di partenza.»
Adesso erano sul ponte che portava nella zona nordoccidentale di Lakeside. «Questa è Main Street, e questa» aggiunse Mulliggan svoltando a destra «è la nostra famosa piazza.»

La piazza cittadina faceva una certa impressione anche d’inverno, ma si capiva che era un posto da vedere in estate, quando si sarebbe trasformata in una profusione di colori: papaveri e iris e fiori di tutti i tipi, e il boschetto di betulle in un angolo avrebbe formato un pergolato argenteo. Adesso era tutta in bianco e nero, una bellezza scheletrica: il gazebo dell’orchestra vuoto, la fontana chiusa per l’inverno, il municipio con la facciata di arenaria coperto di neve.

«… e questa» concluse Chad Mulligan fermandosi davanti alla vetrata di un vecchio edificio che si trovava sul lato occidentale della piazza «è Mabel’s.»
Scese dall’auto e andò ad aprire la portiera a Shadow. I due uomini attraversarono di corsa il marciapiede a testa bassa ed entrarono in una sala calda e odorosa di pane appena sfornato, brioche, zuppa e pancetta.

Il locale era semivuoto. Mulligan prese posto a un tavolo e Shadow gli si sedette di fronte. Forse il capo della polizia locale stava facendo del suo meglio per scoprire chi era lo straniero appena arrivato in città. Oppure era proprio come sembrava: un uomo cordiale e servizievole, di buon cuore.
Una donna, non grassa ma corpulenta, un donnone di una sessantina d’anni con i capelli tinti color bronzo, si affaccendò intorno a loro.

«Buongiorno, Chad. Ti porto una cioccolata, mentre decidi cosa prendere?» Tese a entrambi due menu con la copertina laminata.
«Niente panna, però» disse il poliziotto. «Mabel mi conosce bene» spiegò a Shadow. «Tu cosa prendi, amico?»
«Una cioccolata calda mi sembra perfetta» disse Shadow. «E mi piacerebbe anche con la panna.»
«Bravo» disse Mabel. «Ti piace la vita spericolata, vedo. Ci presenti, Chad? È un nuovo agente, il giovanotto?»

«Non ancora» rispose Mulligan mostrando i denti bianchi in un fugace sorriso. «È Mike Ainsel. Si è trasferito in città ieri sera. Scusatemi.» Si alzò e si avviò verso una porta in fondo con la scritta POINTER. Sulla porta accanto c’era scritto SETTER.

«Sei quello che si è trasferito nell’appartamento su a Northridge Road nella vecchia casa dei Pilsen? Ah sì» disse la donna compiaciuta, «devi essere proprio tu. Hinzelmann è passato presto per la sua pasty di colazione e mi ha raccontato tutto. A voi ragazzi basta la cioccolata o volete dare un’occhiata al menu?»
«Io farei colazione» disse Shadow. «Cosa c’è di buono?»

«Tutto è buono. Lo preparo con le mie mani. Però questo è l’ultimo posto a sud e a est dello Yoopie dove potrai trovare le pasty, e sono davvero squisite. Calde e nutrienti. La mia specialità.»

Shadow non aveva la minima idea di che cosa fosse una pasty ma la ordinò lo stesso e pochi minuti dopo Mabel ritornò con una specie di grossa crèpe ripiegata, la parte inferiore avvolta in un tovagliolo di carta. Shadow la prese e l’addentò: era calda e ripiena di carne, patate, carote, cipolle. «È la prima pasty della mia vita. Proprio buona.»

«E una specialità yoopie» spiegò la donna. «In genere bisogna arrivare almeno fino a Ironwood per trovarle. L’hanno introdotte qui gli uomini venuti a lavorare nelle miniere di ferro dalla Cornovaglia.»
«Cosa vuol dire Yoopie?»
«È la penisola superiore. U.P. Yoopie. Quel pezzettino nel Nordest del Michigan.»
Il capo della polizia tornò al tavolo, prese la tazza di cioccolata e cominciò a berla in modo rumoroso. «Mabel, stai costringendo questo simpatico giovane a mangiare una delle tue pasty?»

«È buona» disse Shadow. Lo era davvero, una prelibatezza avvolta in una crèpe calda.
«Vanno a finire direttamente nella pancia» disse Mulligan toccandosi la sua. «Io ti ho avvisato. Hai detto che hai bisogno di una macchina?» Senza giacca a vento il poliziotto si era rivelato un tipo smilzo con la pancetta e un’aria preoccupata e competente che più che uno sbirro lo faceva sembrare un ingegnere.
Shadow annuì con la bocca piena.

«Bene. Ho fatto qualche telefonata. Justin Liebowitz vende la sua jeep, vuole quattromila dollari ma si accontenterebbe di tremila. I Gunther hanno la Toyota 4-Runner in vendita da otto mesi, ha un colore disgustoso ma probabilmente a questo punto sarebbero disposti a pagare purché gliela si levasse dal cortile. Se non badi troppo alle apparenze è un affarone. Ho usato il telefono che c’è in bagno e ho lasciato un messaggio per Missy Gunther al Lakeside Realty, però non era ancora arrivata, probabilmente si sta facendo la messa in piega da Sheila’s.»

A Shadow la pasty sembrò buona fino in fondo. Saziava in maniera incredibile. Uno di quei cibi che "si attaccano alle costole" come avrebbe detto sua madre. "Che ti fanno diventare grande."

«Allora» disse il capo della polizia Chad Mulligan ripulendosi la schiuma della cioccolata dalla bocca; «adesso andiamo da Hennings Farm and Home Supplies a procurarti un guardaroba invernale come si deve, facciamo un salto da Dave’s Finest Food per riempire la dispensa e poi ti porto al Lakeside Realty. Se ti puoi permettere di spendere mille dollari in contanti saranno contenti, altrimenti gliene potrai dare cinquecento per quattro mesi. Ti ho già detto che è brutta, comunque se il ragazzo non l’avesse dipinta di rosso varrebbe diecimila dollari, è molto affidabile, e tu hai bisogno di una macchina solida per andare in giro con questo tempo, se vuoi il mio parere.»

«Sei molto gentile» disse Shadow. «Non dovresti essere in giro a dare la caccia ai criminali, invece di perdere tempo con i nuovi arrivati? Non che mi lamenti, bada bene.»
Mabel ridacchiò: «Glielo diciamo sempre anche noi».

Mulligan scrollò le spalle. «Questa è un città tranquilla» dichiarò con semplicità. «Non succede granché. Capita sempre di fermare qualcuno che supera il limite di velocità, il che non è male, visto che sono le multe a pagarmi lo stipendio. Venerdì e sabato sera può capitare che qualche stronzo si ubriachi e picchi la moglie, o viceversa, succede anche quello. Donne e uomini, indifferentemente. Comunque, in generale la vita è tranquilla. Mi chiamano se qualcuno chiude le chiavi dentro la macchina. Se c’è un cane che abbaia troppo. Tutti gli anni becco un paio di liceali che fumano marijuana. Il crimine più grave è stato quello di Dan Schwartz: una sera si è ubriacato e si è messo a sparare contro la sua roulotte, poi è scappato sulla sedia a rotelle lungo Main Street, agitando il fucile e urlando che avrebbe sparato a chiunque cercasse di fermarlo, che nessuno gli avrebbe impedito di arrivare all’Interstate. Credo che volesse arrivare a Washington per sparare al presidente. Mi viene ancora da ridere quando ripenso alla scena: Dan che corre verso l’interstate sulla sua sedia a rotelle con un adesivo sullo schienale che dice: "Mio figlio delinquente minorile si fotte tua figlia prima della classe". Ti ricordi, Mabel?»

La donna annuì e fece una smorfia. Non sembrava trovare la scena altrettanto divertente.
«E tu cos’hai fatto?» chiese Shadow.
«Gli ho parlato. Mi sono fatto consegnare il fucile. Ha smaltito la sbronza in galera. Dan non è una cattiva persona, era soltanto ubriaco e infelice.»
Shadow pagò la sua colazione e, malgrado le proteste, anche la cioccolata di Chad Mulligan.

L’Hennings Farm and Home Supplies era un magazzino a sud della città dove vendevano di tutto, dai trattori ai giocattoli (i giocattoli e le decorazioni natalizie erano già in saldo). Tra i clienti in cerca di un’occasione che affollavano il negozio, Shadow riconobbe la ragazzina che aveva viaggiato seduta davanti a lui sull’autobus, la più giovane delle due. Era con i genitori. Le fece un cenno con la mano e lei gli sorrise, un sorriso esitante, con gli elastici blu. Shadow si chiese oziosamente come sarebbe diventata nel giro di dieci anni.

Probabilmente uno splendore, come la ragazza alla cassa che passava la rumorosa pistola elettronica che legge il codice a barre sui suoi acquisti e che di sicuro sarebbe stata capace di usare lo scanner anche su un trattore, se qualcuno l’avesse comperato.
«Dieci paia di mutandoni lunghi?» chiese. «Facciamo scorta, eh?» Era bella come un’attrice del cinema.

A Shadow sembrò di avere ancora quattordici anni, e si sentì sciocco e impacciato. Non disse niente mentre lei passava la pistola sugli stivali termici, sui guanti, sui maglioni e sulla giacca di piumino d’oca.

Non aveva alcun desiderio di verificare la carta di credito che gli aveva dato Wednesday, perlomeno non con il capo della polizia in piedi accanto a lui tutto desideroso di collaborare, e quindi pagò in contanti. Portò i sacchetti con gli acquisti nel bagno degli uomini e ne uscì indossando parecchi capi nuovi.
«Stai bene, gigante» disse Mulligan.

«Almeno sto al caldo» rispose Shadow, e infatti fuori nel parcheggio il vento freddo gli bruciò la faccia ma il resto del suo corpo rimase caldo. Dietro invito di Mulligan sistemò le borse nel bagagliaio e salì, accanto al posto di guida.
«Allora, Mike Ainsel, cos’è che fai nella vita?» chiese il poliziotto. «Che mestiere fa un uomo grande e grosso come te, e pensi di farlo anche qui a Lakeside?»

Il cuore gli batteva forte ma la voce uscì ferma. «Lavoro per mio zio, che commercia in tutto il paese. Faccio i lavori pesanti.»
«Ti paga bene?»

«Sai com’è, sono suo nipote. Sa che non lo deruberò mai e intanto io imparo il mestiere. Fino a quando non scopro che cosa voglio fare davvero.» La spiegazione scivolò liscia come l’olio e suonò convincente. In quel momento a Shadow sembrava di sapere tutto sul conto di Mike Ainsel, e lo trovava simpatico. Mike non aveva nessuno dei suoi problemi. Non era mai stato sposato. Non aveva mai subito l’interrogatorio su un treno merci del signor Wood e del signor Stone. I televisori non parlavano con lui («Ti va di vedere le tette di Lucy?» gli chiese una voce nella memoria). Mike Ainsel non faceva brutti sogni e non sentiva avvicinarsi minacciosa una tempesta.

Riempì la cesta di Dave’s Finest Food con la sua idea di rifornimento da area di servizio sull’autostrada: latte, uova, pane, mele, formaggio, biscotti. Cibarie generiche. Più tardi avrebbe fatto una vera spesa. Mentre lui si aggirava tra gli scaffali, Chad Mulligan salutava gli altri clienti e lo presentava. «Questo è Mike Ainsel, ha preso l’appartamento nella vecchia casa dei Pilsen. Quello sul retro» diceva. Shadow rinunciò subito a ricordare i nomi. Si limitò a sorridere e a stringere mani, sudando un po’, a disagio, con i nuovi indumenti termici nel negozio riscaldato.


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