Un'altalena artistica

Un'altalena artistica


Manlio Amelio

Fragonard, The Swing (L'altalena) o Les Hasards Heureux de l'Escarpolette (I fortunati casi dell'altalena)
Prefazione all' "Arte dell'educare Arte del Vivere" di Pietro Archiati 2006

... " Naturalmente si può sapere già a nove anni che l’uomo ha dieci dita e roba del genere, ma prima dell’età compresa fra i diciotto e i diciannove anni non è possibile capire cose per le quali ci vuole una capacità di giudizio nel pensiero attivo. Proprio come non è possibile cambiare i denti prima dei sette anni, così prima dei diciotto è impossibile capire qualcosa nel senso vero e proprio della parola. Prima dei diciott’anni è assolutamente impossibile capire a fondo ciò che va al di là del proprio naso, ciò per cui è necessaria una capacità di giudizio attiva. Prima di allora si può aver sentito dire qualcosa, crederci per autorità, ma non se ne può capire in fondo nulla..." (p.19)...

... Oggi abbiamo difficoltà a farci un’idea del significato della frase: “Non si tratta affatto di trasmettere ai giovani delle conoscenze”. Ma a quei tempi era quasi altrettanto ovvio mostrare ai giovani ciò che si è capaci di fare, prima di trasmettere loro qualsiasi sapere. Era solo a partire da una certa età che si comunicava ai giovani il proprio sapere, mentre prima si mostrava loro ciò che si è capaci di fare. Per questo in un primo tempo l’insegnamento era costituito dalla triade (il “trivio”) di grammatica, dialettica e retorica. Non erano scienze quelle, è solo da poco che la grammatica si è trasformata in quella orribile pseudoscienza che conosciamo oggi. A quei tempi la grammatica era l’arte di intessere pensieri e parole. La lezione di grammatica era in un certo senso un’altalena artistica e a maggior ragione lo erano la dialettica e la retorica. Tutto era fatto per accostarsi ai giovani di modo che vedessero che si sa fare qualcosa, che si è capaci di parlare e di pensare con arte così da far sprigionare bellezza nel discorso... (p.22)

La grammatica, la dialettica e la retorica miravano a far sorgere delle capacità e precisamente imitando la destrezza del maestro. La lezione di oggi fatta in base a supporti didattici viene separata completamente dalla personalità del maestro. Inventiamo tutti i marchingegni possibili, comprese quelle orribili calcolatrici, per rendere la lezione il più impersonale possibile. Si fa di tutto per togliere all’insegnamento l’elemento personale. Ma ciò non è possibile, e tutti questi espedienti fanno sì che emergano i lati peggiori degli educatori. Costoro non possono esplicare il lato bello della loro personalità, se l’aula è ingombra di aggeggi che mirano alla cosiddetta oggettività. Un requisito indispensabile dell’educatore di allora era che sapesse mostrare ai giovani ciò di cui è capace in quanto essere umano, nel senso più elevato: il modo di padroneggiare la lingua e i pensieri, e la capacità di comunicarli mirando alla bellezza del parlare. Solo mostrando ai giovani quello che si sa fare ci si guadagnava il diritto di educarli gradualmente anche alle cognizioni di tipo più tecnico, cioè all’aritmetica, alla geometria, all’astronomia e alla musica (il “quadrivio”). La musica era allora intesa come tessuto armonico e melodico del mondo intero. Partendo dalla grammatica, dalla dialettica e dalla retorica era possibile infondere anche nell’aritmetica, nella geometria, nell’astronomia e nella musica tanta arte quanta se n’era assimilata fin dall’inizio. Vedete, cari amici, tutto questo è svanito col sorgere dell’intellettualismo. Ci resta ben poco di ciò che sgorgava in quel modo da un’attività artistica. Come tutti sappiamo, c’è tuttora un diploma di laurea col titolo di “dottore in filosofia e nelle sette arti liberali”. Ma sappiamo anche come stanno le cose con queste sette arti liberali! E dal punto di vista storico il famoso Curtius, per fare un esempio, un personaggio straordinario che ha insegnato a Berlino, aveva un diploma decisamente anomalo. Per quale disciplina aveva effettivamente l’abilitazione all’insegnamento?

Pensate che l’abbia avuta per la storia dell’arte, e invece no, aveva l’incarico di insegnare arte oratoria, a retorica. Ma a quei tempi non c’era più quella disciplina. Era professore di eloquenza e pur di far qualcosa insegnava storia dell’arte, tra l’altro in maniera eccellente. Già ai tempi di Curtius sarebbe sembrato strano avere l’eloquenza come materia d’insegnamento. Ma l’eloquenza, la retorica, era un tempo una materia fondamentale per i più giovani. Era così che l’educazione veniva permeata dall’elemento artistico. Il vivere nell’elemento artistico dipendeva dal modo di essere degli uomini, per cui allora l’anima razionale o affettiva si trovava di fronte all’anima razionale o affettiva dell’altro. Oggi ancora non viene posta la domanda che riguarda il nuovo modo di essere degli uomini, che chiede: come si fa quando l’anima cosciente sta di fronte all’anima cosciente? 

La domanda sorge invece spontanea se si considera la pedagogia in modo più ampio. Questa domanda urge da decenni, ma gli uomini non hanno ancora il pensiero giusto per formularla in modo chiaro. E dove si trova una risposta a questa domanda? Cari amici, la risposta a questo interrogativo sta nel rendersi conto — in queste cose l’importante è infatti lo sviluppo della volontà e non una soluzione teorica — che quando il bambino passa dalla vita prima della nascita a quella terrena sente il bisogno di imitare tutto, per cui fino alla seconda dentizione il bambino è un grande imitatore. È la forza dell’imitazione che gli fa anche imparare a parlare. Questa forza è insita nel bambino, come lo è la circolazione del sangue, da quando fa il suo ingresso nell’esistenza terrena. Ma non possiamo dare al bambino un’educazione sempre più cosciente trasmettendogli a partire dalla nostra anima cosciente la cosiddetta “verità”, cioè delle conoscenze in forma di verità.

Nell’epoca appena caratterizzata si diceva: “Prima dei diciott’anni un ragazzo non può in fondo capire niente, va perciò condotto alla conoscenza attraverso ciò che il maestro sa fare con arte e che ispira fiducia. Solo così vengono destate in lui le forze della conoscenza a partire dai diciotto, diciannove anni. ”Era così che si pensava: le forze conoscitive devono essere destate dall’interno e per farlo, per far sì che il giovane sappia aspettare fino ai diciott’anni, gli si mostrava ciò di cui si è capaci, lo si educava alla sensazione di sperimentare provvisoriamente con l’insegnante quello che più tardi  dovrà sapere. Fino ai diciotto, diciannove anni l’acquisizione del sapere era qualcosa di provvisorio, poiché prima di quell’età non si può sapere niente in proprio. In realtà nessun insegnante può trasmettere una conoscenza a un ragazzo o a una ragazza se in loro non è prima maturata la convinzione che egli è capace di qualcosa. È semplicemente irresponsabile nei confronti dell’umanità voler far da pedagogo senza aver prima suscitato nei giovani la convinzione di trovarsi di fronte a uno che sa fare qualcosa, che ha delle capacità. Prima di accostarsi all’aritmetica come la si intendeva allora — non era quella roba arida e astratta che è oggi —, il ragazzo si era ben convinto che chi gli insegnava quella disciplina è capace di parlare e pensare, oltre a esser abile in fatto di eloquenza. Erano queste esperienze fatte col maestro a rendere disponibile il giovane a crescere appoggiandosi all’individuo più adulto.

Se di un maestro si sa solo che è in possesso di un diploma, può succedere che già a dieci anni non si abbia più alcuna fiducia in lui e in ciò che dovrebbe insegnare. La questione che era allora vitale per le persone deve tornare ad esserlo. Ma dato che nell’ordinamento umano odierno sono le “anime coscienti” a fronteggiarsi, non può più essere risolta come prima, quando erano le “anime affettive” degli uomini a trovarsi l’una di fronte all’altra. Oggi la cosa va impostata in un altro modo.

Ovviamente non possiamo tornare al “trivio” e al “quadrivio”, anche se sarebbe pur sempre meglio di quello che c’è oggi. Dobbiamo tener conto delle condizioni odierne, non di quelle esteriori, ma di quelle insite nell’evoluzione dell’animo umano. Dobbiamo trovare a modo nostro il passaggio fra l’imitazione spontanea che il bambino ha prima della seconda dentizione, e il periodo in cui si può comunicare il sapere, contando prima sulla fiducia e solo in un secondo tempo sul giudizio personale.

Si tratta di un periodo di transizione estremamente critico per i giovani d’oggi. Per questa fase di transizione va risolto l’enigma più importante che riguarda le cose dalle quali dipende il futuro dell’evoluzione umana o la sua involuzione, se non addirittura il suo declino. Il problema è: come devono comportarsi gli adulti con i giovani nel periodo fra gli anni in cui è presente l’imitazione e quelli in cui si può trasmettere il sapere?

Si tratta di una questione culturale di importanza fondamentale per il presente. E che cosa è stato in fondo il movimento giovanile, nella misura in cui va preso sul serio? Era la domanda, il desiderio di sapere se gli adulti avessero una risposta per questo grosso quesito.

E i giovani, rendendosi conto che questa risposta non può essere trovata nella scuola, hanno vagato per boschi e per campi. Piuttosto che essere studenti hanno preferito essere uccelli, uccelli migratori, per esempio aderendo al movimento dei Wandervögel (uccelli migratori).

Se si vuole risolvere questa grossa questione culturale occorre dar peso alla vita, non far delle teorie. Chi oggi osservi la vita si accorgerà che il periodo compreso fra l’età in cui l’uomo imita e quella in cui è capace di far sua la conoscenza in forma di verità dev’essere colmato in modo giusto, se non si vuole che l’umanità si atrofizzi, se si vuole che all’uomo venga trasmesso ciò di cui ha bisogno per la mente, il cuore e la volontà. Tutto ciò va trasmesso sull’onda della bellezza dell’arte.

Il settenario di grammatica, dialettica, retorica, aritmetica, geometria, astronomia e musica era il prodotto artistico di un antico ordinamento culturale. Anche oggi abbiamo bisogno di qualcosa di artistico, che però, in base alle nuove esigenze dell’anima cosciente, non necessita di una specializzazione in sette arti liberali. Durante il periodo della scuola elementare e anche molto dopo, tutto l’insegnamento dev’essere infiammato e infuocato dall’elemento artistico.

La bellezza deve regnare sovrana e far da interprete della verità nell’età della scuola dell’obbligo e anche in seguito. Chi non è vissuto nell’elemento della bellezza, chi non si è conquistata la verità per mezzo suo non potrà accogliere dentro di sé la pienezza dell’umano che lo prepari ad affrontare le sfide della vita.

I classici tedeschi l’avevano presagito, pur senza sottolinearne la piena portata. Ma han trovato orecchi sordi, non sono stati capiti. Guardate come in Goethe la ricerca della verità passa per la bellezza. Ascoltatelo quando dice che l’arte è una manifestazione di forze naturali segrete, il che non significa altro che la verità viva è raggiungibile soltanto per mezzo di una comprensione artistica del mondo, altrimenti si arriva solo alla verità morta. Pensate alla bella espressione di Schiller: “È solo grazie all’aurora della bellezza che fai ingresso nella terra della conoscenza.”

Finché non si sarà compreso nel senso più profondo il significato di questa via che conduce alla verità passando per l’arte, l’umanità sarà lontana dal capire davvero il mondo spirituale, come lo sa fare l’anima cosciente.

Vedete, con l’aiuto della scienza oggi in auge, è possibile conoscere solo il corpo fisico dell’uomo. Non si può conoscere altro che il corpo fisico, la scienza odierna non conosce altro che il corpo fisico dell’uomo. Per questo si parla in modo esatto e anche magnifico di fisiologia e biologia finché ci si attiene al corpo fisico. Certo, la gente parla anche un po’ di psicologia, che però conosce solo come psicologia sperimentale, e per questo osserva i fenomeni che dovrebbero essere psichici ma vengono visti solo in relazione al corpo fisico.

Gli uomini non sanno farsi la minima idea dei fenomeni dell’anima in quanto tali, per questo hanno inventato il “parallelismo psicofisico”. Ma due parallele possono intersecarsi solo nell’infinito.

Ragion per cui si saprà solo alla fine dei tempi, nell’eternità, qualcosa sul rapporto fra corpo fisico e anima! É così che sorge il dogma del parallelismo psicofisico.

In tutto questo si esprime a livello sintomatico l’incapacità del nostro tempo di capire l’uomo.

Se si vuol capire l’uomo, la prima cosa da fare è far sparire l’intellettualismo. L’uomo non può essere capito in modo intellettualistico. Ci si può pure arroccare sull’intellettualismo, se si vuole, ma allora bisogna rinunciare a conoscere l’uomo e strappargli di dentro l’animo, il che però è impossibile. E se anche non lo si strappa via, l’animo si inaridisce. La mente può rinunciare alla comprensione dell’uomo, ma l’animo diventa arido e sterile. Tutta la nostra cultura è un prodotto dell’animo inaridito.

E in secondo luogo una comprensione dell’uomo non si può avere con i concetti adatti in modo grandioso alla conoscenza della natura. Anche se a livello esteriore i concetti della scienza ci consentono di raggiungere chissà quali cose, non ci portano neanche alla seconda componente dell’uomo, che è il corpo eterico, al corpo delle sue forze vitali e plasmanti.

Immaginate che grazie ai metodi della scienza odierna l’uomo possa già disporre di tutte le conoscenze che avrà alla fine dei tempi, che sappia un’enormità di cose. Prendiamo uno scienziato perfetto, intelligentissimo. Non voglio negare che ci siano scienziati ormai poco distanti da questo livello, perché non credo che in futuro si faranno particolari progressi sulla via dell’intellettualismo, si dovranno imboccare tutt’altre strade. Come vedete ho massimo rispetto per l’intellettualismo della nostra cultura, non crediate che dica quel che sto dicendo per mancanza di rispetto. Non va messo in dubbio che vi siano numerosi scienziati di grande intelligenza.

Ma anche supponendo che questa scientificità abbia raggiunto la vetta più alta, essa permetterebbe di comprendere solo il corpo fisico dell’uomo e niente di quello eterico o vitale.

Non intendo dire che la conoscenza del corpo eterico si basi su fantasticherie non scientifiche, nient’affatto, si tratta di una conoscenza oggettiva. Ma per prendere in considerazione questa che è la parte in fondo più secondaria di ciò che è invisibile nell’uomo, bisogna passare per l’esperienza dell’arte. Bisogna che nell’anima scorra sangue d’artista.

Più nella nostra scienza oggettiva si vuole evitare tutto ciò che è artistico, e più si allontana l’uomo dalla conoscenza di se stesso. Tramite i microscopi e le altre apparecchiature abbiamo appreso un’enorme quantità di cose, ma questo non ci porta più vicini al corpo eterico dell’uomo, anzi, ce ne allontana. Alla fine perdiamo di vista la strada che ci condurrebbe a ciò di cui abbiamo massimamente bisogno per comprendere l’uomo.

Con le piante ce la possiamo ancora cavare, poiché esse non ci riguardano direttamente. Alla pianta non importa di non essere quel prodotto di laboratorio in base al quale si sente apostrofare dalle scienze naturali. Continua imperterrita a crescere sotto l’influsso delle forze di vita diffuse in tutto il mondo, si guarda bene dal limitarsi alle forze che la fisica e la chimica le riconoscono.

Quando ci poniamo l’uno di fronte all’altro come esseri umani le cose cambiano. Allora il nostro animo, la nostra fiducia, la nostra compassione, tutto ciò che vive in noi e che nell’era dell’anima cosciente trascende ovviamente il puro istinto — poiché l’anima cosciente porta tutto oltre l’istinto —, allora tutto nell’uomo dipende dal suo ricevere un’educazione che gli faccia vedere qualcosa che non si limita semplicemente al corpo fisico dell’uomo.

Se gli educatori non ci aiutano a farci un’idea di che cosa è l’uomo, non possiamo pretendere che nell’animo si sviluppino quelle forze che pongono l’uomo di fronte al suo simile nel modo giusto.

Tutto dipende dalla capacità dell’uomo di liberarsi dal semplice osservare esteriore, dal puro sperimentare. Solo prendendo le dovute distanze dall’osservazione e dall’esperimento esterni potremo apprezzarli nel senso giusto. E la liberazione più semplice è quella che avviene attraverso l’arte.

Sì, cari amici, se il maestro si porrà di nuovo di fronte al bambino nello stesso modo in cui in un’epoca precedente si ponevano le ossequiate Dame chiamate Grammatica, Dialettica e Retorica nei confronti dei giovani, vale a dire se il maestro saprà di nuovo formare artisticamente la propria lezione, così che l’arte vi regni ovunque, allora potrà nascere un nuovo movimento giovanile. Il movimento giovanile di oggi può anche non piacervi, ma quello che sorgerà andrà in cerca degli insegnanti che sono veri artisti, poiché vorrà assimilare ciò che si aspetta da loro, ciò che è necessario che i giovani ricevano dagli adulti.

In realtà il movimento giovanile non può essere una pura protesta, una mera ribellione a ciò che è vecchio. É qualcosa di simile al neonato, che se non potesse ricevere il latte dalla mamma non potrebbe fare neanche tutto il resto. Quello che va imparato, va imparato.

Ma lo si imparerà solo se si sente un’attrattiva naturale verso gli adulti, proprio come il neonato che succhia il latte dal seno materno, come il bambino che apprende per imitazione. Questa attrattiva naturale si instaura solo se la generazione più anziana viene incontro ai giovani con l’arte, se la verità si manifesta dapprima nella bellezza. Allora nei giovani si accenderà la parte migliore: non l’intelletto, che è una facoltà passiva, ma la volontà, che è attiva e che attiva poi anche il pensiero. Un’educazione artistica educa la volontà, e dall’educazione della volontà dipende tutto il resto.

Pag. 64 e anche il retro copertina di "Arte dell'educare arte del vivere" 2018 IV Ed. Rudolf Steiner

... " Il “bambino” dentro di noi è la cosa più importante che abbiamo, e lo ritroviamo nell’esperienza interiore attraverso una reale conoscenza dell’uomo. Se la facciamo nostra diventiamo veramente “infantili”, cioè capaci di capire i giovani e i bambini, di vivere con loro. A questo dobbiamo aspirare, non a dire solo egoisticamente, come spesso si fa oggi: “Se non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli”. Lo dobbiamo dire anche concretamente, con la nostra vita. Se non ci fosse più in noi quella forza attiva che avevamo nell’infanzia, non potremmo essere educatori. La pedagogia che si limita a rendere ben informato l’insegnante o l’educatore non basta. Non dico che lo debba rendere sconsiderato, ma nel modo indicato non si diventa di sicuro un buon maestro. La pedagogia giusta non è quella che si limita a istruire l’insegnante, ma quella che lo anima interiormente, che lo riempie di linfa vitale interiore che affluisce anche nel sangue del suo corpo fisico. Un vero educatore si riconosce dal fatto che grazie alla sua arte pedagogica non è diventato pedante. Cari amici, è forse soltanto un mito o una leggenda che esistano insegnanti pedanti? Se le persone che insegnano o educano fossero pedanti, se questi miti o queste leggende avessero in qualche modo un fondo di verità, allora potremmo essere sicuri che la pedagogia è sulla strada sbagliata. Per non offendere nessuno voglio supporre solo ipoteticamente che questi miti e queste leggende corrispondano alla realtà e voglio dire: se davvero nel corpo docente, nella pedagogia ci fossero pedanti e filistei, significherebbe che la nostra pedagogia è in declino. La pedagogia fa passi in avanti quando con il suo operato libera l’uomo dalla pedanteria e dalla grettezza. Il vero pedagogo non può essere né pedante né gretto. Adesso vi prego, magari come esercizio di tirocinio, di controllare quello che ho detto andando a vedere da quale professione deriva la parola “pedante”1 . Forse potrete contribuire un poco a verificare la verità di ciò a cui ho accennato solo ipoteticamente, e su cui non intendo soffermarmi, perché già bastano le cose che mi rimproverano di dire. Solo a queste condizioni la pedagogia diventa autentica, se si conforma a ciò che ho esposto in questi giorni... Domani voglio tentare una specie di conclusione di questi incontri...." (p. p.90-91)

In questa quinta conferenza Rudolf Steiner, ricorre all’antica immagine del drago che “divora” l’uomo. Soprattutto attraverso la scienza e la tecnica moderne, il materialismo è proprio come un drago che divora l’uomo, poiché questa scienza conosce solo la parte animale dell’uomo, e la tecnica poi, con le sue macchine sempre più perfette, tende a renderlo superfluo... 

... " La cultura odierna ci dice quale posto occupiamo nell’evoluzione animale, ma non ci dice niente sul nostro essere uomini in quanto tale. Tutte le civiltà del passato comprendevano la natura a partire dall’uomo, solo la nostra comprende l’uomo a partire dalla natura, cioè come l’animale più evoluto. Non capisce in che senso gli animali sono esseri umani imperfetti. Se colmiamo la nostra anima di quello che è diventato il nostro pensiero formato alla scuola della natura, allora la realtà più profonda della nostra civiltà ci appare nell’immagine del drago che divora l’uomo.

Uomo divorato dal drago

Come uomini ci sentiamo di fronte a un essere che ci divora. Diamo uno sguardo al modo in cui è avvenuto questo divorare. Dal XV secolo in poi, con il progressivo e trionfale sviluppo delle scienze naturali, la conoscenza dell’uomo ha subito un inarrestabile declino. Gli uomini si sono salvati a malapena, aggrappandosi alle vecchie idee e alle antiche tradizioni, ma queste erano ormai senza vita. Solo a stento l’uomo è riuscito a far fronte al drago che divora la sua vita interiore più profonda. Nell’ultimo terzo del XIX secolo gli uomini si sono trovati con particolare intensità di fronte al drago che minaccia di divorare in modo orribile la loro vita interiore. Quei pochi che avevano ancora una vita interiore pienamente sviluppata sentivano come nei tempi più recenti il drago, che è destinato alla morte, avesse preso vita grazie alle osservazioni e agli esperimenti, una vita però che inghiottisce l’uomo. Nei tempi più antichi l’uomo partecipava ancora alla creazione del drago, dandogli anche la dose necessaria di forze mortali così che gli uomini lo potessero domare. L’uomo metteva nel proprio vissuto solo tanta intellettualità quanta poteva dominare con le forze del cuore. Ora invece il drago è diventato “rigorosamente oggettivo”, adesso ci muove incontro dall’esterno e divora noi e la nostra vita interiore. Era questo che sostanzialmente contraddistingueva la civiltà a partire dal XV fino al XIX secolo. Lo cogliamo nel modo giusto se guardiamo all’immagine del drago che anticamente aveva ancora un significato profetico e indicava quello che sarebbe avvenuto in futuro. Ma in quei tempi antichi sapevano che creando da un lato il drago, avrebbero dall’altro creato anche San Michele o San Giorgio, vale a dire colui che può sconfiggere il drago. "

San Giorgio e il drago di Raffaello

" Ma dal XV al XIX secolo l’umanità è diventata sempre più inerme di fronte al drago. Era l’epoca in cui l’uomo a poco a poco è caduto così del tutto in balìa della fede nel mondo materiale, da essere annientato nell’intimo della sua interiorità fino a far sparire qualsiasi veracità riguardo ai più intimi tesori dell’anima. Un’epoca che fa nascere il mondo dalla nebulosa di Kant-Laplace che si addensa e dà origine agli esseri viventi e infine agli uomini, deve dirsi: “Alla fine un tale spettacolo non può che scomparire nella morte termica. Ma allora deve morire anche tutto ciò che gli uomini hanno creato a livello morale.” Pur essendoci sempre state persone per le quali l’ordinamento morale del mondo può trovare posto in un ordinamento che inizia con la cosiddetta nebulosa di Kant-Laplace e termina con la morte termica, questo modo di pensare non è onesto. Non è per niente onesto nel vedere l’evoluzione morale come qualcosa che nasce con gli infusori (organismi monocellulari, ciliati) e scompare quando la morte termica ne provoca il declino. E perché si è giunti ad una tale concezione del mondo? Perché oggi praticamente tutte le anime l’hanno accettata? É perché, anche se non se ne ha coscienza, il drago è entrato fin nella capanna più remota e uccide il cuore. E perché lo fa? Perché l’uomo non era più capace di comprendere l’uomo. Che cosa avviene infatti nell’uomo? Nell’uomo accade ogni istante qualcosa che non si verifica in nessun altro luogo della Terra. L’uomo prende gli alimenti dall’ambiente esterno, per lo più dal regno della vita e solo in piccola parte dal minerale morto. Ma passando per l’apparato digerente anche i cibi più vivi vengono uccisi. L’uomo uccide dentro di sé, ha bisogno della morte dentro di sé, così che distrugge completamente le cose vive che mangia, per poi instillare la propria vita in ciò che fa morire. Prepara la morte dentro di sé, così che tutto ciò che prende dal mondo vegetale vivente per inserirlo nel suo corpo, viene prima completamente distrutto. Solo quando gli alimenti passano nei vasi linfatici ciò che è morto torna in vita dentro all’uomo. Se si conosce a fondo l’essenza umana, si vede che in tutto il processo organico pervaso di anima e di spirito la materia viene annullata del tutto per essere creata di nuovo. Nell’organismo umano abbiamo un continuo processo di annientamento della materia che permette di ricrearla all’interno dell’organismo stesso. In noi la materia viene costantemente annientata e poi ricreata dal nulla. Nell’Ottocento si è sbarrata la porta a questa conoscenza instaurando la legge della conservazione della materia e dell’energia, credendo che la materia si conservi anche passando per l’organismo umano. Già solo l’aver stabilito la legge della conservazione della materia è una prova evidente del fatto che non si conosce più l’interiorità dell’uomo. Immaginatevi ora quanto sia difficile oggi non esser presi per pazzi se si combatte contro le cose che per la fisica odierna sono le più assodate. La legge della conservazione della materia e dell’energia significa che la scienza ha sprangato ermeticamente la via che conduce all’uomo. Il drago ha inghiottito del tutto la natura umana. Ma il drago dev’essere vinto e per questo, miei cari amici, è necessario che si affermi la consapevolezza che l’immagine di Michele che vince il drago non è solo una vecchia immagine, ma è un’immagine che proprio ai giorni nostri raggiunge il massimo grado di realtà e di attualità. Epoche precedenti l’hanno creata, questa immagine, poiché dentro di sé gli uomini sentivano Michele ancora come qualcosa che viveva in loro inconsciamente e che altrettanto inconsciamente vinceva ciò che proviene dalla mera intellettualità. Ora il drago si è del tutto esteriorizzato, è diventato qualcosa che ci muove incontro dall’esterno e che minaccia costantemente di uccidere l’uomo. Ma il drago dev’essere vinto. E l’unico modo di vincerlo è quello di rendersi conto che anche l’arcangelo Michele ci viene incontro dall’esterno. E questo Michele che viene dal di fuori e che è in grado di sconfiggere il drago non è altro che una reale conoscenza spirituale, una scienza dello spirito che supera anche quel centro di vita che per l’interiorità dell’uomo è un centro di morte, la cosiddetta legge della conservazione della materia e dell’energia, così che gli uomini possano tornare ad essere uomini fin nella conoscenza. Oggi non possono esserlo, poiché se vale la legge della conservazione della materia e dell’energia, allora anche l’ordinamento morale si dissolve nella morte termica, e la teoria di Kant-Laplace ha ragione. L’essere sempre indietreggiati davanti a questa onesta ammissione costituisce la menzogna, quella menzogna di vita che è penetrata fin nel cuore dell’uomo, nell’anima umana, afferrando tutto l’uomo e rendendolo falso. Dobbiamo innalzare lo sguardo verso Michele, che ci fa capire che ciò che è materiale sulla terra con la morte termica non solo finisce, ma si polverizza. E noi, grazie al legame con il mondo spirituale, siamo in grado di far nascere nuova vita con i nostri impulsi morali. E allora quello che esiste sulla terra si trasforma nella nuova vita, in una vita morale. Infatti è questo che ci può dare Michele che ci viene incontro: la realizzazione dell’ordinamento morale del mondo! Le antiche religioni non ce la possono dare questa vita, poiché si sono lasciate sconfiggere dal drago. Accettano semplicemente il drago che uccide l’uomo e accanto a lui fondano un ordinamento morale divino avulso dalla realtà umana. Ma il drago non consente che si fondi qualcosa accanto a lui. Ciò di cui l’uomo ha bisogno è la forza che acquista solo vincendo il drago. Perciò è necessario che il drago venga sconfitto. Cari amici, vedete quanto il problema vada affrontato a fondo. Ma che cosa si è verificato nella civiltà moderna? É successo che ogni nuova scienza rappresenta una nuova metamorfosi del drago, che anche tutta la cultura esteriore è un prodotto del drago. Certo, il meccanismo cosmico esteriore che vive non solo nella macchina ma anche in tutto il nostro organismo sociale è a ragione un drago. Ma il drago ci si presenta ovunque, sia quando ci viene raccontata l’origine della vita, la trasformazione degli esseri viventi, dell’anima umana, e perfino quando si parla di storia. Dappertutto il risultato proviene dal drago. E nell’ultimo terzo del XIX secolo, negli anni a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento, la cosa si è talmente aggravata che l’adolescente desideroso di apprendere almeno in parte le nozioni di botanica, zoologia, storia e via dicendo acquisite dagli adulti, in ogni disciplina scientifica si è visto venire incontro il drago, il drago che gli vuole divorare la più intima essenza dell’anima. La battaglia di Michele contro il drago ha raggiunto la sua massima intensità nella nostra epoca. E se ci si addentra nella struttura spirituale del mondo si scopre che alle soglie del XX secolo, in contemporanea con l’apogeo della potenza del drago, si verifica anche l’intervento di Michele, a cui ci possiamo alleare. Se vuole, l’uomo può far sua la scienza dello spirito, vale a dire, Michele entra davvero nella nostra terra dai regni dello spirito. Ma non ci impone la sua presenza, perché oggi tutto dev’essere frutto della libertà dell’uomo. Il drago invece si impone, reclama per sè un’autorità insindacabile. Mai prima d’ora c’è stata al mondo un’autorità così potente come quella esercitata oggi dalla scienza, paragonabile quasi a quella papale. Pensate solo al fatto che anche l’individuo più stupido può farsi forte col dire: “La scienza lo ha dimostrato!” Pensate a come gli uomini vengono messi a tacere dalla scienza, anche quando affermano cose vere. Nell’evoluzione dell’umanità non c’è mai stato un potere più totalitario di quello della scienza del giorno d’oggi. Il drago ci assale da ogni lato. Non c’è altro rimedio se non quello di allearsi all’arcangelo Michele, il che significa addentrarsi nel tessuto spirituale del mondo in vera conoscenza. Adesso sì che questa immagine di Michele ci si pone davanti in maniera nitida, solo ai nostri giorni è diventata una questione che ci coinvolge nel profondo. Anticamente questa immagine appariva come una visione di sogno, oggi questo non è più possibile per la nostra coscienza rivolta all’esterno. Per questo anche l’uomo più stupido si sente autorizzato a dar del falso a chi vede nella scienza moderna esteriore il drago che fagocita l’uomo. "

il drago che fagocita l'uomo

" Ma resta pur vero che la scienza è il drago. E quelli che sono cresciuti con la scienza e non sono stati stregati dal drago al punto da lasciarsi divorare del tutto — quelli che si rifiutano di analizzare la psiche con apparecchi di ogni genere per misurare, faccio per dire, la memoria, che non si sono serviti di macchine per trovare l’anima —, quelli che sono cresciuti da uomini con la scienza esteriore, che non diceva loro più che cos’è l’uomo, poiché non lo sa, perché il drago l’uomo se l’è mangiato, costoro in un primo tempo vedevano bene davanti a sè il drago, ma non riuscivano ancora a vedere il Michele. Questo viveva nei cuori di molte persone all’inizio del XX secolo, questo sentivano istintivamente: vedevano fin troppo bene il drago, ma non riuscivano ancora a vedere Michele. Per questo si son allontanati a gambe levate dal drago, in cerca di un asilo, di un’oasi dove non li potesse raggiungere. Non volevano più saperne di lui. Così vediamo giovani respingere gli adulti per uscire dal territorio del drago. Anche questo, miei cari amici, è un aspetto del movimento giovanile! I giovani volevano scappar via dal drago perché non vedevano nessuna possibilità di sconfiggerlo. Cercavano un posto in cui non ci fosse il drago. Ma c’è un segreto, un gran mistero, ed è il fatto che il drago può esercitare dappertutto il proprio potere, anche dove non è “fisicamente” presente. Quando non riesce a uccidere l’uomo direttamente con le idee, con l’intellettualismo, ci riesce rendendo l’aria così rarefatta che l’uomo non può più respirare. E qui arriviamo al nocciolo della questione: quei giovani che si sono allontanati dal drago per non esserne danneggiati e che, trovando un’aria troppo rarefatta, non hanno potuto inspirare il futuro, al massimo hanno sentito l’incubo del passato, poiché l’aria era non solo rarefatta, ma appestata dal drago anche là dove ci si poteva sottrarre al suo influsso diretto. Ma in fatto di esperienza umana, l’incubo dal di dentro non è molto diverso dalla pressione dal di fuori a opera del drago. Una generazione di una certa età nell’ultimo terzo del XIX secolo sentiva di essere direttamente alla mercé del drago, così i giovani sono evasi e hanno fatto l’esperienza dell’incubo dell’aria resa irrespirabile e malsana dalle esalazioni del drago. L’unica salvezza sta nel trovare Michele che la vince sul drago. Occorre la forza del vincitore del drago, poiché quest’ultimo trae la sua vita da un mondo completamente diverso da quello in cui vive l’anima umana. L’anima umana non può vivere nel mondo dal quale il drago attinge la linfa vitale. Eppure è solo con la vittoria sul drago che l’uomo trova la forza per vivere. Per questo sosteniamo a ragione la necessità di superare quel periodo che dal XV al XIX secolo ha sviluppato un tipo d’uomo che vede tutto come opera sua. Deve iniziare l’era di Michele che sgomina il drago, poiché il potere del drago è diventato pauroso. Miei cari amici, a questo dobbiamo lavorare se vogliamo diventare delle guide autentiche per i giovani. L’arcangelo Michele ha per così dire bisogno di un veicolo con cui fare il proprio ingresso nella nostra civiltà, e questo veicolo si rivela al vero educatore come formato dai giovani, anzi già dai bambini. In essi è ancora all’opera la forza della vita vissuta prima di nascere, in loro è ancora realmente presente quello che, se coltivato, può essere il veicolo con cui Michele farà ingresso nella nostra civiltà. Educando nel modo giusto prepariamo a Michele il mezzo con cui entrare nella nostra civiltà. Non sia mai che continuiamo a coltivare il drago sviluppando una scienza solo per gli adulti, fatta di pensieri che neanche si sognano di indagare l’interiorità dell’uomo, il corpo dell’uomo, l’uomo stesso per formarlo. Dobbiamo edificare il carro, il veicolo per Michele, e per questo abbiamo bisogno di umanità viva, come quella che nei bambini passa dal mondo spirituale alla vita sulla Terra e lì si manifesta soprattutto nei primi anni di vita. É di questo che abbiamo bisogno. Ma dobbiamo sentire entusiasmo per questo tipo di educazione. Continuando a parlare metaforicamente: se vogliamo diventare veri educatori dobbiamo farci alleati di quel Michele che fa ingresso nella nostra epoca. Più di qualsiasi programma teorico, quello che conta per l’arte dell’educazione è il sentirsi alleati di Michele, dell’essere spirituale che viene sulla Terra e al quale prepariamo il veicolo dando ai giovani un’educazione viva e intessuta di arte. Ciò che può risultare da questo impulso è di gran lunga migliore di qualunque principio pedagogico teorico: vedere Michele che nell’ultimo terzo del XIX secolo entra nella nostra cultura draconica in decadenza. Questa è la sorgente di ispirazione e di forza di tutta la pedagogia. Quest’arte dell’educare non va presa come una teoria, come qualcosa che si può imparare studiando. Va intesa come un Essere con cui allearci, di cui accogliamo con gioia la venuta, che viene a noi non sotto forma di concetti morti, ma come un Essere spirituale vivo al quale offrire i nostri servigi se vogliamo che l’umanità continui ad evolvere. É così che la conoscenza ritorna a essere vita: portando a coscienza quello che un tempo viveva nell’inconscio dell’umanità. Miei cari amici! Nell’antichità, quando la chiaroveggenza naturale era ancora diffusa fra gli uomini, c’erano i centri misterici. Là i discepoli hanno cercato soprattutto le forze della conoscenza per la loro evoluzione umana. Era questo l’atteggiamento dell’animo in quei luoghi misterici, che erano nello stesso tempo chiesa, scuola e laboratorio artistico. Là c’erano tante cose, ma non di certo una biblioteca come la intendiamo noi oggi. Non mi fraintendete: non c’era ancora una biblioteca come la intendiamo noi oggi, ma già allora c’erano cose che fanno pensare a una biblioteca, cose scritte. Però tutto ciò che veniva scritto era fatto per esser letto, per agire sulle anime. Oggi gran parte del materiale delle biblioteche è lì solo per essere accumulato, non per esser letto. Solo quando si deve scrivere una tesi di laurea e discuterla si è costretti a mettervi mano. Altrimenti tutti quei libri stanno là e si vuol eliminare qualsiasi bagliore di vita. Nelle tesi di dottorato devono esserci solo elementi oggettivi, meccanici. Si vuole ridurre al minimo il coinvolgimento dell’uomo. L’uomo è stato svuotato di ogni interesse a ciò che è spirituale. È questo che deve ritornare, e in piena coscienza: l’invisibile deve tornare a vivere così che noi non sperimentiamo più soltanto quello che si percepisce con i sensi, e rifacciamo l’esperienza di ciò che può essere visto nello spirito. Deve insomma avere inizio l’era di Michele. In fin dei conti tutto ciò che gli uomini han ricevuto dal XV secolo in poi è venuto loro dall’esterno. Nell’era di Michele l’uomo dovrà instaurare un proprio rapporto interiore con il mondo spirituale. Il sapere, la conoscenza, devono acquistare un valore del tutto nuovo. Nelle biblioteche degli antichi misteri c’era la documentazione di cose destinate a essere ricordate da tutti. La biblioteca di allora non è paragonabile ai nostri libri, i maestri dei misteri indirizzavano i loro allievi a un tutt’altro tipo di lettura. Dicevano: “Sì, una biblioteca c’è” — ovviamente non la si chiamava così —, “ed è quella costituita dagli uomini là fuori. Imparate a leggere quei libri, imparate a leggere i segreti nascosti in ogni uomo.” È a questo che dobbiamo ritornare, anche se in modo nuovo. Come educatori dobbiamo capire che l’accumulo di sapere e di nozioni non ha alcun valore, è qualcosa di morto che conosce solo la vita del drago. Ma se davvero vogliamo “sapere” qualcosa dobbiamo capire che la nuova scienza non può essere accumulata qua e là, perché in questo modo svanirebbe. Dobbiamo capire che i libri possono al massimo additare, indicare ciò che è realtà spirituale. Come si può mai capire da un libro che cos’è lo spirito? Lo spirito è qualcosa di vivente, non è parente delle ossa, ma del sangue. E il sangue ha bisogno di vasi in cui scorrere. Ciò che riconosciamo come spirito ha bisogno di vene e arterie, e questi vasi sanguigni sono i giovani: è in loro che lo dobbiamo versare perché non si raggrumi. Lo spirito è talmente vivo che vuol scorrere in continuazione. Dobbiamo far sì che tutte le nostre conoscenze possano “scorrere” nelle vene dell’anima degli adolescenti. Allora costruiremo il veicolo per Michele e saremo suoi compagni alleati. Miei cari amici, il modo migliore per ottenere ciò a cui aspirate è di rendervi conto che voi volete essere alleati di Michele. Dovete mettervi al seguito di un Essere puramente spirituale, non incarnato sulla terra. Dovete imparare a credere a un uomo in quanto vi indica la via che porta a Michele. Gli uomini devono comprendere in modo nuovo e vivo il detto del Cristo: “Il mio regno non è di questo mondo.” Proprio così è a maggior ragione dentro questo mondo. L’uomo ha lo scopo di far sì che lo spirito che senza di lui non è dentro questo mondo, ci entri dentro, diventi un contenuto del mondo. Il Cristo stesso è venuto sulla terra, non si è portato via l’uomo in un cielo in cui vivere una vita ultraterrena. Al contrario, l’uomo deve permeare la sua vita terrena di spiritualità, così che questa a sua volta gli dia la possibilità di vincere il drago. Queste cose vanno capite dalle fondamenta, in modo da capire anche perché nel secondo decennio del XX secolo con la guerra mondiale gli uomini si sono dilaniati a vicenda. L’hanno fatto perché avevano spostato la lotta su un piano che non era il suo, poiché non hanno più visto il vero nemico, il drago. Per sconfiggerlo ci vogliono quelle forze che, se sviluppate nel modo giusto, portano la pace sulla terra. Dobbiamo prendere sul serio l’ingresso nell’era di Michele. "

"San Michele e il drago" di Raffaello

" Solo quando grazie agli strumenti del presente riprenderà a librarsi davanti agli uomini l’immagine di Michele, forte e avvolto di luce, vincitore di quel drago che dissangua l’umanità e che viene sconfitto con la forza dell’uomo che vive la vita dell’anima, solo quando si saprà accogliere in sé questa immagine con maggiore intensità di prima, si troveranno le forze per sviluppare impulsività interiore, sapendosi alleati di Michele. Solo allora avremo anche tutto ciò che ci fa progredire ulteriormente: la pace fra le generazioni, nei giovani la voglia di ascoltare gli anziani e negli anziani cose da dire ai giovani, tali che i giovani le accolgano con gioia. I giovani sono fuggiti in regioni d’aria rarefatta, poiché gli adulti hanno presentato loro il drago. Solo quando si smetterà di propinare loro il drago, quando si saprà annientarlo con la forza di Michele, allora un autentico movimento giovanile raggiungerà il suo vero obiettivo, quello che vi ho appena detto, cioè che le generazioni abbiano qualcosa da dirsi e da scambiarsi. In realtà l’educatore, se è un uomo completo, riceve dal bambino nella stessa misura in cui gli dà. Chi non si fa insegnare dal bambino i messaggi che porta con sé dal mondo spirituale, non può insegnare nulla a lui sui misteri dell’esistenza terrena. Solo se il bambino può essere il nostro educatore che ci porta i messaggi del mondo spirituale, sarà anche disposto ad accogliere i messaggi che noi portiamo a lui dall’esistenza terrena. Non è semplicemente per amore di simboli che Goethe ha cercato ovunque cose simili al ciclo della respirazione — espirazione, inspirazione, espirazione, inspirazione —, per lui tutta la vita umana era raffigurata nell’immagine del prendere e del dare. Ognuno dà e ognuno riceve, ogni donatore diventa un donatario. Ma affinché il dare e il ricevere assumano il ritmo giusto è necessario instaurare una civiltà micheliana. Vorrei concludere con questa immagine per far capire il senso di tutte le precedenti riflessioni. L’intenzione non era di trasmettervi qualcosa su cui riflettere concettualmente, il mio intento è che le cose facciano ingresso nel vostro cuore, che diventino vita dentro di voi. L’uomo perde per strada ciò che gli entra solo nella testa, ma quello che accoglie nel cuore lo conserva in qualsiasi sfera di attività si venga a trovare. Se accogliete nel cuore e non nella testa — perché allora lo perdereste ben presto — quello che ho potuto dirvi, se lo portate con voi nel vostro essere, allora miei cari amici le nostre conversazioni si sono svolte nel modo giusto. Ed è con questo pensiero, con questo sentimento, che desidero prendere commiato dai vostri cuori, esortandovi ad accogliere ciò che ho cercato di esprimere in parole come se avessi voluto versare nei vostri cuori qualcosa di ineffabile. Se i cuori hanno battuto all’unisono con lo spirito che ha animato queste conferenze, se si sono riuniti anche solo un po’ con quello che per noi è lo spirito vivente, allora abbiamo raggiunto almeno in parte gli scopi che ci eravamo prefissi con questi incontri. Con questo sentimento vogliamo oggi lasciarci, ma con lo stesso sentimento vogliamo anche restare uniti. Così ci sentiremo spiritualmente in comunione anche quando siamo singolarmente all’opera nei più svariati ambiti della vita. L’importante è esserci incontrati nei nostri cuori, allora vi potrà fluire anche l’elemento spirituale, l’energia di Michele. " (da pag. 97 a pag. 112).

Anhang Rudolf Steiner (1861-1925)

By Manlio Amelio in exquisite cadavre avec Rudolf Steiner

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