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1. L'identità greca: lingua e religione


Frammentazione politica, identità comune I greci non diedero mai vita a uno stato unitario. Lo spazio greco, esteso da un capo all'altro del Mediterraneo,


rimase sempre frazionato in una miriade di centri locali, per di più costantemente impegnati in guerre e guerricciole fra loro. Eppure i greci mantennero sempre viva la coscienza di una identità comune, dell'appartenenza a una stessa "grecità". Un primo, fondamentale fattore di unificazione era la lingua: i diversi dialetti parlati dalle genti greche confluirono progressivamente in una lingua comune, detta koiné (da koinòs, "comune"). La comunanza linguistica costituiva un fatto re di identità così forte da indurre i greci a chiamare barbari, cioè "balbettanti" (bar...bar...), tutti quelli che non parlavano la loro lingua e che risultavano perciò incomprensibili alle loro orecchie.

La religione greca Un secondo, potente elemento di unità e di identità cultura le era la religione, e in particolare la religione olimpica, cioè il culto delle dodici divinità che abitavano la vetta del sacro monte Olimpo (il numero, però, non era ovunque fisso).


A differenza delle religioni che conosciamo - come l'ebraismo, il cristianesimo o l'islam- quella greca era una religione antropomorfa (in cui gli dèi avevano fattezze e sentimenti modellati su quelli umani) e politeista, cioè caratterizzata da molte divinità. Non era inoltre una religione rivelata: non vi erano testi sacri in cui la divinità avesse rivelato le verità in cui credere, né dèi che chiedessero agli uomini di divenire migliori. Non esisteva un clero, cioè un insieme di sacerdoti, specializzato nell'interpretare i testi divini o nell'amministrare i riti: qualsiasi cit tadino poteva compiere da solo gli atti del culto, purché nel rispetto delle regole previste. Anche i riti collettivi della città venivano officiati da comuni cittadini o da funzionari incaricati a tale scopo. Sacerdoti veri e propri esistevano solo nei santuari, centri di culto comuni a più pòleis, ritenuti sacri e inviolabili: apposite leghe fra città, dette anfizionie, proteggevano i santuari e i loro tesori.


Una religione pubblica La religione in Grecia aveva un carattere essenzialmente rituale e pubblico. Prima di qualsiasi impresa, piccola o grande - dallo sposarsi al dichiarare guerra - si compiva il rito per ottenere il favore divino: ci si purificava in acque terse o si eseguivano i sacrifici, immolando uno o più animali; si rispettavano determinati divieti; ci si recava a consultare gli oracoli, luoghi nei quali un indovino interpretava la volontà divina. Tutte pratiche che avevano valore soprattutto in quanto pubbliche, visibili, poiché non riguardavano l'individuo, ma la collettività. Il pantheon greco, cioè l'insieme delle divinità olimpiche, rifletteva ogni settore


dell'attività umana, dalla guerra al commercio, dalle arti all'amore. Nella vita pubblica gli dèi olimpici avevano un ruolo di grande rilevanza. Qua lunque atto pubblico - le decisioni dell'assemblea, i trattati di pace, le dichiara- zioni di guerra, i giudizi dei tribunali, le feste popolari - avveniva sotto la prote zione di un dio. Ma altrettanto accadeva per i principali momenti e luoghi della vita domestica. Zeus proteggeva la casa dalle fiere e dai predoni; il focolare, che non doveva mai spegnersi, era affidato a Estia; le porte dell'abitazione erano sorvegliate da Apollo o da Ermes; per il parto ci si rivolgeva ad Artemide, mentre il matrimonio era soprattutto affare di Era, moglie legittima (ma spesso tradita) di Zeus. Agli dèi domestici venivano presentati coloro che entravano a fare parte della famiglia: la sposa, i figli neonati, gli schiavi destinati a vivere in casa.



2.La famiglia e la condizione


della donna


La casa e la donna Non esiste nella lingua greca antica un termine che designi

la famiglia come noi l'intendiamo, cioè come gruppo sociale costituito da legami di parentela e consanguineità. La cellula di base della società greca, infatti, non era la famiglia in senso stretto, ma l'òikos, termine che significa "casa" ma che comprendeva anche le persone che l'abitavano, sia liberi sia schiavi, le attività che vi si svolgevano, i beni di proprietà del gruppo familiare.

La casa - o meglio, quella parte della casa riservata alle donne, il gineceo (da gyne, "donna" e òikos) - era lo spazio specifico della donna, che in Grecia era giuridicamente libera ma priva di diritti politici. Li essa svolgeva le funzioni do mestiche che la società le assegnava: filare, tessere, organizzare il lavoro delle schiave, allevare i figli. Rare e poco apprezzate erano le uscite in pubblico, se non in caso di festività religiose, e sempre in compagnia di un'ancella; vietata la par tecipazione ai banchetti. La principale funzione assegnata alla donna era naturalmente la procreazione, perché era questa a garantire la continuità della famiglia e, in senso lato, della comunità dei cittadini.

Da un padrone all'altro Il capofamiglia era il signore della famiglia stessa, ed esercitava la sua autorità su cose e persone, compresi schiavi, moglie e figli.

La personalità pubblica della donna era dunque mediata dalla figura maschile: il padre, il marito, il fratello o, in mancanza di questi, il parente più prossimo. Un esempio tipico è quello del patrimonio. Quando si sposava, la donna aveva diritto a una dote, che rimaneva di sua proprietà, ma veniva amministrata dal marito. Una figlia femmina non poteva ereditare i beni paterni; se non esistevano figli maschi, tuttavia, diventava molto appetibile: chi la sposava, infatti, poteva incassare l'eredità. In questo caso si cercava di fare in modo che la donna in que stione sposasse un congiunto, affinché i beni restassero in famiglia. In Grecia non ci si sposava per amore, per attrazione o per libera scelta: questo non ci deve meravigliare, dato che il matrimonio come scelta individuale è molto recente, caratteristico delle società moderne.

Matrimonio e divorzio Il matrimonio aveva in Grecia un carattere eminentemente sociale, le cui motivazioni fondamentali erano di natura economica o di prestigio, o semplicemente legate alla necessità di avere eredi legittimi e di man tenere l'unità e la continuità della casata. A decidere i matrimoni erano i maschi di casa. Fatta la scelta, e stabi la dote fornita dal padre della sposa, il matri monio veniva stipulato in modo privato, ma alla presenza di testimoni, come un qualsiasi contratto d'affari: un bene, in questo caso la sposa, passava dal vecchio al nuovo signore, dal padre al marito. Il divorzio era ammesso, quasi sempre per iniziativa del marito: dal punto di vista legale anche le donne potevano chiederlo, ma al prezzo di esporsi al giudizio di un'opinione pubblica sfavorevole. Se un marito voleva liberarsi della moglie non occorrevano particolari motivazioni: poteva rimandarla alla casa paterna in


qualsiasi momento, anche se in questo caso doveva restituire la dote. Del resto, non esisteva per il maschio nessun impedimento, né legale né morale, ad accompagnarsi con altre donne. La legislazione ateniese, per esempio, con sentiva al marito di avere delle concubine e di ospitarle nella propria dimora: neppure il mondo della casa costituiva dunque per la donna uno spazio esclusivo. L'adulterio femminile era invece punito con pene molto severe.