The Italian Job: il KGB, Gladio e la Loggia P2

The Italian Job: il KGB, Gladio e la Loggia P2

di Leonid Kolosov


Mentre era di stanza in Italia, il giornalista sovietico e ufficiale del KGB sotto copertura Leonid Sergeevich Kolosov (1926-2008) fu informato da nientemeno che il boss mafioso Nicola Gentile sulle realtà del potere nell'Italia del dopoguerra. Le rivelazioni di Gentile e le informazioni fornite da altri agenti indicavano un "governo segreto" che gestiva l'Italia attraverso una loggia massonica d'élite: P-2, essa stessa strumento della CIA e del famigerato programma Gladio della NATO.

I miei incontri con Nicola Gentile, già senza Felice Chilanti, avvenivano più o meno regolarmente. Il "nonno" (il nostro servizio gli assegnò questo nome in codice) mi prese in simpatia, soprattutto dopo che gli regalai un'antica icona russa per la sua collezione, per così dire. Durante uno dei nostri incontri ci fu una conversazione piuttosto strana, iniziata dallo stesso Gentile.

"Tu lavori solo per il giornale, figlio mio?".

"Certo, commendatore. Semplicemente non ho tempo per altro".

Non battei ciglio: avevo imparato a mentire, guardando sfacciatamente negli occhi il mio interlocutore, proprio come mi avevano insegnato alla scuola di intelligence.

"Così supponiamo. Anche se è molto spiacevole, perché potrei raccontare molte cose interessanti, e non per i giornali. Capisci, figlio mio, non mi piacciono molto gli americani, perché si sono sempre intromessi nei nostri affari. E ora si intromettono sempre più insistentemente negli affari interni dell'Italia, e tra l'altro anche nei tuoi. Sa perché i nostri governi cambiano così spesso?

"Per l'instabilità politica", risposi con semplicità.

Nicola sorrise sarcastico.

"A prima vista, sì. Sì, è così. In verità, in quale altro posto in Europa si può trovare un arcobaleno così variopinto, come nel nostro Parlamento italiano? Guardate questo anfiteatro, dove a sinistra siedono gli emissari di tutti i possibili partiti politici del nostro tempo, e vi sarà chiaro che non una sola sequenza in questo gioco del solitario può essere stabile. Anche gli abbondanti, per quanto stridenti, repubblicani che chiamiamo fantasmi, possono in qualsiasi momento provocare una crisi di governo, aggiungendo o togliendo il loro microscopico peso dalla bilancia politica. E i socialisti, nelle loro oscillazioni da sinistra a destra alla ricerca di posizioni ministeriali? Destra, sinistra, sinistra-destra e destra-sinistra? Non vi è mai sembrato che questo salto mortale politico assomigliasse a un vaudeville?".

"No. È più probabile che sia una tragedia. L'instabilità politica ha generato un pasticcio economico, ha aperto le porte al terrorismo e ha scatenato i neofascisti".

"Tutto ciò è corretto, ma non è questo il punto. Non è il cambio di gabinetto a creare l'instabilità politica, ma è il gioco di prestigio di questa instabilità a cambiare i governi. Quando questo è necessario per una o l'altra ragione, naturalmente".

"Vuole dire che l'instabilità è controllata? Ma da chi?"

Il sarcasmo di Gentile aveva raggiunto il suo apice.

"Dal governo. Non dai chiacchieroni delle coalizioni multipartitiche che si sostituiscono l'un l'altro, ma da un vero e proprio governo, quello che a volte viene chiamato 'gabinetto ombra'. È stato, è e sarà così".

"Mi perdoni, questa è la mafia?".

"La mafia? No. Facciamo questi giochi molto raramente. Hai mai sentito parlare, figlio mio, dei massoni?".

"Ne ho sentito parlare, o più propriamente, ne ho letto. La massoneria, o gli 'artigiani', come si definiscono".

"Beh, dal 1945 questi 'artigiani' governano il mio Paese. È lo stesso gabinetto ombra a cui la nostra stampa onnisciente di tanto in tanto accenna".

Non nascondo che in quel momento rimasi colpito dalla rivelazione del vecchio mafioso. Era difficile credere a ciò che diceva, ma anche dubitare delle sue parole. Con tutto il suo cinismo politico, era un uomo intelligente che non parlava a cuor leggero.

"Ma mi dispiace, commendatore, quello che lei dice sul gabinetto ombra assomiglia più al vaudeville che al rimescolamento dei governi".

"Vaudeville? No, mio stimato amico. Questo 'vaudeville' finirà prima o poi con un'esplosione, mi creda. Sa chi fa parte della loggia massonica?".

"No, non lo so".

"Grandi industriali e finanzieri; influenti funzionari dei ministeri e capi della chiesa; alti ufficiali militari e direttori dei servizi segreti; politici e mafiosi; poliziotti e criminali. Sono tutti insieme, ma subordinati a una leadership massonica superiore lontana da qui. Ha mai fatto caso alla facilità con cui i criminali perpetrano i crimini più complessi nel nostro Paese, e a quanto sia difficile per il nostro sistema giudiziario districarsi in quelli più primitivi?".

No, all'epoca presi tutto ciò che Nicola Gentile diceva come un'informazione insolita e degna di essere studiata. Solo molto più tardi, quando uno scandalo politico di inaudita gravità si abbatté sulla penisola, legato alle attività segrete della loggia massonica Panorama-2 sic [Propaganda-2], o P-2 in breve - solo allora capii quanto preziose fossero state le informazioni del "nonno"...

Come gli agenti dei servizi segreti, i massoni sono sempre stati circondati da un'aura di segretezza. Tuttavia, se dei massoni si parla oggi come se fossero fantasmi del passato, gli agenti dei servizi segreti, o più precisamente le loro azioni - passate e presenti - non si sono allontanati dalle prime pagine dei giornali.

Un agente dei servizi segreti, per quanto si possa pensare di lui, non può lavorare se non ha agenti affidabili che ottengono informazioni segrete. Ci sono abbastanza modi per reclutare agenti. In questo caso si può avere un'unità di vedute e una vicinanza ideologica; oppure un'affinità personale; oppure il candidato al reclutamento possiede debolezze come l'amore per il denaro, le donne, il gioco d'azzardo, l'invidia, l'odio, ecc... Ma il vostro agente, provato in azione, deve diventarvi più caro del vostro stesso fratello, perché questo è un valore senza prezzo. Tuttavia, pur essendo inestimabile come fonte di informazioni, ha un prezzo di mercato, dato che lo pagate. Non chiuderemo gli occhi di fronte allo stato attuale delle cose: la maggior parte degli agenti lavora per denaro, in quanto i valori umani universali proclamati sia da Gesù Cristo che da Karl Marx sono stati svalutati da tempo. Ma il mondo reale, con la sua economia di mercato, rimane.

Il vecchio - Nicola Gentile - mi ha mostrato il funzionamento segreto di un colpo di Stato che si stava preparando in Italia e mi ha parlato dei massoni perché odiava gli americani e il governo italiano per aver intralciato i suoi affari narcotici. Rem, un agente da me reclutato, mi aveva fornito materiale preziosissimo sulle attività della loggia massonica italiana "Panorama-2" sic (P-2) [Propaganda 2] e del suo gran maestro Licio Gelli, al quale era molto legato. Pagai al mio "amico" una bella paga, e lui non era un uomo ricco. Quando avevo esaurito Rem con le richieste di scrivere un articolo sulla politica interna italiana in Izvestia, mi disse con molta semplicità e franchezza:

"Scriverò di ciò che non conoscete e di ciò che minaccia il mio Paese. Ma questo non è per il vostro giornale, ma per i vostri servizi segreti. Sicuramente anche lei lavora per loro. Può essere certo della mia rettitudine. So cosa sto rischiando. Siete persone dure. Ma per il mio lavoro avrò bisogno di soldi".

Rem non deluse. Lavorò con cura e onestà per molti anni. E ora passiamo ai muratori, ai muratori italiani, di cui scrivo sulla base di materiale "top secret" che mi è stato passato dall'indimenticabile amico...

Il più promettente agente americano in Italia si è rivelato Licio Gelli, il capo della loggia massonica segreta P-2. Che tipo di uomo è? I massoni non amano pubblicare le loro biografie. Ma dai materiali di Rem, dopo lo scandalo che ha svelato l'attività antistatale della Loggia P-2 e del suo gran maestro, il percorso di vita di Gelli è apparso più o meno nella sua interezza.

Nacque a Pistoia nell'aprile del 1919. Gli studi non andavano bene e per questo fu espulso dalla scuola. Decise di arricchirsi con la guerra: andò come mercenario in Spagna, dove combatté dalla parte dei fascisti spagnoli. Tornò nella sua città natale come un convinto combattente nero. Nonostante gli studi secondari non terminati, divenne redattore del settimanale fascista Ferrucio. Avendo intuito l'imminente fine del fascismo in Italia, tentò di avviare legami con i partigiani. I suoi servizi, naturalmente, furono rifiutati. E sarebbe stato messo al muro per essere giustiziato dai partigiani se non fosse stato per gli alleati. Entrarono a Pistoia l'8 settembre 1944. "La guerra è finita, ragazzi", disse un ufficiale inglese, liberando Gelli dalla prigione. "Non toccatelo". Gelli sparì per diversi anni e poi si fece vivo a Roma come socio del capo della Permaflex, un'azienda che produceva materassi. "Solo sui nostri materassi dormirete tranquilli!", recitava la vistosa pubblicità dell'azienda. Ma Gelli non riusciva a dormire: stava scalando i soldi e il potere. In pratica verso il potere, visto che aveva già fatto soldi con l'attività dei materassi. Ed ecco che all'orizzonte appare la loggia massonica P-2, scissione della più antica e un tempo più potente Loggia del Grande Oriente d'Italia. Licio Gelli ne divenne membro e poi gran maestro.

Quando venerdì 20 marzo 1981 un gruppo di agenti della Guardia di Finanza notificò un accurato mandato di perquisizione a villa Vanda, alle porte della cittadina aretina, non stava cercando il proprietario, il capo della loggia massonica P-2 Licio Gelli, né il suo amico Michele Sindona, strettamente legato alla mafia e accusato di numerose truffe finanziarie sia in Italia che negli Stati Uniti. La Guardia di Finanza non ha scoperto né Sindona né Gelli. Ma trovarono fascicoli e buste sigillate con gli elenchi degli iscritti alla loggia, e documenti sigillati che fecero scoppiare il più grande scandalo politico della storia italiana del dopoguerra.

Gli elenchi e i documenti sono stati consegnati alle agenzie investigative italiane. Li ho ricevuti anche da Rem. Vedendo questi documenti, per la prima volta gli investigatori hanno potuto concepire veramente che tipo di potere c'era dietro Gelli. Ecco i nomi che compaiono in una delle due liste: Generale Vito Miceli, Roma; Gen. Luigi Bittoni, Firenze; Col. Roberto Magnello, Perugia; Niccola Picella, capo della Segreteria del Presidente della Repubblica, Roma; Gen. Renzo Apollonio, comandante del Distretto Militare Toscana, Roma; Amm. Giovanni Ciccolo, Spezia; Amm. Gino Birindelli, vicecomandante delle forze NATO in Europa meridionale e poi deputato in Parlamento del partito neofascista, Roma; Luigi Samuele Dina, capo dipartimento del Ministero della Difesa, Roma; Ettore Brusco, amministratore delegato della televisione di Stato e redattore di punta dei notiziari in entrata, ecc. Tutti questi nomi divennero noti solo nella primavera del 1981, più precisamente il 15 giugno, quando la denuncia bomba fece sì che la Loggia P-2 fosse dichiarata "associazione segreta fondata in contrasto con il 18° articolo della Costituzione della Repubblica Italiana...".

La giustizia italiana, compreso il servizio antiterrorismo, accumulò un volume complessivo impressionante di informazioni sul vero ruolo di Gelli nella sua loggia. Tuttavia, fino all'inizio del 1981, la giustizia non intraprese alcuna azione contro i massoni. Neppure prove documentali eclatanti come il memorandum presentato nel marzo 1977 dal Brig. Gen. Siro Rossetti, ex consulente dal 1971 al 1974 del capo dei servizi segreti italiani Vito Miceli, riuscirono ad attivare i meccanismi del sistema. Nel suo memorandum Rossetti (nato nel 1919 ad Arezzo e che aveva comandato un distaccamento partigiano nel periodo della Resistenza), forniva un'analisi dettagliata e minuziosamente verificata dell'attività della Loggia P-2 dal 1971 al 1974. Sia Gelli stesso che l'organizzazione da lui creata, così come le sue attività nelle alte sfere del potere, sono stati sottoposti a un'analisi approfondita. Il generale Rossetti era un membro, senza intenzioni segrete, della Loggia P-2, nella quale entrò nel giugno del 1970, anche per partecipare ai lavori del suo Consiglio superiore. Il suo obiettivo era quello di verificare dall'interno cosa stessero facendo i "fratelli" di questa loggia clandestina, sapendo che tra di loro c'erano importanti agenti dei servizi segreti, alti ufficiali delle forze armate e della polizia e figure di spicco del sistema giudiziario. Ecco perché è così importante la sezione del memorandum in cui Rossetti espone le ragioni che lo hanno spinto a lasciare la loggia e a chiederne ufficialmente la messa al bando.

In un certo senso, a partire dalla seconda metà del 1972, esistevano già due Logge P-2. Una - quella ufficiale - era, come si presumeva, sotto il controllo della giunta esecutiva del Grande Oriente. Una - la loggia ufficiale - era, come si presumeva, sotto il controllo della giunta esecutiva del Grande Oriente. Nella seconda loggia, quella segreta, Gelli e i suoi sottoposti godevano di una padronanza totale. In particolare in quel periodo, su "raccomandazione personale di Licio Gelli", il capo dei servizi segreti Vito Miceli fu avviato alla P-2.

"Miceli", ricorda Rossetti, "era una delle persone a cui avevo espresso la mia preoccupazione per la crescita dell'influenza di un uomo sospetto come Gelli. Tuttavia, nonostante la mia chiara e inequivocabile valutazione negativa di questo personaggio, Miceli continuò a stabilire con lui stretti rapporti personali". E non solo Miceli. Nel 1974 il gen. dei Carabinieri Julio Grassini, futuro capo della protezione civile. Ricordiamo che il 1974 fu l'anno dell'ennesimo tentativo di colpo di Stato, il cosiddetto "putsch bianco" progettato dall'ex liberale Edgar Sonio e da altri reazionari. È anche l'anno dell'escalation del "terrorismo nero" (la strage di Brescia perpetrata dai neofascisti in maggio, l'attentato al treno Italicus in agosto) e dell'esposizione della Rosa dei Venti, un'organizzazione eversiva di ufficiali dell'esercito. In tutte queste cospirazioni e crimini, che portavano con sé le tracce della partecipazione di servizi segreti stranieri e di centri fascisti internazionali, la presenza del capo della P-2 era immancabilmente scoperta. Rossetti lo caratterizza nel modo seguente:

"Gelli non nascondeva volutamente le sue vaste capacità di penetrare nelle più svariate sfere del potere e di dettare la sua volontà ai più svariati livelli: dalla segreteria di questo o quel ministro al palazzo presidenziale (Gelli diceva apertamente che grazie a lui Giovanni Leone era stato eletto presidente), dal parlamento agli ambienti diplomatici nazionali e internazionali".

Concludendo le sue osservazioni, Rossetti formula la seguente valutazione dei vertici massonici. Sono "persone interessate innanzitutto a speculare sulla solidarietà della fratellanza massonica che predicano, per trarne vantaggio per sé". Per quanto riguarda Gelli, aggiunge, "è evidente la non casualità dei suoi rapporti con persone e gruppi, in un modo o nell'altro complici di attività eversive e invariabilmente legati ad ambienti della destra neofascista. Il suo vero ruolo in tutta una serie di casi criminali sospetti lo dimostra. Tutto ciò costringe a escludere come motivazioni delle sue azioni la semplice inclinazione all'intrigo, la brama di ricchezza o l'ambizione smisurata, ma ci obbliga a ipotizzare connessioni con centri di potere significativamente più grandi e di carattere internazionale. Sotto questo punto di vista, in particolare, merita attenzione la sua pretesa di esercitare pressioni sulla giustizia statunitense per conto del banchiere Sindona".

In ogni caso, sottolinea Rossetti, non c'è dubbio che solo "l'inserimento di Gelli in un certo complesso meccanismo di portata straordinariamente ampia ha consentito al capo della P-2, pur con una dotazione patrimoniale piuttosto modesta, di acquisire una capacità altrimenti inspiegabile non solo di penetrare in qualsiasi ambito e a qualsiasi livello, ma anche di esercitarvi pressioni al limite del ricatto...".

Le indagini sull'attentato al treno Italicus stavano per concludersi nell'agosto del 1980, quando un'altra bomba esplose alla stazione di Bologna. E di nuovo la strage di centinaia di persone: 85 morti e 200 feriti. Il giudice romano Vella scrisse all'epoca in una relazione sull'attività della Loggia P-2:

"Le circostanze e i fatti emersi consentono di giungere alla giustificata e naturale conclusione che di fronte a noi si trova un'organizzazione che, contrariamente alle proprie finalità statutarie, rappresenta il più fornito arsenale di efficaci e quindi pericolosi strumenti di azione politica eversiva."

Il sostituto procuratore capo di Roma Domenico Sica fu incaricato di rintracciare i collegamenti della Loggia P-2 con i centri di spionaggio internazionali. Durante l'interrogatorio di uno dei capi dipartimento dei servizi segreti italiani, il col. Antonio Viezzera, accusato di aver passato a Gelli dossier segreti di politici, dirigenti sindacali, giornalisti e industriali, fu posta una domanda relativa all'attività di spionaggio di Gelli per Stati esteri. A questo punto Sica fa riferimento agli articoli stampati in precedenza sulla rivista Osservatore Politico, il cui proprietario era Mino Pecorelli, assassinato dai terroristi nella primavera del 1979 all'ingresso della sua redazione. I materiali da lui pubblicati divennero una sorta di ultimo testamento per il giornalista ucciso. Uno degli articoli di Pecorelli, del 12 gennaio 1979, riporta il titolo "La verità sul Maestro Venerabile della Loggia Massonica P-2". In esso si affermava che "la massoneria italiana rappresenta un'organizzazione subordinata alla CIA". Pecorelli scrive inoltre: "Industriali e finanzieri, politici, generali e funzionari di corte, prestando giuramento di fedeltà alla massoneria, si sono così messi al servizio della CIA statunitense per bloccare con ogni mezzo il cammino dei comunisti verso il potere".

Che cosa avvertiva il giornalista nei suoi ultimi materiali, scritti non molto tempo prima della sua morte? In uno degli articoli di Pecorelli si legge: "In Italia il 90% dei vertici dello Stato, così come i maggiori industriali e banchieri, appartengono alla massoneria".

Secondo i materiali che ho ricevuto da Rem, è stata rivelata un'altra circostanza. Dal 1963 era attiva in Italia una loggia massonica per gli ufficiali della NATO. Furono create sedi a Napoli, Livorno e Verona. Esiste ancora questa loggia? Si dice che esista e operi ancora. A proposito, nel 1969 proprio quella loggia tentò di lanciare un'organizzazione sovversiva sotto la copertura della massoneria per facilitare una svolta radicale nella politica italiana. Questo ruolo fu assegnato alla Loggia P-2, attiva nell'ambiente degli imprenditori e dei finanzieri. Nella sfera della sicurezza nazionale statunitense dell'epoca, la figura seconda per influenza dopo Henry Kissinger era Alexander Haig. In quel periodo il futuro Comandante supremo delle forze combinate della NATO in Europa stabilì tutta una serie di contatti con gli "imprenditori" italiani.

Vale la pena notare che nel corso degli anni Settanta, quando la "Strategia della tensione" prese avvio e acquisì ampio respiro in Italia, negli Stati Uniti si aprì il Watergate e tutte le figure che avevano contribuito alla realizzazione del piano del 1969 uscirono dalla scena politica. L'ascesa al potere di Reagan, tuttavia, fece rinascere le speranze di un ripristino dei legami con influenti attori statunitensi, "amici" della Loggia P-2. In ogni caso, molti generali e colonnelli italiani accolsero con entusiasmo la possibilità di una nomina di Alexander Haig a un importante incarico nell'amministrazione Reagan in caso di vittoria elettorale. I cognomi di molti di questi ufficiali militari sono stati in seguito riportati in un lungo elenco di membri della Loggia P-2. Va notato che i massoni italiani cominciarono a mostrare ottimismo riguardo alla possibile designazione di Haig a un posto di rilievo quattro mesi prima della nomina di Reagan a candidato presidenziale alla Convenzione Nazionale Repubblicana e nove mesi prima della nomina di Haig a Segretario di Stato degli Stati Uniti. Inoltre, fece scalpore la visita precipitosa a Washington del Gen. Santovito, capo dell'intelligence e del controspionaggio militare italiano, letteralmente pochi giorni dopo la nomina di Haig a Segretario di Stato.

Per inciso, è noto che i massoni francesi hanno accusato la Loggia P-2 di essere uno strumento della Commissione Trilaterale (un organo di consulenza non ufficiale fondato nel 1973, tra i cui membri figurano esponenti di spicco dei circoli monopolistici e personalità politiche del Nord America, dell'Europa occidentale e del Giappone) e della CIA. Già nel 1944, uno dei documenti dell'OSS del 15 settembre 1944, il n. 9a-32199, indicava che le forze di destra italiane cercavano di fornire ai gruppi terroristici una copertura massonica per screditare il partito comunista. È sorprendente che questo piano coincida con gli eventi che si verificarono in Italia dal 1969 al 1979.

Evidentemente è ancora presto per affermare che di questa intricata vicenda si sappia tutto. Molti momenti restano oscuri nella rete di cospirazioni che Licio Gelli ha tessuto. Il biglietto da visita di Gelli, tra l'altro, è conservato nel mio archivio. Ho conosciuto quest'uomo, che si presentava come un importante industriale, a uno dei ricevimenti. E molti dei suoi conoscenti - personaggi della politica e della finanza - continuano a negare il loro coinvolgimento nella Loggia P-2, nonostante siano stati rivelati anche i numeri delle loro tessere. Altri ammettono di aver fatto parte della loggia massonica segreta, ma giurano fedeltà allo Stato. Altri ancora continuano a tacere. Ma i fatti scandalosi sono diventati di dominio pubblico. E più si delinea un quadro completo, più diventa evidente il pericolo per le istituzioni democratiche in Italia. E forse sono in pericolo ancora oggi.

Le fonti finanziarie per le attività criminali di Gelli, da qualche parte in fuga, sono particolarmente poco chiare. Ma le informazioni in merito stanno arrivando. Non molto tempo fa, si è saputo che egli riceveva ingenti somme dal direttore del Banco Ambrosiano, la principale banca privata italiana - più precisamente, dall'ex direttore.

...Sul Tamigi si stava appena alzando la nebbia quando un passante scoprì il corpo di un uomo appeso a una corda, la cui estremità era legata al Blackfriars Bridge. Dai documenti risultava che il defunto era il banchiere Roberto Calvi, scomparso senza lasciare traccia da Roma dopo lo scandalo del fallimento del Banco Ambrosiano dovuto a truffe finanziarie. Oltre ai documenti, sono stati recuperati ventimila dollari dalla tasca del costoso abito grigio di Calvi. Dopo che l'incidente è finito sulle prime pagine dei giornali, i giornalisti italiani si sono soffermati su una strana coincidenza. Tradotto dall'inglese, il nome del ponte significa "ponte dei fratelli neri". E i membri della Loggia P-2, a cui Calvi apparteneva, vestono di nero e si chiamano "frati". La polizia britannica ha avanzato una teoria sul suicidio del banchiere ladro. In Italia praticamente tutti sostengono che "Calvi è stato ucciso. Sapeva troppo della P-2".

Calvi è stato visto per l'ultima volta il 29 maggio 1982. All'epoca era direttore del Banco Ambrosiano e aveva i baffi. Poi sparì inaspettatamente.

Il primo ad annunciare la misteriosa scomparsa di Calvi nel Palazzo di Giustizia fu il suo avvocato Gregori. Nessuno credeva alla teoria del suo rapimento. Alcuni ipotizzano che si sia trattato di una via di mezzo tra una fuga e un rapimento, o più precisamente di una sparizione inscenata. In altre parole, Calvi voleva fuggire ma non è riuscito a nascondersi dove voleva. Prima di "assaporare" le consuete delizie di un banchiere in fuga, dovette risolvere alcuni problemi finanziari all'estero. Rimase anche direttore dell'Ambrosiano, e la sua firma era ancora in vigore. Tuttavia, alla giustizia non interessano le ipotesi, ma le prove. E, nel complesso, sono state trovate.

Prima di scomparire, Calvi si è collegato telefonicamente con Luigi Mennini della Banca Vaticana, partner dell'Ambrosiano e delle avventure finanziarie in Perù. Calvi lo ha chiamato per disdire un appuntamento di lavoro già fissato. Tutto qui. Di conseguenza il banchiere è scomparso. Rasandosi i baffi per non farsi riconoscere, volò con un passaporto falso a Venezia, da dove si recò nella città di confine di Trieste e poi in Austria. Lì lo raggiunse un aereo privato di Flavio Carboni, membro della P-2 e proprietario di immobili in Sardegna. Nella cabina di pilotaggio c'era un altro membro della loggia, Paulo Umberti. È lui, a quanto pare, a consegnare Calvi a Londra.

Il 29 maggio 1982, Roberto Calvi leggeva l'arringa del procuratore generale di Roma sul caso della Loggia massonica P-2, in cui molti dei suoi membri erano stati assolti. Mentre leggeva, Calvi si convinceva sempre più di essere riuscito a uscire da questa sordida storia. All'epoca non poteva immaginare che tra quindici giorni il suo cadavere sarebbe stato appeso sotto uno dei ponti del Tamigi. In una parola, ora si sentiva tranquillo. Tuttavia, quell'illusione non durò a lungo, solo 48 ore. Il 31 maggio Calvi ricevette una lunga lettera dalla Banca d'Italia. Per la sua forma si trattava di un ultimatum. I vertici della Banca d'Italia chiarirono di essere a conoscenza del tracollo finanziario dell'Ambrosiano all'estero, soprattutto in America Latina, dove le filiali "sottocontavano" 1,4 miliardi di dollari, e pretesero una spiegazione estremamente accurata di come ciò fosse avvenuto. Calvi non poteva sottrarsi come aveva fatto in precedenza. Questa volta la Banca d'Italia intendeva trattare con l'Ambrosiano. Non poteva però rivelare l'elenco delle persone che avevano interessi nelle filiali estere della società.

Inizia così il finale della folle vita di un truffatore finanziario, braccio destro del gran maestro Licio Gelli. Ma Calvi era strettamente legato anche a qualcun altro. Si tratta di Bruno Tassan Din, direttore del consiglio di amministrazione della più grande testata giornalistica italiana, il Corriere della Sera, membro della Loggia P-2 e anch'egli, come altri massoni, accusato di frode. Lo scandalo fu simile a un terremoto, il cui epicentro fu la banca e l'editore più influenti del Paese. Ancora oggi molti operatori sono presi dal panico. Chi ha fatto i suoi giochi con il denaro acquisito dal Banco Ambrosiano sa che presto verrà scoperto. Chi ha tentato di rilevare la Rizzoli-Corriere della Sera vede come i suoi sogni siano implosi. Chi sperava in una conclusione favorevole dell'indagine giudiziaria sull'attività segreta del capo della P-2 Licio Gelli e dei suoi amici muratori si è sbagliato.

Per molto tempo Calvi non rispose alle insistenti richieste della Banca d'Italia. Naturalmente, non voleva tradire i segreti delle sue filiali estere. Resistette fino all'ultimo per nascondere le sue oscure macchinazioni e le complesse operazioni finanziarie grazie alle quali riusciva a rimanere a galla. Ha dovuto ricorrere alla menzogna. Ma nonostante ciò, la Banca d'Italia presentò comunque a Calvi il suo conto. In pratica, si trattava di una sorta di ordine di distruggere l'intero sistema finanziario da lui creato nel corso dei dieci anni di direzione dell'Ambrosiano. Affinché l'amministratore delegato mettesse un freno a tutto, e senza consultare gli altri dirigenti dell'Ambrosiano, la Banca d'Italia impose a Calvi di convocare un consiglio di amministrazione, comprendente i rappresentanti del sindacato dei dipendenti della banca, per informarli dell'ultimatum. Per il banchiere questo equivaleva a una bomba a orologeria, praticamente impossibile da disinnescare.

Da questo momento, Calvi divenne un personaggio troppo pesante, scomodo e vulnerabile. I suoi sostenitori politici se ne accorsero immediatamente. Lui ancora non lo sapeva, ma i socialisti, e soprattutto i democristiani, lo consideravano già un'"anatra zoppa" da sostituire al più presto. Dal loro punto di vista, ciò era necessario per creare una nuova linea di difesa più stabile per i loro interessi segreti nella banca. E nel consiglio di amministrazione avevano già trovato un uomo pronto a spingerlo fuori dalla scena: Orazio Bagnasco, un finanziere con un passato che pochi conoscevano, ma che aveva un grande peso in Svizzera. Da poco era diventato vicedirettore dell'Ambrosiano, con conoscenze influenti tra i politici.

Il pomeriggio del 7 giugno 1982 si riunì il consiglio di amministrazione dell'Ambrosiano. Calvi, cercando di mostrarsi rispettoso delle direttive della Banca d'Italia, lesse il testo dell'ultimatum. Al termine, però, fece sapere che bisognava essere particolarmente cauti nell'adempiere a queste richieste dall'alto. Bagnasco si alzò di scatto dalla sedia - aveva capito che era giunta la sua ora - e, sventolando la lettera della Banca d'Italia, pretese da Calvi una relazione dettagliata sulla situazione delle filiali estere. Inoltre, voleva studiare i documenti che lo interessavano a casa, fuori dalle mura della banca. Calvi protestò: "Se vuole familiarizzare con essi, vada in archivio, ma non a casa sua. I documenti sono di natura segreta e rischiamo di violare il segreto bancario". La questione è stata messa ai voti. Bagnasco vinse con un rapporto di undici a quattro.

La diga si era rotta. Per Calvi fu la fine. Egli rimase praticamente in solitudine, avendo subito una sconfitta su tutti i fronti.

A suo tempo il truffatore finanziario Sindona, con cui Calvi era strettamente legato, aveva avvertito: "La cosa peggiore per un finanziere che si ritiene ancora influente è quando i politici - che solo ieri gli hanno prestato tanta attenzione - non lo riceveranno più. È un presagio della fine". È esattamente quello che è successo a Calvi. Quando il 9 giugno è arrivato a Roma, molte porte si sono chiuse davanti a lui. Solo Flavio Carboni rimase nei paraggi. Si occupava di immobili e possedeva una pubblicazione in Sardegna; aveva accesso agli ambienti politici e conosceva molti personaggi influenti. Per esempio, conosceva il viceministro del Tesoro Giuseppe Pisanu. Carboni, è vero, ormai non poteva più farne a meno, ma aveva un suo aereo, sulla cui fusoliera era impresso il nome della società Aercapital.

Calvi trascorse l'intera giornata successiva a discutere con i suoi avvocati. Ha esposto in dettaglio tutti i suoi problemi irrisolti con le autorità giudiziarie, soprattutto con la Corte d'Appello, la cui udienza era fissata per il 21 giugno a Milano. Ma le sue prospettive non erano rosee. In precedenza era stato condannato a quattro anni di reclusione per esportazione illegale di valuta. Inoltre, a Milano erano in corso due indagini. Una - un caso di frode valutaria, l'altra - legata a un racket del 1971. In quello schema erano coinvolti Sindona e "un dirigente dell'Istituto Vaticano per le Opere Religiose, la cui identità era da accertare". Altre sgradevolezze attendevano Calvi a Roma, dove erano in corso contemporaneamente cinque processi giudiziari, che richiedevano tutti la sua presenza. Le accuse erano le solite: frode, abuso di posizione per arricchimento personale, corruzione e violazione delle leggi sul finanziamento dei partiti politici. Con amarezza Calvi confessava ai suoi più stretti conoscenti che non riusciva a ottenere udienza dai suoi ex patroni politici. E se qualcuno di loro lo riceveva, non portava ad alcun risultato concreto. "L'altro giorno ho incontrato Andreotti", racconta Calvi a un amico, "ma non sono riuscito a ottenere il suo appoggio". E così i risultati del viaggio a Roma lo convinsero di nuovo: era ora di scappare. E sparì.

Un giorno prima del ritrovamento del corpo di Calvi a Londra, la sua segretaria personale si gettò dalla finestra del quarto piano degli uffici milanesi della banca. Lasciò un biglietto: "Che Calvi sia tre volte maledetto per i danni che ha causato alla banca e ai suoi dipendenti".

Si chiude così un'altra pagina del fitto libro dei complotti contro la Repubblica italiana. Naturalmente, non sarebbe stata l'ultima...

Estratto con permesso dal libro di Leonid Sergeyevich Kolosov, Sobkor KGB. Note di un agente dei servizi segreti e di un giornalista, Centrepoligraf, Mosca 2001.


Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

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