Hanno trovato modi per dare “completa testimonianza”

Hanno trovato modi per dare “completa testimonianza”

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Takanori e Yumi Takahashi

A volte può essere difficile perfino riuscire a parlare con le persone. E per superare questo ostacolo dobbiamo essere flessibili. Takanori e Yumi Takahashi hanno servito in territori molto diversi, come il giorno e la notte. Poco tempo fa sono venuti a trovarci. Facciamoci raccontare cosa hanno fatto per dare completa testimonianza nonostante le sfide che si sono presentate. Takanori, Yumi, benvenuti nel nostro studio! Grazie di averci invitato. Siamo contenti di avervi qui con noi. Takanori, io e te ci conosciamo da una vita. È vero. Mi ricordo ancora quando sei arrivato alla Betel del Giappone nel 1977. Abbiamo anche servito nella stessa congregazione per diversi anni. Ma poi nel ’90 c’è stato un grande cambiamento, vero? Ci racconteresti cos’è successo? Sì, certo. A quel tempo alla Betel serviva anche mio fratello gemello, Nobuaki. E per nostra sorpresa, siamo stati mandati come missionari in Papua Nuova Guinea. Però, un bel cambiamento! E così vi siete ritrovati a predicare tra i villaggi della Papua Nuova Guinea. Nei 25 anni che hai trascorso lì, so che hai servito in vari modi: nel campo missionario, nella circoscrizione e anche alla Betel. E poi Yumi, voi due vi siete sposati. Sì, io e Takanori ci siamo sposati nel settembre del 1993 e così ho iniziato anch’io il servizio missionario. Adattarsi a territori sperduti come quello che vediamo non è stato facile. Quindi quali ostacoli avete dovuto superare per riuscire a dare completa testimonianza? In Papua Nuova Guinea le persone sono gentili e hanno molto rispetto per quello che dice la Bibbia. Quando predicavi avevi la persona davanti, potevi parlarci tranquillamente, leggere qualche versetto della Bibbia e ragionarci su. Ma questi a me non sembrano degli ostacoli. Ce ne sono stati alcuni? Sì, quando predicavamo nei villaggi, spesso la reazione delle persone al messaggio dipendeva da come aveva reagito il capo del villaggio. Se ci ascoltava lui, ci ascoltava praticamente tutto il villaggio. Ma se la sua reazione era negativa, vedevi le persone sparire e nascondersi nella foresta. E quindi cercavamo sempre di essere rispettosi e di parlare prima di tutto col capo del villaggio. E di solito questo ci permetteva di essere accolti bene. Nelle città c’era un grosso problema ed era la criminalità. Non era prudente che andassimo a predicare da soli in certi quartieri o che tornassimo spesso nella stessa zona. Per questo chiedevamo a chi studiava con noi di venire alla Sala del Regno prima dell’adunanza per fare lo studio. In questo modo potevamo anche incoraggiarli a restare per le adunanze. Si vede che vi è piaciuto molto servire in Papua Nuova Guinea. Ora servite come pionieri speciali nella congregazione di Maihama, a 20 minuti dal centro di Tokyo. Quindi siete passati da un paese in cui le persone hanno un profondo rispetto per la Bibbia, a un paese in cui meno dell’1% della popolazione si definisce cristiano. Ci raccontereste quali altre differenze avete riscontrato tra il territorio in cui servite ora e quello in cui servivate prima? Eh, sono completamente diversi. Nel nostro territorio c’è Tokyo Disneyland e il 70% degli edifici residenziali sono sorvegliati e protetti da sistemi di sicurezza. Quindi ti ritrovi nell’ingresso davanti a un portiere, premi un bottone e parli a una videocamera. Venendo dalla Papua Nuova Guinea ci è sembrato un territorio un po’ difficile in cui predicare. Eravamo abituati a parlare con le persone guardandole negli occhi. Adesso invece guardiamo solo la lente di una videocamera. Ma abbiamo imparato a vedere quella videocamera come nostra amica. Come vostra amica? Per molti di noi predicare rivolgendosi a una videocamera è un po’ difficile. Come ci riuscite? Dato che appena suoniamo il campanello nell’appartamento si accende uno schermo su cui appare la nostra faccia, ci mettiamo a circa mezzo metro dalla videocamera, così che le persone ci possano vedere bene. E poi parliamo ad un volume adatto, tenendo anche in considerazione il portiere e altre persone che potrebbero ascoltare. Iniziamo a parlare circa 2 secondi dopo che abbiamo suonato il campanello, perché a quel punto forse qualcuno ci sta già guardando. Salutare gentilmente e con un bel sorriso coinvolge la persona come se stessimo parlando direttamente con lei. Prepariamo un’introduzione interessante e mostriamo rispetto. Teniamo anche conto delle circostanze del padrone di casa. Chi vive nel nostro territorio vuole essere visto come una persona di successo, non come una persona che ha problemi. Quindi parliamo con loro di argomenti positivi, e cerchiamo di cambiarli spesso, così chi ci ascolta non sente parlare sempre della stessa cosa. Come un po’ a tutti, ai giapponesi non piace sentirsi in imbarazzo. Quindi invece di fare una domanda e aspettare che la persona risponda, usiamo il metodo che usano anche i nostri volantini e gli diamo 3 possibili risposte tra cui può scegliere. E quali risultati avete avuto predicando in questo modo per videocitofono? Da quando predichiamo usando questo metodo, il numero degli assenti è diminuito molto. E una cosa curiosa è che a volte per strada incontriamo qualcuno che ci dice che ci conosce, perché ci ha visto attraverso il videocitofono. Che bei risultati! Grazie Takanori e Yumi per averci raccontato come avete superato le difficoltà che avete incontrato predicando in territori così diversi.

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