Sulla dottrina della Tradizione

Sulla dottrina della Tradizione

di Giandomenico Casalino


Siamo stati sempre fermamente convinti che tre sono le scienze propedeutiche al Sapere: l’etimologia, la semantica e la filologia. Per la semplice ragione che, al fine di comprendere ciò di cui si intende trattare, è necessario acquisire la conoscenza dell’etimo, cioè l’origine (nonché la verità: “natura delle cose è loro nascimento”, insegna Vico) delle parole basali del discorso, oltre che il loro significato (il semèion greco, cioè il segno, il seme… che è la semantica) che hanno e conservano nel testo e nel con-testo che è la filologia. Se si pone mente, è sufficiente svolgere tale indagine propedeutica affinché si squaderni dinanzi alla vista dello spirito, l’orizzonte luminoso della verità dell’essenza stessa delle cose. Le parole che è d’uopo sottoporre a tale indagine, prima di entrare nel merito della quaestio, e proprio al fine di rispondere in maniera inoppugnabile ed incontestabile ad essa, sono, nell’ordine che abbiamo dato alle nostre riflessioni: dottrinaTradizione, cultura e destra. Esse sono, come appare evidente, a fondamento assiomatico del concetto che qui intendiamo esprimere.

La prima parola, dottrina, in virtù del suo etimo che viene dal verbo latino doceo e che significa insegnamento, manifesta il suo semantema, quale radicale differenziazione dalla parola illuministica, e quindi moderna, ideologia che, in termini storico-culturali, esprime invece il concetto del parto mentale di “qualcosa” di astratto dalla vita e dallo spirito stesso, quindi antiumana, aliena e contrapposta al concetto stesso di Tradizione che invece non può che coniugarsi felicemente con la parola dottrina  in quanto così vuole il suo etimo che è il verbo latino tràdere che ha il significato della consegna, dell’affidare l’insegnamento che deve essere curato conservato, data la sua preziosità ai fini della vita stessa sia fisica che metafisica dell’uomo, della donna, e della Comunità in quanto nutrimento trasmesso, consegnato dagli Avi che sono i più vicini al Divino (come affermava Cicerone…!). Sicché la dottrina della Tradizione non è frutto cerebrale dell’uomo ma è la Scienza del Divino, della Realtà metafisica, fine ultimo dell’uomo: il Destino dell’uomo è infatti oltre lo stesso come lo è per il Mondo ed è, pertanto, insegnamento che proviene dall’Anima divina del Mondo e per tale ragione è presente in tutti i Miti, i Simboli e le teologie delle religioni e delle scienze iniziatiche di tutti i popoli dell’intero pianeta. Infatti, è sufficiente anche uno studio non eccessivamente approfondito delle varie antropologie religiose delle civiltà, per acquisire l’evidenza, probatoriamente vincolante, che esse pongono a fondamento del loro essere nel Mondo e come sua finalità, tutto sommato, il medesimo Mito, cioè Parola in quanto Logos sacro che proviene dall’Alto, dal Cielo, e pertanto è la Verità e quindi il senso stesso della loro vita, da quella spirituale a quella sessuale, da quella mercantile a quella guerriera, tanto nell’uomo quanto nella donna nella loro necessaria, complementare ed archetipica differenza.

La Tradizione è, pertanto, il tràdere, in quanto consegna della Dottrina, del Sapere sia nella forma del racconto mitico-simbolico che in quella della Visione della Idea quale sintesi sapienziale della stessa Dottrina però nella sua dimensione esoterica, ed è il Sapere dei Templi dai quali mosse i primi passi la stessa Filosofia nel suo significato magico-arcaico. Appare evidente, da quanto dedotto, che in tale fattispecie spirituale non vi è nulla che sia umano sia nel senso di “prodotto” dallo stesso uomo, sia come sua “proprietà”, altrimenti, se così fosse, entrerebbe nella Cosa consegnata il concetto del “mio” e quindi dell’individuo, e pertanto dell’antropocentrismo e dell’egoismo che sono l’essenza della Modernità, quindi dell’anti-tradizione che, a determinati livelli, diviene contro-tradizione satanica, come insegna Guénon.

Esaminando, infine, le parole cultura destra, è necessario dimostrare la necessaria identità, sotto il profilo sia metafisico che storico-culturale, fra la dottrina della Tradizione e la cultura di “destra”. In maniera quanto più sintetica possibile, possiamo verificare che la parola cultura, come etimo, deriva dal verbo latino colo-colui-cultum-còlere, che ha il significato, come semantema, del coltivare, del curare; e tale verbo e l’azione che esprime, sono a fondamento della agri-cultura, come coltivazione cura rituale del campo; della cultura, come coltivazione e cura rituale dell’animo; del culto, come coltivazione  e cura rituale del Divino (tanto che i Romani per definire la loro religione, dicevano: “còlere deos”!). E tutto ciò, poiché non è casuale bensì causale, in quanto proprio ragione, causa, di tali sapienziali convergenze, risiede nella analogia e quindi nella simile natura che hanno il campo, l’animo e il Divino, poiché per la vita sia biologica che spirituale dell’uomo, egli deve aver cura coltivare queste tre dimensioni del Mondo, vale a dire il corpo (il campo), l’animo (cultura) e lo spirito (religione-culto degli Dei) ed è qui che è situata la tradizionale tripartizione o, meglio, tridimensionalità gerarchica sia dell’uomo (corpo, anima, spirito) che della Comunità (produttori, guerrieri, sapienti) in quanto Res Publica; qui è manifesta anche e soprattutto la fondamentale presenza del Rito in relazione alle società tradizionali: il Rito della coltivazione e cura  del campo perché nasca il nutrimento del corpo; il Rito della coltivazione e cura dell’animo perché nasca il nutrimento dello spirito; il Rito della coltivazione e cura degli Dei affinché ad essi, mediante il Rito, sia rinnovato perennemente il frutto della loro stessa natura divina e, per tale effetto, siano e continuino ad essere salvezza e fondamento della Comunità.

La parola destra infine è ancor più manifestamente straordinaria, nella sua eloquente essenza, tanto etimologica quanto semantica. Infatti in tutte le lingue europee e quindi indoeuropee, la parola destra coincide con la parola diritto: spagnolo: derechoderecha; francese: droit, droite; inglese: rightright; tedesco: recht, rechte. Questo perché la parola diritto viene dal tardo latino directum, che è un calco medievale dal germanico recht e derivando, a sua volta directum, dal verbo latino rego, regi, rectum, regere, che è l’azione spirituale del Re come Indicatore supremo della Via che è sostanzialmente la “diritta via” smarrita da Dante, questa è, pertanto, la Via giusta secondo l’Ordine cosmico = rtà, parola sanscrita presente nei Veda, avente lo stesso etimo e lo stesso significato del latino ritus.

Pertanto, l’Insegnamento-consegna del Sapere intorno al Principio metafisico è la cura-coltivazione della diritta Via: questo è in sintesi il concetto espresso nel presente scritto.

Ad ulteriore conferma, rammentiamo al colto ed all’inclita che la mano destra, nella cultura indoeuropea, è quella del giuramento, del saluto e dell’atto magico nel rito giuridico-religioso romano ed è anche la Via della mano Destra nell’Induismo, quale adesione alla bachti, cioè alla Fede quale osservanza rituale della Legge; ed è infine la collocazione dei Giusti alla “destra del Padre” in contrapposizione a quella dei malvagi che sono destinati alla “sinistra del Padre”; “…Ma non appena l’anima abbandona la luce del sole, a destra lei conosce tutto assieme. Rallegrati… da uomo sei nato Dio…” (Laminetta orfica di Turi, Kern, fr. 32f.).

Per concludere, evidenziamo che persino nel lessico giudiziario, la parola “sinistro” significa “incidente”, “disgrazia”, “evento disastroso” et de hoc satis! E tutto ciò non solo non è casuale, ma ha un profondo significato cosmico, su cui qui, per evidenti ragioni di spazio, non possiamo diffonderci.

Giunti a questo punto è necessario chiederci quale è la consegna, la “traditio” che a noi Europei è pervenuta dai nostri Avi? In che cosa essa è consistita? Tale insegnamento dottrina, è nella sostanza, una Visione del mondo che non si apprende sui libri, non essendo “cultura libresca”, poiché essa è presente in un essere umano sin dalla nascita, come potenzialità da sviluppare, come forma interna, come carattere, essa è, infatti, viva come la vita, è anima e sangue, è sesso e passione, è intelletto e sentimento, è quindi il senso reale del Mondo; è, pertanto, “qualcosa” che è necessario ricordare, nel significato dell’Anamnesi platonica, ed è ciò che l’uomo moderno ha dimenticato. È necessario allora ricordare ciò che le droghe ideologiche moderne (da Cartesio in poi…) hanno impedito di vedere alla nostra mente, al nostro occhio, quale finestra dell’anima sul mondo, ricordare che “…Vi è un ordine fisico e vi è un ordine metafisico. Vi è la natura mortale e vi è la natura degli immortali. Vi è la regione superiore dell’ “Essere” e vi è quella infera del “divenire”. Più in generale, vi è un visibile e un tangibile e, prima di esso, vi è un Invisibile e un non tangibile quale sovramondo, principio e vera vita…”[1]Questa limpida professione di fede platonica è posta da Julius Evola, a fondamento della comprensione dello spirito tradizionale, nel capitolo I della parte I di Rivolta contro il mondo moderno, sua opera archetipica.

E la Forma, Idea, cioè l’ordine metafisico, è il Paradigma celeste dell’Ordine dell’Universo (versus Unum = che va verso l’Uno…), dei Pianeti, degli Astri e delle Galassie; e la Comunità politica, come microcosmo terrestre, deve imitare, per quanto sia possibile, afferma la dottrina della Tradizione, quell’Ordine del Cielo, per la semplice ragione che, quanto più il mondo degli uomini si avvicina all’Ordine cosmico che è eterno da sé e per sé, tanto più la Comunità stessa degli uomini si avvicinerà all’Eternità e quindi al Divino, essendo questo il supremo fine dell’Ordine politico. Pertanto i principi su cui si regge la società tradizionale sono: Autorità, Ordine, Giustizia, Gerarchia, che sono gli stessi che governano il Cielo luminoso, mediante “Amor che move il Sole e le altre stelle”, come insegna Dante.

Julius Evola, filosofo sapienziale di profonda natura iniziatico-speculativa, con quel “introibo” platonico alla sua opera maggiore, ci consegna e affida il compito di ricordare e quindi vivere la realtà spirituale della Tradizione indoeuropea e quindi europea, cioè la nostra, che coincide con il Platonismo nella dimensione filosofico-religiosa (Grecia) e con la Romanità nella dimensione giuridico-religiosa. Ciò per la palese ragione che l’essenza spirituale, come radice, sia della Teologia che della Mistica dell’Occidente, è rappresentata dal divino Platone quale sublime sintesi di arcaiche conoscenze e pratiche religiose ed iniziatiche allo stesso precedenti; ma Platone è anche il Padre nobile della Res Publica romana (come ben comprese Cicerone…) quale modello molto simile alla sua Politèia, che i Romani realizzarono nei secoli, senza aver mai conosciuto o letto le sue opere ma solo in virtù di quella “forma interna”, quel “carattere” platonici e stoici che solo Evola, nel 900, ha individuato nell’anima medesima degli Eneadi e cioè nella Tradizione di Roma.

Romanità ed Ellenicità sono, di conseguenza, le due colonne su cui si erge l’architrave dell’essere europei e, in difetto o nell’oscuramento delle stesse come loro oblio, l’Europa non è, come ci è dato con sofferenza constatare, che palude melmosa immersa nelle Tenebre. Evola non solo ha insegnato, rammentato ed indicato la diritta Via a tutti i popoli europei, ma ci ha donato pagine straordinariamente profetiche quanto attuali, con le sue intuizioni, le sue visioni, il suo comparativismo tra le Civiltà, nonché le sue disamine e conclusioni in tema di storia dei Miti e delle Religioni, che hanno trovato puntuali conferme e condivisioni, nei tempi recenti, in studiosi che non solo non hanno mai letto o studiato una sola pagina delle sue opere ma ignorano addirittura la sua esistenza.

Il nostro discorso è, ovviamente, lontanissimo da qualsiasi finalità apologetica o agiografica, di cui, comunque, non vi sarebbe alcun bisogno: Evola e la sua opera, la sua centrale e simbolica presenza nel Novecento politico e culturale sia italiano che europeo, tutto ciò che ci ha lasciato come “traditio”, è talmente attuale, è sentita tanto efficace, sotto il profilo spirituale e politico, da tutti i movimenti cosiddetti sovranisti o nazionalpopulisti nonché dalle varie correnti culturali tradizionaliste che li fiancheggiano, da essere riconosciuto a livello mondiale, dagli Stati Uniti (Steve Bannon…) alla Russia (Alexandr Dugin…), passando per l’Europa, come il pensiero maggiore e più potente in quanto é il più radicalmente alternativo alla fase terminale della presente ed opprimente Età Oscura. Tutto ciò è conseguenza della virtus magico-evocativa delle sue parole, delle immagini che è riuscito a consegnare, non solo con i suoi scritti ma anche e, forse, soprattutto con lo stile di vita che ha condotto a tutti i livelli ed in ogni circostanza: ciò è nella più pura Tradizione politico-spirituale della cultura greco-romana ed è proprio la dimensione del Politico, come fondato dall’Alto e tendente verso l’Alto, nel senso platonico del termine, che, differenziando profondamente la visione di Evola da quella del Guénon, orientata verso una spiritualità asiatico-sacerdotale, ha consentito a Julius Evola di incarnare, quale esempio vivente, sia il Paradigma celeste dello Stato organico platonico che la sua realtà storica, manifestatasi nel terribile furor bellico, quale Via guerriera al Sacro, della universale Res Publica romana e della sua eternità.

Nota:

[1] P. DI VONA, Metafisica e politica in Julius Evola, Padova 2000, pp. 56 ss.

 

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