Sui nostri corpi decidiamo noi. Fuori le TERF. Fuori le SWERF.

Sui nostri corpi decidiamo noi. Fuori le TERF. Fuori le SWERF.


Nel contesto della Fiera dell'editoria delle Donne di Roma verranno presentati dei testi transfobici, contro il sexwork e la GPA.


Ci riferiamo a “Per l’abolizione della maternità surrogata” (ediz. Ortica), “Dal corpo neutro al cyborg postumano” (ediz. Asterios Abiblio Editore) e “Sex work is not work” (ediz. Ortica).


Tra la lista di autrici e presentatrici dei testi in questione ci sono persone che promuovono discorsi d'odio, che diffondono informazioni false e spauracchi infondati sul conto delle persone trans, e che intessono legami con realtà che usano la violenza per reprimere l'autodeterminazione altrui. Sui canali che rilanciano quei nomi si trovano contenuti dell'alt-right, narrazioni distorte e parziali, retoriche che strumentalizzano bambin* e adolescenti. Tutto pur di soddisfare l'ossessione per ciò che abbiamo dentro le mutande e ciò che ne facciamo.


Benvenga il confronto tra idee - e ci sarebbe molto di cui parlare - ma questo non può risolversi in un'ingerenza sulle scelte che le persone operano sui propri corpi, che le persone operano fra loro in modo consensuale, men che mai quando le argomentazioni portate sono frutto di pregiudizi, mistificazioni e processi di cherry-picking.


La decisione di promuovere determinati discorsi non può rientrare nei confini di un costruttivo dibattito fra parti. In quanto frocie e persone trans non esistiamo in un terreno di confronto neutro. Lo faremo il giorno che la società e lo stato smetteranno di imporre vessazioni sulle nostre persone e sui nostri corpi. Allo stato attuale dei fatti, parlare con noi, parlare di noi, implica una presa di posizione di qualche tipo. Trattare i nostri corpi come se fossero un terreno di confronto ideologico, le nostre identità come se fossero qualcosa di sindacabile, è il fulcro del problema, e non è accettabile.


Tra chi scrive c'è chi ha subito delle aggressioni transfobiche da gente che viene dallo stesso humus politico delle ospiti chiamate a presentare i testi in questione: gente che si trova insieme nelle stesse situazioni, che si rilancia i contenuti a vicenda, tra cui non è difficile tracciare un continuum di concetti intolleranti.


Viene da chiedersi se chi ospiterà queste presentazioni è al corrente dei contenuti, e come li ritenga compatibili con un ambiente che promuove momenti di aggregazione e cultura queer da una parte (Zalib), e con un ambiente attraversato da persone che sono bersaglio dei discorsi d'odio in questione, dall'altra (Casa Internazionale delle Donne).


Pensare di far coesistere queste cose è -washing, dal momento che parlare di noi o rappresentarci è funzionale all'accumulo di capitale (che sia pecuniario o sociale poco importa). Dare spazio a dei discorsi d'odio significa essere corresponsabili nel creare un clima pericoloso per le persone queer, per lx sex worker, per le persone trans.


Non abbiamo bisogno di chi gioca a fare lo sbirro sul corpo altrui, di chi maneggia gli strumenti che, da sempre, appartengono al patriarcato.

Chiediamo che la casa internazionale delle donne e zalib rivedano la programmazione del festival che ospiteranno, coerentemente con la postura che hanno avuto nei confronti delle soggettività che questi interventi vanno a colpire.

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