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CHE COS'È IL MES?

Il MES, Meccanismo Europeo di Stabilità, è un fondo finanziato dagli Stati dell'Eurozona, istituito nel 2012 con un trattato intergovernativo.


Il suo scopo è assicurare la stabilità finanziaria degli Stati membri dell'Eurozoana, concedendo prestiti agli Stati o alle banche a determinate condizioni. L'Italia partecipa in proporzioni al proprio PIL, con una quota di circa il 17%.


La capienza del fondo è di 700 miliardi, e quindi la quota italiana di circa 120 miliardi. L'Italia ne ha già conferiti 14,3, che sommati ai 43,9 miliardi erogati al precedente fondo europeo di stabilità o attraverso i prestiti bilaterali portano a 58,2 miliardi il contributo del nostro Paese al salvataggio di altri Paesi. Le regole del fondo prevedono che in caso di necessità il Paese debba conferire il capitale non versato. Nel caso della Grecia è stato dimostrato che solo il 5% dei fondi erogati per il salvataggio sono rimasti nel Paese: il restante 95% è andato a banche del Nord Europa.


LA RIFORMA DEL MES DA BLOCCARE A TUTTI I COSTI

L'obiettivo della riforma era quello di inserire il MES nei Trattati europei, per renderlo un meccanismo più flessibile e gestito in modo più democratico. La riforma ha poi preso un'altra strada.


Di fatto, la flessibilità nell'erogazione del sostegno viene concessa solo ai Paesi di serie A, quelli che sono in regola con i parametri del Fiscal Compact (deficit/PIL 3%, debito/PIL 60% o in riduzione di 1/20 all'anno della parte eccedente il 60%), mentre per quelli di serie B resta il solito meccanismo del "memorandum": di fatto, il commissariamento del Paese da parte dei creditori.


Un'altra innovazione è l'uso del MES per il Fondo di Risoluzione Unico, utilizzato per i salvataggi bancari. Tuttavia, questo uso è concesso solo in ultima istanza: in altre parole, prima di accedere ai soldi del MES, si deve passare per il bail-in, cioè per l'esproprio di azionisti, obbligazionisti subordinati e depositanti oltre i 100.000 euro.


Una terza riforma riguarda la gestione dei salvataggi, dove assume un ruolo determinante un burocrate, il direttore generale del fondo, che ora partecipa a decisioni che prima spettavano alla Commissione europea, organo politico.

Fonte:

#STOPMES!


Dal MES al Fondo Monetario Europeo

di Francesco Carraro, 7 dicembre 2019


Del MES è stato detto tutto, o quasi. Eppure, potrebbe esserci qualcosa di più, e di peggio, rispetto al MES. Parliamo del Fondo Monetario Europeo, un’altra “mostruosa” creatura della fervida fantasia dei burocrati di Bruxelles, in grado di far impallidire – quanto a rischi annessi e connessi alle pessime finanze e alle buone sorti del Belpaese – persino il Meccanismo europeo di stabilità.


Il FME è espressamente previsto da una proposta di regolamento comunitario del 06.12.17 (COM 2017 827) ed è una sorta di MES al cubo. Esso, sostanzialmente, si basa su una elementare constatazione: l’Unione europea e, più specificamente, i paesi dell’eurozona non sono dotati di una banca centrale prestatrice di ultima istanza. Questo è il peccato originale della costruzione comunitaria, denunciato così tante volte, negli ultimi anni, da essere stato introiettato persino dai cittadini meno appassionati di economia. Come noto, una banca centrale “normale” aiuta il proprio Stato attraverso illimitate, e soprattutto incondizionate, emissioni di liquidità, comprando i titoli del debito pubblico sul mercato primario, a tassi di interesse irrisori; tassi decisi dallo Stato medesimo cui detta Banca, in teoria, “appartiene”. La prima mossa per incaprettare gli stati europei è stata proprio la sostanziale eliminazione delle banche centrali di ciascuno di essi (confluite nella BCE). In tal modo, gli Stati si sono trovati in balia dei mercati (da qui, l’incubo spread) e hanno potuto, e dovuto, in caso di “brutto tempo” accontentarsi dell’ombrello indiretto della BCE rappresentato dal quantitative easing (acquisto massivo di titoli sui mercati secondari).


Orbene, il bazooka di Draghi era pur sempre qualcosa e ha impedito all’Italia di fare la fine della Grecia. Sennonché, il Regolamento summenzionato punterebbe a conferire l’onere esclusivo della “ultima istanza” a una istituzione che, per ora, la Ue non ha: un organo (simile al Fondo Monetario Internazionale) che, non a caso, dovrebbe chiamarsi “Fondo Monetario Europeo”. Nella proposta di regolamento di cui stiamo parlando si legge: “Un sostegno comune di ultima istanza servirebbe a fornire a tutte le parti interessate una maggiore fiducia”.


In effetti, il MES sia pur “rafforzato”, rappresenta – rispetto al FME – solo una risposta limitata e provvisoria rispetto alle reali intenzioni dei suoi ideatori. Esso, infatti, ha un limite congenito: non è un organismo dell’Unione europea, non è codificato nei trattati; è solo un ente transnazionale frutto di un accordo intergovernativo. Tale “Meccanismo”, dunque, non può ancora arrogarsi in via esclusiva, e soprattutto “in nome e per conto della Ue”, le fatidiche funzioni di “unico” prestatore di ultima istanza. Ma hanno trovato un cavillo per far fare al MES il salto di qualità: è l’articolo 352 del Trattato di Lisbona, dove si legge: “Se un’azione dell’Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite dai trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate”.


A questo articolo si richiama lo schema di Regolamento di cui parliamo: “La base giuridica della presente proposta è l’articolo 352 del TFUE”. E ancora: “Nel quadro della politica economica dell’Unione non sono state sancite le competenze di cui l’Unione ha bisogno per istituire un organismo incaricato di fornire sostegno finanziario per assicurare la stabilità finanziaria della zona euro. In assenza di tali poteri l’articolo 352 del TFUE consente al Consiglio di adottare all’unanimità (…) le disposizioni appropriate”. E perché hanno scelto proprio un Regolamento per fare questa “rivoluzione”? Ce lo spiegano loro stessi: perché esso “deve essere obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli stati membri” (che è, appunto, la caratteristica tipica di tutti i regolamenti europei).


In pratica, un Fondo monetario non c’è ancora, ma lorsignori vogliono dotarsene per rendere sostanzialmente superfluo (se non addirittura impossibile) persino l’intervento surrettizio della BCE. Dal momento in cui il MES sarà trasformato in FME, non ci sarà più bisogno che la BCE si scomodi per “salvare l’euro” e neppure che un nuovo Draghi pronunci il proprio “abracadabra” (whatever it takes). Penserà a tutto il Fondo Monetario Europeo. E il Paese che ne avrà bisogno sperimenterà, sulla pelle dei propri cittadini, quanto più dolorose saranno le cinghiate della nuova austerity. Trasmutare il MES in un organo dell’Unione europea, attraverso la procedura prevista dall’articolo 352 del TFUE, renderebbe praticamente impossibile ogni ulteriore, residua, speranza di resistere.


Ma non è finita. Oggi siamo ancora nelle condizioni di opporci alla riforma del Meccanismo europeo di stabilità, eventualmente non ratificando la modifica al relativo trattato. Così come siamo ancora nelle condizioni, volendolo, di abrogare la legge “rinforzata” di attuazione del Fiscal compact (la numero 243 del 24 dicembre 2012). E possiamo, persino, con un po’ di coraggio supplementare, e magari dopo nuove elezioni politiche, trovare i numeri in Parlamento per emendare le norme costituzionali (artt. 81, 97, 117 e 119) “aggiustate” nel 2012 al fine di inserire il pareggio di bilancio in Costituzione. Ma cosa accadrà se, e quando, dovesse essere approvato il Regolamento che istituisce il Fondo Monetario Europeo? Ci troveremo di fronte a una “istituzionalizzazione” del vecchio MES, rettificato di nome e di fatto, ma soprattutto tramutato, praticamente, in una nuova istituzione non solo dell’Unione, ma (indirettamente, e a ben vedere) anche della Repubblica Italiana. Infatti, l’articolo 117 della nostra Carta contiene una bella polpetta avvelenata (introdotta nel 2001) laddove sancisce: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”. Costruire un Fondo Monetario e importarlo nella cornice delle istituzioni Ue non significa solo sterilizzare le eventuali velleità della BCE di calmierare – sia pure “obliquamente”, intervenendo nei mercati secondari – lo spread dei titoli di stato più “bollenti” d’Europa (come i nostri). Vuol dire anche alterare una volta per tutte la “forma repubblicana” dello Stato Italiano per sottometterlo, di fatto, all’agenda dei lavori e all’ordine del giorno di un vero e proprio “Governo di occupazione”. Che, magari, intanto canta “Bella ciao”.

(Fonte: https://scenarieconomici.it/carraro-su-la-verita-dal-mes-al-fondo-monetario-europeo/)


A dicembre arriva la Troika in Italia: è il nuovo MES

di Cesare Sacchetti, 18 novembre 2019


E’ stata posta una bomba ad orologeria nel sistema economico italiano. Una bomba che rischia di deflagrare con tutta la sua forza distruttiva e di polverizzare i risparmi degli italiani.


Si tratta del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) in passato noto come fondo salvastati. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, lo scorso giugno ha formalmente aderito al nuovo accordo di riforma del MES .

Molti probabilmente ricorderanno il precursore di questo strumento, ovvero il fondo europeo di stabilità finanziaria, ai tempi della crisi greca.

Nel 2010 si decise di dare vita a un fondo partecipato con quote sottoscritto dai vari partecipanti dell’eurozona.

Il vecchio fondo salvastati venne istituito formalmente per somministrare degli aiuti ai Paesi dell’eurozona in grave dissesto finanziario, in particolare la Grecia, in cambio dell’approvazione di riforme strutturali che si sono poi tradotte in tagli alla spesa pubblica e avanzi primari.


In realtà, solamente una minima parte dei fondi stanziati dal vecchio MES finì in aiuti al popolo greco, quando larga parte di essi invece furono usati per risanare le esposizioni finanziare delle banche francesi e tedesche.


Ma la nuova riedizione del fondo salvastati potrebbe non solo rivelarsi inefficace in questo senso, ma potrebbe comportare danni enormi ai Paesi che aderiscono, in particolar modo all’Italia.

Le nuove regole partorite dall’Eurogruppo, il consesso dei ministri dell’Economia dei Paesi UE, infatti prevedono per la partecipazione al MES l’obbligo di una automatica ristrutturazione del debito dei Paesi partecipanti che non dovessero trovarsi in linea con l’analisi di sostenibilità del debito pubblico, effettuata dallo stesso MES.

Gli Stati membri che non dovessero trovarsi in linea con questa valutazione dovranno pertanto, se vorranno aderire al MES, provvedere ad una ristrutturazione automatica del loro debito pubblico.

Sostanzialmente, la ristrutturazione di un debito pubblico comporta la sua automatica riduzione e la perdita del valore nominale dei titoli del debito pubblico per i suoi detentori.


In una recente audizione alla commissione bilancio della Camera, il professor Galli, ex parlamentare PD e professore di Economia Politica, spiega le conseguenze di questo eventuale scenario:

“la nostra opinione su questo punto è che l’idea di una ristrutturazione ‘early and deep’ non avesse senso nella Grecia del 2010 e, a maggior ragione, non abbia senso nell’Italia di oggi. In particolare, occorre considerare che l’Italia ha risparmio di massa e che il 70% del debito è detenuto da operatori residenti, tramite le banche e i fondi di investimento. In queste condizioni, una ristrutturazione sarebbe una calamità immensa, genererebbe distruzione di risparmio, fallimenti di banche e imprese, disoccupazione di massa e impoverimento della popolazione senza precedenti nel dopoguerra.”


La sola condizione di un abbattimento del debito pubblico di questo tipo provocherebbe probabilmente una recessione ancora più profonda e devastante della precedente crisi finanziaria del 2008. Come spiega il professor Galli, una ristrutturazione in un Paese come l’Italia che ha il 70% del suo debito pubblico in mani domestiche, equivarrebbe a un harakiri.


Si distruggerebbero valore e risparmi che sono presenti sul territorio italiano con conseguenze drammatiche per l’intera economia nazionale.

In un altro passaggio della sua audizione, Galli continua a descrivere una ristrutturazione preventiva come “un colpo di pistola a sangue freddo alla tempia dei risparmiatori, una sorta di bail-in applicato a milioni di persone che hanno dato fiducia allo Stato comprando titoli del debito pubblico. Sarebbe un evento di gran lunga peggiore di ciò l’Italia ha vissuto negli ultimi anni a causa dei fallimenti di alcune banche.”


Austerità in cambio di prestiti: l’arma in mano al MES

I danni che potrebbero derivare all’Italia non si limitano purtroppo solo a questo.

Le vie per accedere ai fondi del MES sono sostanzialmente due: la prima è rappresentata dalle PCCL, ovvero le linee di credito precauzionale sotto condizione. Per avere una linea di credito attraverso le PCCL, è necessario avere sostanzialmente un rapporto debito/PIL non superiore al 60%, o in caso contrario la sua riduzione di 1/20 all’anno, e un rapporto deficit/PIL non superiore al 3%.

L’Italia quindi già sarebbe esclusa in partenza dall’accesso a questa linea di credito perchè non in linea con i parametri previsti.

La seconda via prevista sono le ECCL, ovvero le linee di credito precauzionale rafforzate. Per avere accesso a queste linee di credito sarà necessario sottoscrivere un memorandum di intesa con il direttivo del MES, che rilascerà i prestiti allo Stato richiedente solamente in cambio dell’applicazione di rigide politiche di austerità.


Se lo Stato in questione dovesse rifiutarsi di sottoscrivere un tale memorandum, sarebbe di fatto preda della speculazione dei mercati, dal momento che il MES si asterrebbe da qualsiasi intervento a sostegno del debito pubblico del Paese in difficoltà, fino a quando questo non adempie alle condizioni imposte dal fondo.

Non solo dunque si lasciano gli Stati senza alcuna protezione contro la speculazione finanziaria, ma gli si punta la pistola alla tempia per costringerli a cedere la loro politica economica nelle mani del direttivo MES.

Un altro passaggio preoccupante di questa riforma è quella che sottrae il MES a qualsiasi controllo democratico da parte degli Stati membri.


Il nuovo fondo non risponde alla sovranità dei Parlamenti nazionali ed è persino svincolato dalla stessa Commissione europea. Le leve della politica economica degli Stati dell’eurozona sarebbero completamente rimesse nelle mani di questo organismo sovranazionale, privo di legittimazione democratica.


Il varo di questo nuovo devastante strumento sarebbe previsto il prossimo dicembre, previa la ratifica dei parlamenti nazionali. Se dovesse essere approvato, l’Italia rischierebbe di andare incontro ad una delle più pesanti crisi economiche della sua storia.

E’ una vera e propria bomba piazzata sul risparmio di tutti gli italiani. Per anni, si è paventato il rischio della calata della troika in Italia, e oggi quel rischio è ad un passo dal tramutarsi in realtà.

La troika ha indossato una nuova maschera, si chiama MES e non è mai stata così vicina dal mettere le mani sull’Italia.

(Fonte: https://lacrunadellago.net/2019/11/18/a-dicembre-arriva-la-troika-in-italia-e-il-nuovo-mes/)


Di Maio

Sul Mes i grillini perdono la faccia. E i pezzi

di Maurizio Belpietro, 12 dicembre 2019


«Cambiamo il mandato della Bce e diciamo no al fondo monetario europeo». La minaccia potrebbe essere uscita dalla bocca di un irriducibile sovranista, tipo Alberto Bagnai o Claudio Borghi, leghisti duri e puri che da sempre fanno la guerra all'euro. E invece no, a pronunciare il giuramento solenne di opporsi alla tecnocrazia di Bruxelles e ai suoi meccanismi perversi sono stati i leader del Movimento 5 stelle, quando ancora c'era da rinnovare il Parlamento europeo. Anzi, i grillini non si sono limitati a dichiarare guerra al Fondo salva Stati e all'istituto centrale bancario in campagna elettorale: lo hanno anche scritto. Il testo lo si può trovare ancora lì, sul Blog delle stelle, il portale di Beppe Grillo. Postato l'8 aprile del 2019, poco più di un mese prima che si votasse, il messaggio è presentato come l'europrogramma del Movimento, sotto un titolo che si può definire esplicito: «Più lavoro e meno vincoli di bilancio, cambiamo il mandato della Bce».


Otto mesi fa i grillini sembravano dunque avere le idee chiare a proposito di ciò che si dovesse fare per risollevare il Paese. La prima mossa riguardava la banca centrale, che secondo loro, pur di garantire un tasso d'inflazione inferiore al 2 per cento, metteva a repentaglio la stabilità dell'eurozona. «La nostra proposta» scrivevano quando ancora non era in vita il Conte bis e il premier si dichiarava orgogliosamente populista, «prevede che la crescita economica e la piena occupazione vengano inseriti tra gli obiettivi della Bce». Tradotto, facciamola finita con i parametri di Maastricht: l'austerity ci ha reso tutti più poveri e dunque ora dobbiamo sostituire il rigore con la crescita, costringendo la Banca centrale a finanziare lo sviluppo, pompando liquidità nel sistema. 


Già qui le promesse stridono con ciò che è venuto dopo, con il governo giallorosso e le genuflessioni del ministro dell'Economia al totem di Bruxelles. Basti dire che ieri il presidente del Consiglio ha perorato la causa europea con un accorato appello, dicendo al Parlamento che non è il momento di divisioni fra Stati. Un invito che portava con sé un unico messaggio: dobbiamo chinare il capo e fare ciò che ci chiede la Ue.


In effetti in Parlamento ieri sono stati in molti ad abbassare la testa. Anzi, a dimenticarla a casa, visto che durante il dibattito in Aula si sono eclissati, restituendo agli italiani l'immagine di un emiciclo semideserto mentre parlava Giuseppe Conte. Il vuoto dell'aula di Montecitorio durante la discussione non ha però poi impedito agli onorevoli di votare a favore della riforma del Mes, che è passata con qualche decina di voti di scarto. E dire che fino ad aprile il Movimento 5 stelle era convinto che il Meccanismo europeo di stabilità fosse una specie di sciagura per il nostro Paese. Leggere per credere che cosa si sosteneva sul sito ufficiale del movimento: «Così come è concepito, il Fme può diventare uno strumento di punizione per gli Stati in difficoltà». Segue analisi di ciò che con l'intervento del Fondo salva Stati è successo in Grecia e solenne impegno a sostenere misure e strumenti che affrontino le cause profonde della crisi. I grillini giurano sul blog che modificheranno i principali regolamenti e le direttive che impongono misure di rigore per sostituirli con meccanismi di condivisione del rischio. Conclusione: «I falchi dell'austerity sono avvertiti». Non so quale sia l'avvertimento che i pentastellati hanno spedito a Bruxelles. Ma a giudicare dal voto di ieri, il messaggio inviato, più che una minaccia, appare una resa incondizionata. Rispetto alle dichiarazioni bellicose delle passate settimane, con il voto in Parlamento i grillini hanno infatti alzato bandiera bianca, rassegnandosi a una sconfitta su tutta la linea. Il Mes, che prima era giudicato un serio pericolo per il nostro debito pubblico, con il sì di Camera e Senato è stato praticamente accettato. 


Oh, certo, col voto di ieri 5 stelle e Pd hanno vincolato il governo a tornare a riferire. Ma nella realtà c'è ben poco da dire, perché il rinvio tecnico della sottoscrizione dell'accordo europeo non è stato ottenuto per consentire le modifiche, ma semplicemente per permettere all'Italia di ingoiare meglio la pillola. Le polemiche, gli allarmi e la stessa promessa dei grillini di un cambiamento delle regole, in realtà sono state spazzate via dall'approvazione della risoluzione. Di fatto il Parlamento ha accettato i diktat europei, cedendo davanti alla minaccia di una crisi di governo. Del resto, c'era da aspettarselo. È bastata qualche indiscrezione sulla possibilità di una conclusione anticipata della legislatura e come d'incanto gli onorevoli si sono attaccati alla poltrona. Il formidabile collante delle elezioni, infatti, funziona meglio dell'Attack.

(Fonte: https://www.laverita.info/un-movimento-fondato-sullattrazione-per-le-poltrone-2641572837.html)


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