Sperimentare la Sua presenza: per un Natale davvero fecondo

Sperimentare la Sua presenza: per un Natale davvero fecondo

di Massimo Selis


Quando si avvicina il Natale dovremmo tornare con più urgenza ad interrogarci sul Mistero del “Signore che viene”. E ogni anno, andare più a fondo, perché è un Mistero appunto, e dunque, infinito. Un interrogarci che chiama ad un lavoro di introspezione per poter poi maturare i frutti nelle opere di una vita capace di rinnovarsi, continuamente, con coraggio.

Qui ci soffermeremo su un aspetto particolare che si collega in modo specifico al tempo che viviamo: Chi è davvero Colui che viene, per me? Dove e come sperimento la Sua reale presenza?

L’Incarnazione ci sopravanza a tal punto che finiamo da sempre per “addomesticarla” alle nostre abitudini mentali, a restringerla dentro confini che in qualche misura riusciamo a tenere a portata di occhio. Ripetiamo formule spesso senza meditare sul loro contenuto profondo, scorriamo sopra passi della Scrittura che nascondono tesori nascosti sotto il senso letterale, di cui siamo totalmente ignari.

Partiamo da Giovanni Battista, che vedendo Gesù dice: «Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!» (Ide o amnòs tou theou o airon ten hamartian tou kosmou). Questa espressione è certamente famosa, ma cosa vi sappiamo ricavare? Il testo originale dovrebbe essere meglio tradotto in «Ecco l’agnello di Dio, Colui che ci solleva (airo) dall’errore (hamartía) cosmico (kosmos).

Ciò che abitualmente viene tradotto con il termine peccato (hamartía), in realtà nella sua etimologia ci parla di errore di giudizio, di mancanza di verità e anche del fallire una meta. In ebraico è la parola hattà ad essere da noi tradotta come “peccare”, ma essa in realtà significa “mancare il bersaglio”, fallire, errare. Non a caso parliamo di conversione, come appunto una “correzione di rotta”.

C’è un dinamismo dunque in questa piccolissima parola e un collegamento diretto ad una “deficienza di verità”. Gesù allora è venuto a sollevarci da tale mancanza, una mancanza che si è riverberata in tutto il cosmo. E se la Vergine è l’Immacolata, la senza macchia, Giobbe ci ricorda che Dio trova macchie persino nelle stelle: leggasi angeli. Una deficienza di essere appunto, un neo “eterico” come dice S. Bonaventura per distinguere questi Spiriti, dal Purissimo Spirito.

E noi? Davvero possiamo ancora leggere l’incarnazione del Cristo transtorico nella figura umana di Gesù come colui che ci vuole semplicemente mondare dai nostri peccatucci? Sarebbe oltremodo riduttivo per non dire ridicolo. Vi è, invero, molto, molto di più.

Guardiamo allora ad un titolo che ricorre più volte associato a Gesù: Signore. Noi forse non ci facciamo più caso e lo liquidiamo come un semplice titolo di maestà, di grandezza, di divinità. Ma perché proprio Signore? E Signore di cosa?

Uno dei malfattori crocifissi accanto a Lui dice: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». E Gesù gli risponde: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso». Leggiamo con più attenzione. Il malfattore parla di Regno e Gesù gli assicura che sarà con lui nel Giardino (parádeisos). Anche Maria di Magdala lo vide, già risorto, credendolo appunto il custode del Giardino.

Signore va inteso come “colui che tiene unito”. Cosa? Un popolo, innanzitutto. Ecco allora che il Giardino delle anime risvegliate è il Popolo Santo di Dio, la Chiesa. Quella composta di pietre vive. Ma Cristo è anche il Signore del Creato che è venuto a Restaurare. La sua infatti è Opus Restaurationis che succede all’Opus Creationis dell’Origine, la quale è stata inficiata dalla “disobbedienza” dei progenitori. Anche il cosmo infatti partecipa del “peccato originale” e attende «la rivelazione dei figli di Dio» (Rm 8, 19).

Ed infine Cristo è Signore della Storia. È Lui che sotterraneamente la guida verso il suo fine, anche se in superficie noi vediamo solamente il male sparso in ogni direzione: eterogenesi dei fini. È a Lui che debbono essere ricondotte, e quindi restaurate, tutte le forme dell’ordine – oggi disordine – civile.

Verità. Unità. E quindi Totalità. Questo ci dice quanto abbiamo sin qui tratteggiato.

Cristo è pertanto Colui che restaura la Verità totale e che ci rende partecipi di essa. Verità che è Vita, forza unificatrice che scorre in tutto il Creato e nell’uomo stesso. Egli, il Logos eterno, ci ha restituito la possibilità dell’intimo dia-logos con Lui. Egli si è fatto uomo affinché noi diventassimo divini, come ci ricordano i Padri della Chiesa.

E allora la Sua presenza possiamo avvertirla come reale in ogni aspetto e momento della vita, tanto personale che collettiva. Perché, tramite Lui, siamo stati resi nuovamente capaci di vedere l’invisibile, di comprendere come sia l’immateriale a reggere e comandare la materia. Di riconoscere ed interpretare i Segni che Egli mette nella Storia, di percepire come tutto, nel piano materiale, è simbolo di realtà spirituali. Ma davvero noi possiamo dire di fare questa esperienza? Davvero il Natale è un tempo di approfondimento di questo Mistero?

Guardiamo allora a questi ultimi anni. Guardiamo agli accadimenti che hanno e stanno sempre più rapidamente portando “questo mondo” a dissolversi. Come non avvertire che essi sono Segni attraverso i quali Dio ci sta parlando e ci sta attirando a sé!

Per citarne solo alcuni, la vicenda “pandemica”, la guerra in Ucraina e quella in Palestina, ci parlano tutti attraverso un linguaggio escatologico. Un linguaggio che chiede di essere compreso. Tutti questi avvenimenti chiamano ad una crescita di consapevolezza, ad una comprensione più profonda, e per certi versi “nuova” della Realtà. Chiamano a lasciare le sponde dell’arido e ad avventurarsi sulle acque, vale a dire a mettere in discussione le troppe “certezze” con cui ci siamo costruiti una corazza dentro questa società, una posizione sociale, un ruolo. Anche se lo abbiamo fatto nel cortile dei “buoni”. Chiamano ad una “nuova conversione”.

Allora il partecipare ai riti del Natale, il tempo dedicato alla preghiera, lo scambio di auguri infarciti di frasi “tanto spirituali”, rischiano di diventare vuoti – a voler essere educati – se davanti al “Signore che passa” nella Storia, noi continuiamo a volgerci dall’altra parte.

Non si tratta, ad esempio, del semplice provare dolore e indignazione di fronte a migliaia di innocenti uccisi a Gaza – cosa che per altro troppi non riescono nemmeno a fare! – o del chiedere giustizia contro chi si è rifiutato di curare. Si tratta di mettersi in ascolto delle parole che il Signore ci sta inviando attraverso questi eventi storici. Di decifrare il messaggio nascosto sotto la “superficie delle lettere”. Un messaggio inviato a tutti noi, all’umanità intera.

Possiamo forse non avere gli strumenti per comprendere immediatamente queste parole, perché siamo purtroppo abituati da troppo tempo ad una religiosità che non sa andare oltre la legge e l’emotività. Abbiamo smarrito la via della Sapienza e molti non sanno neanche come rientrarvi. Ma per “correggere la rotta” dobbiamo almeno avere il desiderio di comprendere le parole che Nostro Padre ci sta rivolgendo.

È da qui che si inizia. Ed è qui che si sperimenta davvero il Mistero del Natale.


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