Soggetto Radicale e pratica del mistico Abbandono
di René-Henri ManusardiIl Soggetto Radicale è un uomo martoriato dal Signore del male
Quell’essere umano destinato a diventare Soggetto Radicale per scelta divina e volontà propria nell’adesione a tale scelta, scendendo volontariamente e interiormente nell’abisso infernale e nelle acque gelide del Postmoderno, subisce diverse prove nel corso della sua esistenza terrena, tra le quali la più aspra e terribile – al par di Giobbe – è quella di essere letteralmente consegnato nelle mani di Satana. Prima di gettare uno sguardo e di tracciare una panoramica per sommi capi attorno a questa tremenda prova, risulta necessario capire perché il Divino permetta tutto questo.
Per la particolarissima missione a cui è vocato di sterminatore del male nei Tempi ultimi, il Soggetto Radicale è destinato a non avere nessun attaccamento di tipo terreno che possa ostacolare tale missione, deve avere quindi il cuore totalmente distaccato da affetti familiari, amicizie, concupiscenze materiali di ordine sensuale ed economiche, bramosie spirituali e di attaccamento al proprio ego. Soltanto l’aggressione satanica tesa alla destabilizzazione e alla distruzione della sua propria esistenza, mette il Soggetto Radicale nelle condizioni di distaccarsi totalmente da se stesso, dai propri affetti e dalle proprie cupidigie per divenire un angelo incarnato distruttore del potere delle tenebre e aurora di una nuova Civiltà multipolare e del nuovo Imperium d'Europa.
Il crogiuolo della prova risulta diverso per ogni Soggetto Radicale, tuttavia ognuno di essi passa attraverso prove durissime in cui la presenza diabolica distruttiva vissuta in modo consapevole o inconsapevole, risulta reale, spaventosa, estremamente viva. Aprire il Libro di Giobbe nella Sacra Scrittura è terribile e la mole di prove da cui è stato schiacciato da Satana per permissione di Dio attraverso la rovina economica, la morte dei figli, una piaga maligna dal capo ai piedi, l’incomprensione della moglie disperata che lo spronava a maledire Dio e poi a morire, l’incomprensione degli amici più intimi, rappresentano un insieme di spaventose avversità che però non gli hanno fatto mai perdere la sua fede in Dio né sono riuscite a scalfirla. Tuttavia il peso terribile delle inaudite prove di Giobbe, antesignano delle prove che subirà il Soggetto Radicale, come pure le sue indicibili sofferenze risuonano in due epici passi all’inizio del Libro:
«Allora Giobbe si alzò e si stracciò il mantello; si rase il capo, cadde a terra, si prostrò e disse: “Nudo uscii dal grembo di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!”. In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di ingiusto». [1]
«Allora Giobbe aprì la bocca e maledisse il suo giorno. Prese a dire: “Perisca il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: ‘È stato concepito un maschio!’. Quel giorno divenga tenebra, non se ne curi Dio dall’alto, né brilli mai su di esso la luce. Lo rivendichino la tenebra e l’ombra della morte, gli si stenda sopra una nube e lo renda spaventoso l’oscurarsi del giorno! Quella notte se la prenda il buio, non si aggiunga ai giorni dell’anno, non entri nel conto dei mesi. Ecco, quella notte sia sterile, e non entri giubilo in essa. La maledicano quelli che imprecano il giorno, che sono pronti a evocare Leviatàn. Si oscurino le stelle della sua alba, aspetti la luce e non venga né veda le palpebre dell’aurora, poiché non mi chiuse il varco del grembo materno, e non nascose l’affanno agli occhi miei! Perché non sono morto fin dal seno di mia madre e non spirai appena uscito dal grembo? Perché due ginocchia mi hanno accolto, e due mammelle mi allattarono? Così, ora giacerei e avrei pace, dormirei e troverei riposo con i re e i governanti della terra, che ricostruiscono per sé le rovine, e con i prìncipi, che posseggono oro e riempiono le case d’argento. Oppure, come aborto nascosto, più non sarei, o come i bambini che non hanno visto la luce. Là i malvagi cessano di agitarsi, e chi è sfinito trova riposo. Anche i prigionieri hanno pace, non odono più la voce dell’aguzzino. Il piccolo e il grande là sono uguali, e lo schiavo è libero dai suoi padroni. Perché dare la luce a un infelice e la vita a chi ha amarezza nel cuore, a quelli che aspettano la morte e non viene, che la cercano più di un tesoro, che godono fino a esultare e gioiscono quando trovano una tomba, a un uomo, la cui via è nascosta e che Dio ha sbarrato da ogni parte? Perché al posto del pane viene la mia sofferenza e si riversa come acqua il mio grido, perché ciò che temevo mi è sopraggiunto, quello che mi spaventava è venuto su di me. Non ho tranquillità, non ho requie, non ho riposo ed è venuto il tormento!». [2]
I supplizi satanici a cui viene esposto ogni Soggetto Radicale sono di varia natura e lo preparano al distacco esistenziale, all’impassibile apatheia, all’indifferenza e all’imperturbabilità verso tutto ciò che è puramente materiale e non ha valenza per l’eternità. Questo martirio incruento di cui citiamo solo le varianti principali può comportare: incomprensioni con susseguente isolamento dal clan familiare, malattie e/o perdite di persone care; dissesti finanziari ed economici; perdite di beni personali; perdite delle amicizie e dei gruppi di appartenenza con processi alle intenzioni e alle azioni; problemi di lavoro e disoccupazione; incomprensione e/o perdita del partner; malattie, depressione e/o crisi esistenziale. Seppur prostrato dalla durezza di queste prove – alcune di esse durano decenni – il Soggetto Radicale più che chiedersi perché gli accada ciò, deve reagire con la fede nel Divino e nella sopportazione della prova, sapendo per certo dalla testimonianza dei Santi che Dio non ci prova oltre le nostre forze.
La Morte è la dolce vita del Soggetto Radicale
In questa devastazione spirituale e metafisica di ordine mistico, il Soggetto Radicale sperimenta sia la morte dell’ego sia quella della sua anima, una condizione di morte interiore in cui avviene una sorta di identificazione con la passione di Nostro Signore Gesù Cristo per quanto riguarda il disprezzo della gente, la persecuzione e l’isolamento sociale perpetuato nei suoi confronti:
«Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la truppa. Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: “Salve, re dei Giudei!”. Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo (…) Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: “Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!”. Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: “Ha salvato altri e non può salvare sé stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio!”. Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo». [3]
Nel corso di questa purificazione (katharsis) e di questo svuotamento (kenosis), nei suoi momenti più bui il Soggetto Radicale ha l’esperienza spirituale di conoscenza della Morte, di Thanatos quale essere spirituale di ordine angelico, la parte inconosciuta dell’Arcangelo Michele, il quale gli è di conforto aiutandolo nel distacco da se stesso e lo assiste prodigiosamente con estrema forza nella lotta contro gli spiriti del male e delle tenebre. Così, avvolto dall’abbraccio di sorella Morte, il Soggetto Radicale da semplice uomo si trasforma in un angelo incarnato distruttore del male e viene percepito da molti – amici o nemici – come un essere inquietante, intransigente, non manipolabile e pericoloso perché dovunque egli si presenta atterrisce col suo alito di morte e rende visibili i giochi del male, anche tra coloro che apparentemente affermano di lottare per il Bene della Causa, ma che in realtà sono poi intrallazzati in ogni sorta di sfruttamento sulle spalle di chi versa il suo sangue per la Causa sulle frontiere interne ed esterne dell’Idea, esercitando abusi di potere ed enormi profitti di guerra (come ad esempio la storia europea ci ha insegnato nel corso della Prima Guerra mondiale e nella successiva ricostruzione post bellica, con gli “squali” ossia gli oligarchi nazionali del potere industriale-militare, edile e finanziario).
La Missione del Soggetto Radicale è la distruzione del male e la rinascita dell’Idea imperiale, dunque l’esperienza e il contatto con la Morte come essere spirituale, come angelo di luce che appare a consolarlo nelle tenebre e nelle avversità esistenziali per prepararlo alla sua ineguagliabile missione sterminatrice diventa la sua “dolce vita”, la sua unica consolazione, la sua sola vera frequentazione. Attraverso il contatto mistico con l’angelo della morte, il Soggetto Radicale perfeziona la pratica del mistico abbandono a Dio e alla sua volontà, già iniziata e praticata con le avversità che lo preparano progressivamente e attraverso le rotture di livello psichiche, al completo distacco da ogni essere umano, da ogni bene, da ogni attaccamento, da ogni affetto, da ogni relazione capace di coinvolgere la sua anima in modo esclusivo.
L’ordine di realizzazione della sua vocazione e della sua missione è il seguente: martirio interiore incruento e guerra esteriore cruenta. Egli è un angelo di carne solitario, in grado però di coinvolgere con la sua forza e il suo potere carismatico uomini e donne pronti a lottare per l’Idea dell’Imperium e per la sua realizzazione.
La pratica del mistico abbandono è la cosa più difficile, è come essere in mezzo a una tempesta o a un bombardamento sotto gli Oreshnik e rimanere illeso combattendo. L’abbandono si pratica abbandonandosi nonostante le vertigini del vuoto e del Nulla, così come si pratica il silenzio tacendo con la bocca e con la mente scimmia nonostante ciò sembri impossibile, ma che diventa possibile quando con gli occhi dell’anima ci si mette ad osservare la stessa mente scimmia che a poco a poco s’acquieta perché smascherata. Così con gli stessi occhi dell’anima il Soggetto Radicale impara a guardare in faccia le proprie paure, il proprio terrore che scuote corpo, mente e l’anima stessa, impara a guardare negli occhi l’angelo della morte, il quale da essere di tenebre si disvela infine angelo di luce e compagno fedele della sua insolita esistenza.
Il mistico abbandono è figlio della fede, la quale pone il Soggetto Radicale davanti a Dio nella nube della non-conoscenza, gli fa fruire la Presenza attraverso la speranza ossia l’esperienza, e la stessa Presenza lo riempie di quell’amore divino che gli dà la forza necessaria e sovrabbondante per combattere e sterminare il male, in un completo e radicale abbandono alla guida e alle mozioni dello Spirito Santo.
Il frutto più maturo dell’abbandono è l’amore divino, e l’amore divino incarnato nel Soggetto Radicale non è antagonista alla sua missione di sterminio. Egli infatti ama Dio alla follia e tutto ciò che ostacola questo amore di Dio, egli lo recide alle radici nella più completa apatheia e con la stessa follia d’amore dell’Arcangelo Michele quando pronunciò imperterrito il “Quis ut Deus?”, nel distacco ontologico proprio degli angeli che amano Dio e combattono come leoni dello spirito contro il male.
Il mistico abbandono è quindi la forma più alta di amore incondizionato, è Agape, è Caritas è la Carità, quel folle amore per Dio e per la sua gloria che rappresenta la natura più profonda, la radice e l’essenza stessa del Soggetto Radicale:
«Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova. La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto. Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!».
[1] La Sacra Bibbia, Libro di Giobbe, 1, 20-22.
[2] Ibidem, 3, 1-26.
[3] La Sacra Bibbia, Vangelo di Matteo, 27, 27-31, 39-44.
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