Se la memoria è senza il memoriale - parte 2

Se la memoria è senza il memoriale - parte 2

di Cosmo Intini


Carattere ‘computante’ del Logos ed ermeneutica gematrica

Per giungere alle verifiche che ci stiamo proponendo di determinare, è tuttavia necessario introdurre preventivamente alcuni ulteriori presupposti, atti a stabilire gli strumenti ermeneutici che siano i più appropriati allo scopo.

In maniera ancora una volta coerente con gli assunti, l’indicazione più giusta e pertinente non può che venirci suggerita se non dallo stesso sostantivo logos.

Si tratta di un’ulteriore sfumatura di significati etimologici che esso deriva dal verbo greco λεγω, i quali suggeriscono pertanto, con chiara evidenza, i percorsi da adottare in quanto già inerenti ad esso. Tali significati sono: ‘contare, computare, enumerare’.

In pratica, risulta far parte dell’essenza del logos, in quanto ‘parola’, una stretta relazione con il ‘numero’. Come viene affermato dalla Sapienza stessa, nell’omonimo libro veterotestamentario, Essa “è artefice di tutte le cose” (Sap 7,21), “era presente quando (Tu Dio) creavi il mondo” (Sap 9,9) ed inoltre è ciò che ha “regolato ogni cosa in misura, numero e peso” (Sap 11,20).

Proprio sulla consapevolezza di questo diretto rapporto che sussiste tra la Creazione, operata dalla Sapienza del Logos, e un Ordine ‘numericamente’ espresso, nonché suscettibile di poter essere colto dal logos umano, si basa la tradizionale ‘scienza gematrica’.

La gematria, scienza sia speculativa che pratica, non è altro che la comprensione interpretativa dei significati anagogici presenti nelle Sacre Scritture della tradizione cristiana, realizzata sulla base della consapevolezza dottrinale di una ‘corrispondenza sussistente tra numeri e lettere alfabetiche della lingua che di tale tradizione religiosa è riconosciuta come sacra’.

Nel caso specifico del Cristianesimo, la lingua che riveste tale funzione ‘sacrale’, come già anticipato, è il greco antico (più precisamente nella sua forma dialettale ionica).

Innanzitutto va precisato che l’accezione di ‘lingua sacra’, nel caso del Cristianesimo, denota la capacità della lingua greca di contenere in maniera latente l’espressione del Mistero cristiano concernente i suoi fondamentali dogmi, nonché quei suoi aspetti teologici e metafisici che costituiscono le verità di Fede anche nel loro aspetto più profondo[1]. Non è del resto un caso che non solo tutto il Nuovo Testamento sia stato scritto proprio in ‘greco’, ma anche, ed in particolar modo, che specificatamente in tale lingua si sia ‘rivelata’ l’Apocalisse di Giovanni: l’unico libro profetico presente nel canone neotestamentario e l’unico del quale sia affermato esplicitamente di esser stato ‘inviato dall’Alto’[2].                                                                                                              

Nel concreto del suo utilizzo, la gematria considera ogni parola come fornita di un valore numerico totale, ottenuto in base alla somma dei valori numerici posseduti dalle sue singole lettere alfabetiche. Tale valore ‘rispecchia in sé una qualità piuttosto che una quantità’, la quale può essere colta sostanzialmente sia sulla base delle relazioni con cui tali valori numerici vengono a porsi nei rispetti di altri valori numerici ad essi rapportati, sia sulle relazioni che si stabiliscono all’interno di sé stessi nella successione con cui si presentano i numeri che li costituiscono, sia sul valore simbolico di ognuno di questi suoi singoli numeri, sia infine pure sul geroglifico della propria cifra. Inoltre, la gematria insegna che, a parità di valore numerico totale - evenienza alla quale viene dato il nome di isopsefia - due o più parole diverse si equivalgono anche nel proprio valore e senso qualitativo, simbolico e spirituale[3].

Questa sottile differenziazione tra dato ‘quantitativo’ e dato ‘qualitativo’ del numero, è stata ben colta da M. Heidegger nella distinzione che lui opera tra il ‘pensiero calcolante’ ed il ‘pensiero riflettente’; ove il primo risulta ordinato al fattibile, mentre il secondo opera una meditazione sul senso ‘ontologico’ delle cose. Il primo si esplica nella ‘considerazione dell’oggettività dell’ente in quanto presente’, il secondo nell’‘esperienza della verità dell’essere in quanto presenza’.

Il ‘calcolo’ è l’approccio di pensiero proprio dello scientismo, basato sull’episteme. Al ‘riflettere’ pertiene invece un approccio di ‘adesione’ del pensiero, alla luce, come sempre dice Heidegger, della sua ‘coappartenenza’ all’essere.

La particolare modalità di coappertenenza tra pensiero ed essere fa sì che quando diciamo: “il pensiero è, nella sua essenza, il pensiero dell’essere”, il genitivo con cui ci si esprime è da intendersi in senso sia soggettivo che oggettivo. Il “pensiero dell’essere” è insomma tanto un evento che appartiene all’essere, da esso proviene e in esso rimane conservato (gen. sogg.), quanto è ciò che ascolta l’essere, si dirige verso di esso e gli è assegnato (gen. ogg.).

Il valore del ‘pensiero riflettente’ è quindi ben apprezzabile grazie alla considerazione della duplice accezione offerta dal verbo ‘riflettere’, in quanto atto sia del ‘rivolgere la mente con attenzione’, sia del ‘rinviare all’origine di provenienza’. Peraltro, in maniera analoga, possiamo affermare che esso è il solo pensiero in grado veramente di ‘comprendere’ allorché valutiamo anche di quest’ultimo la propria duplice accezione: sia ‘capire, conoscere’ che ‘includere, abbracciare’.

Alla luce di tutto ciò, possiamo dire che il ‘pensiero riflettente’ può essere immediatamente accostabile all’atto del ‘computare’, il cui significato abbiamo già visto essere di pertinenza del logos. Tale carattere è in definitiva l’approccio ‘qualitativo’ al numero così come operato dall’ermeneutica gematrica, il quale risulta pertanto del tutto differente dall’approccio ‘quantitativo’ che è invece proprio del ‘calcolo’ matematico[4].

 

La gematria non è affatto un tardo e soggettivo criterio ermeneutico per l’interpretazione dei testi sacri; tant’è che proprio nel libro dell’Apocalisse compaiono allusioni esplicite che confortano la liceità dell’impiego di questo approccio ermeneutico. Tra questi riferimenti ricordiamo in particolare:                                                                                                                                                           

1) l’invito proprio a ‘computare’ gematricamente il numero del nome della bestia (Ap 13,18)[5];                                 

2) la ripetuta auto rivelazione del Logos, che più volte si definisce essere l’‘Alpha e Omega’ (Ap 1,8. 21,6. 22,13).

Quest’ultima evenienza assume una valenza decisiva in quanto è possibile leggervi la chiara e diretta dichiarazione del Logos di essersi, in certo qual modo, spiritualmente ‘incarnato’ anche nell’alfabeto greco; e ciò proprio in virtù della Sua peculiare natura di Pensiero e Parola.                                                                                                                                                    Per aiutare il lettore a verificare le nostre successive osservazioni, riproponiamo innanzitutto lo schema dei rapporti alfabetico-numerici sussistenti per l’appunto in lingua greca. Ciò servirà come utile ausilio per verificare i computi gematrici che andremo ad effettuare:


 

Il Nome di Gesù in quanto Icona Divina

Il fatto che il nome divino costituisca il segno, la qualità, l’essenza stessa della divinità a cui esso appartiene è una consapevolezza costante dell’antichità e di tutte le religioni: non vi è difatti una tradizione che di tale identificazione non ne abbia fatto menzione e riferimento esplicito. E se questa convinzione non poteva non esser condivisa anche dal Cristianesimo, tuttavia la circostanza per cui il Dio cristiano è un ‘Dio che si è incarnato’ - l’Unico tale - fa sì che il Nome di Gesù possegga delle peculiarità che lo rendono in rapporto ad ogni essere umano appunto un unicum.

E’ noto che l’origine divina e la Potenza salvifica di Gesù venga già testimoniata dal fatto che il Nome Yeshua, così come espresso in ebraico, significhi per l’appunto “il Signore salva”. Ma ciò non sembra soddisfare ancora pienamente la questione! In effetti possiamo affermare che il testo di Mt 1,21, in cui l’Angelo rivela a Giuseppe il nome da affidare al nascituro[6], non va inteso nel senso che il Divin Bambino si chiamerà Gesù perché salverà il suo popolo, ma piuttosto che salverà il suo popolo perché era proprio quello il suo Nome! Ovvero, il che è lo stesso, che tale Sua funzione fa parte integrante della Sua essenza.

La questione è dunque innanzitutto d’ordine ontologico, né poteva essere diversamente se, come peraltro già più volte sottolineato, consideriamo che già Dio Padre, rivelando a Mosè il proprio Nome disse: “Io sono Colui che sono[7]. E tanto è che lo stesso Gesù nei Vangeli chiama più volte sé stesso: “Io sono”.

Per riuscire a cogliere in tale sua pienezza ontologica l’effettiva Divinità e Potenza del Cristo Gesù, ricorreremo alle evenienze gematricamente evincibili dal considerare il Nome di Gesù non in base alla propria declinazione in ebraico, quanto in quella che ne è la dizione greca: Iesous (Ιησους).

La prima cosa da osservare è che, in quanto Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza (Gen 1,26), il Cristo Gesù, Logos incarnatosi, è il prototipo di ogni immagine umana. Egli è dunque per l’umanità l’icona più perfetta; e dato che icona significa appunto propriamente “immagine, archetipo, modello, somiglianza, similitudine”, nulla impedisce a questo termine di estendere il proprio pregnante significato inserendosi anche in contesti non prettamente figurativi.

Il Nome Divino Iesous è dunque Icona.

Tutto ciò è possibile perché Cristo Gesù è a sua volta “…vera immagine del Padre” (Col 1,15). La santità della Sua icona è insomma dovuta al fatto che Egli è ‘uomo ad immagine di Dio’ nonché ‘Dio ad immagine dell’uomo’.

Ebbene il Santo Nome di Gesù, in greco Iesous (Ιησους), possiede un valore gematrico pari ad 888[8], dal quale viene già esplicitata geroglificamente una certa propria qual perfezione numerica[9]. Ma premesso ciò, è interessante notare che a tale valore corrisponde per isopsefia anche a quello di g eikon (γ εικων)[10], che traduce ‘santa immagine’, ma anche ‘immagine trina’, visto che la lettera gamma (γ), oltre che abbreviazione di aghios, santo, è espressione del numero 3[11].

 

Il Nome di Gesù in quanto espressione della Sua divinità ontologica

Nel Vangelo di Matteo (Mt 1,23) veniamo a sapere che il Nome di Dio, Essere, si incarna anche con e nel nome di Emmanuele, che significa ‘Dio con noi’; cioè a dire: l’Essere è con noi. E poiché l’Emmanuele è Gesù, si pone come ‘Essere che redime l’ente’: cioè che giustifica (1 Cor 6,11), che salva (At 4,12; Rm 10,13), che dà la vita eterna (1 Gv 5,13).

Poiché il nome ‘Dio con noi, salva’ stabilisce in Cristo Gesù, che lo porta, tanto la Sua identità che la Sua missione, ebbene come in Es 3,14 Egli può allora veramente affermare di Sé stesso: “Io sono Colui che sono”! In altre parole la Sua identità personale (nel senso proprio della qualificazione che lo rende identificabile come essere persona) è altresì identità assoluta (nel senso di uguaglianza e identicità con tutto ciò che Egli è; ovvero, analogicamente, anche con tutto ciò che nel mondo è).

Questa verità viene confermata dal fatto che il Nome Iesous è anagrammabile in ousies (ουσιης), che traduce ‘essendo la sostanza’ (genitivo assoluto). Il coincidere del Nome di Gesù con la sostanza è duplicemente significativo. Innanzitutto perché ne afferma la piena divinità: «La Chiesa adopera il termine ‘sostanza’ (reso talvolta anche con ‘essenza’ o ‘natura’) per designare l’Essere divino nella sua unità»[12]: e ricordiamo pure che già Aristotele con l’ousie aveva inteso l’‘essere fondamentale’, ossia l’‘Essere in quanto Essere’. Inoltre, e sempre sulla scorta della metafisica aristotelica, essendo la ‘sostanza’ anche l’eidos, ossia la ‘forma’, essa è anche ‘atto’ ovvero ‘causa prima dell’essere’. Ed è questa prototipicità d’‘essenza’ ciò che fa di Gesù, nel Suo Nome, il ‘modello’, l’‘icona’ di ogni essere umano. Egli è tutta l’umanità e tutti gli uomini sono in Lui: “Voi tutti siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28).

Anche tale prototipicità sostanziale risulta racchiusa nel Nome Iesous, dato che con un ulteriore anagramma da esso si ottiene es uios, che significa ‘che tu sia Figlio’. La locuzione es-uios ousies (entrambe parole anagramma di Iesous) sta quindi per ‘che Tu sia Figlio per sostanza’: dal ché si ribadisce la consustanzialità tra Padre e Figlio (contro ogni Arianesimo)!

A proposito della ‘sostanziale’ natura umano-divina di Gesù, che da molte eresie è stata posta in discussione (vd. ad es. docetismo e monofisismo), è emblematico osservare che il valore 888 di Iesous, allorché diviso esattamente nelle sue due metà (= 444 + 444) presenta la notevole evenienza di significare da una parte sarx kai aima (σαρξ και αιμα)[13] e dall’altra theo-pathos (θεο-παθος)[14]. Ebbene, tali locuzioni significano rispettivamente ‘carne e sangue’ e ‘passione di Dio’. In altre parole, è così evidenziato come Gesù sia proprio Colui che, pur essendo Dio, ha sofferto la Passione nella propria umanità fatta di carne e sangue[15]: Egli era tanto Uomo quanto Dio!

Sulla base del valore di prototipicità rispetto all’umanità, riconosciuta al Cristo Gesù, risulta infine emblematica un’ulteriore isopsefia del valore 888, proprio del Nome Iesous. Infatti a tale valore corrisponde pure ego eimi dia (εγω ειμι δια)[16], che traduce ‘Io sono in mezzo’ [17]. È proprio in questo che si denota il ‘potere efficace’ detenuto dal Nome del Signore: l’atto è Suo ‘essere’; e tale atto è ‘essere-per, essere-con, essere-tra’.

La correlazione, la corrispondenza, la conformità tra Uno e molteplice, che è quanto ne costituisce il rapporto secondo il modo dell’‘analogia’, si esplica nella maniera del dia-logos, ossia di una reciprocità basata non solo sul Logos ritenuto limitatamente ‘pensiero e senso’, ma altresì ‘parola e colloquio, dialogo’. Ecco ribadita peraltro la particolare connotazione che si è voluta assumere traducendo Logos, in latino, con Verbum!

 

Il Nome di Gesù e la S. Vergine Maria: il Logos incarnato e Sua Madre

L’interesse del Nome Iesous non si esaurisce solo con quanto si è sin qui proposto. Il mistero del Signore è così intimamente legato con quello di Sua Madre, Nostra Signora la S. Vergine Maria, che non si può immaginare non sussistere una qualche relazione dell’una con l’altro. Ed è del resto proprio tale relazione misterica che viene ad assolutizzare il nome di Gesù quale quello di Nostro Signore; ché altrimenti tutti i presenti discorsi potrebbero divenire applicabili a qualunque altro individuo genericamente chiamato con lo stesso nome.

Innanzitutto vogliamo però incaricarci di far notare una più interna lettura del Nome di Gesù.

Oltre alla sintomatica bellezza armonica e perfezione che si manifesta attraverso il suo valore gematrico 888 - il quale numero tanto allude con santa, triplice e trinitaria riaffermazione al numero designante l’evento della Risurrezione (ottavo giorno della Creazione), quanto esprime nel proprio geroglifico l’equilibrio cosmico -, ebbene Iesous si può considerare sintesi di ie-es-ous (ιη-εσ-ους), che traduce ‘voce, suono attraverso l’orecchio’[18]. Tale locuzione rimanda a quello che fu l’evento dell’Incarnazione di Gesù, nel momento in cui, durante l’Annunciazione, l’arcangelo Gabriele proferì il proprio saluto alla Vergine Maria.

E’ noto che la riflessione patristica antica ha affermato che il Logos, la Parola di Dio, conformemente alla propria natura vocale-orale sia penetrato in Maria per mezzo dell’angelo, fecondandola attraverso il proprio orecchio e mantenendo così intatta la sua verginità[19]. Viene così ad attuarsi la profezia di Isaia: «Il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio» (Is 7,14).

Ora, in effetti 888 è anche il risultato ottenuto sommando i valori gematrici di parthenos (παρθενος), che traduce ‘vergine’ e che è pari a 515[20], più il valore di Logos (λογος), che è pari a 373[21].

Ossia, 888 = 515 + 373 equivale a: Gesù = vergine + Logos.

Ciò riafferma non solo che la profezia di Isaia si è realizzata, ma pure che Gesù è in effetti il Logos penetrato nella Vergine e da Ella partorito. La qual cosa viene ancor più ribadita dal fatto che 515 è per isopsefia anche il valore di esti (εστι)[22], che traduce ‘egli è’.

Ossia, 888 = 515 + 373 equivale a: Gesù = Egli è + Logos (contro ogni Nestorianesimo).

E infine, che Maria sia poi proprio quella Vergine, lo si evince dal fatto che sempre 888 è il risultato di g Maria parthenos (γ Μαρια παρθενος), che traduce ‘S. Maria Vergine’ e che è pari a 670[23], più il valore di pnoie (πνοιη), che traduce ‘soffio, alito, respiro’, che è pari a 218[24].

Ossia, 888 = 670 + 218 equivale a: Gesù = S. Maria Vergine + soffio. La qual cosa riafferma che Gesù si incarna come ‘soffio, alito, respiro’ dello Spirito Santo che penetra nella S. Vergine Maria e La feconda!

Ed ancora: che sia in questione proprio l’‘orecchio della S. Vergine Maria’, lo desumiamo dall’isopsefia sussistente tra i valori di g Maria parthenos (S. Maria Vergine), che dicevamo esser pari a 670, ed il valore di ous (ους), ‘orecchio’, anch’esso pari appunto a 670[25].

 

Conclusioni ontologiche

Giunti a questo punto, possiamo allora tornare alla questione sollevata inizialmente, ma con una più motivata prospettiva di riflessione.

Posto che attraverso l’ermeneutica gematrica ci è risultato possibile donare una sorta di ‘verifica’ ontologica non solo della divinità del Cristo (e della S. Vergine Maria)[26], ma anche della Sua coincidenza con il Logos, risultano chiare le conseguenze che vengono ad inquadrare quali siano i limiti ontologici di quanti abbiano abbracciato, per ‘durezza di cuore’, la strada del rifiuto del Suo ‘memoriale’.

La mancanza di ‘con-formazione’ con il Logos (che è anche sinonimo di ‘con-versione’) non può che comportare la ‘de-generazione’, nel senso letterale di ‘perdita delle qualità originarie’, a cui si è inevitabilmente sottoposta quella parte di logos giudaico che ancora oggi si rifiuta di riconoscere che il loro stesso Messia, di cui sono in attesa, è già venuto; ed è venuto per ogni essere umano in quanto logos: cioè, senza che ciò implichi la priorità di alcun popolo.

Non ci sembra il caso di dilungarci sui dettagli di questa ‘perdita delle qualità originarie’, ma andrebbe perlomeno mantenuto nella dovuta considerazione il fatto che, purtroppo e nostro malgrado, risulta inevitabile l’impossibilità di allacciare alcun ‘dia-logo’ con chi rifiuta il Logos stesso: posto che il ‘dia-logo’ in questione non debba essere banalmente inteso soltanto quale ‘soggettivo scambio di opinioni’; bensì, in senso ‘ana-logico’, quale l’atto oggettivo della Verità che si colloca al centro (dia) di ogni pensiero-discorso umano.

Tale Verità, che sempre seguendo M. Heidegger consiste nella ‘svelatezza dell’Essere’ (a-lethé), è appunto il Logos medesimo (“Io sono la Via, la Verità e la Vita”, vd. Gv 14,6). Il rifiuto della Verità non può dunque che comportare, anche qui inevitabilmente e nostro malgrado, il precipitare umano nella ‘mendacità’ in quanto ‘nascondimento, occultamento dell’Essere’ (lethé): caduta ontologica di cui il logos ‘de-generato’ può anche difficilmente rendersene conto.   


NOTE

[1] La ‘lingua sacra’ non sempre coincide con quella che è la ‘lingua liturgica’ di una data religione. Per il Cristianesimo, infatti, è il latino ad assolvere a quest’ultima funzione.

[2] A differenza dei Vangeli, considerati ‘ispirati’, la natura rivelata dell’Apocalisse è esplicitamente dichiarata dal Logos stesso nella conclusione del libro, ove si afferma il divieto assoluto di mutarne anche solo una parola: «A chiunque ascolta le parole della profezia di questo libro io dichiaro: se qualcuno vi aggiunge qualcosa, Dio gli farà cadere addosso i flagelli descritti in questo libro; e se qualcuno toglierà qualcosa dalle parole di questo libro profetico, Dio lo priverà dell’albero della vita e della città santa, descritti in questo libro» (Ap 22,18-19).

[3] Tanto per fare qualche esempio: la parola pneuma, che significa ‘Spirito’, allorché scritta in greco possiede lo stesso valore gematrico di aetos, che significa ‘aquila’; e ben conosciamo l’equivalenza simbologica dei due termini. Oppure la parola greca yios, che significa ‘figlio’, ha il medesimo valore di zygos, che traduce ‘bilancia’; e qui si allude alla seconda persona della SS. Trinità nell’accezione de ‘il Giusto’! E così via!

[4] Peraltro, tale carattere precipuo della gematria è quanto la pone in assoluta alterità rispetto ad analoghe prassi riconducibili alla Cabala ebraica: pratica questa di carattere ‘esoteristico’ (che è altra cosa da ‘esoterico’) la quale assunse tale denominazione attorno al XII-XIII sec. Assoluta irriducibilità essa mantiene pure con la Cabala extra-giudaica, apparsa in Europa attorno al XV sec.

[5] «Hic sapientia est qui habet intellectum conputet numerum bestiae numerus enim hominis est et numerus eius est sescenti sexaginta sex».

[6] «Maria [] partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».

[7]Es 3,14.

[8] 888 = 10+8+200+70+400+200.

[9] La più antica testimonianza dell’abbinamento del valore gematrico al Nome di Gesù (gr. (Ιησους) compare nel libro I degli Oracoli sibillini (testi apocrifi dell'Antico Testamento scritti in greco), ai versetti 326-330. Qui il Nome è sostituito, appunto, dal numero 888.

[10] 888 = 3+885.

[11] Si viene in tal modo a giustificare quella prassi iconografica antica che raffigurava la Trinità con tre Gesù.

[12]Catechismo della Chiesa Cattolica, 252, cit.

[13] 444 = (200+1+100+60) + (20+1+10) + (1+10+40+1) = (361) + (31) + (52).

[14] 444 = (9+5+70) + (80+1+9+70+200) = (84) + (360).

[15] Cfr. in tal senso Eb 2, 10-18.

[16] 888 = 808+65+15.

[17] Il riferimento della frase “Io sono in mezzo…” può valere per numerosi passi evangelici: Mt 18,20 e 28,20; Lc 17,21 e  

 22,27; Gv 1,14 e 1,26.

[18]Considerando ie quale voce del verbo eimi, la locuzione potrebbe anche tradursi che egli venga/penetri attraverso  

 l’orecchio

[19]Della concezione attraverso l’orecchio, parlano per la prima volta nel IV secolo sia Atanasio d’Egitto: «Venite e vedete 

  l’opera meravigliosa: la donna concepisce nell’udito dei suoi orecchi», che Efrem Siriaco: «La morte è entrata per 

  l’orecchio di Eva, la vita è entrata per l’orecchio di Maria». E poi anche S. Agostino: «Gesù fu concepito attraverso

  l’orecchio della Vergine» (De Trinitate, IV, 5). Un detto conosciuto nel medioevo, attribuito sempre ad Agostino,

  diceva: «Dio parlò attraverso l’angelo, e la Vergine fu fecondata attraverso l’orecchio».

[20] 515 = 80+1+100+9+5+50+70+200.

[21] 373 = 30+70+3+70+200.

[22] 515 = 5+200+300+10.

[23] 670 = (3) + (40+1+100+10+1) + (80+1+100+9+5+50+70+200) = ( 3) + (152) + (515).

[24] 218 = 80+50+70+10+8.

[25] 670 = 70+400+200.

[26] Per ulteriori verifiche gematriche, relative alla figura della S. Vergine Maria, cfr. C. INTINI, S. Maria del Graal, fondamenti simbolico-sacrali di Castel del Monte, Ed. Il leone verde, Torino 2002.

 Cfr. pure C. INTINI, Il S. Rosario: icona omologhica della S. Vergine Maria, pp. 41-61, in AA.VV. Misteri Mariani. Il S. Rosario Porta della Sapienza, a cura di SODALITIUM EQUITUM DEIPARAE MISERIS SUCCURRENTIS, Ed. Cantagalli, Siena 2022.


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