Scena 31 

Scena 31 

Peony TM



Una cosa che ho scoperto nel Paese dove nessuno mi conosce, dove la temperatura è molto più bassa della mia terra natale, dove tutti quelli che incontro sono alti, bianchi e con gli occhi chiari… è che sono piuttosto bravo a nascondere i miei sentimenti.

Rido quando qualcuno fa una battuta. Parlo e sorrido. Dormo tutta la notte. Mangio bene per curare la mia salute. Faccio tutto ciò che un essere umano dovrebbe fare.

Anche se il mio cuore non è più in questo corpo.

Da quando sono arrivato qui, ho sviluppato due strane abitudini. La prima è che indosso un orologio che segna l’ora di un fuso orario diverso e lo guardo regolarmente, pensando alla persona in un altro continente. La seconda è che sono diventato uno svitato che non riesce a dormire senza coccolare o aggrapparsi a quello stupido peluche trasandato.

TOC, TOC 

“Pran.”

Distolgo lo sguardo da “Fragrant” e lo metto di fianco al mio cuscino, prima di alzarmi ad aprire la porta.

“Sì, Pong?”

“Rita ci ha preparato una torta di mele. Esci e chiacchieriamo un po’, ti va? Non puoi startene rinchiuso nella tua stanza ogni fine settimana.”

La terza persona menzionata è una donna inglese che vive alla porta accanto. Visto che ama cucinare, spesso condivide con noi i piatti che prepara e i suoi dolci. Sta ancora facendo pratica, però, così i dolci spesso sono bruciati sui bordi e a volte l’impasto non è cotto.

“Ok”, rispondo e vado verso il divano. La torta di mele sul tavolo emana un profumo meraviglioso. Pong mi passa una coperta soffice mentre mi siedo. Ne taglio un pezzo e me lo metto in bocca. Ci ha azzeccato questa volta, ha un ottimo sapore. 

“Pran.”

“Sì?”

“Sei qui da mesi. Come ti trovi?”

Alzo gli occhi per incontrare lo sguardo di mio cugino, so che lui è a conoscenza dei miei problemi in Thailandia. Pong è troppo educato per farmi domande dirette, anche se di solito sono tranquillo, anzi sono diventato piuttosto noioso.

“Sto bene. Inizio ad abituarmi.”

“Davvero?”

“Sì, perché? Ti sembro infelice?” rido, cercando di essere allegro.

“Già.” Pong non se la beve. “Sembri infelice.”

“Sto bene.”

“Non volevo chiedere perché sembra che tu non ne voglia parlare. Ma sono passati mesi”, Pong lo dice con calma e mi guarda negli occhi. “Sono preoccupato per te.”

“...”

“Puoi parlarmi dei tuoi problemi. Hai litigato con lo zio?”

“Cosa ti ha detto mio padre?”

“Niente. Mi ha solo detto di occuparmi di te e di non viziarti troppo.”

“Davvero?”

“Ma percepivo il suo malcontento. Hai chiamato i tuoi da quando sei qui?”

“Sì”, ma non papà. “Mamma mi chiama una volta a settimana.”

“Non hai parlato con lo zio?”

“No.”

“Vedi? Stai facendo di nuovo il testardo.”

“Sono testardo, Pong”, rido. “Eppure sono dovuto venire qui.”

“Be’, sei piuttosto passivo-aggressivo. Non c’è alcun segno di obbedienza nei tuoi occhi.”

“Non sono sempre aggressivo. Tu non sai niente.”

Pong fa un sorrisetto e mi accarezza la testa. È  l’unico con il quale mi sento di poter parlare liberamente.

“Cosa non so? Dimmelo.”

“Ricordi Pat?”

“Pat?” Mio cugino alza un sopracciglio e si fa silenzioso, scavando tra i suoi ricordi. “Il ragazzo della porta accanto che ti lanciava i rami?”

“Wow, è stato secoli fa.”

Ride e annuisce divertito. “Voi due avete provato ad arrampicarvi fino al punto più alto dell’albero e avete finito col cadere.”

“Pong…”

“Va bene, va bene. Me lo ricordo. Quindi?”

Stringo le labbra, guardandolo, poi sospiro quando lui alza un'altra volta il sopracciglio.

“Mh?”

“Ecco…”

“Cosa? Perché esiti?”

Ho intenzione di confessare, ma ora che devo dirlo, le parole non vengono fuori.

“Ehi, hai una faccia così seria.”

“Be’... io e Pat eravamo innamorati.”

“Innamorati?” Pong ripete le mie parole, confuso. “Non vi odiavate?”

“Prima era così.”

“E poi?”

“E poi non ci siamo odiati più.”

Pong si ferma e io faccio altrettanto. Nessuno dice niente. Sembra che ci stia pensando su, poi aggrotta la fronte: “Che tipo di amore era?”

“L’amore è amore. Non userei questa parola per un amico.”

“Va bene, ho capito. Quindi hai litigato con lo zio per questo?”

Annuisco senza aggiungere spiegazioni.

Pong questa volta sospira. Si appoggia allo schienale e si massaggia le tempie. Visto quanto è problematico? E sono abbastanza forte da continuare a sorridere.

“Hai parlato con Pat?”

“Ci siamo detti addio.”

“Eh? Vi siete lasciati?”

“Non l’abbiamo detto ad alta voce, ma immagino che sia così”, dico abbassando lo sguardo. Devo avere gli occhi rossi.

“Però, tu stai bene?”

“Sì.”

“Allora perché piangi?”

Mi tocco gli occhi e vedo che le lacrime stanno già scendendo.

“Io…”

“Non negarlo quando stai ovviamente piangendo.”

Pong reagisce sempre in fretta quando si tratta di queste cose.

“Non lo sto negando. Stavo per dire che sto bene.” Mi asciugo le lacrime e rido: “Ho passato di peggio.”

“Davvero?”

“Vorrei non fosse così.”

Pong mi guarda in faccia. Ci guardiamo negli occhi, ma io distolgo i miei per primo. Non vorrei essere un piagnucolone.

“Pran…” Mi chiama e mi tocca la spalla con la sua mano calda. “Puoi piangere, non ti giudicherò.”

“Va tutto bene”, scuoto la testa e mi asciugo le lacrime. “È solo che non capisco perché si odino tanto.”

“...”

“Almeno non starei seduto qui, senza neanche un indizio, come un idiota.”

“È successo prima che tu nascessi”, borbotta Pong. Sembra turbato, come se, allo stesso tempo, volesse dirlo e non dirlo.

Mi acciglio e lo guardo negli occhi, mentre il mio cuore batte velocemente. “Tu sai…? Sai cos’è successo?” Tutte quelle cose di cui non ho la minima idea.

“Io… ne so qualcosa”, ammette, distogliendo lo sguardo. “I miei genitori me l’hanno detto.”

“Pong”, lo chiamo, mi avvicino a lui e lo tiro per una manica. “Dimmelo. Dimmi tutto.”

“Ma è…”

“Almeno fammi capire perché devo patire tutto questo.”

Pong si fa silenzioso quando lo interrompo prima che lui possa finire la frase. Ci guardiamo negli occhi finché lui cede con un sospiro: “Si tratta degli affari.”

Annuisco. Quando finalmente Pong inizia, ascolto attentamente tenendo gli occhi fissi su di lui.

“Non conosco i dettagli, ma so che quella famiglia era nel campo delle costruzioni fin dai tempi in cui il nonno era vivo. Erano una delle migliori aziende all’epoca e ottenevano solo grandi appalti. Quando la tua famiglia si è trasferita lì, nessuno sapeva nulla dell'altro. Hanno scoperto di lavorare nello stesso settore solo quando si sono conosciuti. È stato allora che sono nate le ostilità. Hanno iniziato a litigare dopo diverse gare ed è andata peggio quando la tua famiglia ha iniziato a vincerle tutte.”

“Gli abbiamo tolto le opportunità?”

Pong scuote la testa: “Questi sono affari, Pran. In questo gioco vincono quelli intelligenti con un alto budget e con le conoscenze giuste.”

“Cos’è successo dopo?”

Pong sospira di nuovo. Sorride e scuote la testa debolmente: “È tutto ciò che so. Non sono sicuro che sia tutto vero. Devi chiedere allo zio.”

“Già…” Mormoro guardandomi le mani.

“Lo ami così tanto?”

“Certo”, rispondo, mentre il volto di quella persona si fa strada nella mia mente. Mi manca da morire. Voglio sentire la sua voce e vedere il suo viso… Vorrei disperatamente toccarlo. “Molto più di quanto pensassi.”

“Allora perché ti sei arreso? Non sei mai stato un tipo obbediente.”

“Per questo ho detto che non sono sempre aggressivo. Questa storia è troppo problematica, influisce su molte cose.”

“Anche Pat si è arreso? Ricordo che era un tipo abbastanza avventato.”

“Mi ha chiamato e mi ha chiesto di scappare via insieme.”

“Seriamente?”

“Non è divertente”, mi acciglio, lanciando un’occhiataccia alla persona che sorride nonostante lo shock. “Potrà anche essere impetuoso e sconsiderato, ma come poteva aspettarsi che uno ragionevole come me avrebbe potuto precipitarsi fuori e fuggire con lui proprio in quel momento?” 

“Perché non l’hai fatto?”

“Se solo fosse così semplice. Lo sai.”

“Lo so. So cosa pensi.” Pong posa la sua mano sulla mia testa. Piango di nuovo per le sue parole. “Sei un bravo ragazzo.”

Scuoto la testa, continuando a sorridere debolmente, mentre lascio che lui mi accarezzi i capelli. Borbotto: “Fare il bravo ragazzo non mi rende per niente felice.”

Ogni sera, quando ho finito i miei impegni, appoggio la schiena sulla spalliera del letto, mi metto un cuscino in grembo e ci metto sopra il portatile per tenermi aggiornato. Non ho problemi a dormire. Voglio solo sapere come sta qualcuno. Se potessimo controllare chi visualizza di più il nostro profilo, sarei il primo nella lista delle visualizzazioni giornaliere del profilo di Pat. La foto della sua cerimonia di fidanzamento è ancora sulla timeline. Fa male ogni volta che la vedo, anche se so che il suo sorriso è innaturale in quella foto. Ci conosciamo da anni, quindi è impossibile per me non accorgermene.

Scorro la pagina verso il basso e vedo una foto in cui sua sorella lo ha taggato. Ha i capelli più lunghi dell’ultima volta. Sta leggendo qualcosa, sembra tutto serio. È un’espressione rara da vedere. Il desiderio che ho di lui sgorga nuovamente. Tocco lo schermo con la punta delle dita e seguo i contorni del viso della persona che non vedo da mesi.

Il mio cuore si stringe al pensiero di lui che abbraccia e bacia un’altra persona. Vorrei poter sostituire il cuscino che ho in grembo con la sua testa. Vorrei poter tornare indietro nel tempo per poterci guardare negli occhi e abbracciarci mentre siamo sdraiati, respirando e toccando i nostri corpi come facevamo una volta.

Trattengo le lacrime che mi colmano gli occhi quando appare una notifica di messaggio, nella chat in basso, con il nome di Par.

Par Napapha: Sei ancora sveglio?

Sorrido, mi sento meglio a parlare con qualcuno vicino a Pat. Ci scriviamo solo una volta ogni tanto a causa del diverso fuso orario. Ne abbiamo occasione solo quando rimango sveglio fino a tardi.

Parakul S: Già. Rimarrò in piedi ancora un po’.

Par Napapha: Non è quasi l’alba laggiù?

Parakul S: Non ho sonno. Come stai?

Par Napapha: Tutto bene. E tu?

Parakul S: Nulla di interessante.

Dopo quella risposta, vedo che Par sta digitando qualcosa. Il simbolo sparisce e riappare, come se stesse scrivendo e cancellando di continuo. E così, decido di iniziare per primo.

Parakul S: Lui…

Parakul S: sta bene?

Par Napapha: Probabilmente sta come te.

Par Napapha: Sembrate provare gli stessi sentimenti.

Rido, perché la ragazza impudente è arguta con le parole esattamente come il fratello.

Parakul S: Che fantastica scelta di parole.

Par Napapha: Non ti manca Pat?

Parakul S: Sì.

Parakul S: Perché non dovrebbe?

Par Napapha: Non tornerai?

Visto che sto parlando sinceramente, Par ha smesso di preoccuparsi di nominare Pat. Dopo aver all'inizio digitato e cancellato le sue parole, adesso i suoi messaggi arrivano senza esitazione.

Par Napapha: Mi dispiace per Pat.

Par Napapha: Non sembra a posto. Dall’esterno sembra stia bene, ma dentro dev’essere un disastro.

Par Napapha: Per te è uguale, vero…?

Parakul S: Sto bene. Prenditi cura di Pat, ok?

Par Napapha: Sei testardo come sempre. Non saprei neanche se piangi mentre parliamo.

Leggo la sua risposta più volte e faccio un profondo respiro per dimostrare che si sbaglia. A volte odio io stesso la mia testardaggine. 

Parakul S: Vado a dormire.

Parakul S: Per favore, prenditi cura di Pat per me.

Par Napapha: Buonanotte. Anche tu, prenditi cura di te.

Leggo la sua risposta e chiudo la schermata senza rispondere. Appoggio la testa contro la testiera del letto e fisso il soffitto bianco con lo sguardo stordito. Lascio che i miei pensieri si  allontanino mentre rifletto sui miei sentimenti.

Non importa quanto tempo sia passato, quello che provo per Pat non cambierà mai.



La cosa più strana di quest’anno è appena accaduta. Mi sono accigliato e ho stretto le labbra quando Pong mi ha infilato il cellulare in mano, con una frase: “È lo zio.”

Fisso il cellulare per un po’, poi raccolgo il coraggio per portarmelo all’orecchio e dire: “Sì?”

[Pran.] La sua voce sembra la stessa, non diversa dall'ultima volta che l’ho sentita.

“Sì?”

[Come va? È passato un po’ di tempo.]

Mi stupisco nel sentire quelle parole inaspettate. Non avrei mai pensato che avrebbe potuto chiamare solo per chiedermi una cosa tanto semplice.

“Sto bene… Tu come stai?”

[Mh… Sto bene.]

“Capisco.”

Nessuno dei due dice altro. Non ci parliamo da mesi, eppure non abbiamo niente da dire ora che ne abbiamo l’occasione. È tutto così imbarazzante. Stringo i pugni e muovo nervosamente i pollici, cercando di tirare fuori qualche argomento. Papà, però, parla per primo.

[Ho visto Pat l’altro giorno.]

“...”

[Per parlare di lavoro.]

“Capisco”, stringo le labbra, chiedendomi perché l’abbia tirato in ballo.

[Ultimamente ci siamo incontrati abbastanza spesso, è venuto a trovarmi per offrirmi la sua collaborazione.] Mio padre ridacchia. [Il ragazzo sembra a posto, ma non sono così sicuro quando si tratta del padre.]

“Si.”

[Adesso è più maturo. Possiamo fare delle adeguate conversazioni, con mia sorpresa.]

“...”

[Ho scoperto da poco che il moccioso della porta accanto è bravo nel suo lavoro.]

“...Sì”, ripeto. Esito a chiedere una cosa che mi infastidisce sin da ieri. Poiché il silenzio si trascina più a lungo del dovuto, decido di farlo. “Papà.”

[Dimmi.]

“Posso chiederti una cosa?”

[Che cosa?]

“Puoi dirmi cos’è successo tra la nostra famiglia e quella di Pat?”

[Perché vuoi saperlo? Non ti preoccupare per una cosa così. Non voglio parlare di questo.]

“Non me lo vuoi dire, anche se influisce su ogni aspetto della mia vita?” Inspiro a fondo. “Qual è il motivo per cui sono stato mandato qui?”

Papà non dice niente per quasi dieci minuti, ma io sono disposto ad aspettare senza fargli fretta, permettendogli di valutare le opzioni.

[La P&P era una famosa ditta di costruzioni a quel tempo.] Inizia a raccontare. [Tutti i grandi progetti se li aggiudicavano loro. Si può dire che lavoravano alla maggior parte degli appalti politici, quindi avevano importanti sostenitori e un ampio budget. Quando ho aperto la nostra azienda e ho scoperto che era il nostro vicino il proprietario della P&P, ho semplicemente pensato che fosse una coincidenza. Ci consultavamo spesso e occasionalmente ci scambiavamo informazioni. Conoscendoli meglio, avevo capito che avevano diversi punti deboli. Specialmente durante la crisi economica, non riuscivano a trovare i soldi e hanno dovuto affrontare la bolla finanziaria. Alla fine, la loro azienda era uscita dalla lista degli offerenti.]

“E abbiamo ottenuto noi tutti i progetti…?"

[Non tutti.] Papà sospira. Sento la stanchezza nella sua voce e capisco quanto è invecchiato. [Più avanti sono venuti da noi per chiederci un prestito.]

“Il papà di Pat?” Aggrotto la fronte, incapace di immaginarlo. “Chiedere un prestito a noi?”

[Sì, per milioni.] La voce di papà si fa cupa, irritata. [Come si poteva prestar loro dei soldi durante la crisi economica? I loro parenti non potevano aiutarli e noi non eravamo così intimi. Inoltre, non avevano alcuna garanzia. E poi, anche la nostra famiglia stava soffrendo per la bolla economica. Ammetto che dovevamo assicurarci dei progetti non redditizi e usare i nostri soldi per monopolizzare i progetti futuri. Anche noi eravamo in una situazione rischiosa. Era impossibile prestare loro dei soldi.]

“Allora perché odiarli…”

[Non ho cominciato io.]

“...”

[Avevano perso e non potendo accettare di aver sbagliato, hanno incolpato noi per la loro situazione. Erano degli idioti incapaci di accettare la realtà.]

Stringo le labbra e ingoio. La voce di papà suona tesa e più seria che mai.

[Con il poco budget che avevano non riuscivano ad assicurarsi alcun lavoro. Il loro successo si è trasformato in un fallimento. Hanno inveito contro di noi quando ci siamo rifiutati di prestare loro del denaro. C’erano altri modi per risolvere la questione, ma hanno scelto di mandare qualcuno a rovinare i nostri affari. Ci hanno persino accusato di gestire attività illegali e che eravamo così inaffidabili sul lavoro da mettere a rischio una buona compagnia.]

Mi sta venendo il mal di testa. Velocemente, analizzo tutte quelle informazioni approssimative. La testa mi fa ancora più male quando arrivo a una conclusione.

“Ci hanno accusati… quando loro hanno fatto la stessa cosa?”

[Sì.] Papà ridacchia. [Le cose vanno così in questo settore. Nessuna strada è cosparsa di petali di rosa. Ho rinunciato a tanto per essere dove sono adesso. Adesso capisci perché i nostri rapporti con quella famiglia sono irrecuperabili?]

“Ma puoi perdonarli…? Puoi perdonare Pat?”

[Ci siamo odiati per anni. Non penso che la riconciliazione sia un’opzione.]

“...”

[Non mi importerebbe molto se non avessero mandato qualcuno a rovinarci. Chi gli ha detto di attaccarci?] Papà sospira profondamente. [Be’, hanno sofferto abbastanza. Tutto quello che posso fare adesso è non intromettermi nei loro affari.]

“Papà…”

[Cosa c’è?]

“Sei stanco?”

[Certo.]

“Mi dispiace.”

[...Se ti senti in colpa, devi solo tornare ad essere il figlio che avevo prima.]

“Sono sempre stato il figlio che avevi.”

[Dimentica il tuo errore e ricomincia. Vivi come le persone normali.]

Sembra che papà parli di me e Pat. Sento un nodo amaro in gola: “Non ho mai pensato a me stesso come anormale.”

[Non capisco. Non hai mai avuto quegli interessi.]

“Non capisco nemmeno io.”

[Allora non dedicargli nemmeno un pensiero. Dimenticalo. Sei ancora giovane, Pran. E anche Pat.]

“Non si tratta dell'età, papà. Anche tra molti anni, non guarderò dall'alto in basso i miei sentimenti pensandoli come un errore di gioventù.” Serrò le labbra trattenendo le lacrime. “Mi dispiace… di non essere in grado di controllare il mio cuore.”

[...]

“...”

La conversazione si interrompe così, nessuno dei due parla più. È così silenzioso che possiamo sentire il nostro respiro. Finalmente, papà parla.

[Pran.]

“Sì?”

[Sei felice?]

La domanda improvvisa mi sorprende. È una domanda facile, ma devo pensarci per qualche minuto. Alla fine, gli rispondo con una domanda.

“Vuoi che io sia felice?”

[...] Lui tace per un momento. Apro i pugni chiusi e respiro più lentamente.

[Riposati, parliamo più avanti. Prenditi cura di te e fa’ il bravo con Pong, ok?]

“Sì, anche tu.”

[...Voglio che tu sia felice.]

Papà chiude la chiamata, lasciandomi con una strana sensazione. Non so se sono felice o triste. Il calore e la visione offuscata mi svuotano la testa.

Guardo il mio orologio. Sembra un orario decente per fare una chiamata, prendo di nuovo il telefono e seleziono il numero della persona che non posso dimenticare. Osservo attentamente il numero prima di trovare il coraggio di fare partire la chiamata. Il mio battito cardiaco accelera spaventosamente. Ascolto il suono di attesa costante.

Alla fine… nessuno risponde.


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