Riflessione sulla nostra generazione: tra paura e speranza

Riflessione sulla nostra generazione: tra paura e speranza

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Per poter correttamente approcciare la lettura di queste righe è necessario precisare che affrontare un tema fumoso e vasto come la paura, nella fattispecie orientata verso il prossimo avvenire dei giovani, ha richiesto una buona dose di fantasia e sensibilità personale per l’interpretazione delle fonti letterarie utilizzate per la composizione dell’articolo. Tenendo presenti queste premesse, mi auguro che il lettore possa apprezzare il tentativo di riflessione e possa, a partire da questo, riflettere su una materia difficile come questa.

La nostra vita è un viaggio nell’inverno e nella notte; noi cerchiamo il nostro passaggio dove il cielo non dà luce”.

Il romanzo Viaggio al termine della Notte di Louis-Ferdinand Céline si apre con i versi di questa vecchia canzone della guardia svizzera: parole di un’altra epoca, si potrebbe obiettare, legate certamente al secolo scorso, a un’epoca che visse il terrore della disumanizzazione, a un periodo che aprì la strada all’Antropocene e alla nostra umanità globalizzata. Queste parole possono risultare vuote allo sguardo cinico del medio osservatore del tempo moderno: il tempo della disillusione, come l’ha definito qualcuno. Proprio queste sono le situazioni difficili che la nostra generazione vive e affronta. A chi verrebbe in mente di definire la nostra epoca come un periodo di ricerca e introspezione, quando i dati mostrano tutt’altra tendenza? Basti pensare ai dati dei suicidi giovanili, in aumento da più di vent’anni. Si pensi alla pandemia, trauma indelebile del nostro secolo, o ai forti venti di guerra che pesano sulle nuove generazioni europee. Davanti a questi eventi non si può rimanere indifferenti, non si può non avere paura. Più che secolo di ricerca e di modernità, questi anni sembrano invece presentare un ritorno al buio e all’incertezza del periodo tra i due conflitti mondiali.
Proprio le notizie di conflitto sono quelle che turbano maggiormente: prima la guerra in Ucraina, poi gli scontri in Palestina, per non citare l’allargamento dell’alleanza atlantica e le tendenze allarmiste della stampa. Questo scenario plumbeo è però, per adesso, solamente il macabro retroscena delle nostre preoccupazioni quotidiane. Non ci siamo tuttavia dimenticati della spada di Damocle contemporanea, ovvero ciò che attende la nostra generazione e che le stesse editorie non mancano di sottolineare: si parla di insostenibilità del sistema pensionistico, di inadeguatezza del sistema d’istruzione, il tutto accompagnato dal tagliente giudizio delle vecchie generazioni.

Avendo delineato questa trafila di situazioni, chi mai sarebbe tranquillo affrontando la vita di ogni giorno? Come biasimare coloro che rifuggono la realtà ricorrendo agli eccessi, a cui, è inutile negarlo, noi tutti abbiamo fatto ricorso almeno una volta? In fondo, tutti noi compatiamo quei nostri amici marchiati più duramente da quella sofferenza a noi familiare, i quali si sono trovati a cercare consolazione nel gesto più estremo. Sono troppe le lacrime che non abbiamo versato per la fatica giornaliera di affrontare quel fumoso ‘mal di vivere’ che si potrebbe delineare già negli scritti degli autori e nelle opere della prima metà del secolo scorso. Pensiamo a Italo Svevo e ai suoi personaggi: Zeno Cosini, incapace di prendere in mano la sua vita e l’ultima sigaretta, oppure Alfonso Nitti, inadeguato alla vita, ostracizzato dalla sua comunità e inadatto ai rapporti di questo mondo. Potremmo poi risvegliare le memorie delle superiori citando Virginia Woolf, la sua vita travagliata e turbata dai dolori del suo tempo: gli stessi dolori che, in buona parte, contribuirono a causarne la morte. Nella limitata esperienza, che appena due decenni di vita possono fornire, la generazione Z ha visto più di quanto la scorsa generazione abbia mai vissuto sulla sua pelle: siamo stati resi sensibili alle sofferenze proprio perché stufi del qualunquismo individualista di quella sfera capace soltanto di compatire il mondo, senza mai veramente immolarsi per esso.

L’esperienza della nostra generazione è toccata dalla comune afflizione per i nostri destini, i quali si sono finalmente scoperti intrecciati inesorabilmente gli uni con gli altri. Noi occidentali viviamo quotidianamente la contraddizione del terzo millennio: trascorrere la vita savi della nostra abbondanza, e consapevoli (diversamente da ogni nostro antenato) che la fine per noi potrebbe essere vicina e potremmo essere noi i nostri stessi carnefici: quale altra generazione ha dovuto affrontare un peso tanto grande? Quale altra generazione ha dovuto sostenere la gravità degli errori commessi dai suoi padri?

Pensando al protagonista di Viaggio al termine della notte, Ferdinand Bardamu, uno dei tanti inetti della letteratura del secolo scorso, maestri del “lasciarsi vivere”, durante le sue peregrinazioni va avanti crogiolandosi in uno stato che supera ed ignora l’afflizione e appare come rassegnato al fluire implacabile della vita che aspira unicamente alla sua fine. In sintesi, potremmo elevare questo personaggio ad emblema dell’individualismo del secolo scorso. Freddo, cinico e senza remora alcuna alla noncuranza verso il prossimo. Insomma, una descrizione che appare poco calzante per le aspirazioni della generazione Z.

Il lusso dell’indifferenza è proprio ciò che noi nati a cavallo del millennio non possiamo e non vogliamo permetterci. Nella nostra quotidiana esposizione ad un mondo che scivola lentamente davanti ai nostri occhi verso il baratro ed appare inadeguato alla spiccata sensibilità che accomuna i nati tra 1995 e 2010, nessuno di noi può sfuggire ad una spinta verso la creazione di un mondo migliore. Ed è proprio nel solco di questa comune spinta verso ciò che è migliore che si insinuano le ansie ed i dolori individuali. Il senso di inadeguatezza e di smarrimento, la paura del fallimento nelle scuole, dove i giudizi dei docenti fanno da specchio ad un sistema giudicante e che poco ha a che fare con la nuova sensibilità dei giovani, sono la mora che noi studenti siamo costretti a pagare per le tendenze reazionarie degli adulti a cui dovremmo guardare come esempi. La nostra generazione soffre delle limitazioni dei sistemi e delle pratiche del secolo scorso, lo stesso secolo che ha portato in grembo i due conflitti mondiali e la costante tensione della Guerra fredda: un contesto che ha assuefatto i nostri predecessori con un’indifferenza tale, che oggi sembra loro impossibile comprendere la rinnovata simpatia e sensibilità che questa generazione riscopre attraverso i tremori di un attacco di panico o i respiri affannosi di una crisi di nervi.

In quest’ottica la nostra generazione, proprio attraverso le paure e le insicurezze, è alla riscoperta della sensibilità umana, quasi una nuova riscoperta delle potenzialità dell’umanità ridestatasi dal torpore narcotico delle decadi passate, risorta dalle ceneri di un secolo in frantumi che ha visto gli effetti del qualunquismo e della radicalizzazione.
Moltissimi sono gli esempi di un ritorno ad una sensibilità che non credevamo ci appartenesse più: uno tra questi è la figura di Edoardo Prati, classe 2004, un giovane studente di Lettere classiche divenuto personaggio pubblico sui social grazie ai suoi contenuti sulla letteratura classica e medioevale. Figura emblematica della generazione Z, il suo percorso riflette una delle più piacevoli riscoperte della bellezza e della viscerale emotività dell’essere umano che si concretizza nella letteratura classica ed italiana medioevale, e che torna in auge nella realtà moderna grazie alla passione ed all’immedesimazione che i suoi reels riescono a fornire.
In una delle sue tante interviste, egli stesso ha affermato di avere la speranza e la fiducia che la sua generazione, proprio grazie alla indole sensibile alla bellezza ed ai dolori del mondo contemporaneo, possa rendersi protagonista di una nuova rinascita umanistica, un nuovo rinascimento contemporaneo.

Le paure e le ansie che permeano il quotidiano della generazione Z sono come fili invisibili che intrecciano le nostre vite, formando una rete intricata di preoccupazioni e incertezze. Ci troviamo ad affrontare una serie di sfide senza precedenti, dalle pressioni accademiche e lavorative all’ansia sociale e alla paura di non essere all’altezza delle aspettative imposte da una società sempre più competitiva e frenetica. Le tensioni geopolitiche e le crisi globali, come la pandemia che ha sconvolto il mondo, alimentano ulteriormente le nostre paure e ci lasciano interrogativi senza risposta sul futuro. Ci sentiamo come se fossimo costantemente in bilico su un filo sottile, con il terreno che si sgretola sotto i nostri piedi e il futuro che appare sempre più incerto e minaccioso. Tuttavia, è proprio in mezzo a queste paure e ansie che emerge la nostra forza e la nostra resilienza. Siamo una generazione che sa adattarsi rapidamente alle circostanze mutevoli, che sa trovare soluzioni creative ai problemi e che non si arrende di fronte alle sfide che ci attendono. La nostra sensibilità e la nostra consapevolezza ci rendono capaci di cogliere il significato più profondo delle nostre esperienze e di trasformare le nostre paure in opportunità di crescita e cambiamento. Nonostante le difficoltà che incontriamo lungo il nostro cammino, siamo uniti dalla consapevolezza che non siamo soli nelle nostre battaglie. Condividiamo le nostre paure e le nostre ansie con milioni di altri giovani in tutto il mondo, e insieme possiamo trovare conforto e sostegno reciproco nell’affrontare le sfide che ci attendono.

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