Per una Metafisica della 4TP (3): il clima interiore di ricerca dell’Essere nel Dasein 

Per una Metafisica della 4TP (3): il clima interiore di ricerca dell’Essere nel Dasein 

di René-Henri Manusardi


«Non si può parlare di Dasein senza un confronto con la morte. In quel momento non ci sono più nomi, né individui: è allora che si spalanca l’essenza del Dasein. È necessario, come propone Heidegger, ripensare tutti i concetti della politica, della società, della filosofia, della cultura e dei rapporti con la natura prendendo le mosse da quest’esperienza radicale ed esistenziale, da tale momento pensante. Solo a partire da questo spazio esistenziale libero da tutto il resto è possibile ricostruire un’ontologia scientifica, un’ontologia politica, un’ontologia socio-culturale... Ma sempre e solo a partire da questo Risveglio esistenziale. E tale Risveglio non è un’idea trascendente, ma un’esperienza immanente, che deve tornare a essere la radice della politica». [1]


Incipit

    I temi legati ai movimenti di ricerca interiore dell’Essere da parte dell’Esser-ci, ossia del Dasein, che ha realizzato in sé la coscienza della realtà dell’Essere e cerca di raggiungerlo, di viverlo in sé oppure di accoglierlo attraverso la sua apertura interiore, di trasferirvisi, di identificarvisi o altro, sono temi molteplici per lo più non chiaramente identificabili e spesso, come l’aria che si respira ma che non si vede, non riescono ad essere cristallizzati in una riflessione critica, in quanto prima di diventare deduzione riflessa, mancano della realtà di essere un’induzione esperita.

    Cercheremo quindi con molta modestia ed umiltà profonda di proporvi alcune intuizioni circa il clima interiore di ricerca dell’Essere da parte dell’Esser-ci, senza la pretesa di essere esaustivi o meglio di vantare falsa iniziazione o ancora più di ardire commediante sapienza. Ma il nostro preciso intento, è quello di essere e di considerarci un odisseico nessuno ed un sicuro nulla, che vuole confidare esclusivamente nell’autorità di Martin Heidegger e nella maestria del suo miglior interprete, il filosofo Aleksandr Dugin, onorandoci di essere in fieri del secondo uno sconosciuto allievo e un imperfettissimo cultore. Ci affidiamo così all’ispirazione della loro forza interiore, consci di riflettere e di descrivere qui con i criteri dell’antropologia mistica solo ciò che abbiamo realmente sperimentato, senza l’ardire di considerarci alcunché, poiché:

    «La pietra di paragone più dura, ma anche meno ingannevole, per saggiare il carattere genuino e la forza di un filosofo è se egli esperisca subito e dalle fondamenta, nell’essere dell’ente, la vicinanza del nulla. Colui al quale questa esperienza rimane preclusa sta definitivamente e senza speranza fuori dalla filosofia» [2].

    Avvisiamo che il far coincidere da parte nostra – secondo i dettami della filosofia tomista – il Dasein con l’essenza dell’anima (dette anche anima cosciente dall’Antropologia mistica) che emana da sé stessa l’intelletto come pura presenza, non contraddice ma, a nostro modestissimo avviso, va a completare ciò che il Prof. Dugin dice a proposito dell’intelletto e della sua parte attiva, citando in tal senso Heidegger e Aristotele:

    «(…) Heidegger è invece più interessante e profondo. Ho studiato per anni il suo pensiero, scrivendo quattro libri su di lui. L’aspetto importante del Dasein è che descrive l’uomo non come un’entità data. Di solito pensiamo all’uomo usando categorie come individuo, classe, società, nazione, che però sono solo forme secondarie. Volendo definire l’uomo nella sua radice più profonda, il Dasein è ciò che rimane quando lo liberiamo da tutti questi preconcetti culturali. Non è molto facile comprenderlo: bisogna operare una radicale distruzione – o decostruzione – di tutti gli aspetti socio-culturali, storici, religiosi (anche tradizionali) attribuiti all’uomo. Il Dasein non corrisponde a nessuna delle definizioni dell’uomo. Non è individuo, non è collettività, né Anima, Spirito o Corpo: tutto ciò è secondario. È invece una pura presenza dell’intelletto, che si schiude solo quando ci troviamo di fronte alla morte». [3]

    «Possiamo porre il “centro” dentro di noi, all’interno di noi. E questa internalità assoluta coincide precisamente con il Soggetto Radicale o con l’intelletto attivo di Aristotele. Aristotele nel suo Trattato sull’Anima, ha spiegato molto bene che il centro assoluto dell’anima è l’intelletto attivo e ci sono anche altre parti dell’anima che sono le parti dell’intelletto passivo L’intelletto attivo con l’intelletto passivo formano l’unità dell’interiorità (…)». [4]


L’itinerario dallo spazio all’infinito

    Il Dasein, l’Esser-ci inteso come essere umano vivente nella sua dimensione più profonda di anima cosciente, vive nello spazio, abita molti spazi, è detentore di spazialità. Lo spazio individuale e familiare, lo spazio della comunità locale, lo spazio dell’ethnos, della nazione e dello Stato in cui abita, lo spazio delle amicizie, delle relazioni interpersonali, del lavoro, dello studio, dello sport, della natura, dello svago e molto altro caratterizzano spazialmente la presenza del Dasein nel mondo.

    Ma prima di tutta questa spazialità esteriore, il Dasein è dotato di un grande spazio interiore tendente in un certo senso verso l’infinito, sia perché il Dasein è immagine e somiglianza che viene continuamente creata dall’Essere (subsistentia), sia perché questo Esser-ci è destinato a contenere l’Essere in una trascendenza immanente (praesentia). Perciò l’Esser-ci, prima di questo spazio, di questo insieme di spazi e sottospazi che caratterizzano il suo essere-nel-mondo, nella sua sostanza più abissale coincide con l’anima cosciente, il Dasein è quindi la stessa anima cosciente ossia la realtà più profonda nell’integrità del complesso antropologico psicosomatico.

    Ed è proprio quando il Dasein, quando l’anima cosciente attraverso ascesi, meditazione e preghiera riesce a liberarsi dai condizionamenti del corpo e della mente e dal perenne conflitto corpo vs mente, che il medesimo Dasein si risveglia a sé stesso, come destato dal sonno della morte e dal torpore dei sensi. Così questo Esser-ci (essere-qui) acquisendo coscienza di sé, scopre indi la vastità enorme di questo suo proprio spazio interiore che inizialmente può apparire sconcertante, prima di diventare familiare ed abituale.

    Il Dasein compie così il suo primo viaggio interiore verso l’Essere, alla ricerca dell’Essere. Un itinerario che va dallo spazio all’infinito, dal suo spazio interiore verso l’infinito, alla ricerca di questo infinito dentro sé di cui il Dasein non sembra essere mai sazio. Una ricerca d’amore dettata principalmente dall’eros dei sensi che in questo viaggio dovranno essere purificati, da quell’attrazione sensuale che in questa prima fase di risveglio del Dasein è passione che spinge il motore immobile dell’anima cosciente a voler possedere l’Essere percepito come infinito, un infinito che la fa gemere nell’impossibilità di afferrarlo, di averlo tutto dentro sé e di dissolversi in lui. Nel procedere in questo viaggio il Dasein a un certo punti subisce un arresto esistenziale, nel momento in cui percepisce chiaramente che la misura dell’infinito è una misura contraria a quella dello spazio, che l’infinito è antagonista dello spazio, e che l’infinito è un buco nero che divora lo spazio e in cui il Dasein deve necessariamente cadere, essere annientato per poi risorgere come l’araba fenice ad una vita a cui i sensi non hanno più dominio su di lui ma sono placati e riequilibrati.

    La caduta del Dasein nella voragine dell’infinito dà origine alla vacuità, a quel senso di vuoto primariamente esistenziale che purifica i suoi sensi nella prima terribile katharsis, un’insopportabile immersione nel dolore della sensitività, dell’emotività, della sentimentalità che vengono così umanizzate nel dominio di sé. L’aspetto finale, il limes di questa prova, la sua parte positiva è la nascita del vacuum state, un atteggiamento di vuoto della mente, di assenza spontanea di pensieri che permette al Dasein di acuire l’osservazione, di esercitare una tranquilla attenzione, necessarie per prendere pienamente coscienza della seconda dimensione esistenziale in cui il Dasein stesso vive ed è immerso insieme a quella spaziale, ossia la dimensione del tempo, la temporalità.


Il viaggio dal tempo all’eternità

    Il tempo è tiranno. Il tempo vola. Il tempo non torna mai indietro ma procede sempre in avanti. Tuttavia, il Dasein risvegliato a sé stesso e purificato dalla prima katharsis spazio>infinito>vuoto, vive adesso nei confronti della “dimensione tempo” attraverso la condizione esistenziale del hic et nunc, del qui e ora. Una condizione naturale questa e, contemporaneamente, acquisita dall’habitus del vacuum state, ossia da una pratica del vuoto mentale che diventa successivamente innata, permeando così ogni singolo respiro ed ogni attimo di vita del Dasein, andando oltre il ristretto periodo dedicato alle pratiche meditative e devozionali, nonché trasformandosi in atto e in atteggiamento esistenziale.

    In questa nuovo status, la dimensione temporale non è sospesa ma scorre lenta, aumentando progressivamente nel Dasein la coscienza di sé (essere-qui) e di ogni singolo atto interiore e ad extra che egli compie come Esser-ci, come essere-nel-mondo. In questa condizione di enstasi esistenziale denominata immanenza, inizia così un nuovo viaggio del Dasein, dell’Esser-ci verso l’Essere, un viaggio dalla dimensione del tempo a quella dell’eternità. L’Esser-ci infatti, in un moto naturale proprio della sua natura, percepisce la precarietà e la finitezza della sua immanenza, della sua condizione di enstasi e cerca una via d’uscita.

   Dalla condizione di enstasi ora il Dasein cerca la via dell’estasi, dall’immanenza cerca il tragitto verso la trascendenza, dalla linearità del tempo cerca lo sbocco verso l’eternità. Questo secondo viaggio che il Dasein compie dal tempo all’eternità, è un viaggio d’amore dettato dall’agàpe come vettore di desiderio del motore immobile dell’anima cosciente, un desiderio quindi primariamente altruistico in cui prevale il sincero desiderio di conoscere l’Essere, ma che è un desiderio combinato alla fame ancora egoistica di possedere questa conoscenza. Questa tensione esistenziale in cui il legittimo desiderio verso il sacro si mescola alla pulsione incontrollata del profano, questo desiderio di conoscenza in cui luce e ombra si contendono il passo, verrà poi purificato nella seconda katharsis, dove le potenze dell’anima ossia la memoria, l’intelletto, la volontà, verranno purgate e infine riorganizzate verso un’ordinata conoscenza dell’Essere da parte dell’Esser-ci.

    Anche qui, come già detto per l’infinito nei confronti dello spazio, in questa terribile seconda purificazione il Dasein subisce un nuovo arresto esistenziale, percepisce che il tempo e l’eternità sono antagonisti, che il tempo davanti all’eternità si elide da sé, che l’eternità è una voragine che ingurgita il tempo lento del qui e ora proprio del Dasein, trascinando il medesimo Dasein verso un nuovo annichilimento interiore e nella direzione di una successiva rinascita. Da questo nuovo risorgere, il Dasein, l’Esser-ci che ha subito la purificazione delle sue potenze, acquisisce il dono della visione, gli viene donata da parte dell’Essere la facoltà di vedere e di conoscere le Idee, gli archetipi, i simboli attraverso i quali lo stesso Essere ha generato il kosmos, ha creato tutto ciò che esiste sulla Terra e nell’Universo. Questa visione conoscitiva, in cui prevarrà la potenza, la facoltà dell’intelletto attivo, condurrà il Dasein ad un ulteriore grado di coscienza di sé, a un terzo viaggio che sarà il passaggio dalla visione della trascendenza dell’Essere nelle sue Idee, alla presenza dell’Essere nell’Esserci in molteplici modalità.


La traversata dall’intelletto all’apofatismo 

    L’Esser-ci, il Dasein è generato dall’Essere. L’Esser-ci tende per sua natura verso l’Essere. L’Esser-ci, essendo nato per vivere nell’Essere è attratto potentemente dall’Essere, è violentemente affascinato e sedotto dall’Essere. Per questi motivi, la memoria e la volontà purificate dalla seconda katharsis spingono ex natura sua l’intelletto se non a “vedere” direttamente l’Essere – perché ciò avviene nella condizione presente solo per spæculum et in ænigmitate ossia come in uno specchio e in modo confuso –, almeno a “conoscere” l’Essere per quanto più possibile alla natura limitata dell’Esser-ci. Così il Dasein inizia il suo terzo viaggio, questa volta attraverso la potenza dell’intelletto nella sua parte attiva, un viaggio dall’intelletto al non-intelletto, dalla conoscenza alla nube della non-conoscenza, dall’intelletto attivo all’apofasi (apofatismo).

    Il Dasein, nel suo motore immobile di anima cosciente, viene spinto dalla sua violenta fame di conoscere l’Essere in questo nuovo viaggio d’amore attraverso l’impulso interiore della philia, attraverso il desiderio insopprimibile di un’amicizia perenne capace di trasformarsi in unione permanente e trasformante. Questa vocazione all’Essere da parte del Dasein, questa ricerca di adesione, conformità, unione, unità, scomparsa dell’Esser-ci nell’Essere è così forte e violenta in quanto essa rappresenta l’essenza stessa del Dasein, o meglio la sua sostanza più profonda che è amore aperto all’Amore, è apertura d’amore, è il luogo dell’incontro e delle nozze, è quella parte dello stesso Dasein, della stessa essenza dell’anima cosciente che viene chiamato spiritus (spirito) dall’Antropologia mistica, la quale riprende e perfeziona dal punto di vista semantico nozioni sperimentali di mistica naturale e teista.

    Ma perché avvenga questo è necessaria una terza purificazione, o meglio uno svuotamento totale e integrale del Dasein, una kenosi capace di svuotare l’Esser-ci, l’anima cosciente nella sua stessa essenza, uno svuotamento che è nella sua realtà una morte, la morte mistica dell’Esser-ci. Una morte che ha inizio quando l’intelletto attivo si rende conto della sua incapacità di conoscere l’Essere, perché il suo logos si ferma davanti alla nube della non-conoscenza, si arresta davanti all’incapacità di concepire e comprendere la realtà propria dell’Essere. Cominciando quindi a vagare senza più nel regno non convenzionale e misterioso dell’apofatismo, l’intelletto attivo torna naturalmente in uno stato di passività, regredisce nell’intelletto passivo spegnendosi. Mentre l’intelletto passivo rientra nel chaos primordiale e vivace della luminosa e cosciente essenza dell’anima, ossia nelle profondità del suo Dasein. Così l’intelletto, nella sua complessità attiva e passiva, compie una sorta di tragitto contrario alla sua emanazione verso l’esterno da parte dell’essenza dell’anima.

    Nella kenosi però, questa terza terribile purificazione, lo svuotamento totale di cui parliamo riguarda principalmente l’essenza dell’anima, l’essenza stessa del Dasein, il quale davanti alla forza d’urto dell’Essere non conoscibile, muore misticamente. Si getta cioè nel fondo del fondo di sé stessa, nel fondo senza fondo, nell’Urgrund, in una sorta di abbandono totale che appare come un necessario e apparente suicidio dell’anima cosciente, mentre corpo e mente continuano la loro consueta vita biologica, emotiva e razionale con grande umana fatica.

    In questa morte metafisica e mistica il Dasein conosce il Nulla, Nihil, in quanto il viaggio dell’intelletto attivo verso l’apofasi porta alla negazione, intelletto e apofasi sono antagoniste, l’apofasi è un vortice che aspira e annulla l’intelletto scaraventandolo all’interno dell’essenza dell’anima, e quello e questa nel chaos primordiale del proprio Urgrund dove il Nulla appare essere la radice dell’Esser-ci e l’Essere si manifesta come Nulla, perché l’Essere contiene in sé il Nulla che non è carenza di Essere ma è la parte inconoscibile dell’Essere all’Esser-ci, l’immanifesto dell’Essere al Dasein, almeno nel corso della sua vita terrena. In questo modo il Dasein, in questo suo esperire in Nulla, sperimenta pienamente l’annientamento, la kenosi fino all’annichilimento, il suo essere-per-la-morte. Nelle fasi successive di risveglio del Dasein, troviamo in progressione temporale: un infinito che ha già divorato lo spazio (prima katharsis), un eterno che ha già annientato il tempo (seconda katharsis) e ora una apofasi che annulla l’Esser-ci (kenosi finale).

    Ma l’Urgrund, il fondo senza fondo come capienza non misurabile del Dasein stesso, quindi come vastità a-spaziale della stessa anima cosciente, dimostra nella sua abissalità di essere infinito ed eterno, quindi immortale, vivente per sempre, in quanto immagine e somiglianza dell’Essere che lo ha generato. Da questa esperienza del Nulla, da questa atroce nichilità, da questa condizione di permanente nichilismo, il Dasein è destinato ancora una volta a risorgere, perché il Dasein è egli stesso infinito, eterno ed apofatico, impastato di Essere e di Nulla da quando è stato generato, da quando è stato quindi creato dallo stesso Essere. E risorgendo l’Esserci può vedere l’Essere, si trova nel territorio dell’Evento (Ereignis) che contempla e da cui viene contemplato, in una oscura e reciproca compenetrazione che è contemporaneamente assenza e fruizione, visione nitida del Nulla e percezione oscura dell’Essere, essere-per-la-morte ed Esser-ci nell’Essere, il tutto nella misteriosità dell’Evento, come limite possibile in questa vita umana. Questo, dunque sembra essere per il Dasein il limes ontologico della sua esperienza metafisica dell’Essere.


Conclusione

    Una lettura puramente metafisica degli scritti dell’Apostolo Giovanni – il grande mistico, colui che nell’Ultima Cena pose il capo sul cuore di Cristo –, una lettura quindi che non oltrepassi la dimostrazione dell’esistenza di Dio come suo limite epistemologico, ci apre comunque al mistero dell’aldilà. Ci dilata nel mistero dell’essere-per-la-vita che vince l’essere-per-la-morte, ci inizia ai misteri della futura contemplazione dell’Esser-ci nell’Essere, finalmente libero e liberato dal “limite” della conoscenza dello stesso Essere, che per noi sarà causa e fonte di infinità e gioiosa felicità. Infatti, il santo estensore dell’Apocalisse dichiara con afflato mistico e divino:

    «Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è». [5]

    Così sia!

[1] Andrea Scarabelli, Articolo sul quotidiano il Giornale: Aleksandr Dugin: «Evola, il populismo e la Quarta Teoria Politica», https://blog.ilgiornale.it/scarabelli/2018/06/25/aleksandr-dugin-evola-il-populismo-e-la-quarta-teoria-politica/

[2] Martin Heidegger, Nietzsche (a cura di Franco Volpi), Adelphi, Milano 1996, p. 382.

[3] Ibidem, Art. cit.

[4] Dall’Intervento di Aleksandr Dugin alla Conferenza online POLIS E IMPERO. Con la partecipazione di Lorenzo Maria Pacini, Direttore editoriale di Idee&Azione, Referente italiano del MIE – Movimento Internazionale Eurasiatista, e con Giacomo Maria Prati, valente scrittore e collaboratore di Idee&Azione. Evento registrato in data 16 luglio 2021, sul Canale YouTube di Idee&Azione: https://www.youtube.com/@ideeazione5559.


[5] Prima Lettera di Giovanni, Cap. 3,2-3. 


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