Pakistan: Imran Khan vince le elezioni anche dal carcere
di Giulio ChinappiLe elezioni tenutesi in Pakistan l’8 febbraio hanno gettato il Paese in un ulteriore vortice di incertezza e tensione politica, dopo gli ultimi concitati mesi. Nel mezzo delle proteste che hanno scosso diverse città e delle accuse di brogli e interferenze mosse contro il governo in carica, l’ex primo ministro Imran Khan, leader del Partito Tehreek-e-Insaaf (PTI), ha rivendicato la vittoria, consolidando la sua posizione politica agli occhi dell’elettorato anche mentre si trova dietro le sbarre e nonostante la campagna mediatica operata contro di lui dal governo.
I risultati finali delle elezioni non sono stati ancora resi noti, con nove dei 265 seggi ancora in attesa di conteggio. Tuttavia, i candidati indipendenti, in gran parte affiliati al PTI di Khan, sono in netto vantaggio con 102 seggi, secondo l’ultimo aggiornamento del sito web della commissione elettorale. Al secondo posto si colloca la Pakistan Muslim League (Nawaz) o PML(N) di Nawaz Sharif, con 73 seggi, seguito dal Partito Popolare Pakistano (PPP) di Bilawal Bhutto Zardari, con 54 seggi.
L’annuncio della vittoria da parte di entrambi i contendenti principali, Khan e Sharif, ha alimentato le tensioni in un Paese già segnato da instabilità politica ed economica, nonché da sfide di sicurezza interne in crescita. Di conseguenza, le proteste sono scoppiate in tutto il Paese nei giorni successivi alle elezioni, con i manifestanti che denunciano ritardi nei risultati delle elezioni e accusano le autorità di brogli nel conteggio dei voti. La sospensione dei servizi di telefonia e internet durante la giornata elettorale ha sollevato ulteriori interrogativi sulla legittimità del processo elettorale.
L’organizzazione di monitoraggio delle elezioni, Free and Fair Election Network, ha lodato in generale il lavoro della Commissione Elettorale del Pakistan, ma ha sottolineato che i ritardi nell’annuncio dei risultati hanno offuscato un’elezione altrimenti ordinata, sollevando dubbi sulla legittimità del risultato. Le preoccupazioni internazionali riguardo al processo elettorale pakistano sono state espresse anche dagli Stati Uniti, dal Regno Unito e dall’Unione Europea, che hanno menzionato accuse di interferenze, arresti di attivisti politici e irregolarità nel conteggio dei voti.
Tuttavia, le potenze imperialiste occidentali vanno annoverate tra le prime responsabili della situazione di grande instabilità che sta vivendo il Pakistan. Washington, in particolare, ha favorito la deposizione di Imran Khan nell’aprile del 2022, dopo che questi aveva rifiutato la presenza di basi militari statunitensi sul territorio pakistano, mostrando la volontà di perseguire una politica estera indipendente nell’interesse del Paese. Lo stesso Khan ha recentemente puntato il dito contro gli Stati Uniti, accusandoli di aver spinto per la sua deposizione e incarcerazione, con ben tre condanne che sono piovute sull’ex campione di cricket a pochi giorni dalla scadenza elettorale.
Il suo principale rivale, Nawaz Sharif, ha invece ricoperto l’incarico di primo ministro in ben tre occasioni in passato (1990-1993, 1997-1999 e 2013-2017), mostrandosi sempre accondiscendente nei confronti delle richieste di Washington. Nel 2017, tuttavia, dovette cedere il potere dopo che il suo nome era emerso nei Panama Papers, mettendo in luce come Nawaz Sharif possedesse proprietà del valore di milioni di dollari nel Regno Unito e in altri Paesi. Oltretutto, lo scandalo ha coinvolto anche suo fratello Shehbaz Sharif, che ha guidato l’esecutivo di Islamabad tra l’aprile del 2022 e l’agosto del 2023, prendendo il potere subito dopo la destituzione di Imran Khan.
In mezzo a questa incertezza politica, il capo dell’esercito pakistano ha rilasciato la sua prima dichiarazione pubblica dopo il voto, sottolineando la necessità di stabilità e unità per il progresso del Paese. Non va infatti dimenticato che il Pakistan resta un Paese nel quale il potere del governo civile convive con quello militare, sempre in agguato e pronto a intervenire nel caso in cui l’esecutivo non rispetti determinate linee guida. Nel 1999, ad esempio, l’esercito aveva dato vita ad un golpe proprio contro il secondo governo di Nawaz Sharif, che venne costretto all’esilio, mentre il Paese fu guidato fino al 2007 dal generale Pervez Musharraf.
La vittoria annunciata di Imran Khan, se confermata, segnerebbe un ulteriore capitolo di tumulto politico per il Pakistan, con la possibilità di negoziati complessi per la formazione di un governo di coalizione. Tuttavia, questa dimostra come il popolo pakistano non abbia digerito la sua destituzione dalla guida del governo, favorendo una politica estera indipendente e non allineata con le grandi potenze. Un dato non da poco, se si considera il peso crescente che il Pakistan, quinto Paese al mondo per popolazione, sta acquisendo sullo scenario internazionale.
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