L’offensiva ucraina nella regione di Kursk: risultati, obbiettivi, previsioni
Nilo Vlas
1) L’attacco
Per prima cosa bisogna iniziare a capire che cosa sta succedendo sul campo, nei territori della regione di Kursk confinanti con l’Ucraina.
Martedì 6 agosto sono comparsi i primi rapporti su un attraversamento del confine di una quantità indefinita di militari ucraini. Inizialmente reporter di guerra e blog militari russi hanno deriso l’episodio come un’ennesima incursione mediatica degli ucraini (simile a quelle dello scorso anno nella regione di Belgorod), che avrebbe avuto l’obbiettivo di fotografarsi in territorio russo e poi fuggire più veloci del vento. In effetti l’Ucraina ha una lunga storia di operazioni puramente propagandistiche e militarmente inutili.
Passate solo poche ore diventa però chiaro che l’incursione è in realtà un’invasione su larga scala, e i portali di informazione russi cadono nel panico più totale.
Nel giro di due giorni le unità ucraine vengono avvistate a decine di chilometri di profondità dentro al territorio russo, distanze inaudite da almeno un anno e mezzo, da quando la guerra è diventata posizionale. Gli ucraini sembrano ovunque, compaiono in decine di villaggi contemporaneamente ed entrano nella cittadina di Sudzha (5000 abitanti). Sul confine diverse guarnigioni vengono accerchiate e annientate, oppure fatte prigioniere. Di molte unità russe non si conosce il destino. In due giorni gli ucraini sembrano aver conquistato un’area che copre mille chilometri quadrati, più di quanto la Russia abbia conquistato in tutto il 2023.
Ma le cose non stanno davvero così. E dunque, cosa è successo davvero al confine tra Russia e Ucraina?
Per certi versi l’operazione militare dell’Ucraina somiglia all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. Le postazioni di confine sono state eliminate con velocità fulminea, spesso nel sonno, e prima che il comando avversario sia riuscito a capire che cosa sta succedendo, le unità di sabotatori sono già penetrate profondamente dietro alle retrovie nemiche. Tuttavia si è trattato di unità piuttosto piccole, spesso meno di venti soldati, il cui compito è spostarsi rapidamente con veicoli maneggevoli (infatti all’inizio non si sono visti carri armati) e piombare di sorpresa sulle guarnigioni nemiche senza dar loro il tempo di reagire. Lo scopo di questa prima fase dell’invasione non è stato occupare i territori ma seminare il caos tra le linee nemiche. Le unità di sabotatori si spostano velocemente e in continuazione, dando l’impressione di essere “ovunque” allo stesso tempo e dunque di essere una forza di invasione ben più grossa di quella reale. In alcuni casi gli ucraini hanno attaccato le postazioni nemiche travestiti con le uniformi russe, contribuendo ad alimentare il caos e la perdita di controllo da parte del comando russo sulla situazione sul campo. Tutto ciò ha persino fatto credere che fosse a rischio la sicurezza della Centrale Atomica di Kursk, che in realtà non sarà mai davvero in pericolo.
In realtà gli ucraini non controllano stabilmente mille chilometri quadrati, semplicemente si muovono in quest’area, colpendo a sorpresa le postazioni russe, ma senza occupare con sicurezza questi territori. Resta il fatto che ci vogliono alcuni giorni prima che i russi riescano anche solo a capire che cosa sta succedendo nella regione. E questo immenso casino, che ha anche provocato oltre 100'000 profughi, è stato provocato con un impiego di forze piuttosto modesto da parte dell’Ucraina.
Nell’ottobre 2023 attorno a Gaza era successa più o meno la stessa cosa. I soldati di Hamas (proprio soldati, perché chiamare “guerriglieri” dei combattenti con quel livello di addestramento diventa difficile) avevano eliminato improvvisamente le guarnigioni israeliane sul confine della striscia e poi, divise in piccoli gruppi, erano dilagate rapidamente in un territorio molto grande, terrorizzando la popolazione civile e liquidando gli sporadici focolai di resistenza disorganizzata. Tutto ciò spostandosi in continuazione senza consolidare il controllo sul territorio, cosa che per altro non era mai stata l’obbiettivo di Hamas. Anche lì erano passati alcuni giorni prima che il comando israeliano riuscisse a riprendere il controllo della situazione. Per un breve periodo Hamas pareva controllare un territorio enorme.
La differenza tra l’attacco di Hamas e quello ucraino è però nelle probabili intenzioni finali. Se dietro agli incursori palestinesi non c’era nessuno a consolidare il successo dello sfondamento, dietro a quelli ucraini sono entrate in territorio russo altre unità più corpose e dotate di armamenti pesanti, con la chiara intenzione di restare e asserragliarsi nei nuovi territori conquistati.
Se è comprensibile che Israele si sia trovato impreparato dopo anni di relativa calma attorno alla Striscia di Gaza, una simile negligenza è stupefacente per una Russia al terzo anno di guerra, ed è sintomo di una permanete carenza sia nella qualità dei quadri dell’esercito che nell’organizzazione e coordinazione delle unità combattenti (ma in Russia cresce di popolarità la tesi del tradimento). Conoscendo bene le debolezze del nemico, nelle prime ore dell’attacco gli ucraini hanno fatto ampio uso dei sistemi di guerra elettronica, che hanno “spento” le comunicazioni radio dei russi compromettendone un efficace coordinazione e quindi reazione all’attacco. Numerose unità russe si sono trovate isolate senza possibilità di comunicare con i superiori e le unità alleate, finendo facile preda degli incursori ucraini. Una simile situazione non sarebbe potuta succedere se le unità russe fossero equipaggiate in massa di strumentazione radio militare, resistente alle perturbazioni della guerra elettronica, una strumentazione ancora molto rara nelle forze armate russe (ma non in quelle ucraine) a cui si sopperisce con sistemi radio civili.
Solo a una settimana di distanza dall’inizio dell’attacco si è iniziato a intravedere una certa stabilizzazione del fronte e contenimento dell’avanzata ucraina, che però ormai controlla una trentina di centri abitati, compreso l’intero capoluogo di Sudzha.
Visto l’evidente fiasco nel prevedere e affrontare efficacemente l’improvvisa offensiva ucraina, in Russia sono molti a chiedere la testa del Capo di Stato Maggiore Valerij Gerasimov, che non è certo al suo primo plateale fallimento.
Tralaltro, come per l’incursione di Hamas del 7 ottobre, esiste anche la tesi cospirazionista, ossia che l’attacco sia stato previsto e permesso. Le motivazioni di un simile “complotto” variano a dipendenza di chi avanza l’ipotesi. Si tratterebbe di una trappola (che però non sembra realizzarsi sul campo) oppure di una scusa per usare l’arma atomica (del cui utilizzo non si vede alcun preparativo) o di altre ragioni più o meno improbabili. Giudicando dalla disorganizzazione con cui la Russia ha reagito a questo attacco, non credo che queste teorie meritino attenzione.
2) Il terrore contro la popolazione civile
Un'altra somiglianza con l’operazione di Hamas sono le violenze indiscriminate contro la popolazione civile. Lungi dall’essere insensata barbarie, il terrore contro la popolazione civile persegue uno scopo ben preciso, ossia costringere il nemico a una risposta affrettata e mal ragionata. Difatti non si può dire che i rinforzi russi siano entrati in battaglia in maniera ordinata ed efficace…
Senza approfondire troppo l’elenco delle atrocità, tra ambulanze crivellate di colpi, ciclisti uccisi per strada e ragazze gambizzate, basti dire che i nazisti ucraini si stanno comportando esattamente come tutti si aspettavano. E questo indubbiamente ha il suo scopo pratico-militare per Kiev: costringere i russi a gettare grosse forze in uno scenario strategicamente secondario per difendere i propri cittadini. Forze che sarebbero più utili altrove, per esempio per sostenere l’avanzata russa nel Donbass. Al momento oltre duemila civili si trovano sotto l’occupazione ucraina e la loro sorte è ignota. Come successo a Gaza, molti di loro probabilmente diventeranno ostaggi quando gli ucraini si ritireranno.
Ovviamente in tutto ciò non vi è solo calcolo ma anche banale sadismo (altro elemento che abbonda su entrambi i lati del conflitto israelo-palestinese), rinforzato dallo sclerotico senso di superiorità tipico del nazionalismo ucraino, tanto più insensato quando rivolto verso i russi, virtualmente indistinguibili dagli ucraini stessi. Vale la pena ricordare che tra gli scarsissimi traguardi culturali raggiunti dal nazionalismo ucraino della prima metà del Novecento vi sono anche delle peculiari teorie razziali (Dimitrij Donzov e Jurij Lipa, solo per citare alcuni nomi), perlopiù sovrapponibili con quelle tedesche. L’unica differenza è che gli ucraini pensano di essere loro gli ariani.
3) Gli obbiettivi di Zelenskij
In molti si stanno ora domandando quale sarebbe il reale obbiettivo dell’Ucraina con questo attacco a sorpresa. Persino nei media mainstream occidentali ci si interroga su quale beneficio potrà mai avere questa bravata per l’Ucraina, mentre le conseguenze negative paiono evidenti. Per difendere il proprio confine la Russia potrebbe infatti decidere di creare una nuova zona cuscinetto nella regione ucraina di Sumy, cosa che trasformerebbe la fugace vittoria ucraina in un clamoroso autogol con ulteriori perdite territoriali. Oppure per ritorsione la Russia potrebbe decidere di dare il colpo di grazia alla rete elettrica ucraina, che già si regge con lo sputo e non è stata finita dai russi solo per ragionamenti umanitari.
Rischi certi per un incerto guadagno, dunque. Tutto diventa immediatamente più chiaro se non si pensa a cosa è vantaggioso per l’Ucraina, intesa come nazione che vuole avere un futuro, ma cosa è vantaggioso per Zelenskij e il suo establishment, politici-mercenari che da tre anni hanno ridotto l’Ucraina a una gigantesca compagnia militare privata al soldo della NATO.
Come ho già spiegato in altre occasioni, non bisogna ricercare ciò che è vantaggioso per l’Ucraina intesa come nazione: seguendo questo ragionamento, all’Ucraina sarebbe convenuto entrare a far parte della Federazione Russa molti anni fa.
E dunque, che cosa è vantaggioso per Zelenskij? A Zelenskij conviene la guerra ad oltranza, non importa se alla fine della storia l’Ucraina ne uscirà con le ossa rotte o peggio cesserà di esistere. Questo perché non appena la guerra dovesse cessare, non avendo più scuse per rimandare le elezioni, Zelenskij perderebbe il potere e con esso l’immunità da tutti i suoi crimini. In molti gli chiederanno di rendere conto di molte sue decisioni, per esempio come mai ha rifiutato il vantaggiosissimo accordo di Istanbul con la Russia del marzo 2022. Senza ipotizzare un’improbabile Norimberga russa, Volodymyr Zelenskij verrebbe fatto a pezzi dai gruppi di potere suoi concorrenti o persino usato come capro espiatorio dal suo stesso establishment. Tirare la guerra per le lunghe è l’unico modo che ha l’attuale presidente per rimanere al potere, e poco importa se il proseguimento degli scontri rende più probabile una sconfitta ucraina. Il suo mandato presidenziale è scaduto a maggio 2024 e già ora sta di fatto usurpando il potere. Caduto lo stato di emergenza e il terrore poliziesco che ha imposto sulla società con la scusa della guerra, cadrebbe anche la sua testa.
Ecco dunque che gli eventi di Kursk diventano subito più chiari. Dopo mesi in cui sull’arena internazionale si parlava di Ucraina solo per augurarsi trattative di pace, Kiev compie un gesto che rimanda qualsiasi dialogo con la Russia a un futuro indefinito.
Nonostante il governo Zelenskij dichiari che lo scopo dell’offensiva sia proprio quello di ottenere una leva diplomatica in vista delle trattative, risulta difficile credere che accordarsi con la Russia sia davvero nelle sue intenzioni.
Certo, il successo dell’offensiva è uno smacco cocente per il Cremlino, ma è già chiaro, vista la graduale stabilizzazione del fronte di Kursk, che non sarà questa la leva a costringere i russi alla resa, né militare né diplomatica.
A fianco del generale obbiettivo di Zelenskij di sabotare qualsiasi iniziativa di pace, vi possono essere anche altri obbiettivi secondari. Certamente il già citato distogliere le forze dei russi da altri scenari, dove sono invece i russi ad avanzare.
Ma forse l’elemento più curioso è l’occupazione della stazione di misurazione del gas di Sudzha, nodo nevralgico dell’ultimo gasdotto che pompa ancora metano verso l’Unione Europea (sì, potrà sembrare assurdo, ma la Russia in due anni e mezzo di guerra ha continuato a pompare gas verso l’UE attraverso l’Ucraina, che ne faceva utilizzo per i suoi bisogni energetici e riceveva ghiotte royalties dal transito). Se questa stazione dovesse venire distrutta, l’ultimo canale di approvvigionamento energetico tra Russia ed Europa verrebbe definitivamente chiuso. Si tratterebbe insomma di concludere il lavoro iniziato con il sabotaggio del North Stream, e quindi il coronamento del sogno americano di separare violentemente l’economia europea dalle risorse energetiche russe, rendendola dipendente da quelle americane.
Anche questo comunque non significa nulla di buono per l’Ucraina, vera e propria nazione-kamikaze al soldo altrui.
In molti sostengono che l’obbiettivo dell’Ucraina fosse occupare la Centrale Atomica di Kursk. Tuttavia è altamente improbabile che il comando ucraino sperasse seriamente di conquistare il sito nucleare, piuttosto distante dal confine e seriamente difeso. Più probabilmente aveva considerato sufficiente creargli una minaccia potenziale.
4) Operazione Militare Speciale
Ancora due anni fa scrissi il perché il piano di un’Operazione Militare Speciale fosse fallito in partenza. Mi autocito:
Questo è il risultato dell’impostazione che il Cremlino ha dato alla guerra nel suo rapporto con la società. Essa è evidente sin dal nome stesso di “Operazione militare speciale”, la cui “specialità” sottolinea la sua dimensione “privata” e “professionale”, non popolare. Si è cercato di far passare la guerra come un affare “di Stato”, in cui il cittadino non doveva immischiarsi, libero di proseguire tranquillamente con la sua vita di sempre. I professionisti avrebbero compiuto il loro lavoro in Ucraina e sarebbero tornati vittoriosi. Il Ministero della Difesa ha continuato a rinforzare questo concetto per tutta l’estate [del 2022, NdA], affermando che l’Operazione militare speciale “procede secondo i piani”. Poi, all’inizio di settembre, lo sfondamento ucraino a Balakleya dimostra a tutti che ogni piano è andato a ramengo. I professionisti non ce l’hanno fatta, ed ora tocca alla gente comune, nell’ambito della mobilitazione parziale, riparare agli errori strategici dei generali.
E ancora, da un altro articolo:
Nello scorso articolo abbiamo visto come il nome stesso di «Operazione militare speciale» indicasse in origine la dimensione “privata” e “professionale” del conflitto e come ciò abbia indotto nei suoi confronti una pericolosa apatia nella società russa. Sul piano prettamente bellico il nome ci suggerisce anche altro: si è trattato di un’operazione pensata sì con l’impiego della forza militare, ma immaginando combattimenti di intensità limitata, in previsione di un rapido raggiungimento degli obbiettivi prefissati. Insomma, pur prevedendo l’impiego delle forze armate, un’operazione di questo genere è l’opposto di una guerra convenzionale. Per fare degli esempi, la soppressione della Primavera di Praga da parte dell’Armata Rossa si poteva definire un’operazione militare speciale. Allo stesso modo si può definire l’intervento della Federazione Russa e del CSTO in Kazakistan, a gennaio di quest’anno [gennaio 2022, NdA] (ammettetelo, ve ne eravate dimenticati.) La Seconda guerra cecena in Russia viene invece ufficialmente chiamata Operazione controterroristica. Insomma, simili formulazioni vengono usate per indicare conflitti asimmetrici e non convenzionali, come operazioni di regime change e di controguerriglia. Il problema del corrente conflitto ucraino è che si tratta invece di una guerra molto convenzionale, dove due eserciti regolari, dalle capacità se non identiche perlomeno paragonabili, si fronteggiano in uno scontro “classico”, ossia con una chiara linea del fronte che separa i due schieramenti. L’errore strategico del Cremlino, alla base di tutti i problemi che si sono poi presentati nel corso della guerra, è stato ritenere possibile sconfiggere l’Ucraina nell’ambito di un’operazione militare speciale, evitando il conflitto convenzionale.
Queste erano le mie analisi ancora nell’autunno 2022, che non hanno perso di attualità. Fino ad oggi tuttavia rimaneva ancora un fattore di asimmetria in questo conflitto, ossia il fatto che la totalità degli scontri (e dunque delle distruzioni) avveniva in territorio ucraino. Se alla società russa già da due anni si chiedeva un tributo di sangue, è anche vero che la vita quotidiana per la maggior parte della popolazione continuava come sempre, spesso ostentando indifferenza verso la guerra in corso.
Ora la guerra è giunta in territorio russo, ed è giunta a bordo di veicoli NATO sventolando insegne naziste, e nessuno può più far finta di niente, nemmeno nell’angolo più sperduto della Siberia (sebbene andrebbe detto che i siberiani sono sempre stati più coinvolti rispetto alla classe media snob e liberal della Russia europea).
Con l’ultima asimmetria cade anche l’ultima “specialità” di questa operazione militare. La guerra da speciale ora deve diventare popolare, tanto più che la stessa propaganda russa ha sempre forzato il paragone con la Grande Guerra Patriottica.
Vladimir Putin tuttavia non sembra attribuire a questi eventi epocali l’importanza che meriterebbero. Sono passate più di due settimane dall’attacco, ma il presidente non si è ancora rivolto alla nazione, né personalmente agli abitanti della regione di Kursk, i quali sono parecchio delusi dal fatto che le loro disgrazie vengano trattate come un episodio di routine di questa guerra. L’opinione pubblica russa è certamente stupita dalla mancanza di una forte reazione da parte del presidente. In queste due settimane Putin ha fatto in tempo a visitare l'Azerbaijan, la Cecenia e una serie di altre regioni russe, ma non Kursk... Invece il portavoce del presidente, l'altrimenti onnipresente Dimitrij Peskov, dall'inizio dell'offensiva ucraina si trova in vacanza. Qual è dunque il piano di Putin? Sta segretamente preparando una risposta spaventosa, o deciderà di non dare troppa importanza a quella che è solo un’altra battaglia di una lunga guerra?
Staremo a vedere. Ma in assenza di una reazione adeguata, e se la cacciata delle forze ucraine dovesse richiedere dei mesi, la situazione rischia di diventare un pericoloso precedente. Se un esercito straniero ha potuto occupare un pezzo di territorio russo senza ricevere in cambio un confetto atomico, perché non ci dovrebbe riprovare qualcun altro, per esempio la Finlandia o la Polonia?
5) Conclusioni
Tirando le somme, l’offensiva ucraina nella regione di Kursk appare come un grosso azzardo militare. Sul piano politico tuttavia crea indubbie difficoltà alla Federazione Russa. Se da un lato gli ucraini stanno sprecando preziose risorse militari in un vicolo cieco strategico, dall’altro la reazione debole e disorganizzata della Russia all’invasione del suo territorio sta creando al suo interno malcontento e sfiducia nella leadership, all'esterno invece indebolisce la deterrenza verso la NATO (Kaliningrad è avvisata).
È ormai chiaro che la Russia ha rinunciato a una rapida liquidazione delle forze ucraine nel Kursk, limitandosi al loro contenimento, in favore del proseguimento dell’avanzata nel Donbass. Militarmente il calcolo sembra corretto, tuttavia molto dipenderà proprio dai risultati dell’offensiva russa nel Donbass. Se la campagna estiva dei russi dovesse raggiungere i propri obbiettivi, in particolare la conquista della città di Pokrovsk, importante nodo viario del Donbass che apre inoltre la strada per la regione di Dnepropetrovsk, allora l’incursione ucraina nel Kursk si rivelerebbe effettivamente una scommessa sbagliata. In caso contrario tuttavia i russi si troverebbero a fronteggiare le conseguenze politiche di questo attacco senza avere alcuna vittoria militare di rilievo da contrapporre, concludendo con un pugno di mosche il terzo anno di guerra.