L'inizio dell'islam

L'inizio dell'islam

Salvatore Clemente

Autori vari, Storia del Mondo Medievale, vol. II, ed. Cambridge University Press, Garzanti 1979


Alla Mecca, attorno all'anno 570, nacque Maometto, o più propriamente Muhammad. Gli scrittori musulmani descrivono abitualmente il clan cui egli apparteneva, quello dei Banu Hashim, come uno dei rami più insigni dei Quraish, ma le testimonianze tendono a provare che in epoca premusulmana esso occupava un posto subordinato. Del padre di Maometto, Abd Allah, figlio di Abd al-Muttalib, si sa solo che scomparve poco prima della nascita del Profeta. Amina, la madre di Maometto, morì pochi anni dopo e l'orfano visse per un certo periodo con il nonno Abd al-Muttalib e la sua numerosa famiglia. Alla sua morte uno dei suoi figli, Abu Talib, si prese cura di Maometto che, a quanto pare, fu trattato bene anche se dovette sopportare diverse privazioni poiché nessuno dei suoi parenti era ricco. All'età di circa 24 anni entrò al servizio di una ricca donna di nome Khadigia, molto più vecchia di lui.(...) Maometto parve conquistarne subito la fiducia, tanto che ella gli affidò l'amministrazione delle sue proprietà e attorno all'anno 594 lo inviò in Siria per una spedizione commerciale da lui condotta con molto successo. Al suo ritorno egli divenne suo marito e per alcuni anni condusse la vita di un prospero mercante. Gli nacquero diverse figlie e due figli, entrambi morti in tenera età.

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Per quanto riguarda l'inizio dell'operato di Maometto e le circostanze delle sue prime rivelazioni, sono state tramandate molte leggende ma ben poco di sicuro. Tutte le fonti sono d'accordo sul fatto che all'epoca egli trascorse molto tempo nel digiuno e in veglie solitarie; questa pratica gli fu suggerita probabilmente dall'esempio degli asceti cristiani. Era di temperamento nervoso con tendenza all'isterismo; non è certo però che egli soffrisse di epilessia, come hanno creduto molti scrittori europei, anche se era certamente soggetto a crisi parossistiche accompagnate fa febbre violenta che lui e i suoi seguaci consideravano come segni dell'ispirazione divina. Evidentemente si trattava di un disturbo di natura psicologia, ma le informazioni che abbiamo non ci consentono di spiegarlo.

Il Corano ammette che Maometto dimenticò alcune delle sue comunicazioni fattegli da Allah ed è possibile che anche i brani più antichi fossero stati stesi qualche tempo dopo che egli si rese cosciente della sua vocazione divina. Durante i primi anni tuttavia Maometto non si dedicò alla predicazione pubblica, limitandosi a cercare proseliti fra i compagni più intimi. Fra i primi convertiti vi furono sua moglie Khadigia, suo cugino Alì e Abu Bakr, che non faceva parte del clan del Profeta ma fu fino all'ultimo il suo più fidato amico. I brani del Corano attribuibili con sicurezza a questo periodo sono scarsi e sempre molto brevi. Più numerosi sono quelli che appartengono alla prima fase della sua attività pubblica. Essi trattano soprattutto di tre argomenti: l'unità e gli attributi di Dio, i doveri morali dell'uomo e la ricompensa futura.

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Una grande parte del Corano consta di episodi inseriti a scopo di edificazione. Se nessuno di essi è da ritenersi storicamente vero, tuttavia non è neppure interamente frutto dell'invenzione di Maometto: in quasi tutti i casi egli ricorse a leggende a lui note per dar forza alle sue argomentazioni. Si servì ripetutamente di personaggi dell'Antico Testamento, attribuendo loro discorsi a sostegno del monoteismo, precetti morali e così via. Anche l'opposizione che incontrava il nuovo movimento e le punizioni che colpirono gli avversari trovarono ampio spazio. Le allusioni a Cristo e alla primitiva chiesa cristiana presentano aspetti assai curiosi e finora non spiegati. Egli negava con forza che Cristo, o qualsiasi altra creatura, potesse essere «figlio di Dio», ma accettava nello stesso tempo la credenza che Cristo fosse nato da una vergine e gli assegnava un ruolo preminente fra i profeti del passato. Sembra però che Maometto non conoscesse quasi nulla della vita di Cristo. In una delle sure più recenti del Corano (4:156), vengono contestate l'affermazione degli ebrei che Cristo fu messo a morte e la realtà della crocifissione.

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Nel trattare del soggiorno di Maometto a Medina occorre dire qualcosa della sua vita privata, cui fanno riferimento esplicito diversi brani del Corano. Prima di lasciare la Mecca egli aveva preso moglie una seconda volta, sposando Sauda, e durante gli anni successivi il numero delle sue mogli crebbe ancora. Fra queste la più famosa fu Aisha, figlia di Abu Bakr, che Maometto sposò pochi mesi dopo il suo arrivo a Medina. Pur avendo allora solo 9 anni, la sua influenza divenne assai grande. Quando Aisha fu accusata di adulterio, circa cinque anni dopo, venne rivelato appositamente un passo del Corano allo scopo di giustificare la sua condotta. L'ascendente da lei conquistato durante la vita del Profeta si mantenne a lungo anche dopo la sua morte, permettendole di avere un ruolo preminente, anche se non onorevole, nella vita politica del periodo, al punto che nei libri della tradizione musulmana Aisha è una delle fonti più citate.

Per più di un anno dopo l'egira Maometto e i suoi discepoli meccani vissero in gravi ristrettezze economiche, e i tentativi compiuti di sopperire ai propri bisogni mediante saccheggi non si risolsero in successi. I medinesi non presero parte a queste prime incursioni, poiché la regola generale che è dovere dei musulmani impegnarsi in guerre di aggressione contro gli infedeli non era stata ancora annunciata. Va inoltre notato che Maometto non osò colpire subito i sentimenti dei suoi concittadini violando la santità dei quattro mesi sacri durante i quali, secondo l'antica usanza, non erano permesse scorrerie. Solo verso la fine dell'anno 623 egli permise un attacco, durante il mese sacro di ragiab, contro una carovana di Quraish a Nakhla presso la Mecca. Il convoglio fu colto di sorpresa e i razziatori tornarono a Medina con un bottino considerevole, ma l'opinione pubblica condannò con tale vigore l'impresa che il Profeta ritenne necessario sostenere che i propri ordini erano stati male interpretati.

Due mesi dopo i suoi seguaci riportarono la loro prima grande vittoria. Un grande convoglio, carico di ricche mercanzie, stava facendo ritorno dalla Siria alla Mecca sotto la guida di Abu Sufyan, capo dei Banu Umayya, una delle più orgogliose famiglie dei Quraish. Maometto decise di tendergli un agguato a Badr, località a sud-ovest di Medina, a poche miglia dal mar Rosso, ed egli stesso si recò sul posto con più di 300 uomini armati, dei quali 80 erano meccani emigrati e il resto medinesi. Abu Sufyan, tuttavia, informato della cosa, cambiò percorso e inviò in gran fretta un messaggero alla Mecca in cerca di aiuto. I Quraish allestirono rapidamente una spedizione di circa 900 uomini, fra cui molti aristocratici della Mecca. Costoro, mentre si dirigevano verso nord, appresero che la carovana era ormai fuori pericolo e quindi alcuni di essi fecero ritorno alla Mecca. La maggioranza però, confidando nella propria superiorità di numero e di armamenti, decise di proseguire con l'intenzione, pare, di intimorire l'avversario piuttosto che di distruggerlo. I due contingenti raggiunsero Badr quasi nello stesso momento.

Maometto, ignorando ciò che era accaduto, stava ancora in attesa della carovana. Resosi conto del proprio errore, pensò probabilmente che una ritirata sarebbe stata estremamente pericolosa, se non addirittura impossibile, e decise quindi di combattere. Gli abitanti della Mecca dimostrarono per l'occasione una singolare fiacchezza e mancanza di previdenza, permettendo a Maometto di impossessarsi di un pozzo nelle immediate vicinanze e rimanendo quindi privi di acqua. Il mattino successivo, quando si avvicinarono al pozzo lo trovarono circondato dal grosso del contingente di Maometto. Neppure allora però si arrivò a uno scontro generale: diversi capitani della Mecca avanzarono uno per volta, o in piccoli gruppi, facendosi uccidere in combattimenti corpo a corpo dai campioni avversari.(...) Maometto non prese personalmente parte al combattimento, ma restò in una piccola capanna eretta per lui, pregando con appassionato fervore e in preda a forti tremiti. Infine, verso mezzogiorno, gli abitanti della Mecca, comprendendo che non avevano nulla da guadagnare a prolungare l'inutile spargimento di sangue, incominciarono a ritirarsi e grazie alla superiorità dei loro cavalli poterono fuggire con una perdita di soli 70 morti e 70 prigionieri. I musulmani avevano avuto 14 caduti.

Per quanto questa battaglia possa apparire insignificante da un punto di vista militare, l'importanza del suo esito è enorme. Fino ad allora i nemici del Profeta lo avevano dileggiato per la sua incapacità a compiere miracoli; ora finalmente ne era stato compiuto uno. La vittoria riportata a Badr su forze di gran lunga superiori è attribuita nel Corano all'intervento degli angeli, e questa spiegazione è accolta senza esitazioni dai musulmani. Tornato a Medina, Maometto prese alcune rigorose misure che gettarono il panico fra i suoi oppositori, ordinando l'assassinio di diverse persone che lo avevano offeso e bandendo da Medina i Banu Qainuqa, uno dei clan ebraici della città, le cui case e i cui beni divennero proprietà dei musulmani.


Storia del Mondo Medievale, vol. II, L'espansione islamica e la nascita dell'Europa feudale, pag. 7,8,9,10,12,20,21

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