Le canne rovinano il cervello

Le canne rovinano il cervello

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Le prove scientifiche raccolte negli ultimi due decenni forniscono un quadro abbastanza preciso e completo dei molti problemi sanitari legati al consumo regolare di cannabis (© Curi Hyvrard/Corbis)

Scienza, cannabis: danni permanenti al cervello degli adolescenti. Studio australiano: il Qi cala di 8-13 punti

Il Messaggero, 28 agosto 2012


ROMA - Problemi di memoria e di attenzione, ma anche un preoccupante calo del Qi (quoziente d'intelligenza), legati all'uso “persistente” di marijuana prima dei 18 anni. Uno studio firmato da un team internazionale e condotto per anni su oltre mille neozelandesi ha dimostrato che la passione per gli spinelli causa danni durevoli al cervello dei giovanissimi, in termini di problemi di attenzione e memoria, ma anche un calo nel Qi rilevato dai test appositi. La ricerca ha monitorato un gruppo di soggetti che hanno iniziato a consumare cannabis nell'adolescenza e hanno continuato per anni. L'indagine ha rilevato che, dopo anni di spinelli, i giovani hanno mostrato in media una diminuzione del Qi di 8 punti dai 13 anni ai 38 anni nei test che misurano il quoziente intellettivo. 


Oltretutto smettere non sembra invertire la situazione, spiega Madeline Meier della Duke University, illustrando lo studio pubblicato online su Pnas. La variabile chiave è l'età di esordio per l'uso di marijuana e lo sviluppo del cervello, spiega Meier. In pratica, i ragazzi che hanno iniziato più avanti negli anni (quando il loro cervello era completamente formato) non hanno mostrato simili cali a livello mentale. Prima dei 18 anni il cervello, infatti, è ancora in fase di organizzazione, dunque secondo la ricercatrice può essere più vulnerabile ai danni da farmaci e sostanze psicoattive. «La marijuana non è innocua, in particolare per gli adolescenti», sostiene Meier. Lo studio ha seguito un gruppo di 1.037 bambini nati nel 1972-73 a Dunedin (Nuova Zelanda) fino ai 38 anni. Il team è stato diretto da Terrie Moffitt e Avshalom Caspi, psicologi della Duke e del King's College di Londra. 


Circa il 5% del gruppo è stato considerato marijuana-dipendente. A 38 anni tutti i partecipanti allo studio sono stati sottoposti a una serie di test psicologici per valutare la memoria, la velocità di elaborazione, il ragionamento e l'elaborazione visiva. Ebbene, i soggetti che avevano usato di più la cannabis fin da adolescenti hanno ottenuto punteggi significativamente peggiori nella maggior parte dei test. Inoltre, amici e parenti intervistati per lo studio riferivano più spesso che i forti e precoci consumatori di cannabis incappavano facilmente in problemi di attenzione e memoria. Secondo i ricercatori non si tratta di danni trascurabili. Se infatti otto punti di Qi possono sembrare pochi, un calo da 100 a 92 rappresenta un passaggio dal cinquantesimo percentile al ventinovesimo, aggiunge Meier, ricordando che un quoziente d'intelligenza più alto è correlato a una maggiore istruzione, a un reddito più elevato, a una salute migliore e a una vita più lunga. «Chi perde 8 punti di quoziente d'intelligenza da adolescente può essere svantaggiato rispetto ai coetanei negli anni a venire», aggiunge Meier. A preoccupare gli esperti è la scoperta che a fare più danni è il consumo “cronico” abbinato a un esordio da adolescenti.

(Fonte: http://www.ilmessaggero.it/tecnologia/scienza/marijuana_cannabis_adolescenti_cervello_danni-190912.html)


Anche l'uso saltuario di cannabis può cambiare il cervello

Le Scienze, 16 aprile 2014


Usare marijuana anche solo una o due volte alla settimana basta a provocare significative alterazioni a livello cerebrale, in particolare del nucleo accumbens e dell'amigdala, due regioni coinvolte nella gestione delle emozioni e della spinta motivazionale. E' questo il risultato della prima ricerca - effettuata su un gruppo di giovani adulti - che ha esaminato gli effetti a lungo termine della marijuana non su forti consumatori, ma su soggetti che ne fanno un uso più o meno occasionale.


Lo studio – frutto della collaborazione fra ricercatori della Northwestern University, del Massachusetts General Hospital e della Harvard Medical School, e pubblicato su “The Journal of Neuroscience” - ha valutato con tecniche di brain imaging la forma, il volume e la densità delle strutture cerebrali di venti soggetti che non facevano uso della sostanza o ne avevano fatto un uso assolutamente sporadico, e di 20 soggetti che ne facevano un uso occasionale ma con una frequenza di almeno una o due volte alla settimana. Prima dell'inizio degli esami, questi ultimi sono stati sottoposti a un controllo psichiatrico, per garantire l'assenza di uno stato di dipendenza. I soggetti erano tutti studenti di età compresa tra i 18 e i 25 anni.


La scoperta più significativa riguarda la variazione nelle dimensioni del nucleo acccumbens che è risultato anormalmente grande, con un'alterazione in termini di dimensioni, forma e densità direttamente proporzionale alle quantità di sostanza usata

I risultati – osservano i ricercatori – sono in accordo con gli studi sugli animali, che mostrano che nei topi a cui viene somministrato tetraidrocannabinolo (THC), il principale principio attivo della marijuana, il cervello si modifica formando nuove connessioni. Queste nuove connessioni indicano che il cervello si sta adattando a un livello innaturale di stimolazione e ricompensa legato alla marijuana. 


Questo rende meno soddisfacenti altre ricompense naturali - come il cibo, il sesso e l'interazione sociale – che, alla fine di una serie di processi biochimici, portano a un rilascio di dopamina (la principale sostanza del sistema cerebrale della ricompensa) inferiore a quello delle sostanze d'abuso. “Pensiamo che quando le persone stanno per diventare dipendenti – ha detto Anne Blood, che ha partecipato allo studio - il loro cervello inizi a formare queste nuove connessioni.”

Il contenuto in THC della marijuana assunta dai soggetti non era però noto, anzitutto perché lo studio era retrospettivo, ma anche perché nel corso dei decenni è variato notevolmente, passando da una percentuale media dell'uno-tre per cento negli anni sessanta e settanta, a una fra il 5 e il 9 per cento, o anche più, nella droga attualmente disponibile.

(Fonte: http://www.lescienze.it/news/2014/04/16/news/uso_occasionale_marijuana_cambiamenti_cervello_nucleo_accumbens_amigdala-2103274/)


Cannabis, tutti i rischi per la salute del corpo e del cervello

Le Scienze, 8 ottobre 2014


Il consumo di cannabis ha avuto un incremento notevole negli ultimi 20 anni e attualmente la sua diffusione tra adolescenti e giovani adulti eguaglia quella del tabacco. Fortunatamente, anche la conoscenza degli effetti fisici e psichici di questa sostanza psicotropa è aumentata di pari passo. Un nuovo studio pubblicato sulla rivista “Addiction” a firma di Wayne Hall, dell'Universita del Queensland, in Australia, traccia un quadro completo di queste conoscenze, grazie a una revisione di tutta la letteratura scientifica sull'argomento pubblicata tra il 1993 e il 2013.

La prima distinzione in tema di effetti sanitari della cannabis è tra uso occasionale e uso prolungato nel tempo. Nel primo caso, le prove scientifiche indicano che la cannabis non provoca overdose fatali. La mortalità che può seguire al suo uso è legata soprattutto alla guida di veicoli: il rischio d'incidente infatti raddoppia se il guidatore è sotto l'effetto della droga, e aumenta ancora di più se si associa all'abuso di alcool.


Nel caso di un uso regolare di cannabis, invece, uno dei rischi è di sviluppare dipendenza dalla sostanza, che secondo le statistiche riguarda un consumatore su 10. La percentuale sale però a uno su sei per chi inizia da adolescente. Inoltre, c'è una correlazione statistica con l'uso di altre sostanze, anche se non è stato stabilito il nesso causale tra i due tipi di abusi.

Molti studi in passato hanno riguardato il rischio di sintomi o disturbi psichiatrici con l'uso regolare di cannabis, rischio che risulta notevolmente incrementato e riguarda in particolare soggetti con una storia familiare per questo tipo di disturbi: la sostanza, in pratica, può rendere manifesta una malattia già geneticamente presente in forma latente. 


I più esposti, ancora una volta, sono coloro che iniziano il consumo di cannabis nell'adolescenza: l'uso regolare in questa fase della vita raddoppia il rischio di una futura diagnosi di schizofrenia o di sviluppo di psicosi nell'età adulta. E anche in assenza di una vera e propria patologia psichiatrica, il consumo regolare di cannabis da ragazzi può determinare nella vita successiva un deficit cognitivo - il cui grado di reversibilità non è noto - ed è correlato statisticamente a un minor livello di scolarità, benché non sia dimostrato un rapporto di causa-effetto.

Un altro legame studiato approfonditamente su migliaia di pazienti riguarda il consumo di cannabis e i disturbi cardiovascolari. In una ricerca durata quasi tre anni e condotta su circa 2000 pazienti, è stata riscontrata una proporzionalità diretta tra frequenza del consumo di cannabis e mortalità. In un altro studio su soggetti adulti colpiti da infarto del miocardio, è stato osservato che il rischio d'infarto quadruplica nell'ora successiva al consumo della sostanza. Un terzo risultato riguarda invece i soggetti in giovane età, in cui la cannabis può scatenare un infarto fatale in soggetti con problemi cardiaci fino a quel momento non riconosciuti. 


A soffrire è anche l'apparato respiratorio: è dimostrato infatti che i fumatori di cannabis hanno un maggior rischio di sviluppare una bronchite cronica, mentre non è chiaro se il maggior rischio di tumori polmonari, riscontrato in alcuni studi, debba essere attribuito al fumo o in parte anche alla cannabis. Un altro effetto significativo è emerso recentemente per alcune forme di tumore dei testicoli, anche se si attendono nuovi studi per ulteriori verifiche di questa correlazione. 

Per quanto riguarda infine il fumo di cannabis, anche occasionale, durante la gravidanza, è confermato che è associato statisticamente a una lieve riduzione del peso del bambino, ed è quindi fortemente sconsigliato.

(Fonte: http://www.lescienze.it/news/2014/10/08/news/cannabis_rischi_salute_corpo_cervello-2323136/)


I danni al cervello di troppa marijuana

Le Scienze, 12 novembre 2014


Una diminuzione di volume della corteccia orbitofrontale, associata a una variazione del numero di connessioni neuronali nella stessa regione cerebrale: è questo il segno più evidente lasciato dal consumo di marijuana sul cervello, secondo un nuovo studio pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS)”. A evidenziare per la prima volta in modo non ambiguo le anomalie della struttura e della funzionalità cerebrale in seguito all'uso prolungato di marijuana sono diverse tecniche di risonanza magnetica nucleare usate da ricercatori del Center for BrainHealth dell'Università del Texas a Dallas guidati da Francesca Filbey. 

Filbey e colleghi hanno studiato 48 soggetti adulti che consumano marijuana in media tre volte al giorno e 62 soggetti di controllo, equivalenti per genere, età ed etnia. Le analisi delle scansioni di risonanza magnetica mostrano innanzitutto una variazione di volume della materia grigia della regione orbitofrontale, e in particolare del giro orbitofrontale su entrambi i lati.


Inoltre, le analisi evidenziano chiaramente la parabola delle variazioni della connettività funzionale e strutturale del cervello: all'inizio l'uso regolare di marijuana induce un incremento deciso di entrambe, proporzionale al consumo di sostanza; dopo 6-8 anni di uso continuato, tuttavia, la connettività strutturale inizia a diminuire, anche se la connettività di tipo funzionale rimane più intensa rispetto ai non consumatori. Questo fatto, secondo gli autori, spiegherebbe perché i consumatori cronici e assidui sembrano non avere problemi nonostante un volume orbitofrontale ridotto.

Queste variazioni sono interpretate come una risposta adattativa del cervello, che cerca di far fronte con nuove circuitazioni cerebrali alla diminuzione di volume indotta dalla sostanza.


“L'unicità di questo studio è legata al fatto che combina tre differenti tecniche di risonanza magnetica per valutare le differenti caratteristiche del cervello”, spiega Sina Aslan, coautore dell'articolo. “I risultati indicano un incremento del livello di connettività, sia strutturale sia funzionale, che può compensare le perdite di materia grigia: infine, anche la connettività strutturale, cioè l'insieme delle circuitazioni cerebrali, inizia a degradare con l'uso prolungato della marijuana”.

Dai test cognitivi è risultato inoltre che i soggetti che consumano marijuana hanno un quoziente d'intelligenza più basso rispetto ai controlli, ma le differenze non sembrano essere correlate direttamente con la variazione del volume della corteccia orbitofrontale.


“Negli Stati Uniti dal 2007 si è assistito a un costante incremento del consumo di marijuana, la legislazione è cambiata e il dibattito sull'argomento continua; tuttavia, le ricerche sui possibili effetti a lungo termine sulle strutture cerebrali del consumo invece sono ancora scarsi e non sono arrivati a conclusioni non definitive a causa di carenze metodologiche”, conclude Francesca Filbey, che ha coordinato la ricerca. “Il nostro studio non dimostra in modo definitivo che i cambiamenti siano una diretta conseguenza dell'uso della marijuana, ma gli effetti rilevati sono correlati con l'età dell'inizio del consumo e con la sua durata”.

(Fonte: http://www.lescienze.it/news/2014/11/12/news/danni_cerebrali_marijuana-2372679/)


Basta un po' di marijuana per cambiare un cervello adolescente

Confronto tra le scansioni di risonanza magnetica del un cervello di un adolescente che ha fatto uso limitato di marijuana (riga in alto) con quello di un adolescente che non ne ha fatto uso (riga in basso): sono evidenti le alterazione di volume in specifiche aree cerebrali (Credit: Orr et al., JNeurosci, 2019)

Le Scienze, 15 gennaio 2019


Il consumo occasionale di marijuana - anche solo per una o due volte - è in grado di produrre nel cervello dei ragazzi un incremento del volume di diverse regioni nel cervello.


È quanto sostiene uno studio pubblicato sul “Journal of Neuroscience” da un gruppo di ricercatori dell’Università del Vermont guidati da Hugh Garavan e colleghi di un’ampia collaborazione internazionale. Nell’ambito di un vasto programma di studio sullo sviluppo cerebrale e la salute mentale dei giovani europei chiamato IMAGEN, gli autori hanno analizzato con tecniche di imaging cerebrale il cervello di 46 quattordicenni di Irlanda, Inghilterra e Francia e Germania che avevano riferito di aver consumato cannabis una volta o due.

Le scansioni di risonanza magnetica hanno mostrato in questi consumatori saltuari di cannabis un volume maggiore della materia grigia nelle aree ricche di recettori per i cannabinoidi rispetto ai non consumatori.


Queste aree cerebrali sono quelle a cui si legano non solo gli endocannabinoidi endogeni che hanno la funzione di messaggeri del sistema nervoso centrale, ma anche cannabinoidi di sintesi come il tetraidrocannabinolo (THC), uno dei maggiori principi attivi contenuti nella cannabis.

Tra le aree più interessate dall’alterazione di volume vi erano l’amigdala, coinvolta nei processi di elaborazione della paura e delle altre emozioni, e l’ippocampo, coinvolto nella memoria e nelle abilità spaziali. Queste differenze erano indipendenti da diverse possibili variabili in grado di confondere il risultato, quali sesso, status socioeconomico, consumo di alcool e di nicotina.


Il risultato appare ancora più significativo se si considera che i ricercatori hanno dimostrato una correlazione tra l'alterazione della materia grigia negli utilizzatori di cannabis di basso livello e gli scarsi punteggi nei test di valutazione dell’ansia e delle capacità di ragionamento.

Questi nuovi risultati si vanno ad aggiungere a quelli di vari studi che hanno mostrato la vulnerabilità agli effetti della marijuana nell’adolescenza, un periodo di delicato sviluppo neurobiologico, in cui è evidente che il cervello riorganizza le sue connessioni, eliminando quelle più vecchie e stabilendone di nuove.


Anche se non è chiaro quale sia l’effetto neuroanatomico della cannanbis che porta all’aumento di volume di alcune aree, Garavan e colleghi ipotizzano che possa influenzare questo processo di riorganizzazione delle connessioni.

Restano comunque sul tappeto ancora diverse questioni, e saranno dunque necessari altri studi per verificare se i risultati possono essere confermati su popolazioni più ampie e oltre i confini dell’Europa.

(Fonte: http://www.lescienze.it/news/2019/01/15/news/effetti_marijuana_cervello_adolescenti-4258325/)


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