La triade ominide: postura eretta, sviluppo della mano e sviluppo del cervello

La triade ominide: postura eretta, sviluppo della mano e sviluppo del cervello


Ne Lʼideologia tedesca, una prima opera comune non pubblicata durante la loro vita, Marx ed Engels formulano i principi materialisti per analizzare la vita della società e affermano che la prima condizione necessaria per la società è lʼesistenza dellʼuomo di tipo fisico moderno. “Il primo presupposto di tutta la storia umana”, ragionavano, “è naturalmente lʼesistenza di individui umani viventi. Il primo dato di fatto da constatare è dunque lʼorganizzazione fisica di questi individui e il loro rapporto, che ne consegue, verso il resto della natura”¹.

Lʼ“organizzazione fisica” degli individui umani è quindi la base materiale primaria della loro esistenza sociale, oltre che naturale. Diventato un elemento della società, lʼuomo è rimasto parte della natura. Anzi, la natura è diventata la premessa per un nuovo tipo di attività vitale, o stile di vita, degli esseri umani, qualitativamente diverso da quello degli animali. Questo modo di vivere ruota attorno alla produzione di ciò che è necessario per mantenere la vita (compresi i mezzi di produzione) e quindi allʼorganizzazione sociale.

Il legame genetico tra la struttura del corpo umano e la morfologia dei suoi più prossimi antenati animali era stato chiaramente percepito da Darwin e dai suoi contemporanei. In “Parte avuta dal lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia”, Engels parlò della fecondità di questa idea, che la Chiesa aveva condannato come peccaminosa, e con sorprendente penetrazione interpretò questo fatto naturale alla luce del materialismo dialettico. Egli sostenne in modo convincente che il lato biologico di questo problema ha anche un aspetto filosofico. Il compito del filosofo è quello di rivelare il carattere dialetticamente contraddittorio del processo oggettivo attraverso il quale la struttura anatomica e morfologica degli animali superiori (in particolare dellʼipotetico antenato comune dellʼuomo e delle scimmie antropomorfe) si trasforma nellʼorganizzazione biologica e psichica dellʼHomo sapiens.

La scienza fornisce continuamente nuove conferme sia dellʼunità biologica dellʼuomo e del mondo animale sia della loro profonda divergenza evolutiva. Molti organi dellʼuomo corrispondono a quelli delle scimmie superiori, pur differenziandosi da essi. Come Darwin stesso riteneva, lo scimpanzé è più vicino allʼuomo nellʼanatomia e nel comportamento di qualsiasi altro primate.

Allo stesso tempo ci sono stati vari tentativi, tutti infruttuosi, di assolutizzare la somiglianza tra i primati e lʼuomo nellʼorganizzazione fisica e di interpretare il legame tra la struttura anatomica e fisiologica dellʼuomo e quella dei suoi antenati animali dal punto di vista del materialismo volgare. In particolare, alcuni biologi borghesi hanno spesso sottovalutato la profonda differenza qualitativa tra lʼuomo e la scimmia, che si manifesta in tutta una serie di caratteristiche altamente significative: il livello di sviluppo e di differenziazione funzionale degli emisferi cerebrali, il secondo sistema di segnali, la modifica intenzionale dellʼambiente da parte dellʼuomo, il minore effetto della selezione, ecc.

Engels pensava che fosse un cambiamento nello stile di vita degli antenati dellʼuomo, ormai estinti da tempo, a fungere da condizione oggettiva per un corrispondente cambiamento nella loro struttura anatomica e morfologica, e questa idea è emersa trionfalmente nella scienza moderna. Engels non si limitò a una caratterizzazione generale di come gli antenati dellʼuomo, conosciuti dai fossili, subirono una ristrutturazione biologica in direzione dellʼumanizzazione. Con “Parte avuta dal lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia” è stato il primo studioso della storia ad articolare i legami e le fasi fondamentali di questo processo. Nellʼultimo secolo, discipline come la paleoarcheologia, la paleoantropologia e la paleoneurologia hanno confermato le idee principali di Engels sullo sviluppo successivo della postura eretta, della mano e del cervello e sul modo in cui questi si rafforzavano a vicenda. In altre parole, nelle diverse fasi dellʼantropogenesi il fattore principale e decisivo è stato lo sviluppo preminente dellʼelemento che rappresentava un nuovo passo nellʼinterazione con la natura e apriva nuovi orizzonti al lavoro e alla socialità.

Nella maggior parte degli animali le funzioni delle zampe anteriori e posteriori sono del tutto indifferenziate, o differenziate solo in minima parte. Esistono tuttavia prove, conservate negli “archivi” paleontologici dellʼevoluzione, tra le specie estinte, che alcuni rettili del Mesozoico (in particolare gli Ornithopoda e i Sauropoda) svilupparono efficaci mezzi di locomozione. Correvano e saltavano anche sulle zampe posteriori, sostenendosi allʼoccorrenza con le loro code massicce. I loro cinque arti anteriori erano usati principalmente per integrare le mascelle nellʼafferrare e trattenere il cibo. I dinosauri, naturalmente, sono stati uno dei vicoli ciechi dellʼevoluzione; hanno gradualmente lasciato il posto a forme di vita più avanzate, e in particolare ai mammiferi, tra i quali le scimmie mostrano senza dubbio la maggiore differenziazione delle estremità anteriori e posteriori.

Engels notò che tutte le scimmie antropoidi sono in grado di muoversi solo sulle gambe, ma lo fanno solo quando è assolutamente necessario, e per giunta in modo maldestro. Questa “riserva” di potenziale evolutivo potrebbe essere realizzata solo se circostanze straordinarie rendessero lo sviluppo di questa capacità incipiente una condizione necessaria per la sopravvivenza della specie. Ricordando la ricostruzione teorica di Darwin sulla composizione fisica di scimmie antropoidi eccezionalmente sviluppate alla fine del periodo geologico del Terziario, Engels scrive: “Lʼarrampicarsi porta a un impiego delle mani diverso da quello dei piedi – queste scimmie cominciarono a perdere lʼabitudine di aiutarsi con le mani quando procedevano su terreno piano e ad assumere sempre più la posizione eretta. Con ciò era fatto il passo decisivo per il trapasso dalla scimmia allʼuomo”².

I notevoli progressi compiuti dalla primatologia negli ultimi decenni, e anche i nuovi scavi in Africa, permettono di completare i dettagli di questa idea, che Engels ha presentato più o meno in forma abbozzata, come una supposizione.

La paleobotanica ha confermato che verso la fine del Terziario si è verificato un cambiamento significativo nel clima, nella flora e nella fauna delle regioni tropicali, che senza dubbio ha portato a una riduzione della specializzazione arborea di alcune delle scimmie superiori. Si potrebbe dire che le loro “riserve” evolutive sono state utilizzate per adattarsi alle nuove condizioni. In particolare, se gli arti anteriori fossero “occupati”, gli arti posteriori avrebbero uno stimolo naturale irresistibile ad assumere la funzione di sostegno.

Ma occupati in che cosa? Dopotutto, milioni di anni separano questo periodo dalle prime forme di quello che può essere definito lavoro umano. Una risposta riguarda il lancio di pietre, bastoni, noci e simili. Questo può essere fatto per difendersi da un nemico, per sferrare un attacco o per far cadere i frutti dagli alberi. Mentre bombarda un oggetto a due o tre metri di distanza, la scimmia di solito si sostiene su tre zampe e guarda fisso il bersaglio come se stesse prendendo la mira. La creazione di questo mezzo per agire sugli altri animali da lontano sembra presupporre lo sviluppo di una postura retta. La nuova posizione è stata assunta con sempre maggiore sicurezza. Gli inizi di questo fenomeno possono essere visti nel modo in cui le grandi scimmie si spostano da un albero allʼaltro o (soprattutto) attraverso i cespugli.

Unʼaltra circostanza che può aver favorito lo sviluppo della postura eretta (ortograda) è lʼandatura semieretta che le scimmie usano per trasportare il cibo, che eseguono principalmente con le zampe anteriori quando il carico è pesante o ingombrante.

Di notevole importanza per spiegare materialmente lʼaffermarsi di unʼandatura a due zampe (bipedismo) tra gli antenati preistorici dellʼuomo è lʼipotesi che sia sorta la necessità di integrare la dieta vegetale, che sarebbe stata piuttosto scarsa al di fuori delle foreste. Insetti, piccoli anfibi, uova, uccelli e i loro nidiacei, pesci, molluschi e così via divennero alimenti abituali. Tutto questo, e anche la raccolta di frutti che crescevano su rami alti, richiedeva lo spostamento del centro di gravità verso le estremità posteriori, contribuendo così a promuovere e perfezionare il loro utilizzo come sostegno.

La forte diminuzione della vegetazione arborea nella savana, rispetto alla foresta tropicale che le scimmie abitavano in precedenza, non è lʼunica circostanza che potrebbe averle costrette ad assumere una postura eretta alla fine del Terziario. Si può ipotizzare che uno spostamento in territorio montano (o la formazione di montagne in un vecchio habitat) abbia reso necessario per loro scalare pendii ripidi tenendosi (e trasportando cibo) con le mani. Nelle zone costiere il bipedismo potrebbe essere stato favorito dalla necessità di spingersi sempre più in profondità per raccogliere molluschi, granchi e altri animali precedentemente raccolti sulla spiaggia durante la bassa marea.

La nascita e lʼaffermazione del bipedismo è stata un processo graduale e lungo. Come un bambino che ha appena imparato a camminare, gli antropoidi preistorici probabilmente tornavano a quattro zampe di tanto in tanto. Allʼinizio si trattava di un mezzo di locomozione più veloce e, soprattutto, più facile e abituale. Non è da escludere che i meccanismi psichici di dimostrazione e imitazione, così ben sviluppati nelle scimmie superiori, abbiano avuto un ruolo significativo nel padroneggiare la postura eretta.

Lʼaudace ricercatrice britannica Jane Goodal ha recentemente trascorso un certo numero di anni vivendo vicino a diversi gruppi di scimpanzé che abitano una regione della Tanzania, con i quali ha instaurato un rapporto di massima fiducia. Molte delle sue osservazioni hanno un valore davvero unico. In particolare, ha stabilito che gli scimpanzé passano molto più tempo a terra di quanto si pensasse in precedenza. Possono colpire bersagli con bastoni e pietre. Spesso integrano la loro dieta vegetale con termiti scavate con ramoscelli appositamente rosicchiati e vanno a caccia di piccola selvaggina; a volte uccidono maiali selvatici e capre di montagna. Goodal ha stabilito che gli scimpanzé usano lʼerba masticata come spugna per raccogliere lʼacqua nelle cavità degli alberi e spesso camminano sulle zampe posteriori quando vanno da qualche parte in gruppo.

La postura eretta, a sua volta, ha causato cambiamenti anatomici e morfologici nellʼorganizzazione corporea degli antenati preistorici dellʼuomo. Il piede, perdendo la sua funzione di presa, si appiattì e sviluppò un arco longitudinale, che alleggerì il carico sulla colonna vertebrale nella corsa e nel salto. David Pilbim dellʼUniversità di Yale ha avanzato unʼipotesi sui cambiamenti della colonna vertebrale. È possibile che la struttura della colonna vertebrale degli australopitecini (ed evidentemente dei loro immediati predecessori) sia cambiata in funzione dei mezzi di locomozione su cui si basava il loro stile di vita. Così le sei vertebre originarie si sono ridotte a tre o quattro negli scimpanzé e nei gorilla, mentre il loro numero è aumentato nellʼHomo sapiens. In questʼultimo caso, questo cambiamento evolutivo è stato accompagnato da un rafforzamento della colonna vertebrale, dalla scomparsa della coda e dallʼespansione del bacino e del torace. Anche lo scheletro e la muscolatura sono stati modificati. Le ossa, e in particolare il cranio, si assottigliarono, rendendo possibile la crescita e la modifica della struttura del cervello. Il viso si accorciò, le mascelle e i denti si ridussero. Comparve la visione stereoscopica; i centri motori del cervello furono potenziati e così via. Il cambiamento più importante, tuttavia, fu – come scrisse Engels – che “la mano era diventata autonoma e poteva ora acquistare una crescente destrezza”³. Questo, a sua volta, contribuì a incoraggiare la postura eretta.

Hegel è stato tra i primi a richiamare lʼattenzione sulla mano umana come trasformatore della natura, una funzione che la rende il principale mezzo naturale attraverso il quale lʼuomo entra in contatto con il mondo esterno, comunica con esso e lo modifica in modo costruttivo. In Lineamenti di filosofia del diritto, dove discute del ruolo svolto dalla produzione nella vita umana, Hegel scrive: “La mano è questo grande organo, che l’animale non ha, e ciò che prendo con essa, può diventare esso stesso un mezzo con cui posso afferrare ulteriormente”⁴.

Vista in modo schematico, quindi, la mano è un intermediario tra il corpo dellʼuomo (un insieme di organi naturali per agire sulla natura esterna) e il mondo esterno. Allʼinizio lʼuomo usa le mani per soddisfare i suoi bisogni primitivi e biologici; in seguito le usa per compiti materiali-tecnologici e socio-culturali sempre più complessi. Attraverso lʼuso della mano, il mondo esterno viene trasformato in oggetti che operano come aiutanti dellʼuomo e in oggetti su cui agire, cioè in strumenti e oggetti del lavoro. In una parola, lʼinsostituibile intermediario tra lʼintenzione diretta “contro” la natura e la natura stessa è uno strumento naturale capace di creare strumenti artificiali: la mano umana.

Lʼidea che sia stata lʼevoluzione della mano a svolgere il ruolo decisivo nella definitiva separazione dellʼuomo dal mondo animale e nella sua trasformazione del mondo circostante ha ricevuto uno sviluppo dialettico-materiale nei classici del marxismo-lenismo. La forza che ha trasformato la sgraziata zampa della scimmia in una mano umana, capace di un virtuosismo da maestro, è stata il lavoro con gli strumenti. È solo grazie al lavoro che la mano umana, il suo strumento e il suo prodotto, ha raggiunto quello che Engels ha definito “lʼalto grado di perfezione necessario per far nascere i quadri di un Raffaello, le statue di un Thorwaldsen, la musica di un Paganini”⁵.

Engels ha dimostrato una percezione perfetta nel distinguere la funzione della mano umana da quella della zampa della scimmia. La differenza principale sta nel fatto che gli strumenti vengono costruiti in anticipo per trasformare lʼambiente in modo mirato e creativo, cosa sconosciuta nel mondo animale. “Con le mani, molte scimmie si costruiscono nidi sugli alberi o addirittura, come lo scimpanzé, tettoie tra i rami per ripararsi dai temporali. Con le mani afferrano randelli per difendersi dai loro nemici, o pietre e frutta per bombardarli. Con esse compiono in prigionia tutta una serie di piccole operazioni imitando gli uomini. Ma proprio in questʼultimo caso si vede quanto è grande la differenza tra la mano non sviluppata della scimmia, anche della più simile allʼuomo, e la mano dellʼuomo altamente perfezionata dal lavoro di centinaia di migliaia di anni. Il numero delle articolazioni e dei muscoli, la loro disposizione generale sono, nei due casi, gli stessi; ma la mano del selvaggio più arretrato può compiere centinaia di operazioni che nessuna scimmia riesce ad imitare. “Nessuna mano di scimmia” – riassumeva aforisticamente Engels – “ha mai prodotto il più rozzo coltello di pietra”⁶.

Di per sé, i cambiamenti anatomici e morfologici subiti dalle braccia e dal suo “punto” funzionale, la mano, non sono stati così drammatici come, ad esempio, la ristrutturazione del cervello o la trasformazione dellʼorganizzazione corporea dei nostri antenati preistorici, causata dallʼadozione della postura eretta. Nel complesso, il cambiamento avvenuto nella mano si è ridotto a una serie di alterazioni significative. Vi fu un aumento della lunghezza e della mobilità delle dita e soprattutto del pollice rispetto al palmo. Si verificò un corrispondente cambiamento nella struttura dei muscoli, che portò a una maggiore flessibilità e rese possibile una più ampia varietà di posizioni e funzioni (variabilità). La mano diventa capace di svolgere compiti delicati. Si verificò un aumento della sensibilità a scapito della capacità di presa, e gli artigli lasciarono il posto alle unghie piatte.

Soprattutto, il funzionamento della mano è venuto gradualmente ad occupare un posto dominante nel provvedere ai bisogni vitali e alla sicurezza dei remoti antenati dellʼuomo. Sembra probabile che lo sviluppo funzionale della mano (uno strumento biologico naturale a cui sono stati “aggiunti” strumenti inorganici naturali, come la pietra) sia proceduto con grande intensità, superando di diversi ordini di grandezza la velocità (e soprattutto gli orizzonti!) dellʼevoluzione puramente biologica. Gli utensili in ciottoli giunti fino a noi (quelli in osso e legno sono necessariamente meno ben conservati) sono talvolta difficili da distinguere dai frammenti prodotti dallʼazione di forze naturali come lʼacqua, il vento e le variazioni di temperatura. Tuttavia, è stato stabilito senza ombra di dubbio che i reperti rinvenuti nella gola di Olduvai (Tanzania) rappresentano unʼindustria di lavorazione della pietra risalente a circa due milioni di anni fa.

La mano divenne uno strumento di lavoro, di scoperta e di comunicazione (attraverso i gesti). Gli antenati dellʼuomo lanciavano pietre contro gli animali che cacciavano o dai quali dovevano difendersi. Con le mani hanno forgiato i primi utensili in pietra (o forse in osso, corno o legno). Con le mani accendevano i primi fuochi per cucinare e riscaldarsi e preparavano il combustibile che li sosteneva. Le mani sono state usate per segnalare e scambiare informazioni attraverso i gesti, che sono stati rafforzati (e in seguito sostituiti) dalla voce e poi dalla scrittura. Infine, è con le mani che i primi uomini hanno cercato di esprimere, con disegni sulle pareti delle grotte o sulle scogliere vicine, le loro nascenti percezioni estetiche del mondo e le loro sensazioni soggettive sulla sua varietà e dinamica.

Lʼinstaurazione della postura eretta ha quindi promosso e presupposto un significativo ampliamento delle funzioni svolte dagli arti anteriori degli ominidi più antichi e un cambiamento radicale di tali funzioni, anche se gli arti stessi non hanno subito grandi cambiamenti anatomici per molto tempo. Sembra che allʼinizio svolgessero i nuovi compiti nella loro forma biologica precedente, e in effetti la loro successiva trasformazione evolutiva non fu davvero radicale.

Che cosa cʼera “allʼinterno” dellʼorganismo che ha fatto da forza motrice nello sviluppo funzionale della mano? Il cervello era, in termini di evoluzione, lʼorgano più “recente” del corpo umano, e quindi il più plastico e dinamico. Si stava sviluppando il senso del tatto e si rafforzava lʼabitudine di sentire gli oggetti, dividerli e unirli, metterli uno sullʼaltro, spostarli, ecc. Nel corso di un lungo periodo evolutivo tutto questo, insieme alla coordinazione tra mano destra e sinistra e tra attività motoria e manipolativa, unito ad altri fattori, è stato in qualche modo “impresso” dal sistema nervoso centrale, che ne ha favorito lʼulteriore sviluppo.

Lʼinterazione dialettica della percezione da parte dellʼocchio e della mano nel processo evolutivo ha favorito lo sviluppo di entrambi gli organi. Engels ha espresso con un linguaggio sorprendente la distinzione fondamentale tra la visione dellʼuomo e quella del più acuto degli uccelli: “Lʼaquila vede molto più lontano dellʼuomo, ma lʼocchio dellʼuomo scorge molto di più nelle cose che non quello dellʼaquila”⁷. Uno dei più importanti psicologi americani, Jerome Bruner (di Harvard e poi di Oxford), sostiene in modo convincente che è possibile parlare di “integrazione tra il mondo della mano e il mondo della vista”⁸. Un testo di medicina sovietico descrive giustamente lʼocchio come una parte del cervello avanzata in posizione frontale.

Le ricerche degli ultimi decenni hanno dimostrato che negli ultimi stadi dellʼantropogenesi non è stata tanto la massa del cervello quanto la sua struttura, il livello della sua organizzazione morfologica, a giocare un ruolo sempre più decisivo. Il Neanderthal classico, ad esempio, aveva una massa cerebrale pari – e talvolta superiore – a quella dellʼuomo moderno.

Uno dei principali metodi utilizzati per ricostruire lʼevoluzione del cervello è lo studio delle cosiddette impronte endocraniche. Solfato di rame e sostanze elastiche vengono versate nei crani fossili e la pellicola risultante viene tracciata attraverso il foro occipitale. Il rilievo delle convoluzioni cerebrali e dei vasi sanguigni della dura madre viene così riprodotto con una precisione di un centesimo di millimetro. Naturalmente lo studio di queste impronte non fornisce un quadro completo della struttura interna del cervello, ma permette di determinare con precisione il volume del cervello e le principali tendenze del suo sviluppo, in particolare le aree di crescita più intensa. Inoltre, lo studio comparativo delle strutture cerebrali rivela la sequenza genetica in cui sono nate le sue funzioni regolatrici fondamentali.

Anche la psichiatria e la neurochirurgia, che si occupano di pazienti che hanno perso diverse funzioni cerebrali a causa di danni a varie parti dellʼorgano, forniscono materiale significativo sul rapporto evolutivo tra le strutture più vecchie e quelle più recenti della corteccia cerebrale e sulla loro “responsabilità” per diversi aspetti del funzionamento dellʼorganismo.

Come hanno osservato gli studiosi sovietici Veronika Kočetkova e Vladimir Jakimov, il cervello dei primati presenta una nuova disposizione prevalentemente radiale delle principali convoluzioni, qualitativamente diversa dalla disposizione circolare presente negli altri ordini di mammiferi. Vi è anche una maggiore tendenza allʼingrandimento degli emisferi. Sotto entrambi questi aspetti il cervello degli ominidi, pur mantenendo una continuità con gli stadi evolutivi precedenti, è andato in una direzione un poʼ diversa. Si è assistito a un netto ampliamento della gamma di modifiche che possono verificarsi nel corso della vita dellʼindividuo, a seconda del tipo di attività svolta. Durante lo sviluppo prenatale il cervello umano raggiunge solo il venticinque per cento del suo volume finale, mentre quello dello scimpanzé, lʼanimale più vicino allʼuomo da questo punto di vista, raggiunge il sessantacinque per cento del suo volume finale.

Lʼevoluzione del cervello dei nostri remoti antenati è iniziata in concomitanza con lʼandatura eretta, lo sviluppo della mano, il miglioramento del senso tattile e della vista, ecc. Si verificò un riadattamento dei centri motori del cervello. Fu la manipolazione degli oggetti nel loro ambiente da parte di questi antropoidi a dare lʼimpulso decisivo allʼulteriore sviluppo del cervello. Le nuove funzioni apportate da unʼattività di costruzione di utensili sempre più sociale hanno portato alla formazione di nuove strutture nella corteccia degli emisferi cerebrali.

La scienza moderna sta imparando sempre di più sulla gamma veramente universale delle capacità e delle funzioni del cervello. Nel complesso, queste scoperte confermano lʼidea che il cervello umano sia, in sostanza, un concentrato unico di evoluzione biologica “incorporato” nellʼorganismo individuale. Il suo potenziale creativo e la sua capacità di assimilare la cultura sono letteralmente sconfinati.

Si ipotizza che la quinta e la seconda coppia di cromosomi, “responsabili” dello sviluppo e del funzionamento del cervello, si siano “fuse” – e quindi siano diventate più potenti – durante la ricombinazione del bacino genetico dei primi primati. È possibile che sia stato questo il motivo che ha portato al graduale miglioramento del sistema nervoso dei mammiferi precedentemente evoluto. Queste nuove strutture fondamentali degli impulsi nervosi erano un prerequisito biologico per il successivo sviluppo del pensiero concettuale. La differenziazione delle funzioni svolte dalla corteccia dei due emisferi ha avuto un ruolo significativo (e non ancora del tutto compreso) nellʼevoluzione del cervello. La scienza ha stabilito che la loro specializzazione consiste in particolare nellʼuso predominante di canali razionali o emotivi, temporali o spaziali nel rapporto con il mondo esterno. Recentemente è stato chiarito che il cervello è essenzialmente un organo accoppiato, proprio come le mani.

A questo proposito si può notare che alcuni autori borghesi considerano lʼevoluzione del cervello in modo idealistico, isolata dallʼemergere del lavoro, e tendono quindi a ignorare i principali processi attraverso i quali la struttura e lʼarchitettura interna del cervello sono state rimodellate, concentrando la loro attenzione solo sulle sue dimensioni. Robert Ardrey, ad esempio, conclude che il cervello umano, dopo aver raggiunto la “prontezza” fisiologica, ha trascorso mezzo milione di anni aspettando il suo momento. È stato, per dirla con le sue parole, come se a persone che non avevano ancora imparato a conoscere i prodotti petroliferi fosse stata presentata una Rolls-Royce⁹.

Carl Sagan, astronomo americano e ricercatore di civiltà extraterrestri che ha pubblicato un libro dal titolo pretenzioso I draghi dellʼEden: considerazioni sullʼevoluzione dellʼintelligenza umana, fa un paragone volgare-fisiologico tra la struttura del cervello umano e un palinsesto da cui si può ancora leggere un testo antico sotto quello che è stato scritto successivamente. Egli sostiene che lʼaggressività e lʼattaccamento al rituale sono geneticamente condizionati da una parte del cervello ereditata dai rettili, chiamata “complesso R”. Lʼaltruismo e lʼamore, invece, sono collegati al sistema limbico che si è sviluppato nei mammiferi, mentre la facoltà di previsione è concentrata nei lobi frontali, una formazione relativamente recente. Sagan sostiene che, in un senso molto reale, la civiltà può essere considerata un prodotto dei lobi frontali¹⁰. Caratteristicamente, questi autori non hanno una parola da dire sul lavoro come sforzo cooperativo per trasformare lʼambiente con lʼaiuto di strumenti. Considerano lo sviluppo del cervello in modo isolato, come un processo puramente fisiologico, e questo permette loro di lanciarsi in ogni sorta di mistificazioni. Ad esempio, lʼaggressività che caratterizza le società antagoniste non è imputata alle relazioni socio-economiche (e in particolare a quelle capitalistiche) che la generano, ma alle antiche repliche, che si sostiene abbiano lasciato una sinistra traccia della loro sete di sangue nel cervello di ogni uomo.

Cosa può dirci la scienza moderna sulla formazione del cervello umano e sulle fonti della sua evoluzione genetica? Come è iniziato questo processo e quali sono state le sue linee generali?

Lo studio comparativo delle impronte endocraniche ha dimostrato che la crescita intensiva del cervello (legata alla selezione naturale in base allʼinclinazione allʼuso di utensili e al successo in questa attività) è iniziata simultaneamente in due centri. Il primo è il sincipite inferiore, che nellʼuomo moderno è legato al coordinamento dellʼazione delle mani. Il secondo è il frontale inferiore, che corrisponde alla zona motoria utilizzata nel linguaggio (area di Broca). La fase successiva è stata segnata da un ampliamento della zona di crescita intensiva attraverso la nascita di due nuovi epicentri: il temporale e il paracoronale (primo fra tutti lʼarea di Wernicke). È questʼultimo che provvede alla comprensione del linguaggio. Ad essa si affianca la cosiddetta convoluzione angolare, che si trova alla confluenza delle sezioni della corteccia che regolano la vista, lʼudito e il tatto, aprendo così la strada allʼintegrazione dei dati provenienti dal mondo esterno. Anche il rilievo della superficie cerebrale è diventato più complesso con il continuo progresso del lavoro, del pensiero e della parola. Solo nella fase finale dellʼantropogenesi (lʼevoluzione del cervello) si è verificato lo sviluppo delle sezioni prefrontali. Nelle scimmie inferiori i lobi frontali costituiscono il dieci per cento della corteccia; nelle scimmie superiori, la cifra è inferiore al quindici per cento; nellʼuomo, circa il venticinque per cento.

“In primo luogo il lavoro”, scrive Engels, “dopo di esso e con esso il linguaggio: ecco i due stimoli più essenziali sotto la cui influenza il cervello di una scimmia si è trasformato gradualmente in un cervello umano, molto più grande e perfetto secondo ogni verosimile ipotesi”¹¹. Engels, naturalmente, non era un antropologo o un paleontologo, ma il principio metodologico da lui formulato più di un secolo fa, la triade ominide (postura eretta, sviluppo della mano e sviluppo del cervello), è stato comunque confermato più volte nel rapido progresso della scienza moderna.



  1. K. Marx, F. Engels, Opere complete, vol. V, 1845-1846, Editori Riuniti, 1972, pp. 16-17.
  2. F. Engels, 1876.
  3. Ibidem.
  4. G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, 1821, Editori Laterza, 2012, p. 301.
  5. F. Engels, 1876.
  6. Ibidem.
  7. Ibidem.
  8. J. Bruner, Psicologia della conoscenza, 1973.
  9. R. Ardrey, The Social Contract, 1970, p. 352.
  10. C. Sagan, I draghi dellʼEden: considerazioni sullʼevoluzione dellʼintelligenza umana, 1977.
  11. F. Engels, 1876.



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