La ricerca al servizio dell’umanità
Avvenimenti
La mostra Linus Pauling e il XX secolo
a cura di Angela Lano
Tra il 22 e il 29 giugno il palazzo di Torino Esposizioni ha ospitato la mostra Linus Pauling e il XX secolo, che ha accolto circa tremila visitatori. L’iniziativa è stata organizzata nell’ambito del XXI Congresso Nazionale della Società Chimica Italiana. Il tema della mostra itinerante era “La ricerca al servizio dell’umanità”, cioè come possano convivere, in una stessa persona, aspetti di profondo umanesimo insieme ad altri meramente scientifici. Ed è proprio questa duplicità, questa doppia natura, che l’esposizione ha trasmesso agli spettatori attratti da un mondo dove atomi e raggi X, strutture molecolari e leggi matematiche coesistono uniti all’impegno per la pace e l’armoniosa esistenza sul pianeta Terra.
Hanno sostenuto il progetto della mostra la Società Chimica Italiana, l’Università di Torino e il Politecnico di Torino, che si sono fatti portavoce di messaggi di pace.
Inaugurata il 20 settembre del 1998 allo Herbst International Exibition Hall di San Francisco, l’esposizione ripercorre, attraverso foto, diari, modelli molecolari e oggetti storici (concessi dalla Collezione speciale Pauling dell’Università di Stato dell’Oregon e dalla famiglia Pauling), gli oltre novant’anni di vita – di cui settanta di carriera – e di grande influenza politico-scientifica e sociale che lo scienziato ha avuto sul mondo intero.
L’idea della mostra itinerante è nata nel 1987, quando il professor Pauling e Daisaku Ikeda, presidente della Soka Gakkai International, si sono incontrati per la prima volta. Il progetto è stato realizzato un anno dopo la morte di Pauling, nel 1995.
Intervista a Linus Pauling junior
Linus Pauling junior nasce nel 1925. Non ha seguito la carriera del padre ma, appena finito il liceo, si è iscritto alla facoltà di Medicina perché aveva deciso di diventare psichiatra. In seguito, quando è andato in pensione, nel 1990, ha iniziato a occuparsi dell’Istituto di ricerche di Scienze e Medicina a Palo Alto, in California, fondato dal padre per studiare la medicina ortomolecolare.
Lo abbiamo intervistato in occasione dell’inaugurazione della mostra Linus Pauling e il XX secolo, a giugno. «Sono estremamente grato al presidente Ikeda e ai membri della Soka Gakkai per questa mostra, che è molto importante in quanto mio padre ha avuto una grande influenza sull’opinione pubblica. Egli ha cercato di sensibilizzare la gente sui danni dei test nucleari effettuati nell’atmosfera, e sulla gravità della loro ricaduta radioattiva: al riguardo, infatti, i governi del mondo stavano diffondendo informazioni errate. Pochi scienziati, in quel periodo, hanno avuto il coraggio di parlare del pericolo incombente, anzi, i messaggi dei governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna cercavano di giustificare questi test. A quell’epoca c’era la guerra fredda, e tutte le persone che si dimostravano in disaccordo con il governo venivano perseguitate sia negli USA sia in URSS. Mio padre sapeva divulgare il suo messaggio di pace sia perché aveva molta fiducia nella scienza, sia perché aveva molto coraggio ed energia e una grande capacità di comunicare con il pubblico».
Non pensa che queste persecuzioni possano aver costituito, per suo padre, uno stimolo positivo?
In effetti i problemi possono svolgere un ruolo positivo, ma nel caso di mio padre gli effetti negativi sono stati maggiori: in quel periodo ha sofferto molto per essere stato abbandonato da amici e colleghi. Non era tanto preoccupato per le mancate opportunità, quanto per il disinteresse o è ostilità da parte di chi gli stava vicino. Ha continuato ad andare avanti comunque, ed è importante capire, a questo proposito, il corso degli eventi umani come li aveva intesi mio padre. Lui dovrebbe rappresentare un grande incoraggiamento per tutte le persone.
Le donne sono state importanti nella vita di Linus Pauling?
Mia madre lo ha spinto molto a parlare della pace nel mondo e ha cercato di convincerlo dell’importanza di educare le persone. L’ha sempre influenzato nelle sue scelte politiche, perché riteneva che gli scienziati, normalmente, non se ne occupassero molto. In realtà gli esseri umani sono più importanti della scienza e questa coscienza sociale deve venire sviluppata. Gli scienziati devono essere in grado di informare la gente sull’entità reale dei problemi: essi conoscono i retroscena scientifici di tutto ciò che può essere coinvolto nella guerra nucleare.
Il fatto che lei non abbia seguito la carriera di suo padre ha creato dei problemi in famiglia?
I miei genitori si sono ben presto resi conto che io non volevo seguire le orme di mio padre. Verso la metà degli anni Trenta lui aveva scritto un testo di chimica per gli studenti della sua università. Alla fine di questo libro c’era un questionario, e mio padre lo ha sperimentato su di me. Avevo quindici anni e ho fallito miseramente la prova. Lui si è così reso conto che la chimica non era il mio campo d’azione. Naturalmente ne è rimasto deluso, ma era troppo intelligente per cercare di convincere i figli a seguire la sua carriera. Quindi ci ha lasciati liberi di scegliere le attività che preferivamo, anche se aveva delle idee molto chiare sulla scala dei valori: secondo lui al più alto livello di studi era collocata la scienza pura, poi quella applicata, la medicina e affini, il gradino più basso era occupato dai commercianti e dagli avvocati. Noi figli ci siamo dunque tutti impegnati in campo scientifico, anche se nessuno ha seguito la strada di nostro padre. A partire dai diciotto anni, per seguire la mia carriera e le mie scelte personali, ho condotto una vita separata dalla famiglia. Mio padre sperava che almeno uno dei figli lo seguisse nella chimica, ma nessuno di noi ha intrapreso il suo mestiere.
Ha sofferto molto per le differenze che c’erano tra lei e suo padre?
Sì, però sono riuscito a fare quello che volevo io: ho avuto successo nel mio lavoro, anche se mio padre non credeva molto nella psichiatria. Dal punto di vista medico, era più interessato alla neurologia e, all’inizio degli anni Sessanta, aveva anche provato a somministrare i suoi integratori alimentari ai malati psichiatrici.
Qual è il suo atteggiamento verso l’attività di suo padre nei confronti degli integratori alimentari – che hanno rappresentato l’interesse cruciale nei suoi ultimi anni di vita? Ritiene che questi integratori possano migliorare la salute del genere umano?
Sono stati promossi con grande coraggio da mio padre, perché era convinto che fossero assolutamente necessari, dato l’ambiente scorretto in cui viviamo. Naturalmente ci sono anche altri approcci, altri tipi di diete e noi non sappiamo esattamente cos’è meglio per la nostra salute. La responsabilità della scienza è proprio quella di capire le conseguenze degli alimenti che assumiamo, soprattutto adesso che entrano in campo quelli geneticamente modificati. Dobbiamo cercare di comprendere qual è la migliore combinazione di alimenti per noi. Mio padre era molto convinto dell’importanza delle vitamine, e per studiare più a fondo questo argomento aveva fondato l’Istituto Linus Pauling di Scienza e Medicina a Palo Alto, in California. Quando sono andato in pensione, nel Novanta, lui non aveva più il controllo dell’istituto, quindi ho dovuto occuparmene io per evitare il fallimento.
Secondo lei qual è l’origine dei problemi psichiatrici?
Ci sono due tipi di origine: quella organica, cioè quando c’è una forte influenza dei tratti congenici, e quella dovuta a esperienze esistenziali. I disturbi con cause organiche si curano sopratutto con le medicine, quelli che derivano da esperienze vissute, con la psichiatria e con le terapie analitiche.
Il Buddismo sostiene che si tratti di un problema karmico…
L’argomento è molto vasto e ci sono molte opinioni diverse. La mia opinione personale è che tutto sia accidentale. Io non credo in Dio e sono agnostico. Nonostante ritenga che molte persone debbano sopportare grandi sofferenze, penso sia dovuto semplicemente al caso. Quando è morto mio fratello, il presidente Ikeda mi ha scritto una lettera parlando della morte spiegando che i buddisti credono in una vita dopo la morte. Alcuni brani di questa lettera li ho citati al funerale perché credo non si possa vivere senza questo tipo di speranza, anche se, secondo me, si tratta di opinioni troppo sottili per poter essere misurate. C’è ancora moltissimo da studiare in questo campo. Quando ho incontrato il presidente Ikeda ho discusso moltissimo con lui su tanti argomenti, anche sulla vita e sulla morte. Nonostante avessimo opinioni molto differenti, ciò che mi ha colpito di lui è stata la sua abilità a tirare fuori il meglio dalle persone, a fare emergere i pensieri più profondi, pensieri che io stesso non pensavo neanche di avere. È una persona percettiva e sensibile.
Il Buddismo sostiene che se si ha uno stato vitale alto si può capire meglio la vita degli altri.
Occasionalmente nascono persone eccezionali, ma questo è un puro caso. Anche mio padre, in un altro campo, era una persona straordinaria. Pur non essendo buddista aveva una grandissima creatività, un pensiero scientifico geniale e molti altri tratti che ne facevano un uomo fuori dal comune. Il signor Ikeda ha una grande abilità di capire, di relazionarsi con gli altri, ma in questo non vedo nulla di magico: anche i grandi profeti ne erano dotati e sapevano generare idee e influenzare un gran numero di persone. Riconosco però che la filosofia della Soka Gakkai è molto positiva e adatta a risolvere i problemi del mondo moderno. Sarebbe stato interessante vedere quali influenze avrebbe potuto avere il presidente Ikeda su mio padre se si fossero incontrati prima.
È molto interessante il rapporto che Linus Pauling ha avuto con Einstein, possiamo immaginare che l’incontro fra due personalità così grandi non debba essere facile.
In effetti c’è stata una grande amicizia fra loro due, ma questa è stata possibile per il fatto che erano su due livelli diversi: Einstein era molto più vecchio di mio padre, ed era arrivato alla fama molto prima. Veniva spesso a trovarci ed era molto colpito dalla genialità di mio padre. Una volta era andato a una sua lezione e, all’uscita, aveva affermato: «Non ho capito nulla di quello che ha spiegato, ma deve avere detto cose molto interessanti». Ciò che li univa era l’idea che la guerra atomica rappresentasse una minaccia per l’umanità e che dunque andasse fermata.
(di Luisa De Benedetti e Angela Lano)
Chi era Linus Pauling
Linus Carl Pauling nacque a Portland, nell’Oregon, il 28 febbraio del 1901, figlio del farmacista Herman Henry William Pauling, di origine tedesca, e di sua moglie, Lucy Isabelle Darling, di discendenza anglo-scozzese.
Fu proprio all’interno della farmacia del padre che il piccolo Linus apprese le prime informazioni di chimica. L’infanzia, trascorsa a Condon, nell’Oregon, venne segnata dalla morte dell’amato padre e dalla depressione della madre Belle che, per mantenere la famiglia, si vide costretta ad aprire una pensione a Portland. Il futuro scienziato reagì controllando le proprie emozioni e rifugiandosi in un mondo a sé: leggeva moltissimo, si dedicava a collezionare insetti e minerali, e a fare esperimenti domestici con il “piccolo chimico”. Fu quello l’inizio della sua carriera, come amerà ricordare in seguito.
Si dimostrò subito molto deciso e con idee chiare in mente riguardo al suo futuro: dopo aver terminato il corso di studi – dalle elementari al liceo – nella cittadina di Condon, a sedici anni si iscrisse all’università dell’Oregon grazie a una borsa di studio statale per il programma di ingegneria chimica. Contemporaneamente intraprese alcune attività lavorative con cui poté mantenersi agli studi. Presto gli fu possibile mandare anche soldi a casa: la scuola gli aveva offerto alcuni lavori part-time. Si addentrò così negli studi di chimica e matematica e nel 1922 si laureò in ingegneria chimica.
Negli anni 1919-1920 lavorò come insegnante nel college e successivamente come docente di chimica all’Istituto di Tecnologia della California, dove studiò come ricercatore dal 1922 al 1925. Nel 1925 ricevette il dottorato, Ph.D. (summa cum laude), in chimica, fisica e matematica.
Dal 1919 aveva iniziato a interessarsi alla struttura delle molecole e alla natura del legame chimico, ispirandosi agli studi di Irving Langmuir sull’applicazione della teoria di Lewis relativa alla divisione degli atomi in elettroni e in altre particelle.
Nel 1923 Pauling sposò Ava Helen Miller, sua brillante allieva alla facoltà di Agraria nell’Oregon, «la ragazza più intelligente che abbia mai conosciuto». La coppia, che visse insieme cinquantotto anni, fino alla morte di Ava nell’81, ebbe quattro figli – Linus Carl Junior nel 1925, Peter Jeffress nel 1931, Linda Helen nel 1932, Edward Crellin nel 1937, e tredici nipoti.
Nel 1925 Pauling venne nominato ricercatore associato presso l’Istituto di Tecnologia della California, e nel 1925-1926 ricercatore nazionale con docenza in chimica. Durante quel periodo si trasferì con la famiglia in Europa, dove lavorò con Sommerfeld, Schrödinger e Bohr presso alcune prestigiose università. All’Istituto di Fisica teorica a Monaco, in Germania, intraprese lo studio della meccanica quantistica, che contribuì a rafforzare, a livello internazionale, la sua fama di brillante teorico della chimica, della fisica e della matematica. Tra il 1926-1927 Pauling divenne membro della John Simon Guggenheim Memorial Foundation, e nei due anni successivi fu nominato assistente di chimica.
La sua fu una rapida carriera: nel 1929 divenne professore associato e nel 1931 – anno della nascita del figlio Peter – professore ordinario. Fu anche il primo a ricevere il premio Langmuir per la Chimica Pura dell’American Chemical Society. Dal ’37 – anno in cui gli nacque l’ultimo figlio, Edward Crellin – al ’58 ricoprì le cariche di direttore dei Laboratori di Chimica Gates e Crellin e di presidente della Divisione di Chimica e Ingegneria Chimica.
Dell’educazione dei figli e della gestione domestica si occupò sempre la moglie, Ava Helen. Malgrado il suo impegno di madre molto presente non tralasciò mai le attività pacifiste: la sua considerazione per la vita degli esseri umani fece sì che ella si gettasse in una lotta decisa contro l’uso delle armi atomiche.
Nel ’39 Pauling pubblicò La natura del legame chimico: un libro destinato a mutare la concezione scientifica della chimica. Nel ’46, dopo che gli USA avevano lanciato le bombe su Hiroshima e Nagasaki, divenne membro del Comitato di emergenza degli scienziati atomici. Su richiesta della moglie, egli dedicherà molta parte del suo tempo alla causa anti-nucleare.
Dal ’50 in poi anche Ava Helen si immerse completamente nelle attività per la pace. Negli stessi anni il marito, concentrato nello studio della struttura delle proteine, era giunto alla nozione rivoluzionaria dell’alfaelica e nel 1954 ricevette il premio Nobel per la chimica.
Mentre la sua fama aumentava sempre di più, anche il suo coinvolgimento nel movimento per la pace si faceva sempre più forte. E con esso… anche le persecuzioni. Negli anni della guerra fredda e della “caccia alle streghe”, portata avanti dal governo statunitense contro chiunque avesse ideali e opinioni divergenti da quelle ufficiali, e dunque anche contro i pacifisti, Pauling scriveva: «Noi siamo i custodi della razza umana: abbiamo il dovere di proteggere l’ambiente dove si sviluppa il genere umano dalla distruzione internazionale. Ritengo che l’obiettivo di un disarmo mondiale totale e generale si possa raggiungere e che ogni essere umano abbia il dovere di usare il suo tempo, la sua energia e il suo denaro per contribuire alla lotta per raggiungere questo obiettivo».
Nel clima politico di quel periodo e con il peggioramento dei rapporti tra USA e URSS, il suo impegno contro la guerra gli attirò violente critiche e severe indagini: divenne così il bersaglio di un’inchiesta interna al Caltech (California Institute of Technology) e di attacchi da parte del governo e dei media. Nel ’52 gli venne addirittura negato il rinnovo del passaporto che gli avrebbe permesso di recarsi a un’importante riunione della Royal Society a Londra.
Nel ’57, insieme a un gruppo di colleghi, Linus e Ava Helen diffusero una petizione popolare per la messa al bando degli esperimenti nucleari che venne firmata da 11 mila scienziati in tutto il mondo, compresi trentotto premi Nobel, e presentata al segretario generale delle Nazioni Unite.
Nella sua campagna contro i test nucleari Pauling girava chiese, luoghi pubblici, organizzazioni varie, campus universitari – dovunque vi fosse gente disposta ad ascoltarlo. In quel periodo incontrava parecchie difficoltà a far pubblicare i suoi articoli contro la guerra. Nel ’58 scrisse Mai più guerra!
«Mia moglie mi ha detto: “Sai, i tuoi discorsi sulla scienza non sono niente male: riesci a dare l’impressione a chi ti ascolta di capire ciò di cui stai parlando, e per di più sanno che tu sai di cosa stai parlando. Sei convincente. Ma quando parli delle cose del mondo, della guerra, della pace, dell’economia, non va molto bene: penso che tu non debba più farlo, a meno che non decida di dedicarci abbastanza tempo per arrivare al punto di parlare con autorevolezza di questi argomenti”. Avrebbe potuto dire più esplicitamente: “Penso che sia arrivato il momento di sacrificare parte del tuo lavoro scientifico in favore di questo tipo di attività”. E quindi a causa sua, per vent’anni, ho dovuto dedicare la metà del mio tempo allo studio degli affari del mondo».
Nel 1960 dovette presentarsi davanti al sottocomitato per la sicurezza interna del Senato per rispondere delle sue attività “comuniste” e della diffusione della petizione del ’57 sull’abolizione delle armi nucleari. In quel contesto gli venne chiesto di fare i nomi di coloro che avevano collaborato alla raccolta delle firme; ma nonostante fosse minacciato di finire in carcere, egli rifiutò di obbedire agli ordini. «La circolazione di petizioni è un aspetto importante del nostro processo democratico – dichiarò – se viene abolito o limitato sarà un passo avanti verso lo stato di polizia. Sono convinto che i nomi verrebbero usati per rappresaglia contro questi entusiasti, idealisti e nobili lavoratori della pace».
Per fortuna anche i giornali stavano iniziando a cambiare le loro posizioni e quell’azione di repressione politica contro Pauling suscitò molto scalpore. Così il sottocomitato fu costretto a lasciar perdere i propri attacchi persecutori e quello contro lo scienziato divenne l’ultimo episodio di caccia alle streghe “comuniste”.
Il figlio di Pauling, Linus junior, dichiarò che l’abilità del padre di sopportare indicibili pressioni costituiva la sua dote migliore.
A coronare anni di coinvolgimento e impegno antinucleare per la pace, e di feroci attacchi, nel 1962 gli fu assegnato il Nobel per la pace. Con questo premio venne ricompensata la sua coraggiosa opposizione ai test nucleari atmosferici da lui giudicati nocivi per la salute umana e per l’ambiente, e la difesa della pace internazionale. Condivise questo momento con la moglie, che lo aveva sempre incoraggiato verso l’impegno politico: «Facevo qualcosa che non avevo molta voglia di fare se non per ragioni morali e di convinzioni – raccontò. Sono stato in un certo senso spinto a farlo. Credo nella moralità, nella giustizia e nell’umanitarismo. Dobbiamo ammettere che il potere di distruggere il mondo tramite le armi nucleari è un potere che non può essere usato. Non possiamo accettare l’idea di una tale mostruosa immoralità».
Tra gli anni ’60 e ’70 lo scienziato si dedicò sempre di più allo studio del ruolo molecolare delle vitamine nella tutela della salute umana: la sua crociata a favore della vitamina C gli diede ampia notorietà.
Nel ’70 pubblicò il libro La vitamina C e il raffreddore, che divenne un best-seller, e nel ’73 fondò l’Istituto di Medicina ortomolecolare, poi chiamato Istituto Linus Pauling di Scienze e Medicina.
Nell’autunno dell’81 Ava Helen scoprì di essere affetta da un tumore allo stomaco che l’avrebbe condotta rapidamente alla morte. Nel ’93 Linus si ammalò di cancro: passò la maggior parte delle sue ultime giornate nel suo ranch sulla costa californiana, dove si spense il 9 agosto del 1994, all’età di 93 anni. Avevano condiviso una vita densa di affetti, impegni e successi, lotte e persecuzioni, trascorrendo molto tempo insieme.
«La pace nel mondo esige che noi riconosciamo quali sono i veri nemici dell’umanità e lavoriamo per sconfiggerli – scriveva Ava Helen nel ’75 – Questi nemici sono la guerra, l’ignoranza, la malattia, la fame, la povertà, l’inquinamento atmosferico, lo spreco e la rovina delle risorse da parte del militarismo. Questi nemici dell’umanità e della pace mondiale sono l’imperativo sul quale dobbiamo concentrare le nostre energie e le nostre capacità se vogliamo assicurare la sopravvivenza dell’uomo e del pianeta terra».
«È ovvio, come voi ben sapete, che mio marito avrebbe preferito rimanersene tranquillamente nel suo laboratorio a riflettere sui suoi problemi scientifici. Tuttavia le persone sono più importanti delle verità scientifiche».
(di Angela Lano).
I dati contenuti in questo articolo sono tratti dalla mostra Linus Pauling e il XX secolo
BS n 99 - 2003 | luglio/agosto