La politica estera iraniana non cambierà dopo l’elezione di Masoud Pezeshkian
di Giulio ChinappiDopo la tragica morte del presidente Ebrahim Raisi, scomparso in un incidente le cui dinamiche non sono ancora state del tutto chiarite, lasciando spazio anche all’ipotesi dell’attentato terroristico, l’Iran ha organizzato le nuove elezioni presidenziali che hanno avuto luogo su due turni tra il 28 giugno ed il 5 luglio. L’evento ha avuto grande seguito da parte della stampa internazionale, compresa quella occidentale, che tuttavia ha utilizzato le elezioni per sferrare nuovi attacchi mediatici alla Repubblica Islamica.
Una delle principali critiche rivolte al processo elettorale iraniano riguarda la scarsa affluenza alle urne, che dimostrerebbe – secondo la propaganda occidentale – l’illegittimità del governo e del sistema politico in vigore in Iran. In effetti, sia alle elezioni legislative che hanno avuto luogo tra marzo e maggio, che alle recenti presidenziali, l’affluenza alle urne non ha mai superato il 50% degli aventi diritto. In particolare, alle legislative l’affluenza alle urne è stata pari al 40,64%, mentre al primo turno delle presidenziali è scesa addirittura al 39,93%, il dato più basso nella storia della Repubblica Islamica, prima di una buona ripresa al ballottaggio (49,68%).
Tuttavia, questi dati non hanno nulla di scandaloso quando si confrontano con quelli di alcuni Paesi occidentali, dove la legittimità dei governi e dei sistemi politici non viene mai messa in dubbio. Basterebbe infatti prendere in considerazione le recenti elezioni europee in Italia, dove solo il 48,3% degli aventi diritto ha deciso di recarsi alle urne, con un calo di oltre sei punti percentuali rispetto a cinque anni fa. Ma l’Italia non rappresenta neppure il caso peggiore in Europa, se si considera che in Croazia il dato è stato pari al 21,35%, dimostrando come il recente ingresso in UE non abbia mai entusiasmato i cittadini croati. Persino in Bulgaria, dove si svolgevano in contemporanea le elezioni legislative nazionali, appena un elettore su tre (33,78%) ha espresso il proprio voto.
La realtà è che la crisi della partecipazione elettorale rappresenta un fenomeno presente in molti Paesi, dove i cittadini hanno perso la fiducia nella possibilità del cambiamento attraverso il voto. Se utilizziamo dunque il dato sull’affluenza alle urne per mettere in evidenza alcune criticità del sistema iraniano, dobbiamo quanto meno fare altrettanto con gran parte dei Paesi europei, i cui governi non godono quasi mai del sostegno della maggioranza della popolazione.
Tornando all’Iran, come noto, le elezioni presidenziali hanno visto la vittoria di Masoud Pezeshkian, 69enne cardiochirurgo, considerato come membro della fazione “riformista”, che con il 53,7% delle preferenze ha sconfitto al ballottaggio il “conservatore” – o meglio, “principalista” – Saeed Jalili. “Abbiamo davanti una grande prova, una prova di difficoltà e sfide, semplicemente per fornire una vita prospera al nostro popolo”, sono state le prime parole del neoeletto presidente.
La stampa occidentale ha fatto a lungo il tifo proprio per Pezeshkian, considerando Jalili, ex negoziatore sulla questione nucleare, come particolarmente vicino a Mosca e Pechino. Tuttavia, molti analisti pensano che anche con Pezehskian la politica estera della Repubblica Islamica non subirà grandi cambiamenti. A tal proposito, Tohid Asadi, professore dell’Università di Teheran, ha spiegato ad Al Jazeera che la politica iraniana è “un meccanismo altamente dinamico e complesso” in cui il presidente è solo uno degli attori che influenzano le decisioni. Sull’accordo nucleare, ha detto, “la palla sarà nel campo degli Stati Uniti e dell’Occidente” nel ricostruire la fiducia tra l’establishment politico iraniano. Del resto sono gli Stati Uniti, e non l’Iran, ad aver abbandonato l’accordo del 2015 sotto l’amministrazione Trump.
Anche Mostafa Khoshcheshm, analista e professore dell’Università di Fars, ha detto di non aspettarsi cambiamenti strategici nella politica estera dell’Iran. Il dossier della politica estera, ha spiegato, “è deciso dall’intero establishment, principalmente presso il Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale, dove [ci sono] rappresentanti del governo così come delle forze armate, il leader supremo iraniano e il parlamento”, dove i conservatori hanno mantenuto una netta maggioranza dopo le elezioni legislative. Inoltre, molto dipenderà anche dall’esito delle elezioni presidenziali statunitensi di novembre: “Se Donald Trump entrerà in carica, non mi aspetto davvero alcun tipo di cambiamento, alcun dialogo tra le due parti, o alcun cambiamento nell’attuale corso”, ha detto Khoshcheshm ad Al Jazeera.
Gli esperti cinesi confermano la visione dei due professori iraniani, come riportato dal Global Times, ritenendo che, anche sotto la presidenza di Pezeshkian, l’Iran continuerà la sua politica di “Guardare a Est” e consoliderà la sua collaborazione sia con la Cina che con la Russia. Del resto, Vladimir Putin e Xi Jinping sono stati tra i primi leader mondiali a mandare messaggi di congratulazioni al nuovo presidente iraniano, insieme ad altri leader di Paesi non allineati con l’Occidente, come Venezuela, Siria e Bielorussia.
Nel suo messaggio, Xi ha detto che, di fronte a scenari regionali e internazionali complessi, Cina e Iran si sono sempre sostenuti a vicenda e sono rimasti uniti nei momenti difficili, consolidando continuamente la fiducia strategica reciproca, promuovendo costantemente scambi e cooperazione in vari campi e mantenendo una buona comunicazione e coordinazione sugli affari regionali e internazionali, il che non solo ha beneficiato i due popoli, ma ha anche contribuito positivamente a promuovere la pace e la stabilità regionali e mondiali. Il presidente cinese ha detto di attribuire grande importanza allo sviluppo delle relazioni tra Cina e Iran, ed è disposto a lavorare con Pezeshkian per guidare l’approfondimento del partenariato strategico globale tra i due Paesi. Ricordiamo che, nel 2023, l’Iran ha ottenuto la piena adesione all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), diventando anche membro dei BRICS+ a gennaio di quest’anno.
Nel complesso, dunque, anche se Pezeshkian dovesse puntare sul dialogo con l’Occidente per riprendere l’accordo sul nucleare e puntare ad un allentamento delle sanzioni per favorire la ripresa economica, la politica estera iraniana dovrebbe restare prevalentemente legata a Russia e Cina. Come affermato da Li Fuquan, direttore del Centro di Studi Iraniani dell’Università del Nord-Ovest della Cina, “il nuovo presidente è probabile che eserciti un certo impatto sulla diplomazia dell’Iran, ma è impossibile cambiare l’antagonismo tra Teheran e Washington“.
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