La guerra psicologica e la storia

La guerra psicologica e la storia


Da tempo si è notato che lʼesito della guerra dipende in gran parte dal morale delle truppe. Già nellʼantichità, generali dellʼesercito e filosofi sottolineavano che non era importante solo il morale del proprio esercito, ma anche una buona conoscenza del morale del nemico. A quei tempi furono fatti i primi tentativi di esercitare una pressione psicologica sullʼavversario, usando lʼintimidazione per indebolirne il morale. Questi tentativi, tuttavia, furono pochi e di scarso effetto.

Gli scritti di generali e capi militari, come Clausewitz, Moltke, Joffre in Occidente e Suvorov, Kutuzov, Nachimov, Dragomirov e Michnevič in Russia, contengono molte idee originali sulla necessità di indebolire il potenziale morale del nemico in guerra. Molti di loro sottolinearono correttamente che lʼarma psicologica, senza uccidere realmente il nemico, può renderlo debole, irresoluto e insicuro di sé. Questo crea i presupposti per la vittoria sul campo di battaglia. Suvorov aveva già detto da tempo che il morale è unʼarma a lungo termine e non è facile per nessun generale brandire questʼarma, soprattutto per quanto riguarda lʼindebolimento dello spirito combattivo del nemico. Nel secolo scorso molti generali dellʼesercito e strateghi militari hanno discusso a lungo di argomenti come la “vittoria dello spirito”, la “pressione morale sul nemico”, intuendo giustamente quanto sarebbe stata importante lʼarma morale. Ma è stato solo nel XX secolo, quando lʼimperialismo è stato seriamente posto sotto pressione dalla nuova formazione socio-economica socialista, che il confronto tra i due sistemi antitetici nella sfera culturale e intellettuale ha raggiunto il punto più alto.


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