La geopolitica di Soleimani

La geopolitica di Soleimani

di Pepe Escobar


Inesorabilmente, continuiamo a essere risucchiati, sempre più in profondità, nel vortice dei Raging Twenties [i ruggenti anni Venti, N.d.T.].

Il seguente articolo è stato scritto un anno dopo l'assassinio del generale Soleimani a Baghdad, il 3 gennaio 2020, e pubblicato come ultimo saggio del mio libro Raging Twenties, uscito all'inizio del 2021 [in uscita in Italia nel mese di febbraio 2024].

I Raging Twenties, come ho sostenuto allora, sono iniziati con un omicidio. Lo stesso vale per il Raging 2024, che è iniziato con l'omicidio, nel sud di Beirut, del vice capo dell'Ufficio politico di Hamas, lo sceicco Saleh al-Arouri.

La risposta dell'Iran all'omicidio di Soleimani nel 2020 ha inviato un chiaro messaggio all'Impero. Anche la risposta di Hezbollah all'omicidio di Al-Arouri in territorio libanese - una linea rossa - potrebbe inviare un chiaro messaggio a Israele. Tuttavia, non è detto che questo basti a contenere una guerra regionale.

A tre anni dall'uccisione del Gen. Soleimani, può essere illuminante verificare cosa è cambiato - su così tanti livelli: dall'Iran come membro a pieno titolo dei BRICS (insieme all'Arabia Saudita) e attore chiave del multipolarismo, al rinnovato slancio dell'Asse della Resistenza.

Gli anni di lavoro certosino del Gen. Soleimani hanno plasmato la sua eredità di progettista del Masterplan: l'Asse della Resistenza è finalmente in grado di fissare l'Impero del Caos, della Menzogna e del Saccheggio e la sua portaerei in Asia Occidentale. È questa l'incandescente congiuntura geopolitica in cui ci troviamo oggi.

Rivediamo quindi brevemente come siamo arrivati a questo punto.

 

 

Gennaio 2021

Un anno fa, i "Raging Twenties" sono iniziati con un omicidio.

L'assassinio del Magg. Gen. Qassem Soleimani, comandante della Forza Quds del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC), insieme ad Abu Mahdi al-Muhandis, vice comandante della milizia irachena Hashd al-Sha'abi, con missili Hellfire a guida laser lanciati da due droni MQ-9 Reaper, è stato un atto di guerra.

Non solo l'attacco dei droni all'aeroporto di Baghdad, ordinato direttamente dal Presidente Trump, è stato unilaterale, non provocato e illegale: è stato architettato come una provocazione eclatante, per far esplodere una reazione iraniana che sarebbe stata poi contrastata dalla "autodifesa" americana, confezionata come "deterrenza". Chiamatela una forma perversa di double down, di false flag rovesciata.

L'imperiale Mighty Wurlitzer l'ha presentata come un "omicidio mirato", un'operazione preventiva per stroncare il presunto progetto di Soleimani di "attacchi imminenti" contro diplomatici e truppe statunitensi.

Falso. Senza alcuna prova. E poi, il Primo Ministro iracheno Adil Abdul-Mahdi, di fronte al suo Parlamento, ha offerto il contesto definitivo: Soleimani era in missione diplomatica, su un volo regolare tra Damasco e Baghdad, coinvolto in complessi negoziati tra Teheran e Riyad, con il primo ministro iracheno come mediatore, su richiesta del presidente Trump.

Così la macchina imperiale - in totale spregio del diritto internazionale - ha assassinato un inviato diplomatico de facto.

Le tre principali fazioni che hanno spinto per l'assassinio di Soleimani sono i neoconservatori statunitensi - supremamente ignoranti della storia, della cultura e della politica dell'Asia sud-occidentale - e le lobby israeliane e saudite, che credono ardentemente che i loro interessi siano avanzati ogni volta che l'Iran viene attaccato. Trump non è in grado di vedere il quadro generale e le sue terribili ramificazioni: solo ciò che gli impone il suo principale donatore israeliano Sheldon Adelson e ciò che Jared d'Arabia Kushner gli sussurra all'orecchio, telecomandato dal suo intimo amico Muhammad bin Salman (MbS).

 

L'armatura del "prestigio" americano

La misurata risposta iraniana all'assassinio di Soleimani è stata attentamente calibrata per non far esplodere la vendicativa "deterrenza" imperiale: attacchi missilistici di precisione alla base aerea di Ain al-Assad, in Iraq, controllata dagli americani. Il Pentagono è stato avvertito in anticipo.

Prevedibilmente, il periodo di avvicinamento al primo anniversario dell'assassinio di Soleimani è degenerato in un'allusione al fatto che gli Stati Uniti e l'Iran siano di nuovo sull'orlo della guerra.

È quindi illuminante esaminare ciò che il comandante della Divisione Aerospaziale dell'IRGC, il generale di brigata Amir-Ali Hajizadeh, ha dichiarato alla rete libanese Al Manar: "Gli Stati Uniti e il regime sionista [Israele] non hanno portato sicurezza in nessun luogo e se dovesse accadere qualcosa qui (nella regione) e scoppiasse una guerra, non faremo distinzione tra le basi statunitensi e i Paesi che le ospitano".

Hajizadeh, ampliando il discorso sugli attacchi missilistici di precisione di un anno fa, ha aggiunto: "Eravamo preparati alla risposta degli americani e tutta la nostra potenza missilistica era pienamente in allerta. Se avessero risposto, avremmo colpito tutte le loro basi dalla Giordania all'Iraq e al Golfo Persico e persino le loro navi da guerra nell'Oceano Indiano".

Gli attacchi missilistici di precisione contro Ain al-Assad, un anno fa, hanno rappresentato una potenza di medio rango, indebolita dalle sanzioni e alle prese con un'enorme crisi economico-finanziaria, che ha risposto a un attacco colpendo beni imperiali che fanno parte dell'Impero delle basi. È stata una prima mondiale, mai vista dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. È stato chiaramente interpretato da vaste fasce del Sud globale come un colpo fatale alla pluridecennale armatura egemonica del "prestigio" americano.

Perciò Teheran non è rimasta esattamente impressionata dai due B-52 a capacità nucleare che hanno recentemente sorvolato il Golfo Persico o dall'annuncio della Marina statunitense dell'arrivo della USS Georgia, a propulsione nucleare e carica di missili, nel Golfo Persico la scorsa settimana.

Questi dispiegamenti sono stati presentati come una risposta all'affermazione, priva di prove, secondo cui Teheran sarebbe dietro a un attacco con 21 razzi contro la tentacolare ambasciata americana nella Zona Verde di Baghdad.

I razzi (inesplosi) calibro 107 mm - tra l'altro contrassegnati in inglese, non in farsi - possono essere facilmente acquistati in qualche souk sotterraneo di Baghdad praticamente da chiunque, come ho potuto constatare di persona in Iraq dalla metà degli anni 2000.

Questo non si qualifica certo come un casus belli - o "autodifesa" che si fonde con "deterrenza". La giustificazione del Centcom sembra in realtà uno sketch dei Monty Python: un attacco "... quasi certamente condotto da un gruppo di miliziani canaglia sostenuti dall'Iran". Si noti che "quasi certamente" è il codice per "non abbiamo idea di chi sia stato".

 

Come combattere la - vera - guerra al terrorismo

Il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif si è preso la briga di avvertire Trump che lo stavano preparando per un falso casus belli e che le ripercussioni sarebbero state inevitabili. Si tratta di un caso in cui la diplomazia iraniana è perfettamente allineata con l'IRGC: dopo tutto, l'intera strategia post-Soleimani viene direttamente dall'Ayatollah Khamenei.

E questo porta Hajizadeh dell'IRGC a stabilire ancora una volta la linea rossa iraniana in termini di difesa della Repubblica islamica: "Non negozieremo la potenza missilistica con nessuno" - prevenendo qualsiasi mossa per incorporare la riduzione dei missili in un eventuale ritorno di Washington al JCPOA. Hajizadeh ha anche sottolineato che Teheran ha limitato la gittata dei suoi missili a 2.000 km.

Il mio amico Elijah Magnier, probabilmente il miglior corrispondente di guerra in Asia sud-occidentale degli ultimi quarant'anni, ha descritto con precisione l'importanza di Soleimani.

Tutti, non solo lungo l'Asse della Resistenza - Teheran, Baghdad, Damasco, Hezbollah, Ansarullah - ma anche in vaste aree del Sud globale, sono consapevoli di come Soleimani abbia guidato la lotta contro l'ISIS/Daesh in Iraq dal 2014 al 2015 e di come sia stato determinante per la riconquista di Tikrit nel 2015.

Zeinab Soleimani, la figlia dell'imponente generale, ha tracciato un profilo dell'uomo e dei sentimenti che ha ispirato. E il segretario generale di Hezbollah Sayed Nasrallah, in una straordinaria intervista, ha sottolineato la "grande umiltà" di Soleimani, anche "con la gente comune, la gente semplice".

Nasrallah racconta una storia che è essenziale per collocare il modus operandi di Soleimani nella reale - e non fittizia - guerra al terrorismo, e merita di essere citata per intero:

"A quel tempo, Hajj Qassem viaggiò dall'aeroporto di Baghdad a quello di Damasco, da dove arrivò (direttamente) a Beirut, nella periferia meridionale. Arrivò da me a mezzanotte. Ricordo molto bene quello che mi disse: "All'alba devi avermi fornito 120 comandanti di operazioni (Hezbollah)". Io risposi: "Ma Hajj, è mezzanotte, come posso fornirti 120 comandanti?". Mi disse che non c'era altra soluzione se volevamo combattere (efficacemente) contro l'ISIS, per difendere il popolo iracheno, i nostri luoghi santi [5 dei 12 Imam del Twelver sciita hanno il loro mausoleo in Iraq], le nostre Hawzas [seminari islamici] e tutto ciò che esisteva in Iraq. Non c'era scelta. "Non ho bisogno di combattenti. Ho bisogno di comandanti operativi [per supervisionare le Unità di Mobilitazione Popolare irachene, PMU]". Ecco perché nel mio discorso [sull'assassinio di Soleimani] ho detto che durante i circa 22 anni di relazione con Hajj Qassem Soleimani, non ci ha mai chiesto nulla. Non ci ha mai chiesto nulla, nemmeno per l'Iran. Sì, ce lo ha chiesto solo una volta, ed è stato per l'Iraq, quando ci ha chiesto questi (120) comandanti operativi. Così è rimasto con me e abbiamo iniziato a contattare i nostri fratelli (Hezbollah) uno per uno. Siamo riusciti a portare quasi 60 comandanti operativi, tra cui alcuni fratelli che erano in prima linea in Siria e che abbiamo mandato all'aeroporto di Damasco [ad aspettare Soleimani], e altri che erano in Libano e che abbiamo svegliato dal sonno e portato [immediatamente] dalle loro case, poiché l'Hajj ha detto che voleva portarli con sé sull'aereo che lo avrebbe riportato a Damasco dopo la preghiera dell'alba. E in effetti, dopo aver pregato insieme la preghiera dell'alba, sono volati a Damasco con lui, e Hajj Qassem ha viaggiato da Damasco a Baghdad con 50-60 comandanti libanesi di Hezbollah, con i quali è andato in prima linea in Iraq. Ha detto che non aveva bisogno di combattenti, perché grazie a Dio c'erano molti volontari in Iraq. Ma aveva bisogno di comandanti [esperti in battaglia] che guidassero questi combattenti, li addestrassero, trasmettessero loro esperienza e competenza, ecc. E non se n'è andato finché non ha accettato la mia promessa che entro due o tre giorni gli avrei mandato i restanti 60 comandanti".

 

Orientalismo, tutto da capo

Un ex comandante di Soleimani che ho incontrato in Iran nel 2018 aveva promesso a me e al mio collega Sebastiano Caputo che avrebbe cercato di organizzare un'intervista con il Maggior Generale - che non ha mai parlato con i media stranieri. Non avevamo motivo di dubitare del nostro interlocutore - quindi fino all'ultimo minuto di Baghdad eravamo in questa lista d'attesa selettiva.

Per quanto riguarda Abu Mahdi al-Muhandis, ucciso insieme a Soleimani nell'attacco di un drone a Baghdad, ho fatto parte di un piccolo gruppo che ha trascorso un pomeriggio con lui in una casa sicura all'interno - non all'esterno - della Zona Verde di Baghdad nel novembre 2017. Il mio rapporto completo è qui.

Il Prof. Mohammad Marandi dell'Università di Teheran, riflettendo sull'assassinio, mi ha detto: "La cosa più importante è che la visione occidentale della situazione è molto orientalista. Si presume che l'Iran non abbia strutture reali e che tutto dipenda dagli individui. In Occidente un assassinio non distrugge un'amministrazione, un'azienda o un'organizzazione. L'ayatollah Khomeini è morto e hanno detto che la rivoluzione era finita. Ma il processo costituzionale ha prodotto un nuovo leader in poche ore. Il resto è storia".

Questo potrebbe spiegare a lungo la geopolitica di Soleimani. Può essere stato una superstar rivoluzionaria - molti nel Sud globale lo considerano il Che Guevara dell'Asia sud-occidentale - ma è stato soprattutto un ingranaggio piuttosto articolato di una macchina molto articolata.

Il presidente aggiunto del Parlamento iraniano, Hossein Amirabdollahian, ha dichiarato alla rete iraniana Shabake Khabar che Soleimani, già due anni prima dell'assassinio, aveva previsto un'inevitabile "normalizzazione" tra Israele e le monarchie del Golfo Persico.

Allo stesso tempo era anche molto consapevole della posizione della Lega Araba del 2002 - condivisa, tra gli altri, da Iraq, Siria e Libano: una "normalizzazione" non può nemmeno iniziare a essere discussa senza uno Stato palestinese indipendente - e vitale - entro i confini del 1967 con Gerusalemme Est come capitale.

Ora tutti sanno che questo sogno è morto, se non del tutto sepolto. Ciò che rimane è il solito, noioso tran tran: l'assassinio americano di Soleimani; l'assassinio israeliano del più importante scienziato iraniano Mohsen Fakhrizadeh; l'incessante guerra israeliana a bassa intensità contro l'Iran, pienamente sostenuta dalla Beltway; l'occupazione illegale da parte di Washington di parti del nord-est della Siria per accaparrarsi un po' di petrolio; la perpetua spinta al cambio di regime a Damasco; la demonizzazione senza sosta di Hezbollah.

 

Oltre il fuoco dell'inferno

Teheran ha detto chiaramente che il ritorno ad almeno una misura di rispetto reciproco tra USA e Iran implica che Washington rientri nel JCPOA senza precondizioni e che ponga fine alle sanzioni illegali e unilaterali dell'amministrazione Trump. Questi parametri non sono negoziabili.

Nasrallah, da parte sua, in un discorso tenuto domenica a Beirut, ha sottolineato che "uno dei principali risultati dell'assassinio del generale Soleimani e di al-Muhandis è la richiesta di espulsione delle forze statunitensi dalla regione. Tali richieste non erano state fatte prima dell'assassinio. Il martirio dei leader della resistenza ha messo le truppe statunitensi sulla strada dell'abbandono dell'Iraq".

Questo potrebbe essere un pio desiderio, perché il complesso militare-industriale di sicurezza non abbandonerà mai volentieri un nodo chiave dell'Impero delle Basi.

Più importante è il fatto che l'ambiente post-Soleimani trascende Soleimani.

L'Asse della Resistenza - Teheran-Baghdad-Damasco-Hezbollah-Ansarullah - invece di crollare, continuerà a rafforzarsi.

L'Iran si consolida sempre di più come nodo chiave delle Nuove Vie della Seta nell'Asia sud-occidentale: il partenariato strategico Iran-Cina viene costantemente rivitalizzato dai ministri Zarif e Wang Yi, e ciò include l'accelerazione da parte di Pechino dei suoi investimenti geoeconomici in South Pars, il più grande giacimento di gas del pianeta.

Iran, Russia e Cina parteciperanno alla ricostruzione della Siria, che comprenderà anche, alla fine, un ramo della Nuova Via della Seta: la ferrovia Iran-Iraq-Siria-Mediterraneo Orientale.

 

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

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