La Tredicesima Ballerina Anarchica...

La Tredicesima Ballerina Anarchica...

Manlio Amelio
La Tredicesima Ballerina Anarchica https://dancesinlight.tumblr.com/post/661777804664422400...
Gennaio 1986 Sesta Edizione Italiana dalla Tredicesima Edizione Tedesca del 1973 Traduzione di Iberto Bavastro

... " La realizzazione di un desiderio provoca piacere, e la mancata realizzazione dello stesso provoca dispiacere. Da questo non si può concludere: piacere é soddisfacimento di un desiderio, il dispiacere mancato soddisfacimento. Piacere e dispiacere possono presentarsi in qualcuno anche senza essere la conseguenza di un desiderio. La malattia è dispiacere non preceduto da alcun desiderio. Chi volesse affermare che la malattia è un desiderio insoddisfatto di salute commetterebbe l’errore di scambiare per un desiderio positivo l’augurio ovvio, e incosciente di non ammalarsi. Se qualcuno eredita da un parente ricco, di cui ignorava del tutto l'esistenza, il fatto gli dà piacere senza che vi sia stato un desiderio precedente.

Volendo dunque esaminare se vi sia un'eccedenza dalla parte del piacere o del dispiacere, si deve mettere in conto: il piacere di desiderare, quello del realizzarsi del desiderio, e quello che ci viene dato senza che lo desideriamo. Sull’altra pagina del conto vi saranno: il dispiacere per noia, quello per desiderio insoddisfatto, e infine quello che incontriamo senza nostro desidero. A quest’ultima specie appartiene anche il dispiacere che ci procura un lavoro impostoci, non scelto da noi.

Sorge ora il problema: qual è il mezzo giusto per fare il bilancio fra questo "dare" e questo "avere"? Eduard von Hartmann è d’opinione che tale mezzo sia la ragione ponderatrice. Egli dice (Filosofia dell’incoscio, 7a ed., Vol. II, pag. 290): «Dolore e piacere esistono soltanto in quanto sono sentiti». Ne consegue che per il piacere non vi è altra misura che quella soggettiva del sentimento. Io devo sentire se la somma dei miei sentimenti di dispiacere, paragonata con quella dei miei sentimenti di piacere, determina in me un’eccedenza di gioia o di dolore. Senza badare a questo, Hartmann afferma: «Se il valore della vita di ogni essere può venir calcolato in base alla sua misura soggettiva, non è assolutamente detto che ogni essere calcoli l’esatta somma algebrica di tutti i casi della sua vita; in altre parole, che il giudizio complessivo sulla sua vita sia giusto rispetto alle sue esperienze soggettive». Così dunque il giudizio razionale viene fatto arbitro del sentimento*

Chi più o meno fedelmente segue l’indirizzo di pensatori come Eduard von Hartmann, può credere di dover eliminare, per giungere ad una giusta valutazione della vita i fattori che falsano il nostro giudizio in merito al bilancio di piacere e di dispiacere. Può cercare di giungervi per due vie. Innanzi tutto dimostrando che i nostri desideri (impulso, volontà) si inseriscono e disturbano la nostra oggettiva valutazione del valore dei sentimenti.

* Chi vuol calcolare se sia maggiore la somma complessiva del piacere oppure il dispiacere, non considera appunto di impostare un conto su qualcosa che mai viene sperimentato. Il sentimento non calcola, e per la vera valutazione della vita si deve considerare la vera esperienza e non il risultato di un conto immaginato.

Mentre ci dovremmo dire, per esempio, che il godimento sessuale è una sorgente di male, ci inganna la circostanza che l’impulso sessuale è in noi potente e ci illude con un piacere promesso che non esiste affatto in quella misura. Vogliamo godere; e perciò non ammettiamo di soffrire a causa del godimento. In secondo luogo, sottoponendo ad una critica i sentimenti e cercando di dimostrare che gli oggetti, a cui si annodano i nostri sentimenti, si rivelano come illusioni davanti alla conoscenza razionale, e che essi vengono distrutti nel momento in cui la nostra sempre crescente intelligenza rivela le illusioni. Egli può pensare il problema nel modo seguente. Un ambizioso vuole esaminare se fino al punto in cui inzia l'esame, il piacere o il dispiacere abbiano avuto una parte preponderante nella sua vita, nel suo giudizio egli deve liberarsi di due fonti di errore. Poiché è ambizioso, questo tratto fondamentale del suo carattere gli mostrerà le gioie per il riconoscimento delle sue opere attraverso una lente di ingrandimento, e le mortificazioni dovute al disprezzo attraverso una lente di rimpicciolimento. Allora quando sperimentò il disprezzo, egli sentì le mortificazioni proprio perché è ambizioso; nel ricordo esse gli appaiono in una luce smorzata, mentre le gioie dovute ai riconoscimenti, per le quali è tanto accessibile, si imprimono molto più profondamente. Per l'ambizioso è anzi davvero un bene che sia così. Nel momento dell'auto-osservazione, l’illusione diminuisce il suo sentimento del dispiacere. Tuttavia il suo giudizio è falso. Egli dovette veramente sperimentare in tutta la loro forza i dolori sui quali si stende ora per lui un velo, e li registra nel libro della sua vita in un modo in effetti falso. Per arrivare ad un giudizio giusto, l’ambizioso dovrebbe disfarsi della sua ambizione nel momento del suo esame. Dovrebbe considerare la sua vita trascorsa, senza alcuna lente davanti ai suoi occhi spirituali. Altrimenti assomiglia ad un commerciante che alla chiusura dei suoi libri mette tra le entrate il suo zelo negli affari. Ma un tale pensatore può anche andare oltre. Può dire: per l’ambizioso può anche diventare chiaro che i riconoscimenti cui dà la caccia sono senza valore. Egli giungerà da sé, o sarà portato da altri a vedere, che una persona ragionevole non può dar alcun valore al riconoscimento da parte degli altri, perchè «in tutte le cose che non siano problemi vitali dell'evoluzione, o che non siano già state definitivamente risolte dalla scienza», si può sempre giurare «che le maggioranze hanno torto e le minoranze ragione». «A un giudizio del genere affida la felicità della sua vita chi fa dell’ambizione la sua stella di guida» (Filosofia dell’incoscio, vol. II, pag, 332). "... 

(P.p. 156-157-158-159; da: La filosofia della libertà)

... " Chi tende a ideali di altezza sublime, lo fa perché essi sono il contenuto del suo essere; la realizzazione sarà per lui un piacere, a fronte del quale è una piccolezza il piacere che la

172

LA FILOSOFIA DELLA LIBERTA'

173

... " Ma mica sugli esseri umani !... " (By Manlio Amelio)

200

nella terza edizione riveduta del 1946 e tradotta da Ugo Tommasini l'ultime due righe sono così:

By Manlio Amelio in Exquisite-Cadavre avec Rudolf Steiner...

Report Page