L'Idea di una Forma di Vita Democratica

L'Idea di una Forma di Vita Democratica


Axel Honneth, 18 Luglio 1949 -

Da L'Idea di Socialismo. Un Sogno Necessario, Feltrinelli, 2016

Quanto invece al nostro tentativo di rinnovare il socialismo correggendone anche l’originario deficit inerente alla mancata percezione della differenziazione funzionale, si tratta di un’impresa che in verità è ben più difficile da realizzarsi di quanto non possa sembrare a un primo sguardo. Qui, infatti, non basta sostituire il “centrismo” economicistico con la visione di norme proprie di determinate sfere di azione sempre ostinatamente autonome; piuttosto, è necessario ricorrere a un progetto che guardi in avanti e riesca a motivare politicamente, e nel contempo a una idea delle modalità in cui le sfere differenziate normativamente debbano relazionarsi l’una all’altra in futuro.

Prima di affrontare direttamente tale questione, è però opportuno riassumere i risultati a cui siamo finora pervenuti nella nostra analisi dell’incapacità predominante del socialismo tradizionale di tener conto della differenziazione delle sfere sociali. Siamo partiti dalla constatazione secondo cui nessuno dei primi rappresentanti del movimento fece alcun tentativo per rendere fruibile l’idea di libertà sociale rispetto ad ambiti funzionali della riproduzione sociale diversi da quello delle attività economiche; così facendo, fu soltanto l’economia organizzata in modo capitalistico a essere oggetto di una analisi elaborata dal punto di vista normativo volto a ricercare i provvedimenti che avrebbero potuto condurre a una ristrutturazione sociale portata avanti nel segno di una più forte associazione dei membri della società, mentre non venne neppure presa in considerazione la possibilità che anche altre sfere riproduttive potessero essere esaminate dal punto di vista della realizzazione della libertà sociale. La ragione di questa omissione è che tra i primi socialisti – come abbiamo visto in una fase successiva – nessuno era pronto a prendere atto del processo di differenziazione funzionale delle società moderne che andava dispiegandosi gradualmente. Imprigionati nello spirito dell’industrialismo, e pertanto persuasi che anche in futuro ogni accadimento sociale sarebbe stato determinato dalla produzione industriale, non si trovò alcun motivo che spingesse a misurarsi con la questione della legittimità dell’autonomia delle sfere sociali di azione, né dal punto di vista empirico della loro ormai avvenuta realizzazione, né da quello teorico della loro auspicabilità. Questo rifiuto a voler prendere in considerazione il processo di differenziazione funzionale della società spiega anche perché i socialisti non intrapresero alcuno sforzo per rendere fruibile la loro idea di libertà sociale rispetto all’analisi normativa di altre sfere d’azione: se tali sottosistemi in linea di principio non potevano avere una logica di funzionamento propria e autonoma, poiché quanto accadeva al loro interno sarebbe dovuto essere determinato sempre da principi e da orientamenti di tipo economico, ne conseguiva che nel loro ambito non risultava necessario ricercare delle forme di realizzazione di libertà sociale che fossero ostinatamente autonome.

Per revocare questo passo falso compiuto nella costruzione della teoria del socialismo non basta però spiegare in modo plausibile perché anche gli altri ambiti costituivi della società debbano essere intesi come dipendenti da forme di libertà sociale a essi proprie. Perché il socialismo possa continuare a veicolare la visione di una forma di vita migliore, infatti, si deve indicare anche e soprattutto come queste sfere sociali autonome della libertà sociale in futuro debbano interagire in modo appropriato. Per quanto concerne il primo di questi compiti, la soluzione è già stata delineata nel corso della critica al socialismo tradizionale in relazione al suo mancato riconoscimento dell’ostinazione normativa dell’agire democratico per un verso, e delle relazioni sociali personali per un altro verso: se le regole costitutive a cui i partecipanti devono qui attenersi di volta in volta vengono intese in modo che i loro contributi all’azione siano considerati, dalla prospettiva della collettività, come integrantisi reciprocamente, allora risulta ovvio pensare a delle sfere fondate sulla libertà sociale. Adottando una tale prospettiva ad ampio raggio, non solo il sistema dell’agire economico, ma anche gli altri due ambiti d’azione delle relazioni personali e della formazione della volontà democratica possono allora essere intesi come sottosistemi sociali nei quali le prestazioni desiderate possono essere fornite soltanto se i partecipanti sono in grado di interpretare i loro rispettivi contributi come elementi che si intrecciano spontaneamente, e che si integrano reciprocamente. Ciò significa che, rispetto alla sfera dell’amore, del matrimonio e della famiglia, si debbono riconoscere delle forme relazionali nelle quali l’essere l’uno-per-l’altro promesso è possibile soltanto se tutti i membri possono articolare liberamente i loro effettivi bisogni e interessi, e se possono realizzarli aiutandosi reciprocamente; rispetto alla sfera della formazione della volontà democratica, risulta poi che i partecipanti devono poter interpretare l’espressione delle proprie opinioni come contributi che vanno ad arricchire il progetto comune di costituire una volontà generale. In entrambi i casi – come già in relazione al sistema economico –, sarebbe sbagliato e fuorviante seguire la concezione liberale secondo cui si tratterebbe di sottosistemi sociali nei quali ai soggetti viene offerta l’opportunità di realizzare le proprie intenzioni intendendole in senso meramente individualistico e privato, sì che legami e obblighi reciproci dovrebbero venire descritti come minacce latenti. Al contrario, un socialismo rivisto muove invece dalla premessa secondo cui tutti e tre gli ambiti formano delle sfere d’azione dove devono dominare le condizioni per essere l’uno-per-l’altro in modo spontaneo e, pertanto, perché vi siano dei rapporti di libertà sociale. Un tale socialismo non può accontentarsi di una prospettiva che si limiti a eliminare asservimento e lavoro alienato dalla sfera economica: esso è consapevole del fatto che la società moderna non può divenire davvero ‘‘sociale”, nel senso forte del termine, fintanto che coercizione, pressione e costrizione non verranno superate anche nelle altre due sfere delle relazioni personali e della formazione della volontà democratica.

Ora disponiamo quindi delle ragioni, seppur soltanto a grandi linee, per le quali un socialismo rinnovato debba differenziare i suoi concetti guida normativi, e applicarli alle sfere sociali che finora sono state trascurate; ciò tuttavia non è ancora sufficiente per poter sostituire la concezione ormai antiquata di una forma di vita migliore, limitata in definitiva al piano della riorganizzazione economica, con una nuova concezione, più complessa. Una tale operazione richiede infatti molto di più del limitarsi a pensare i sottosistemi ora differenziati nel quadro di una situazione sempre più vantaggiosa, che promette cioè una crescita della libertà sociale; oltre a questo, infatti, è necessario schizzare anche un quadro dell’interazione corretta e appropriata tra questi sottosistemi. Se il socialismo non vuole abbandonare le sue istanze tradizionali, allora, consapevole delle forze storiche che lo sostengono, deve immaginare il profilo di una forma di vita futura che sia sufficientemente concreta da stimolare l’interesse per la sua realizzazione sperimentale; a tal fine, nel quadro delle premesse della differenziazione funzionale ora accettate, il socialismo deve allora poter dire qualcosa sulla forma in cui in futuro le diverse sfere della libertà sociale dovranno accordarsi tra loro.

Per affrontare questa spinosa questione possono rivelarsi utili delle intuizioni che si ritrovano chiaramente già in Hegel, e che hanno peraltro avuto delle ripercussioni, seppur deboli, anche sul pensiero di Marx. Esaminando come nell’ambito della sua filosofia sociale Hegel abbia pensato la struttura delle sfere sociali, che egli differenziò ricorrendo già a un punto di vista funzionalistico, ci si imbatte inevitabilmente nell’immagine di un organismo vivente. Ogni volta che prende a descrivere l’organizzazione della divisione del lavoro nelle società moderne, Hegel sembra infatti fare affidamento sulla concezione di una cooperazione di tutti i sottosistemi finalizzata alla conservazione di una totalità organica: le sfere sociali dovrebbero comportarsi tra di loro come gli organi di un corpo, nel senso che, mentre esercitano i propri compiti secondo norme autonome, sono nel contempo al servizio dell’obiettivo generale della riproduzione sociale. L’elemento più problematico di un tale processo di divisione del lavoro, ovvero il segreto allineamento delle parti che operano autonomamente al funzionamento di una totalità sovraordinata, concerne di certo l’assunzione secondo cui esso è inteso come il risultato di una traduzione delle qualità degli organismi viventi sul piano delle entità sociali. Tralasciamo qui la questione se un tale modello organicistico possa trovare applicazione empirica per le società passate o presenti, ipotesi contro cui si potrebbe rivolgere una serie di obiezioni, di modo che esso possa comunque rappresentare uno stimolo sul piano delle considerazioni di taglio normativo. In tal senso, risulta allora che per avere una organizzazione sociale integra e ben ordinata i diversi sottosistemi dovrebbero perseguire l’obiettivo generale della riproduzione sociale in modo da garantirne la pacifica realizzazione, secondo il modello di organi interdipendenti nella divisione del lavoro. È a un’idea di questo tipo che Marx sembra essersi costantemente rifatto allorché lamentava, quale deficit della storia umana trascorsa, il riproporsi di un rapporto “inadatto” tra forze produttive e rapporti di produzione; una tale diagnosi critica, infatti, determinata dalla assunzione secondo cui si ripresenterebbe costantemente uno squilibrio tra due diversi sottosistemi, presuppone invero, sul versante speculare, che la condizione futura in cui cesserà tale crisi venga descritta nei termini di una cooperazione “organica” tra ambiti funzionali differenti.

Se l’analogia con l’organismo vivente viene intesa in questo senso normativo, essa ci può inoltre aiutare a rispondere anche alla domanda che abbiamo delineato sopra, inerente alle modalità da adottare per definire i rapporti idonei fra le tre sfere della libertà. Un socialismo rinnovato, come abbiamo visto, non solo deve poter sempre individuare nei sottosistemi già differenziati dalla teoria sociale classica delle relazioni personali, dell’agire economico e della formazione della volontà democratica il potenziale per la libertà sociale che in futuro deve essere ancora realizzato sperimentalmente. Oltre a questo, un socialismo rinnovato necessita anche di una concezione ampia e approssimativa del tipo di interdipendenza che deve sussistere tra queste diverse sfere in futuro. Se ci accontentiamo della soluzione del nostro problema offerta dall’analogia con l’organismo vivente, già presa in considerazione da Hegel e da Marx, allora la soluzione è ovviamente quella di interpretare la cogenza interna di una totalità così articolata come il rapporto ideale da instaurare tra le sfere: in futuro le tre sfere della libertà dovrebbero relazionarsi l’una all’altra in modo tale che ognuna segua per quanto possibile soltanto le proprie norme, raggiungendo però nel complesso, grazie a una interazione spontanea, la riproduzione stabile dell’unità sovraordinata dell’intera società. L’immagine che si attiene a un tale modello di cooperazione delle sfere autonome di libertà può essere definita quale incarnazione della concezione di una forma di vita democratica. In essa sono anticipate le strutture formali, che ancora debbono essere concretizzate sperimentalmente, di una convivenza sociale nella quale i soggetti – nella forma pratica dell’essere l’uno-per-l’altro nelle loro relazioni personali, economiche e politiche – contribuiscono sempre in modo cooperativo allo svolgimento dei compiti che presi complessivamente sono necessari per salvaguardare la loro collettività. Ne consegue che “democrazia” qui non significa soltanto poter partecipare in modo paritario e senza costrizioni al processo di formazione della volontà politica; interpretandola come una intera forma di vita, si intende infatti molto di più della possibilità di partecipare in modo paritario alle esperienze chiave di mediazione tra individuo e società, ove la struttura generale della partecipazione democratica si rispecchia di volta in volta nella particolarità funzionale di una singola sfera.

Questa idea di una forma di vita democratica che il socialismo dovrebbe oggi assumere come modello di una società liberata ha il vantaggio, rispetto all’antiquata visione socialista del futuro, di essere all’altezza dell’ostinazione normativa dei diversi ambiti funzionali, senza però abbandonare con ciò la speranza in una totalità giusta. Parlare di una forma di vita nel quadro di una società differenziata in senso funzionale significa infatti ipotizzare un ordinamento, articolato in modo armonico e strutturato in modo sensato, che sia più della mera somma delle sue parti. Qui si auspica infatti che i confini futuri tra le tre sfere della libertà sociale saranno tali per cui esse si sosterranno reciprocamente e spontaneamente, come gli organi di un corpo, nella riproduzione dell’unità sovraordinata della società. Non è difficile riconoscere che tale formulazione implica anche il fatto che questo nuovo modello di un futuro migliore non equivale ad altro che allo sforzo di ritradurre la vecchia idea di libertà sociale, già tirata in gioco dai primi socialisti, sul piano più alto dei processi sociali complessivi: non solo i produttori stessi, come volevano gli antenati del movimento; e neanche soltanto le cittadine e i cittadini considerati sul piano politico, nonché su quello delle relazioni con i rispettivi partner, come io ho suggerito finora, correggendo così la prospettiva adottata; oltre a ciò, anche questi tre ambiti funzionali dovrebbero avere un rapporto di integrazione reciproca tale da permettere loro di realizzare un obiettivo comune. In nessun altro dei suoi elementi il socialismo rivisto ha contratto dei debiti maggiori con il magistero di Hegel e di Marx che non in una tale applicazione della libertà sociale al modello dell’unità sociale. La società futura, infatti, non deve esser più presentata come un ordinamento guidato in modo centralizzato dal basso, cioè dai rapporti di produzione, ma piuttosto come una totalità organica, il cui modo di funzionamento sia indipendente ma cooperativo e finalizzato a uno scopo, e in virtù del quale i suoi membri possano a loro volta sempre agire nella forma della libertà sociale, quindi l’uno-per-l’altro. L’obiettivo qui prefigurato da un socialismo rivisto – ovvero l’idea di una cooperazione spontanea delle sfere della libertà intersoggettiva che persegue il fine sovraordinato della riproduzione sociale – non deve certo essere frainteso come se si trattasse di un qualcosa di fisso, di sottratto a ogni cambiamento futuro. Come tutti gli elementi della nuova dottrina che prefigurano dei tratti della dimensione futura, anche questo punto di riferimento principale, di tipo “superiore”, deve essere inteso soltanto come una indicazione schematica della direzione verso cui indirizzare la ricerca sperimentale delle diverse possibilità istituzionali da realizzare. L’intervento da effettuare sulle condizioni sociali per permettere ai partecipanti di agire nella forma dell’uno-per-l’altro deve partire dalle conoscenze tratte dalle differenti sfere, e deve a sua volta orientarsi grazie all’adozione di una prospettiva sovraordinata atta a tracciare divisioni appropriate. In altri termini, di ogni trasformazione presa in considerazione si deve sempre testare se essa lasci i margini di autonomia alla sfera d’azione interessata perché a lungo termine possa formarsi, secondo una propria legittimità normativa, l’organo operativo di una forma di vita democratica.

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