L'Emisfero Occidentale

L'Emisfero Occidentale


Carl Schmitt, 11 Luglio 1888 - 7 Aprile 1985

Da Il Nomos della Terra (1950), Adelphi 1991

Con la linea dell’emisfero occidentale, una nuova linea globale non più eurocentrica ma, al contrario, tale da porre in questione la vecchia Europa fu contrapposta alle linee eurocentriche dell’immagine globale del mondo. Sul piano del diritto internazionale, la storia di questa nuova linea inizia apertamente solo con la proclamazione della cosiddetta dottrina Monroe nel dicembre del 1823.

1. Nel testamento politico del presidente Washington — la celebre lettera di commiato del 1796 — non si parla ancora di emisfero occidentale in modo geograficamente determinato. Nel messaggio del presidente Monroe del 2 dicembre 1823 il termine emisfero è usato invece in modo del tutto consapevole e con un risalto specifico. Monroe chiama il proprio spazio « America », o « questo continente», o « questo emisfero » (this hemisphere). Intenzionalmente o meno, l’espressione emisfero si connette col fatto che il sistema politico dell’emisfero occidentale viene contrapposto in quanto regime della libertà al diverso sistema politico delle monarchie assolute europee del tempo. La dottrina Monroe e l’emisfero occidentale compaiono da allora insieme, designando l’ambito degli special interests degli Stati Uniti. Viene così designato uno spazio che va largamente oltre il territorio statale, un grande spazio nel senso giuridico-internazionale del termine. La tradizionale dottrina americana del diritto internazionale lo costruiva giuridicamente come zona di autodifesa. In realtà ogni autentico impero del gran mondo aveva mantenuto per sé la pretesa di possedere un simile ambito di sovranità spaziale che travalicava i confini dello Stato. Ma di questo fatto solo raramente i giuristi degli Stati mitteleuropei, che erano pigiati gli uni sugli altri ed erano fissati sul loro esclusivo territorialismo dei piccoli spazi, ebbero consapevolezza. Per oltre cent’anni si parlò molto della dottrina Monroe, senza che si riflettesse sul suo significato per la struttura spaziale giuridico-internazionale della terra. Non si ebbe neppure particolare interesse per l’esatta determinazione geografica dell’emisfero occidentale. Tanto era distante, per la coscienza di allora, l’America dall’Europa.

Nel 1939 sembrò dapprima che l’espressione emisfero occidentale si consolidasse. Essa venne usata in importanti dichiarazioni del governo degli Stati Uniti, tanto che anche all’inizio del nuovo conflitto mondiale sembrò quasi diventare un motto della politica statunitense. Pertanto poteva fare specie il fatto che altre dichiarazioni americane non provenienti dal governo di Washington, in particolare le risoluzioni comuni dei ministri degli Esteri degli Stati americani di Panama (ottobre 1939) e dell’Avana (luglio 1940), non utilizzassero l’espressione «emisfero occidentale», ma parlassero semplicemente di «America», di «continente americano » (al singolare) o di «territori appartenenti geograficamente all’America». Ma ad esempio il presidente del Brasile, nella sua presa di posizione nei confronti dell’occupazione americana dell’isola francese della Martinica, agli inizi del maggio 1943, affermò l’appartenenza di quest’isola all’emisfero occidentale.

Per il problema spaziale del diritto internazionale odierno la già citata dichiarazione di Panama del 3 ottobre 1939 ha un’importanza del tutto particolare, che occorre qui illustrare anticipatamente. I belligeranti non dovevano intraprendere alcuna azione ostile all’interno della zona di sicurezza determinata mediante tale dichiarazione per la tutela della neutralità degli Stati americani. La linea della zona neutrale di sicurezza si estendeva su entrambi i lati delle coste americane fino a trecento miglia marine nell’Oceano Atlantico e nell’Oceano Pacifico. Al largo delle coste brasiliane essa toccava i 24 gradi di longitudine ovest da Greenwich, avvicinandosi dunque ai 20 gradi di longitudine, che nella consueta rappresentazione cartografica stabilivano la linea di separazione tra Occidente e Oriente. Il significato pratico della zona di sicurezza americana, così delineata nell’ottobre 1939, venne presto meno, poiché cessò la neutralità degli Stati americani, che era il suo presupposto. Nonostante ciò il suo significato per il problema spaziale del diritto internazionale moderno rimane fondamentale. In primo luogo essa manteneva ben fermo il concetto di America e la delimitazione che ne conseguiva, in contrasto con la politica statunitense tendente a oltrepassare tali confini tradizionali. Inoltre si può dire che essa ebbe un effetto sensazionale nello spostare d’un colpo il limite delle acque territoriali da tre a trecento miglia dalla costa, riducendo quindi abbondantemente all’assurdo la misura della tradizionale zona delle tre miglia e l’estensione convenzionale delle acque costiere. Infine essa sottopose anche il libero oceano all’idea dei grandi spazi, introducendo a favore dei neutrali un nuovo tipo di delimitazione spaziale nel mare libero in quanto teatro di guerra. L’aspetto delle due sfere proprio della dottrina Monroe, « the two-spheres-aspect of thè Monroe doctrine», vale a dire l’aspetto terrestre e quello marittimo, subì un importante mutamento con la dichiarazione di Panama dell’ottobre 1939. Prima, quando si parlava della dottrina Monroe, si pensava in generale solo alla terraferma dell’emisfero occidentale e si presupponeva che per l’oceano valesse la libertà dei mari nel significato del XIX secolo. Adesso i confini dell’America si estendevano anche sul mare.4 Era questa una nuova moderna forma di occupazione di mare che cancellava le occupazioni di mare precedenti.

Quest’ultimo punto è particolarmente rilevante. Il passaggio dalla terra al mare ha sempre avuto nella storia universale conseguenze ed effetti inaspettati. Nel nostro caso tale passaggio riguarda la struttura fondamentale del diritto internazionale europeo fino ad allora vigente e la sua separazione tra terraferma e mare libero. Finché con il termine emisfero occidentale si era pensato esclusivamente allo spazio terrestre continentale, ciò aveva comportato non solo una linea di confine geografico-matematica, ma anche una forma storica e geografico-fisica concreta. L’ormai incipiente estensione ed espansione sul mare rese il concetto di emisfero occidentale ancora più astratto, nel senso di una superficie vuota, prevalentemente geografico-ma-tematica. Nell’estensione e nella liscia uniformità del mare si manifestava in modo più puro — come si esprime Friedrich Ratzel — lo spazio in sé. Nelle trattazioni della scienza bellica e strategica si trova talora l’acuta formulazione di un autore francese secondo cui il mare è una superficie piana senza ostacoli, sulla quale la strategia si risolve in geometria. Naturalmente è proprio questo mero carattere superficiale che, non appena si profila quale nuova dimensione lo spazio aereo, spinge a togliere la contrapposizione tra terra e mare nella direzione di una nuova struttura spaziale.



2. Proprio negli ultimi anni i geografi di professione, sotto l’effetto dell’uso politico dell’espressione emisfero occidentale, si sono confrontati con il problema che sta dietro a tale espressione. Di particolare interesse è la precisazione geografica, intrapresa dal geografo del dipartimento di Stato statunitense S.W. Boggs, per delimitare l’area di tale emisfero in relazione alla dottrina Monroe. Boggs constata anzitutto che per «emisfero occidentale » si intende in generale il nuovo mondo scoperto da Cristoforo Colombo, osservando però che — per il resto — i concetti geografici o storici di Occidente e di Oriente non sono definiti né in natura né mediante accordi comuni. I cartografi hanno preso l’abitudine di determinare l’emisfero occidentale tracciando una linea nell’Oceano Atlantico, la quale passa per il 20° grado di longitudine ovest dal meridiano zero di Greenwich. Pertanto le Azzorre e le isole di Capo Verde appartengono all’emisfero occidentale, cosa che -come anche Boggs ammette — contrasta con la loro attribuzione storica al vecchio mondo. Persino la Groenlandia viene considerata dal geografo americano quasi del tutto appartenente all’emisfero occidentale, malgrado essa non sia stata certamente scoperta da Colombo.5 Boggs non parla delle regioni artiche e antartiche, del Polo Nord e del Polo Sud. Sul versante del Pacifico egli non indica semplicemente come linea di confine la linea dei 160 gradi di longitudine, corrispondente a quella dei 20 gradi, ma la cosiddetta linea internazionale della data, ovvero la linea dei 180 gradi di longitudine, alla quale fa però subire alcune curvature a nord e a sud. Le isole occidentali dell’Alaska vengono situate ancora completamente nell’Occidente, come pure la Nuova Zelanda. L’Australia invece nell’altro emisfero. Il fatto che le immense superfici dell’Oceano Pacifico cadano anch’esse nell’emisfero occidentale — almeno in via provvisoria, come Boggs si esprime - è da lui ritenuto (prima dello scoppio della guerra con il Giappone) non già come una difficoltà pratica, bensì come un motivo per cui al massimo i cartografi si sarebbero potuti irritare. Il giurista americano di diritto internazionale P.S. Jessup aggiungeva, nell’autunno 1940, alla sua relazione sul promemoria di Boggs che « le dimensioni mutano oggi velocemente, e all’interesse che nel 1860 avevamo per Cuba corrisponde ora l’interesse per le Hawaii; forse l’argomento dell’autodifesa porterà un giorno gli Stati Uniti a combattere sullo Yang-tze, sul Volga e sul Congo ».

La problematica della determinazione di tali linee non è affatto una novità per il geografo di professione. Anzitutto in via astratta è possibile tracciare ovunque il meridiano zero, con piena arbitrarietà, analogamente a come — sotto il profilo cronologico — ogni singolo attimo temporale può essere assunto come punto iniziale di un computo del tempo. Si comprende facilmente anche che la rappresentazione di un emisfero occidentale globale o, rispettivamente, orientale è problematica già per il fatto che la terra ha la forma di una sfera che ruota sull’asse nord-sud. Nord e sud ci sembrano quindi esattamente determinabili. La terra è divisa dall’Equatore in un emisfero settentrionale e in uno meridionale, i quali non sono problematici nella stessa misura in cui lo sono quello occidentale e quello orientale. Abbiamo un Polo Nord e un Polo Sud, ma non un Polo Est e un Polo Ovest della terra. Le contrapposizioni legate all’idea di una destra e di una sinistra sono avvertite come relative in grado maggiore, o comunque in misura diversa, di quanto non lo sia l’idea di un sopra e di un sotto. Ciò risulta ad esempio anche dal fatto che una definizione come quella di « razza nordica », per quanto nel suo significato sia puramente geografica, fa più effetto delle contrapposizioni, anch’esse geografiche, tra razza occidentale e razza orientale. Chiunque sa che il cosiddetto emisfero occidentale è altrettanto bene (e forse, sotto un certo punto di vista, più esattamente) un emisfero orientale. Fin dall’antichità si è osservata la differenza tra il nord e il sud, da una parte, che rappresentano per l’orizzonte naturale gli estremi massimi della notte e della luce, e l’est e l’ovest, dall’altra, che trapassano l’uno nell’altro e sono solo « opposti fluenti che sono meno di notte e giorno ».7 Pertanto tutte le definizioni e le delimitazioni, in particolar modo quelle tracciate con linee attraverso l’oceano, restano incerte e arbitrarie, finché non vengono fondate su demarcazioni convenute in trattati riconosciuti.



3. L’espressione emisfero occidentale ha però, oltre all’aspetto geografico-matematico della delimitazione, anche un contenuto storico-politico-universale e giuridico-internazionale. Nell’ambito politico e giuridico-internazionale stanno anzi le sue autentiche risorse, e quindi anche i suoi limiti interni. Qui sta nascosto il suo arcanum, il mistero della sua incontestabile incidenza storica. Esso sta in una grande tradizione storica ed è collegato a fenomeni ben determinati, propri della moderna coscienza della terra e della storia. Siamo infatti di fronte al più rilevante caso d’impiego (rispetto ai due tipi già sopra menzionati, della raya e dell’amity line) di quello che abbiamo chiamato il pensiero per linee globali del razionalismo occidentale.

La linea americana dell’emisfero occidentale non è né una raya né una amity line. Tutte le linee precedenti avevano a che fare con una conquista, e precisamente con una conquista territoriale da parte di potenze europee. La linea americana si distacca invece, già nel messaggio del presidente Monroe del 1823, proprio dalle pretese di una conquista territoriale europea. Vista dalla prospettiva americana, essa ha in primo luogo un carattere difensivo e indica una protesta, rivolta alle potenze della vecchia Europa, contro eventuali conquiste ulteriori, da parte europea, di territorio americano. E' facile riconoscere che la linea costruisce in questo modo solo uno spazio libero per le proprie conquiste, vale a dire per conquiste intra-americane sul territorio americano libero, che allora aveva ancora dimensioni gigantesche. Ma l’atteggiamento dell’America contro la vecchia Europa monarchica non significava la rinuncia ad appartenere all’area della civiltà europea e della comunità giuridica internazionale, a quel tempo ancora sostanzialmente europea.

Uno studioso di prim’ordine, Bernhard Fay, ha addirittura appurato che il termine civilizzazione ha origine agli inizi del XIX secolo e che è stato coniato espressamente per sottolineare il nesso di continuità che lega l’antica Europa con la Francia agli Stati Uniti d’America.9 Né la lettera di commiato del presidente Washington del 1796, né il messaggio di Monroe del 1823 dovevano fondare un diritto internazionale extraeuropeo. Gli Stati Uniti d’America si erano piuttosto sentiti sin dall’inizio come portatori della civiltà europea e del diritto internazionale europeo.10 Anche gli Stati dell’America Latina che stavano allora sorgendo si consideravano appartenenti alla « famiglia delle nazioni europee » e alla sua comunità giuridica internazionale. Tutti i manuali di diritto internazionale americano, scritti nel XIX secolo, prendono le mosse con la massima naturalezza da questa pretesa, anche quando parlano di un particolare diritto internazionale americano, che viene affiancato al diritto internazionale europeo. La linea globale dell’emisfero occidentale, pur avendo di mira la vecchia Europa, e pur escludendo l’Europa, può dunque solo in un certo senso essere detta antieuropea. In un altro senso, anzi, essa reca in sé all’opposto la pretesa morale e culturale di rappresentare la libera, tipica e autentica Europa. Ma questa pretesa fu in un primo momento velata dal fatto che essa era collegata ad un rigido isolamento. La linea di delimitazione dell’emisfero occidentale è anzi a prima vista addirittura una linea d’isolamento in senso specifico. A differenza di una raya distributiva e di una amity line agonale, essa si configura come una terza cosa di genere del tutto diverso, ovvero come una linea di autoisolamento.

Atteniamoci alle formulazioni chiare e coerenti di questa concezione, che sono state espresse a proposito della cosiddetta linea Jefferson. È sufficiente citare due celebri dichiarazioni del 2 gennaio 1812 e del 4 agosto 1820. Esse meritano il nostro interesse già per la loro connessione con la proclamazione del messaggio di Monroe del 1823. In entrambe traspare chiaramente l’odio verso l’Inghilterra e il disprezzo per la vecchia Europa, dove è da osservare che gli Stati Uniti si presentavano allora come i custodi del diritto bellico marittimo europeo, proprio contro l’Inghilterra. « Il destino dell’Inghilterra» disse Jefferson all’inizio del 1812 «è ormai segnato e la sua attuale forma di esistenza volge al tramonto. Se la nostra forza ci permetterà di imporre una legge al nostro emisfero, questa dovrebbe consistere nel fatto che il meridiano che passa in mezzo all’Oceano Atlantico formerà la linea di demarcazione tra la guerra e la pace, al di qua della quale non si dovrà intraprendere alcuna ostilità e il leone e l’agnello vivranno in pace l’uno accanto all’altro ». Risuona qui ancora una qualche eco del carattere che è proprio a una linea di amicizia. Solo che l’America non è più « libera » nel senso dei secoli XVI e XVII e non è più un teatro di lotte indiscriminate, ma è al contrario una zona di pace, mentre il resto del mondo è teatro di guerra, anche se di una guerra di altri, dalla quale l’America si tiene fondamentalmente lontana. Quello che era tipico delle vecchie linee di amicizia, il loro senso e carattere agonale, sembra rovesciarsi nel suo contrario. Diceva Jefferson nel 1820: « Non è lontano il giorno in cui noi esigeremo formalmente che nell’oceano vi sia un meridiano che separi i due emisferi, al di qua del quale nessun europeo potrà mai sparare un colpo, così come nessun americano potrà farlo al di là di esso ». L’espressione « emisfero occidentale » viene sempre usata, come accade nello stesso messaggio di Monroe, in modo tale che gli Stati Uniti vengano identificati con tutto ciò che di morale, civile o politico vi è nella sostanza di questo emisfero.

La portata delle idee di Jefferson non va qui esagerata. Ma neppure trascurata, se si deve far vedere il vero e proprio carattere storico e politico-universale di una simile linea di isolamento. Dal punto di vista storico-spirituale la coscienza dell’elezione deriva da un atteggiamento calvinista puritano. Essa prosegue in una forma deistica e secolarizzata nella quale giunge spesso perfino ad accrescersi, poiché l’assoluto sentimento di dipendenza da Dio non può naturalmente essere anch’esso secolarizzato. Nell'ultimo quarto del secolo XVIII, dalla dichiarazione d’indipendenza del 1775 in poi, la coscienza americana dell’elezione assorbe dalla Francia nuove forze morali di tipo puramente mondano-immanente. I filosofi dell’Illuminismo, tra i quali grandi nomi come Raynal e Condorcet, creano una nuova immagine della storia umana. La conquista dell’America da parte degli Europei nel secolo XVI, la grande occupazione del territorio americano, giustificata fino ad allora dai conquistatori cattolici e protestanti come missione di fede cristiana, appare ora in prospettiva umanitaria quale esempio di inumana crudeltà. Non era difficile ritrovare in Las Casas materiale per questa concezione. Le dichiarazioni americane dei diritti dell’uomo sono invece viste come una sorta di rinascita dell’umanità. Per Hobbes, filosofo del secolo XVII, l’America era ancora un dominio dello stato di natura, inteso come una libera lotta prestatale tra impulsi e interessi egoistici. Per Locke pure, come abbiamo visto sopra (pp. 97-98), l’America stava, anche se in modo diverso, nella situazione originaria dello stato di natura. Verso la fine del secolo XVIII i filosofi dell’illuminismo francese passarono a vedere nel libero e indipendente Nordamerica l’ambito di uno stato di natura ancora diverso, ovvero lo stato di natura nel senso di Rousseau, inteso come territorio ancora incontaminato dalla corruzione dell’Europa ipercivilizzata. Il soggiorno di Benjamin Franklin in Francia ebbe in questo senso un’incidenza determinante, non solo per l’alleanza che la Francia concluse con gli Stati Uniti (1778), ma anche per la fratellanza spirituale che si instaurò. L’America diventò così una seconda volta, per la coscienza europea, lo spazio della libertà e della naturalezza, questa volta però con un contenuto positivo, che trasformava sostanzialmente il vecchio significato di lotta della linea globale e dava all’isolamento un contenuto positivo.

Secondo il suo significato politico, il principio dell’isolamento mira a creare un nuovo ordinamento spaziale della terra. Cerca di farlo separando un ambito di pace e di libertà garantita da un ambito di dispotismo e di corruzione. Quest’idea americana dell’isolamento è nota ed è stata spesso discussa. Per noi è qui importante il suo collegamento con l’ordinamento spaziale della terra e con la struttura del diritto internazionale. Se l’emisfero occidentale è il nuovo mondo sano, non ancora toccato dalla corruzione del vecchio mondo, esso deve naturalmente essere anche sotto il profilo del diritto internazionale in una condizione diversa da quella del vecchio mondo corrotto, che era stato fino ad allora il centro, il portatore e il creatore del diritto internazionale cristiano europeo, lo jus publicum Europaeum. Se l’America è il territorio nel quale gli eletti hanno trovato salvezza, per condurre là in condizioni verginali una nuova esistenza più pura, allora cade ogni pretesa europea riguardo al suolo americano. Il suolo americano riceve ora anche sotto il profilo del diritto internazionale uno status completamente nuovo rispetto a tutti gli status territoriali fino a quel momento vigenti nel diritto internazionale. Lo jus publicum Europaeum aveva sviluppato, come abbiamo visto, più d’uno di questi status territoriali. Il suolo americano non dovrà d’ora in poi rientrare in alcuno degli status territoriali conosciuti dal diritto internazionale europeo del secolo XIX. L’America non dovrà più essere vista quale territorio privo di dominio e disponibile alla libera occupazione nel senso tradizionale, né quale suolo coloniale, né quale suolo paragonabile al territorio degli Stati europei, né quale teatro di lotta nel senso delle vecchie linee d’amicizia, né quale ambito dell’extraterritorialità europea con giurisdizione consolare come nei paesi asiatici.

Qual è dunque, secondo questa nuova linea, lo status giuridico-internazionale dell’emisfero occidentale rispetto all’ordinamento del diritto internazionale europeo? Qualcosa di assolutamente straordinario, qualcosa di eletto. Sarebbe, almeno stando a un’opinione quanto mai coerente, ancora poca cosa definire l’America come l’asilo della giustizia e della fortezza. Il senso vero e proprio di questa linea dell’elezione sta piuttosto nel fatto che solo sul suolo americano sono date le condizioni che rendono possibili come situazione normale atteggiamenti sensati e habits, il diritto e la pace. Nella vecchia Europa, dove domina uno stato di illibertà, anche un uomo per natura e per carattere buono e onesto può diventare criminale e violare le leggi. In America invece la distinzione tra buono e malvagio, tra diritto e torto, tra uomini per bene e criminali non viene confusa da false situazioni e falsi habits. La convinzione profonda che l’America si trovasse in una situazione normale e pacificata e l’Europa, per contro, in uno stato abnorme e ostile poteva essere ancora riconosciuta nella trattazione del problema delle minoranze fatta alla Lega di Ginevra da Mello Franco (1925). La linea globale che viene tracciata qui è dunque una sorta di linea di quarantena, di cordone sanitario che divide una regione contaminata da una sana.

Il messaggio del presidente Monroe non esprime tutto ciò così chiaramente come le dichiarazioni di Jefferson or ora citate. Chi però ha occhi per leggere e orecchie per intendere sa ricavare anche dal testo e dalla lettera del messaggio di Monroe il fondamentale giudizio di riprovazione morale che viene esteso all’intero sistema politico delle monarchie europee e che conferisce alla linea di separazione e di isolamento americana il suo significato morale e politico e la sua forza mitica.

Stranamente, la formula dell’emisfero occidentale era diretta proprio contro l’Europa, l’antico Occidente. Non era diretta contro la vecchia Asia o l’Africa, ma contro il vecchio Ovest. Il nuovo Ovest avanzava la pretesa di essere il vero Ovest, il vero Occidente, la vera Europa. Il nuovo Ovest, l’America, voleva sradicare l’Europa, che fino ad allora aveva rappresentato l’Ovest, dalla sua collocazione storico-spirituale, voleva rimuoverla dalla sua posizione di centro del mondo. L’Occidente, con tutto quello che il concetto implica sul piano morale, civile e politico, non venne eliminato o annientato, e neppure detronizzato, ma soltanto spostato. Il diritto internazionale cessava di avere il suo baricentro nella vecchia Europa. Il centro della civiltà scivolava a ovest, verso l’America. La vecchia Europa, come pure la vecchia Asia e l’Africa, diventava passato. Vecchio e nuovo sono qui — come non ci si deve stancare di sottolineare — parametri non solo di una condanna, ma anche soprattutto di una ripartizione, di un ordinamento e di una localizzazione. In quanto tali sono il fondamento di altissime pretese storiche, politiche e giuridico-internazionali. Essi hanno trasformato la struttura del tradizionale diritto internazionale europeo sin dal 1890, assai prima cioè che — con l’entrata di Stati asiatici, in primo luogo del Giappone — la comunità del diritto internazionale europeo fosse ampliata in un ordinamento internazionale universalistico e privo di dimensione spaziale.

Noi non indaghiamo qui in che misura le pretese di Jefferson e di Monroe fossero allora giustificate sul piano morale e politico, e neppure quanto fosse sensata la loro convinzione di rappresentare moralmente e politicamente il nuovo mondo. Sul suolo americano si è realmente radunata e sviluppata ulteriormente una parte notevole della civiltà europea. In quanto europei della vecchia Europa, si può anche ammettere senza nulla perdere che uomini come George Washington e Simon Bolivar erano grandi europei, persino più vicini al significato ideale di questa parola di quanto non lo fosse la maggior parte degli statisti britannici ed europeo-continentali del loro tempo. Sia di fronte alla corruzione parlamentare del XVIII secolo inglese, sia di fronte alla degenerazione assolutistica di quello francese, ma anche infine di fronte all’angustia e all’illibertà della restaurazione post-napoleonica e della reazione di Metternich nel XIX secolo, l’America aveva buone possibilità di rappresentare la vera e autentica Europa.

La pretesa dell’America di essere la vera Europa, l’egida del diritto e della libertà, era pertanto un fattore storico di grandissimo effetto. Corrispondeva a forti tendenze europee e costituiva una reale energia politica o, detto in termini più moderni, un potenziale bellico di prim’ordine. Questo serbatoio di energia storica ricevette ancora nel XIX secolo, in particolar modo con le rivoluzioni europee del 1848, un robusto incremento. Milioni di Europei delusi e disillusi lasciarono allora, nel XIX secolo, la vecchia Europa reazionaria ed emigrarono in America, per iniziarvi una nuova vita in condizioni verginali. Il falso cesarismo di Napoleone III e le correnti reazionarie negli altri paesi europei mostrarono, dopo il 1848, che l’Europa non era in grado di risolvere i problemi sociali, politici e spirituali che erano stati sollevati con tanta forza nel decennio precedente al 1848 in Francia, Germania e Italia. Non si deve dimenticare che il Manifesto comunista risale al 1847 e che già nel 1842 Bakunin era comparso a Berlino. Invece di cercare una risposta, tutti i popoli e i governi europei del tempo si affrettarono dopo il 1848 a soffocare la profonda problematica che era venuta alla luce sotto il nome di socialismo, comunismo, ateismo, anarchismo e nichilismo e a ricoprire l’abisso con una facciata legittimistica o legalitaria, conservatrice o costituzionalistica. I grandi critici di quest’epoca sono stati singoli individui isolati e inattuali: Kierkegaard e Donoso Cortés, Bruno Bauer e Jacob Burckhardt, Baudelaire e - infine - Nietzsche. Nei confronti di una simile Europa, che era ormai solo reazionaria, l’auto-consapevolezza americana di costituire la nuova e vera Europa conteneva in sé una grandiosa pretesa storico-universalistica. Qui la risolutezza americana riuscì a liberarsi di un venefico cadavere storico e a coinvolgere quelle forze politiche mondiali che avrebbero anch’esse potuto fondare un nuovo jus gentium.

Ma già alla fine del secolo, attorno al 1900, queste grandi possibilità apparivano, sia dall’esterno sia dall’interno, sotto un’altra luce. La guerra contro la Spagna, del 1898, fu in politica estera il segnale che il mondo intese come svolta verso un aperto imperialismo. Questo imperialismo non si limitava all’area dell’emisfero occidentale corrispondente alle antiche concezioni continentali, ma si addentrava profondamente fin nell’Oceano Pacifico e nel vecchio Oriente. Negli ampi spazi dell’Asia l’esigenza della porta aperta prese il posto dell’obsoleta dottrina di Monroe. Da un punto di vista geografico globale, ciò rappresentava un passo da est verso ovest. Il continente americano era ora, in rapporto al sorgere di un nuovo spazio est-asiatico, messo nella condizione di un continente orientale, e questo avveniva un secolo dopo che la vecchia Europa era stata sospinta dall’ascesa storica dell’America nell’ambito dell’emisfero orientale. Per una geografia dello spirito questo spostamento di prospettiva rappresenta un tema di grandissimo interesse. Per effetto dell’impressione che suscitò, venne annunciato nel 1930 il sorgere di un nuovo mondo, che avrebbe dovuto unire l’America e la Cina.

L’antica fede nel nuovo mondo subì anche dall’interno, in base all’evoluzione americana stessa, una trasformazione fondamentale non diversa da quella provocata da questi spostamenti della storia universale da ovest a est. Nel medesimo tempo in cui si iniziava in politica estera l’imperialismo degli Stati Uniti, la situazione interna statunitense vedeva invece terminata l’epoca della sua novità. Il presupposto e il fondamento di quella che, in un senso reale e non semplicemente ideologico, poteva essere detta la novità dell’emisfero occidentale era venuto meno. Già attorno al 1890 cessò negli Stati Uniti la libertà di conquista interna e si era conclusa la colonizzazione del territorio che era stato fino ad allora libero. Fino a quel momento era rimasta ancora valida negli Stati Uniti la vecchia linea di confine, che teneva separati i territori colonizzati e i territori liberi, ovvero aperti alla libera conquista. Fino ad allora era esistito anche l’abitante tipico di questa linea di confine, chiamato frontier: colui che poteva spostarsi dal territorio colonizzato al territorio libero. Ma ora, assieme al territorio libero cessava anche la libertà fino ad allora esistente. L’ordinamento fonda-mentale degli Stati Uniti, il radicai title, si trasformò, anche se le norme della costituzione del 1787 restarono le stesse. Leggi che limitavano l’immigrazione e che stabilivano discriminazioni in parte di tipo razziale, in parte di tipo economico, chiusero le porte dell’antico asilo della libertà illimitata. Tutti i buoni osservatori si resero subito conto del mutamento. Tra i molti che ne hanno parlato mi sembra particolarmente degno di menzione un grande filosofo e tipico pensatore del pragmatismo americano, John Dewey, avendo egli assunto questa fine del frontier quale punto d’avvio per la sua analisi della concreta situazione sociale dell’America. E altrettanto importante, ai fini di una valutazione di Emerson e di William James, è il fatto che il loro ottimismo e la loro letizia presuppone l’esistenza di un confine aperto. L’idea del suolo libero continuava ad avere influenza quando nel 1896 William James pubblicò il saggio La volontà di credere (The Will to Believe).

Abbiamo accennato nel capitolo relativo alla prima linea globale (pp. 95 sgg.) all’affinità strutturale che lega lo stato di natura prestatale che compare in Hobbes all’ambito di una indiscriminata libertà. Avevamo allora messo in rilievo il fatto storico determinante, e cioè che il dominio di questa libertà aveva trovato la propria collocazione storica concreta in un immenso spazio, aperto alla libera conquista territoriale, ovvero in quello che era allora il nuovo mondo al di là della linea. Riguardo alla struttura di questo nuovo mondo, Hegel ha formulato oltre un secolo fa, già molto prima dello scoppio degli eventi del 1848, nell’introduzione alle sue Lezioni sulla filosofia della storia, una singolare diagnosi. In una geniale mescolanza di ingenuità e di erudizione egli affermava allora, all’epoca della prima dottrina Monroe, che gli Stati Uniti d’America non erano ancora uno Stato, ma che si trovavano invece allo stadio della società civile, ovvero nella condizione prestatale della libertà degli interessi, che è antecedente rispetto al superamento dialettico della libertà individualistica nello Stato. Un importante rilievo critico del giovane Marx, risalente agli anni 1842-43, prende spunto dalla diagnosi hegeliana e la prosegue, citando anch’esso in particolare gli Stati Uniti d’America. Karl Marx osserva che tanto nelle repubbliche quanto nelle monarchie del secolo XIX è la proprietà privata borghese a determinare la vera costituzione e lo Stato. In seguito alla separazione tra Stato e società e tra politica ed economia, il contenuto materiale dello Stato politico viene a porsi fuori della politica e della costituzione. Alcuni teorici dello Stato anglosassoni hanno però elevato a principio proprio questo rapporto tra Stato e società, tra politica ed economia. Nella separazione tra politica ed economia risiede realmente la chiave per chiarire la contraddizione tra presenza e assenza, in cui deve incorrere il nuovo mondo — ora non più nuovo, ma deciso a conservare ideologicamente la propria antica novità — quando cerca di conciliare presenza economica e assenza politica e di continuare l’ideologia della precedente libertà, benché la situazione non sia più quella di prima. Da questo mantenimento di una coscienza tipica della fase non politica precedente allo Stato in una realtà già divenuta iperstatale ha origine una verginità artificialmente prolungata, il cui dilemma verrà trattato nel prossimo capitolo.


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