L'Eclissi del Panico e le Prospettive del Socialismo

L'Eclissi del Panico e le Prospettive del Socialismo


Karl Polanyi, 25 Ottobre 1886 - 23 Aprile 1964

Il meccanismo di un’economia di mercato ha avuto importanti ricadute sulla lotta politica della classe lavoratrice nel XIX secolo. Si è spesso trascurata la sua influenza profonda su modalità e prospettive di tale lotta. Oggi quel meccanismo è soggetto a un mutamento sostanziale. Ne deriva che il movimento socialista ha raggiunto un nuovo e rilevante stadio.

Un’economia di mercato, come delineata dal capitalismo liberale, è in linea di principio autoregolantesi. Essenzialmente, essa è un sistema di mercato, che comprende mercati del lavoro, della terra e della moneta. Tre punti devono essere affermati in maniera netta in relazione al suo meccanismo.

In primo luogo, il suo funzionamento implica gravi pericoli per la struttura della società umana, specialmente per l’uomo e il suo ambiente naturale; perciò essa richiama inevitabilmente reazioni di tipo protettivo.

In secondo luogo, dal momento che tali reazioni implicano interventi disordinati sul funzionamento del meccanismo di mercato, essi possono risultare dannosi da un punto di vista strettamente economico.

In terzo luogo, ogni proposta di intervento pianificato, il quale sarebbe economicamente vantaggioso, suscita il panico nei mercati finanziari. Finché una tale minaccia sarà presente, tutte le soluzioni di carattere socialista appariranno inevitabilmente rischiose e sprigioneranno una resistenza politica disperata.

1. I pericoli che discendono da un’economia di mercato sono il diretto risultato delle condizioni necessarie per l’instaurazione di una tale economia. Queste condizioni includono l’abolizione di tutte le tradizionali forme di salvaguardia della sicurezza sociale. Nei sistemi sociali precapitalistici, le consuetudini e il diritto offrono tali garanzie sia nella sfera dell’industria sia in quella dell’agricoltura, riconoscendo la sicurezza del lavoro, nel primo caso, e del possesso della terra, nel secondo.

Nel modello del capitalismo liberale, la tradizionale organizzazione del lavoro e della terra è sostituita dal dispositivo dei mercati incentrati sulla libera concorrenza. La familiarità che abbiamo con tale peculiare assetto organizzativo non deve renderci ciechi di fronte all’evidente messa in gioco degli elementi basilari dell’esistenza sociale, coinvolto in un simile mutamento istituzionale. Un mercato concorrenziale del lavoro, o un analogo mercato della terra, se lasciato funzionare in maniera incontrollata, è destinato a provocare la distruzione degli esseri umani e del loro ambiente naturale. In base a una singolare finzione, sia l’uomo sia la terra sono trattati dal suddetto meccanismo alla stregua di merci, ossia oggetti prodotti per la vendita.

La minaccia della totale rovina, derivante dalla logica intrinseca di un mercato del lavoro, che sia lasciato libero di operare autonomamente, è talmente ovvia da non richiedere un approfondimento. Organizzare il lavoro umano come una merce significa trattare quest’ultimo come se fosse una cosa prodotta per la vendita. In realtà, il lavoro è un’attività umana, la quale non ha alcuna somiglianza con una vera e propria merce. Esso è parte delle funzioni dell’uomo come essere fisiologico, psicologico e morale; la sua «offerta» non è riconducibile ad alcuna «produzione» finalizzata alla vendita proprio come, per inciso, gli stessi esseri umani (del cui lavoro si tratta) non sono «prodotti per la vendita», ma concepiti per una serie di ragioni del tutto differenti. Per potere parlare di una «vendita» del lavoro, si deve fare ricorso a una serie di finzioni. Primo, il sistema deve essere pensato in maniera tale che tutta l’attività umana produttiva di utilità abbia luogo attraverso accordi bilaterali tra individui, dove uno dirige e paga, l’altro lavora; tale situazione deve essere interpretata come il passaggio della merce «lavoro» dal lavoratore all’acquirente, e così via.

Il punto in questione, ovviamente, non è la natura fittizia di tali assunti. Né la finzione giuridica che definisce il lavoro come l’oggetto di uno specifico contratto, né la finzione economica che definisce il bene scarso e utile compravenduto come la merce «lavoro», incidono sul mondo reale. Quel che per noi rileva, è la condizione umana postulata dall’organizzazione descritta come mercato del lavoro. Essa porta il bambino di cinque anni a comportarsi come un commerciante, che si serve del libero arbitrio per stipulare un contratto avente a oggetto il «lavoro». Il lavoro viene a sua volta venduto nella misura che a lui appaia maggiormente profittevole, per esempio per 12 o 14 o 16 ore. È per lui irrilevante, in quanto mercante, quando, dove e a quali condizioni la merce deve essere consegnata. Nella realtà empirica, il mercante è divenuto un mero accessorio dei propri stessi beni, che deve seguire il proprio destino, anche qualora ciò implichi che egli soccomba in tale processo. In minor misura, ciò accade a ogni uomo o donna. Non v’è da stupirsi che, nell’arco di una generazione o poco più, le popolazioni delle città afflitte da tale sistema abbiano cominciato a perdere qualsiasi somiglianza con la forma umana.

Lo stesso vale per la terra. Una volta che questa sia attribuita agli individui, perché ne dispongano a propria discrezione per scopi di profitto, includendo il diritto di uso illimitato, non uso e abuso, nonché quello (pure illimitato) di concederla in affitto, locazione e vendita, la terra è destinata alla rovina, con tutto quello che ciò implica: il fallimento del proprietario, del possessore e del lavoratore; la distruzione delle bellezze e delle risorse circostanti, incluse persino le «inesauribili» risorse del suolo; assieme all’ambiente, alla salute e alla sicurezza del paese. La terra è tanto poco prodotta per la vendita, quanto lo è l’uomo; essa è parte della natura. Le finzioni giuridiche ed economiche attraverso le quali il destino della terra può essere legato alle oscillazioni del mercato immobiliare sono nel complesso analoghe a quelle che abbiamo già osservato nel caso del lavoro. In realtà, la terra è la dimora dell’uomo, la sede di tutte le sue attività, la fonte della sua vita, il luogo della sicurezza, le sue stagioni e il suo sepolcro. Nemmeno il terreno in quanto tale può resistere allo sfruttamento commerciale. Erose, spogliate, polverizzate, intere regioni possono essere ridotte a foreste primordiali, paludi o deserti. La spoliazione dei beni mette a repentaglio il futuro di un popolo.

L’alienazione delle risorse minaccia la sicurezza nazionale. Regimi di appartenenza che non permettono uno stabile insediamento, condizioni familiari adeguate o forme di vita appropriate debilitano la forza di una popolazione, la quale tende ad affievolirsi sempre più. La degradazione di liberi contadini allo stato di miserabili, o di indolente proletariato, può significare la fine delle risorse. E l’uomo vive la propria vita in maniera talmente dipendente dalla natura che, a meno che la produzione del suolo non venga organizzata in maniera tale da consentire una vita normale a coloro i quali lavorino la terra, l’agricoltura sarà distrutta.

Qui risiedono le radici dell’interventismo. L’interferenza esterna con il funzionamento del mercato è una reazione della società nel suo insieme, essenziale per la protezione del tessuto sociale contro gli effetti nefasti dell’azione del mercato. Alcuni di questi interventi derivano dall’azione dell’esecutivo o del legislativo, altri sono originati da associazioni volontarie, come le unioni di mestiere o le cooperative, altri ancora discendono da organi del foro interno o dell’opinione pubblica, come le chiese, le organizzazioni scientifiche o la stampa. In relazione al lavoro, tali interventi dettero vita alle leggi sulle fabbriche, all’assicurazione sociale, all’introduzione di requisiti minimi d’istruzione e cultura, al commercio municipale, a varie forme di attività delle unioni di mestiere, e così via. In relazione alla terra, l’intervento protezionistico si concretizzò in leggi sulla proprietà immobiliare, leggi agrarie, discipline in tema di locazione e abitazione, incluse alcune forme di protezionismo agrario. Chiaramente, l’utilità sociale di regole, regolamenti, restrizioni e attività non di mercato coinvolti in tali interventi consiste nella protezione del lavoro e della terra, dell’uomo e della natura, rispetto a danni irreparabili.

2. I vantaggi degli interventi protettivi sono prevalentemente sociali; gli svantaggi sono principalmente economici. I primi si riflettono positivamente sullo stesso tessuto sociale, prevenendo la distruzione degli esseri umani e del loro ambiente naturale. I secondi possono nuocere al dividendo sociale. Ciò in quanto interventi isolati e fortuiti sul meccanismo del mercato, fanno sì, in linea di principio, che il sistema operi in maniera ancor meno produttiva di come avrebbe altrimenti operato. È vero il contrario, ovviamente, per gli interventi sistematici e pianificati, i quali combinino la protezione sociale con i vantaggi economici. Tuttavia, il semplice accenno a tali misure di carattere «socialista» sarebbe in grado di determinare una crisi di fiducia e far crollare l’intero sistema.

Tale condizione ebbe inevitabilmente un profondo effetto sulle modalità e le prospettive della politica della classe lavoratrice. Il sistema di mercato servì da meccanismo di difesa, proteggendo le classi dirigenti dall’espansione della democrazia popolare e, in maniera ancora più efficace, contro ogni uso che la democrazia avrebbe potuto fare dei suoi poteri per spingere verso soluzioni socialiste.

La posizione ambigua nella quale la democrazia popolare si trova nel contesto del capitalismo liberale è stato il risultato principale di tale situazione. Mentre l’azione del mercato suscitava diffuse reazioni e contribuiva a creare una forte richiesta popolare di influenza politica delle masse, l’uso del potere così conseguito risultava fortemente limitato dalla natura del meccanismo di mercato: interventi isolati, per quanto urgenti sul piano sociale, erano spesso ostacolati in quanto economicamente dannosi, mentre interventi utili sul piano economico, rispondenti alla logica della pianificazione, non potevano neanche essere presi in considerazione. In termini politici: mentre scampoli di riforme potevano essere screditati come interferenze dannose con il funzionamento del mercato, soluzioni apertamente socialiste, le quali sarebbero state economicamente vantaggiose, dovevano essere escluse in toto. In presenza di siffatte condizioni, lo straordinario potere delle forze della democrazia popolare risultò necessariamente limitato.in "Per un Nuovo Occidente". Scritti 1919-1958, Rubbettino, 2013

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