LA TRANSIZIONE SI SPOSTA SUL NUCLEARE. GIÙ I VALORI DEL LITIO, URANIO RECORD

LA TRANSIZIONE SI SPOSTA SUL NUCLEARE. GIÙ I VALORI DEL LITIO, URANIO RECORD

di Sergio Giraldo, La Verità, 21 febbreaio 2024

La corsa all'oro verde non fa sconti a nessuno. Mentre l'economia rallenta e i tassi di interesse restano alti, con i prezzi di petrolio e gas in discesa, è sempre più difficile per gli investimenti improntati al green trovare spazio.

Nella catena di fornitura a monte, sono soprattutto gli investimenti in minerali e metalli ad essere in crisi, segnatamente quelli più legati alla cosiddetta transizione, ovvero ferro, litio, nickel, cobalto, rame.

Il prezzo del minerale di ferro è sceso ieri a Singapore al livello più basso degli ultimi tre mesi, per i timori di un rallentamento dell'economia cinese e del suo settore edilizio, nonostante la decisione della Banca centrale cinese di abbassare i tassi di interesse per i mutui immobiliari a cinque anni a 3,95%. L'edilizia assorbe circa il 35% della domanda cinese di acciaio. Il future di marzo è sceso a 121,5 dollari a tonnellata.

Anche il rame non se la passa bene, nonostante le enormi necessità teoriche dettate dalla transizione energetica imposta. A guidare è sempre l'economia reale ed oggi è la domanda cinese a fare il prezzo. L'abbassamento dei tassi sui mutui cinesi ha favorito ieri una leggera ripresa dei corsi, con il future quotato a Londra che si è attestato attorno a 8.490 dollari a tonnellata. Ma la domanda resta debole e i prezzi sono più bassi del 20% rispetto ad un anno fa. Nello scorso dicembre il mercato mondiale del rame raffinato ha mostrato un surplus di offerta di 20.000 tonnellate.

Le quotazioni del litio, materiale necessario in grandi quantità per le batterie dei veicoli elettrici, sono in netto calo da poco più di un anno, essendo scese dell'80% dai massimi di 80.000 dollari a tonnellata registrati nel gennaio 2023 ai minimi di oggi a 13.000 dollari a tonnellata.

Anche in questo caso, la Cina rappresenta la variabile di mercato più influente. La so-vracapacità produttiva cinese di materiali per batterie ha portato ad un accumulo di stock di cui le aziende hanno deciso di sbarazzarsi, frenando le attività estrattive.

Inoltre, il ciclo di investimenti avviato anni fa, con i prezzi del litio in crescita, sta dando oggi i primi frutti, con nuove produzioni che si affacciano al mercato. La vendita di automobili elettriche sta rallentando in maniera significativa e sono molte le case automobilistiche che hanno annunciato rinvii nel lancio di nuovi modelli e rallentato la produzione. Il mercato non assorbe beni e questo si ripercuote a monte sui prezzi della materia prima litio. La domanda di questo materiale dipende per l'85% dal settore delle batterie, sia per le auto che per altri sistemi, anche industriali.

I prezzi bassi dei metalli hanno l'effetto di frenare gli investimenti minerari. La domanda di metalli per la transizione ad oggi è sostanzialmente immaginaria, poiché il quadro complessivo della transizione verso le emissioni zero non dà sufficienti garanzie agli investimenti privati. Con la Cina in frenata ed una incipiente crisi economica globale, che rallenta i consumi, non sono molti quelli che oggi sono disposti a rischiare. Anche perché i tassi di interesse alti scoraggiano gli investimenti.

Il settore minerario è un settore capital intensive, cioè necessita di molto capitale per far partire nuove miniere o per l’espansione di quelle esistenti. Il ritorno di questi investimenti è a lungo termine, oltre i 20 o 30 anni. Senza prospettive chiare di crescita il settore è sostanzialmente fermo, come dimostra la crisi di diverse aziende, ad esempio Albemarle. Il big americano dell’estrazione e raffinazione del litio ha perso oltre il 60% del suo valore in poco più di un anno.

L’australiana Bhp Group, la più grande azienda mondiale del settore minerario per capitalizzazione, ha annunciato la chiusura delle sua attività di estrazione e lavorazione del nickel in Australia per via del mercato depresso.

Intanto, la compagnia cinese Cmoc è diventata la maggior produttrice al mondo di cobalto, dopo avere aumentato la propria produzione in Repubblica Democratica del Congo. Ora i cinesi forniscono oltre il 25% della domanda mondiale e stanno inondando il mercato di prodotto, causando un crollo dei prezzi da 40 dollari alla libbra del maggio 2022 agli attuali 13 dollari.

Rispetto alla frenata generalizzata dei prezzi dei metalli per la transizione, spicca l'andamento contrario dei prezzi dell'uranio, che è letteralmente decollato raggiungendo i massimi da sedici anni a questa parte.

Il rinnovato interesse per l'energia nucleare, sancito anche dalle conclusioni della Cop28 dello scorso dicembre, ha attirato l'attenzione dei grandi fondi globali, ricchissimi di liquidità e alla ricerca disperata di rendimenti. I prezzi sono raddoppiati in un anno arrivando a 102 dollari alla libbra dopo che i maggiori produttori avevano rivisto il loro portafoglio di attività, tagliando alcune miniere poco produttive per concentrarsi su quelle a più alto rendimento. L'interesse dei fondi americani è ormai conclamato, con il colosso Goldman Sachs che ha creato per la prima volta dei derivati sull'elemento.

Forse qualcuno si sta accorgendo che senza l'energia nucleare la transizione energetica verso le emissioni nette zero al 2050 è destinata a fallire miseramente, non senza avere prima provocato danni irreparabili all'economia e alla società occidentale, e sta correndo ai ripari.

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