LA GILDA DI MILANO E VARESE PER UN NUOVO PROTAGONISMO DEI DOCENTI
Valeria Ammenti - Gilda degli Insegnanti Milano-Varese
Lo scorso 21 ottobre la Gilda degli Insegnanti di Milano e Varese ha tenuto il proprio congresso provinciale e ha rinnovato gli organismi statutari. Gli iscritti hanno eletto una nuova Direzione Provinciale, composta da colleghi uscenti e da new entry, in un equilibrato mix di esperienza e di rinnovamento. A sua volta la Direzione Provinciale ha eletto la nuova Coordinatrice nella persona della Prof.ssa Valeria Serraino.
Questo rinnovo delle cariche statutarie coincide con l’esigenza di voler tornare nelle scuole e sul territorio, dopo i mesi della pandemia, a parlare con gli insegnanti per raccoglierne i bisogni e le istanze, per ascoltarne le idee e le proposte, soprattutto per trasmettere ai decisori politici il punto di vista dei docenti delle scuole milanesi e varesine.
Abbiamo bisogno che il sostegno degli iscritti e dei simpatizzanti continui a farsi sentire perché in questo momento così difficile per la categoria (pandemia, aumento dei carichi di lavoro ope legis, risorse irrisorie per il rinnovo contrattuale, perdita del potere d’acquisto dei salari, obbligo vaccinale, precariato, vincolo triennale, ecc.) pensiamo che occorra recuperare lo spirito originario della Gilda degli Insegnanti, nata come associazione professionale per affermare e veder riconosciuta la specificità del ruolo e della funzione docente.
I partiti di ogni colore succedutisi al governo del Paese ci hanno sempre più relegato a svolgere mansioni esecutive, con interventi di natura contrattuale ed extracontrattuale. Mai come adesso si sono consumate incursioni legislative finalizzate ad aumentare i carichi di lavoro a costo zero. Lo sciopero del 10 dicembre vuole mettere un punto a questa deriva e aprire spazi di negoziazione. Per questo vi abbiamo aderito convintamente, pur sapendo che sui nostri magri stipendi la trattenuta per lo sciopero incide in modo rilevante.
Quella che storicamente è stata una categoria costitutiva dei ceti intellettuali del Paese, è umiliata e ridotta a proletariato della conoscenza, a cui viene richiesto impegno e motivazione nel lavoro senza un adeguato riconoscimento economico e professionale. Nel contempo il problema cronico della precarietà, che nella scuola è strutturale, obbliga tanti docenti giovani e meno giovani a vivere in una condizione di incertezza del lavoro e del reddito che determina una vulnerabilità esistenziale che impedisce di progettare il presente e il futuro.
I tagli, il blocco dei riconoscimenti contrattuali, l’assenza di politiche credibili per il reclutamento e la valorizzazione professionale, la mancanza di un adeguato riconoscimento sociale e culturale hanno reso sempre meno appetibile la carriera e sempre più fragile, quindi attaccabile, il profilo docente. Con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti in termini di disgregazione del sistema.
Senza essere complottisti, sorge il dubbio che questo arretramento culturale nella società della conoscenza sia il vero obiettivo delle politiche scolastiche degli ultimi vent’anni, con singolare continuità dalla riforma Berlinguer a quella Moratti, alla Gelmini, alla Buona Scuola di Renzi. La scuola italiana è stata gradualmente trasformata, nella concretezza delle pratiche e nell’immaginario collettivo, da istituzione della Repubblica volta all’alfabetizzazione culturale e alla formazione dei cittadini ad agenzia di socializzazione sul mercato del sistema pubblico di istruzione (che comprende le scuole confessionali paritarie). L’esito è stato la diffusione dell’ignorante ipermoderno. “Incapace di perimetrare il reale attraverso una sua conoscenza adeguata, questo nuovo sottoproletariato cognitivo è ormai per le classi dirigenti massa di manovra, manipolabile con i mezzi di comunicazione maggiormente diffusi (ancora oggi il 75% della popolazione italiana si informa solo attraverso la televisione) *
Come non rilevare, inoltre, che la tecnocrazia (sanitaria, finanziaria, scientifica, tecnologica) al potere fonda il suo imperio sulla capacità di fare leva sul legittimo bisogno di sicurezza (sanitario ed economico in primis) che le persone sono disposte a barattare in cambio della cessione di sovranità democratica.
Nella considerazione che il Governo ha dei docenti, qualora non bastassero le cifre poco più che simboliche stanziate per il rinnovo di un contratto ormai scaduto, appare emblematico l’obbligo vaccinale rivolto al personale della scuola, non ai docenti universitari. Il 95% del personale scolastico è vaccinato, ma viene comunque fatto oggetto di un provvedimento controverso, a differenza dei docenti universitari esonerati dal medesimo obbligo. Non solo i docenti universitari costituiscono una lobby ben rappresentata sia sugli scranni parlamentari che sui banchi del Governo, ma soprattutto sono considerati intellettuali e professionisti; noi docenti della scuola invece siamo stati relegati (anche perché lo abbiamo accettato) al ruolo di impiegati esecutori di direttive. L’imposizione dell’obbligo vaccinale (comunque la si pensi sull’efficacia dei vaccini e chi scrive è vaccinata con doppia dose) s’inscrive in un processo di progressiva spoliazione sociale della figura del docente inteso come intellettuale diffuso, a cui i progressivi interventi legislativi hanno gradualmente limitato la possibilità di autodeterminare la propria funzione nel rispetto dell’art. 33 della Costituzione, che tutela la finalità pubblica della scuola.
A noi l’onere e la responsabilità di continuare a dire la nostra, fuori dal coro, e di costruire una proposta efficace per formar e cittadini liberi perché capaci di esprimere un pensiero critico originale.
Valeria Ammenti
*https://www.roars.it/online/rovine-culturali-litalia-del-sottoproletariato-cognitivo/