Lʼiscrizione di Pasha Saveljeva sul muro di una cella della morte a Lutsk
P. SaveljevaGennaio 1944
Il terribile, orribile minuto si avvicina! Tutto il mio corpo è mutilato: non ho praticamente né mani né gambe… Ma muoio senza emettere un suono. È terribile morire a 22 anni. Come vorrei vivere! Partiamo per il bene di chi verrà dopo di noi, per il tuo bene, mio paese… Fiorisci, sii bella, mia terra natale, e addio. Tua Pasha.
Pasha Saveljeva era nata in una famiglia di contadini e aveva frequentato la scuola nella città di Ržev. Nellʼestate del 1940, dopo essersi diplomata al Collegio di Finanza ed Economia di Mosca, andò a lavorare a Lutsk. Era lì quando scoppiò la guerra. Non potendo evacuare verso est, decise di combattere le forze di occupazione in città. Dopo qualche tempo, formò un gruppo clandestino con altri giovani. I coraggiosi combattenti clandestini raccoglievano informazioni sulla posizione delle truppe hitleriane, si dedicavano al sabotaggio, assistevano la fuga dei prigionieri sovietici e li rifornivano di documenti e vestiti. Allʼinizio dellʼestate 1943, il gruppo riuscì a stabilire un contatto con i partigiani che operavano nelle vicinanze sotto il comando di D. Medvedev, eroe dellʼUnione Sovietica.
Essi riuscirono a mettere le mani sulla pianta nazista di Lutsk con tutti gli obiettivi militari chiaramente segnati. Su istruzioni del centro partigiano, causarono ai tedeschi molti problemi sulla ferrovia. I nazisti vennero tenuti impegnati nel tentativo di scoprire le persone che si nascondevano dietro la resistenza clandestina.
Il 22 dicembre 1943, la Gestapo arrestò Pasha Saveljeva. Dopo orribili torture e sofferenze, i nazisti bruciarono la giovane patriota nel gennaio 1944 nel cortile di una vecchia chiesa cattolica medievale, che i tedeschi avevano trasformato in una grande camera di tortura.
Unʼora prima dellʼesecuzione riuscì a passare il seguente biglietto alla cella accanto alla sua: “Se ci fanno uscire insieme, cerchiamo di scappare. Forza!”. Ma non ebbero alcuna possibilità.
Pochi minuti prima di essere giustiziata, graffiò con un chiodo la scritta sopra riportata sul muro della cella.