JW Broadcasting (giugno 2024). Conferimento dei diplomi della 155ª classe della Scuola di Galaad

JW Broadcasting (giugno 2024). Conferimento dei diplomi della 155ª classe della Scuola di Galaad

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Benvenuti al programma mensile di JW Broadcasting di giugno 2024. Il 9 marzo 2024 si sono diplomati gli studenti della 155ª classe della Scuola di Galaad. Provenivano da 5 continenti, da più di 20 paesi diversi e parlavano più di 35 lingue. Quale incoraggiamento hanno dato agli studenti i membri del Corpo Direttivo, gli insegnanti di Galaad e altri? Di quali argomenti interessanti hanno parlato? Quali paesi conosceremo meglio nell’ultima edizione di The Inside Story? Non vediamo l’ora di scoprirlo! Buona visione della prima parte. Sembrate entusiasti. Ed è giusto così. E siamo felici per voi. Il conferimento dei diplomi di oggi sarà utile a chiunque lo seguirà, ma comunque tenete presente che è stato preparato in modo specifico per voi studenti. Questa sera ripenserete al programma di oggi, che ha dato onore a Geova ed è stato una conferma del suo amore per voi, così come del nostro amore per voi. In questi cinque mesi di scuola avete dovuto individuare importanti princìpi biblici in molti episodi del passato. E molti di questi episodi riguardavano servitori di Dio che grazie al suo aiuto riuscirono a fare la sua volontà con successo. Sicuramente siete più d’accordo che mai con quello che scrisse l’apostolo Paolo in Filippesi 4:13: “Per ogni cosa ho forza grazie a colui che mi dà potenza”. E sappiamo di chi si parla qui, di Geova. Lui ci dà questa potenza per mezzo di suo Figlio. E ha dato a voi la potenza di riuscire bene in questa scuola, e lo avete fatto. Questa è una benedizione che non dimenticherete mai. Lui vi ha aiutato e vi aiuterà sempre. Per esempio, quando in futuro vi troverete di fronte a compiti o problemi che sembrano particolarmente difficili, ricordate come Dio vi ha aiutato in questo periodo. Tenete a mente esempi biblici come quello di Davide. Fin da quando era giovane Davide si rese conto che aveva bisogno dell’aiuto di Geova. Nel Salmo 71:5, 17 disse: “Tu sei la mia speranza, o Sovrano Signore Geova; in te confido sin dalla giovinezza”. “Mi hai istruito sin dalla giovinezza, e ancora oggi dichiaro le tue meravigliose opere”. Sicuramente vi siete sentiti così nel corso di tutti questi anni in cui Geova vi ha aiutato e anche in questi mesi durante la scuola. E ora state per diplomarvi. Che giorno emozionante per voi! Un giorno che non dimenticherete mai. Davide spinto dalla gratitudine si ricordò dell’aiuto di Geova, e lo facciamo anche noi. Davide ebbe fede e confidò nell’aiuto di Geova, e lo facciamo anche noi. Noi vediamo queste buone qualità in voi e vi amiamo per questo. Ecco perché potrete affrontare con fiducia qualsiasi cosa riservi il vostro futuro. Usate la formazione ricevuta a Galaad nelle filiali dove servirete. Geova vi amerà per questo. I cari fratelli e le care sorelle sicuramente vi ameranno per questo. Ora ascolteremo una serie di incoraggianti discorsi che saranno utili per tutti noi. Come detto prima rafforzeranno la nostra fede, edificheranno la nostra fiducia in Dio e metteranno in evidenza il meraviglioso proposito, il proposito di Dio, che noi sosteniamo. Quindi iniziamo con il primo discorso. Prestiamo attenzione al fratello Jonathan Smith, che serve come assistente del Comitato del Servizio. Il tema del suo discorso è il seguente: “Che cosa devo fare?” Che cosa devo fare? Vi siete mai fatti questa domanda? Se siete come me, vi fate questa domanda ogni giorno, magari anche più volte al giorno. Che cosa devo fare adesso? Ma c’è un’altra parte che possiamo aggiungere a questa domanda e chiederci qualcosa che magari è da un po’ che non ci stiamo chiedendo: “Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” Forse questa è una domanda che vi siete giustamente fatti quando avete iniziato a studiare la Bibbia. O magari vi è capitato di chiedervelo più volte mentre frequentavate la scuola di Galaad in questi mesi. Beh, nella Bibbia ci sono stati due uomini che hanno fatto a Gesù la stessa, identica domanda. Tutti e due hanno fatto questa domanda negli ultimi sei mesi del ministero di Gesù sulla terra. Era la stessa domanda, ma le due risposte che Gesù diede a quegli uomini furono diverse. Leggiamo la prima risposta in Luca 10:25: “Ora, ecco, un esperto della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: ‘Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?’” Ma saggiamente Gesù capisce che quest’uomo conosce bene la Legge. Quest’uomo forse sa già la risposta alla sua domanda, quindi sta facendo questa domanda più per mettere alla prova Gesù che per avere una risposta. Cosa fa quindi Gesù? Lascia che sia lui a rispondere alla sua stessa domanda nel versetto 26: “Che cosa c’è scritto nella Legge? Cosa leggi?” Nel versetto 27 quest’uomo dà una risposta sorprendente. In una sola frase, quest’uomo riassume l’intera Legge mosaica. Risponde proprio nello stesso identico modo in cui Gesù aveva risposto in altre due occasioni. Beh, Gesù è colpito. Infatti, dice al versetto 28: “Hai risposto bene. Continua a far questo e avrai la vita”. Ecco cosa possiamo imparare. Quando parliamo con altre persone nel ministero, potremmo accorgerci che sanno già alcune cose sulla Bibbia. Giriamo a loro la domanda: “Cosa ne pensi?” O meglio ancora: “Cosa leggi?” Un’altra cosa che possiamo imparare dal versetto 28 è questa: lodate una persona quando si esprime bene. Fatele sapere che pensate che la vita eterna è alla sua portata. Ma c’è un altro motivo per cui quest’uomo fa la domanda. Adesso è passato dal voler mettere alla prova Gesù al far vedere che lui è nel giusto. Nel versetto 29 chiede: “Chi è davvero il mio prossimo?” Beh, visto che è esperto della Legge, avrà già una risposta in mente, che ne dite? Forse sta pensando:“Gesù mi dirà quello che io voglio sentirmi dire? Mi dirà che il mio prossimo sono i miei amici ebrei, forse quelli del mio villaggio, soprattutto quelli che rispettano la Legge?” Gesù però non sarebbe mai stato d’accordo con quel punto di vista. Chi è davvero il mio prossimo? Non era certo la domanda migliore da fare. Quell’uomo voleva sentirsi giusto. Come riesce Gesù ad aggirare quell’ostacolo e al contempo a correggere il suo punto di vista sul prossimo? A questo punto, come sappiamo bene, Gesù narra la bellissima parabola del buon samaritano. Vediamo insieme i versetti 30, 31 e 32. Un uomo sta scendendo da Gerusalemme a Gerico e cade vittima di briganti che lo picchiano e lo lasciano mezzo morto. Per caso un sacerdote scende per quella stessa strada ma passa oltre, dal lato opposto. E lo stesso accade con un levita, passa oltre dal lato opposto. Questi uomini avevano incarichi di responsabilità nell’organizzazione di Geova. Quanta indifferenza e insensibilità! Ed ecco una lezione per noi. Potremmo avere incarichi di responsabilità nell’organizzazione di Geova. Ma non permettiamo mai che questo ci faccia diventare insensibili ai bisogni delle altre persone, magari non essendo disposti a usare il nostro tempo libero per prenderci cura degli altri. L’atteggiamento del samaritano invece è molto diverso. Nei versetti 33 e 34 vediamo che viaggia su quella strada e quando lo vede si impietosisce, va da lui, fascia le sue ferite e vi versa sopra olio e vino, poi lo mette sulla sua bestia da soma, lo porta in una locanda e si prende cura di lui, evidentemente tutto il giorno. Nel versetto 35 leggiamo che il giorno dopo tira fuori due denari, il salario di due giorni, li dà al locandiere e gli dice: “Abbi cura di lui; e se spenderai qualcosa in più, te lo darò al mio ritorno”. Il salario di due giorni. Sembra che avesse speso tutto ciò che aveva, visto che dice che sarebbe dovuto tornare per dare altro denaro al locandiere. E tutto per un uomo che essendo ebreo, in circostanze normali, forse non lo avrebbe nemmeno salutato. Ora Gesù fa un altro tipo di domanda. Come potete notare, questa volta cambia la domanda di quell’uomo. Non “Chi è davvero il mio prossimo?” ma “Chi di questi tre ti sembra che si sia comportato da prossimo nei confronti dell’uomo che cadde vittima dei briganti?” Questa domanda ha più senso, vero? Non dice “Chi è il mio prossimo?” ma “Come posso io comportarmi come tale?” Beh, quell’uomo capisce il punto e risponde di nuovo correttamente. Ma non dice: “Il samaritano”. Forse è un po’ troppo per lui. Dice: “Quello che agì con misericordia”, al che Gesù risponde: “Va’, e anche tu fa’ la stessa cosa”. E in questo modo il racconto si conclude in chiave positiva. C’è moltissimo da imparare sulle conversazioni che facciamo nel ministero, ma anche quelle di tutti i giorni, mentre svolgiamo le nostre attività o con i fratelli e le sorelle. Se qualcuno ci fa una domanda, non dovremmo mai sminuirla. Aiutiamolo semplicemente ad arrivare alla conclusione corretta. Non dovremmo mai essere critici, nemmeno se la domanda forse non è sincera. Rispondiamo sempre con gentilezza. Forse attraverso un esempio lo aiuteremo a capire il punto. Comunque, questa non è l’unica volta in cui Gesù dovette rispondere a quella domanda. Vediamo adesso un altro episodio. Prendiamo insieme Luca al capitolo 18, versetto 18. Questa volta non si tratta di un esperto della Legge, ma di un capo dei giudei, e la Bibbia aggiunge che è “ricchissimo”. In un altro Vangelo viene detto che è giovane. Quindi è un capo, è ricco ed è giovane, non sempre la combinazione migliore. La conversazione inizia con lui che corre incontro a Gesù si inginocchia davanti a lui e gli chiede, qui al versetto 18: “Maestro buono, cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” Questo Gesù non può accettarlo, non vuole essere chiamato maestro buono, un titolo che spetta solo a Geova. Così corregge quell’uomo con gentilezza, al versetto 19. Poi al versetto 20 Gesù, come sappiamo, menziona alcuni dei Dieci Comandamenti, ma quell’uomo al versetto 21 dice: “Li osservo tutti fin dalla giovinezza”. In altre parole, cos’altro, cos’è che mi manca? Dopo aver sentito questo, Gesù rivela che in effetti c’è qualcosa che ancora manca. Versetto 22, solo una cosa: “Vendi tutto ciò che hai e distribuisci il ricavato ai poveri, e allora avrai un tesoro nei cieli; e vieni, sii mio discepolo”. Questo però per quell’uomo è troppo difficile. In Marco, nel racconto parallelo, leggiamo che a questo punto Gesù “prova amore” per quell’uomo perché vede chiaramente che è sincero. Ma anche se quella domanda nasce da buoni motivi, non riesce a fare quello che Gesù chiede. “A queste parole l’uomo si addolorò profondamente, perché era ricchissimo”. Marco dice che “possedeva molti beni”. Possiamo imparare molto da questo racconto, vero? Abbiamo visto che anche chi è spinto da buoni motivi non sempre ha belle qualità. L’uomo di questo racconto, ad esempio, teneva troppo alle cose che possedeva e questo gli impedì di ricevere uno dei più grandi privilegi possibili, seguire Gesù. Questi due racconti ci hanno insegnato diverse cose. Innanzitutto, abbiamo visto che possiamo imparare da un “samaritano”. Vi è mai capitato di imparare da un “samaritano”? A me sì. Un giorno, diversi anni fa, mentre guidavo mi sono accorto di aver bucato. Avevo la ruota di scorta, ma gli attrezzi, beh, quelli non ce li avevo. Questo avveniva prima dell’epoca dei cellulari. Camminai fino alla casa più vicina. E dissi: “Posso usare il suo telefono, per favore, per chiamare il carro attrezzi?” E il signore mi disse: “Cosa è successo?” - “Devo cambiare una gomma”. - E lui: “L’aiuto io”. Così esce di casa, prende gli attrezzi e in tempo zero cambia la mia gomma. E mentre era lì, io intanto pensavo: “È di un’altra religione, è di un’altra cultura, ha un altro colore della pelle, eppure mi sta cambiando la gomma”. Quando ripartii, mi dissi: “Geova ha fatto sì che imparassi qualcosa da un ‘samaritano’”. Quindi abbiamo imparato che non è una brutta idea farsi ogni tanto la domanda menzionata all’inizio. Due uomini saggiamente lo fecero. Purtroppo, almeno uno dei due non agì di conseguenza. Ma di tanto in tanto, se chiediamo a Geova: “Ti prego, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” possiamo essere certi che lui risponderà, forse tramite il nostro studio personale oppure, chissà, attraverso un “samaritano”. Ti ringraziamo molto, fratello Smith, per il tuo discorso pratico e caloroso. Ora prestiamo attenzione al fratello Paul Gillies, che serve come assistente del Comitato dei Coordinatori. Il tema del suo discorso è “Il dono di Dio”. Geova è senza dubbio la persona più generosa dell’universo. Da lui provengono “ogni dono buono e ogni regalo perfetto”. E sono sicuro che voi studenti di Galaad avete ringraziato Geova molte volte per i numerosi doni spirituali che avete ricevuto nel corso degli ultimi cinque mesi. Ricordo le parole che ha detto uno di voi: “Galaad è un dono immeritato”. Ora vorrei chiedervi se nel corso degli ultimi cinque mesi avete assaporato “il dono di Dio” che è menzionato nel libro di Ecclesiaste 3:12, 13. Leggiamo insieme questi versetti. Ecclesiaste 3:12, 13: “Ho concluso che per loro non c’è niente di meglio che rallegrarsi e fare il bene durante la vita, e che ogni uomo mangi, beva e provi piacere per tutto il suo duro lavoro. È il dono di Dio”. Questo versetto ci dà una formula molto semplice per goderci la vita. Se siamo in buona salute, non c’è niente di meglio che mangiare e bere e provare piacere per il nostro duro lavoro. E perché? Perché si tratta del “dono di Dio”. Come spiegato nel versetto 12, il lavoro che produce in noi sentimenti di gioia e soddisfazione è questo: “fare il bene”, ovvero fare buone azioni a favore degli altri. Come disse Gesù, c’è più felicità nel dare di quanta ce ne sia nel ricevere. Proverbi 8:30 ci dice anche che nel suo lavoro come “artefice” Gesù si rallegrò, o come si potrebbe rendere la parola ebraica per rallegrarsi, si divertì. Sì, Gesù si divertì davvero lavorando con suo Padre nel corso di miliardi di anni durante la creazione dell’universo. Certo, forse tutti noi siamo ben lontani dall’essere definiti artefici, ma possiamo provare la soddisfazione che deriva dal compiere un buon lavoro al servizio di Geova. E non è forse vero che questo sentimento di per sé è già un dono di Dio? Prendete la Bibbia con me in Ecclesiaste al capitolo 5. I versetti 18 e 19 approfondiscono questo argomento. Ecclesiaste 5:18: “Questo è ciò che ho trovato buono e giusto: che uno mangi, beva e provi piacere per tutto il duro lavoro in cui si affanna sotto il sole durante i pochi giorni di vita che il vero Dio gli ha dato, perché questa è la sua ricompensa. Inoltre, [prosegue il versetto 19] quando il vero Dio dà a un uomo ricchezze, beni e la facoltà di goderne, questi dovrebbe prendere la sua ricompensa e rallegrarsi del suo duro lavoro”. E conclude dicendo: “È il dono di Dio”. In altre parole, lo scrittore di Ecclesiaste ci raccomanda saggiamente di fare due cose: (1) lavora diligentemente giorno dopo giorno e (2) goditi quello che hai in questo momento. Quando riconosciamo che i beni che abbiamo sono un dono di Dio, allora quello che possediamo può farci provare gioia. E avete notato che per due volte in questi versetti questo “dono di Dio” viene descritto come una “ricompensa” che Geova dà a noi? È straordinario sapere che Geova sceglie di ricompensarci per il nostro duro lavoro! E sicuramente la Scuola di Galaad ha aggiunto tesori spirituali in abbondanza a ciò che possedete. Nei prossimi anni continuerete a provare gioia più e più volte, quando ricorderete la spiegazione di un versetto che avete scoperto durante il vostro studio personale o che avete carpito da uno dei vostri insegnanti durante una lezione. Come viaggiatori tornati dall’estero, avete collezionato inestimabili souvenir. Prendiamo di nuovo Ecclesiaste capitolo 5, leggiamo il versetto 20. Questo versetto spiega in che modo “il dono di Dio” può influire sulla visione che abbiamo della vita. Dice: “Quell’uomo quasi non si accorgerà [o, nota in calce, non ricorderà], quasi non si accorgerà del passare dei giorni della sua vita, perché il vero Dio [dice qui] lo tiene occupato con la gioia del suo cuore”. “Il tempo vola” è un modo di dire molto comune anche qui alla Betel. Ed è proprio così, quando ci piace davvero quello che facciamo quasi non ci rendiamo conto che i giorni, le settimane e gli anni, e in definitiva la vita stessa, sembrano volare via. Perciò il consiglio è: goditi il momento. Una frase celebre recita: “Ieri è il passato, domani è il futuro ma oggi è un dono ed è per questo che si chiama presente”. E ci sono dei benefici nel tenersi occupati. “Il dono di Dio” può aiutarci a proteggere la nostra salute mentale. Quando siamo impegnati in un lavoro interessante non diventiamo eccessivamente preoccupati per la brevità della vita per i suoi problemi o le sue incertezze. Piuttosto, ci rallegriamo così tanto nel fare il bene, divertendoci proprio come fece Gesù, che gli aspetti negativi della vita non monopolizzano i nostri pensieri. Così diventiamo gioiosi nel nostro cuore. Godetevi questo sentimento, è un dono di Dio. Le scorse 20 settimane di scuola sono state dure, non è vero? Avete imparato tantissime cose. Eppure il tempo non è forse volato da quando vi siete presentati alla famiglia Betel il 6 novembre dell’anno scorso? Adesso è arrivato il momento di rilassarvi, di mangiare e bere, con moderazione ovviamente, con la vostra famiglia e i vostri amici mentre riflettete sulla vostra esperienza a Galaad. Adesso è il momento di godervi la ricompensa di Geova. Il saggio scrittore Salomone suggerì anche di trovare un equilibrio tra lavoro e riposo. Infatti scrisse in Ecclesiaste 4:6: “È meglio una manciata di riposo che due manciate di duro lavoro”. Pensiamoci un attimo. Uno che è maniaco del lavoro non ha più tempo o energie per partecipare alle attività riposanti che possano farlo rilassare o dargli nuove forze. Quindi dobbiamo essere modesti nel nostro incarico, specialmente quando amiamo molto quello che facciamo. La Bibbia incoraggia ad avere un punto di vista equilibrato. Lavora con impegno e poi goditi le ricompense. Possiamo amare molto quello che facciamo, ma dobbiamo ricordarci che il nostro incarico è ancora più piacevole se ci prendiamo il tempo di rilassarci e di riflettere con soddisfazione sulle nostre attività. Dato che adesso molti di voi probabilmente riceveranno nuovi e piacevoli privilegi, che aumenteranno le cose che avete da fare, questo consiglio della Bibbia è valido e arriva al momento giusto, non è vero? Ora vi invito a prendere la Bibbia in 2 Timoteo 1:6. Perché questo versetto trasmette un’altra bella sfumatura dell’espressione “il dono di Dio”. Vi sarà utile nei vostri prossimi incarichi. Dice: “Per questa ragione ti ricordo di ravvivare come un fuoco il dono di Dio che è in te mediante l’imposizione delle mie mani”. Se guardiamo l’approfondimento leggiamo quanto segue: “Il dono di cui parla Paolo sembra riguardare un dono dello spirito santo: a Timoteo era stata impartita una qualche speciale capacità che gli permise di portare avanti il suo incarico”. Ovviamente Dio non dà a chi frequenta Galaad capacità straordinarie in modo miracoloso, lo sappiamo. Uno di voi ha detto questa frase interessante: “Siamo solo dei beteliti che stanno vivendo un’esperienza straordinaria”. Quindi non avete ricevuto capacità straordinarie, a ogni modo l’insegnamento ricevuto a Galaad forse vi ha fatto scoprire e coltivare talenti nascosti che non sapevate di avere, vero? O forse se ne sono accorti solo i vostri insegnanti. Tutti noi che abbiamo privilegi di servizio come Timoteo dobbiamo custodire con cura il nostro “dono di Dio”. I privilegi di servizio sono modi in cui Geova ci mostra immeritata bontà, non una ricompensa per mesi di studio. Anzi, tutte le nostre energie le nostre abilità, i nostri talenti possono essere visti come doni di Geova e dobbiamo usarli per fare il bene alle altre persone. Se questo è il nostro punto di vista e questi sono i nostri motivi, potremo goderci appieno gli incarichi che riceviamo. Come abbiamo letto nel versetto 6, Paolo ricordò a Timoteo “di ravvivare come un fuoco il dono di Dio” che era in lui. Anche voi avete un fuoco dentro e non vedete l’ora di darvi da fare nel vostro nuovo incarico. Ma come spiega l’approfondimento, l’espressione “ravvivare come un fuoco indica un’azione continua. Secondo quanto afferma uno studioso, l’idea è quella di “tenere viva la fiamma di un fuoco”. Quindi siamo incoraggiati a mettere impegno ed energie nei nostri incarichi. Continuate ad ardere, senza consumarvi però. Il fuoco continuerà ad avere una fiamma viva se ci ricorderemo sempre di mantenere l’equilibrio tra lavoro e riposo. È vero, i giorni della nostra vita passano rapidamente. È un dato di fatto adesso, ma non sarà sempre così. Nel nuovo mondo godremo appieno del nostro lavoro. La gioia di vivere diventerà sempre più grande, specialmente quando avremo una salute perfetta. Avremo anche il piacere di consumare cibi e bevande incontaminati. Quindi godetevi la vita, godetevi la vita con la vostra famiglia e i vostri amici. Godetevi tutto quello che avete adesso. Godetevi i vostri incarichi. Metteteci il cuore, ma siate equilibrati. La semplice formula che si trova in Ecclesiaste ci accompagnerà per miliardi e miliardi di anni, per l’eternità. Mangiate e bevete e provate piacere per tutto il vostro duro lavoro, perché questo è “il dono di Dio”. Beh, ti ringraziamo di cuore, fratello Gillies. Sicuramente per noi il tuo discorso è stato un dono. Te ne siamo grati. Ora il fratello Edward Aljian, che serve nel Reparto Scrittori, esporrà il proprio discorso dal tema “Un problema, una soluzione”. Fratelli e sorelle della 155esima classe di Galaad, oggi vi diplomerete e presto andrete dove sarete stati assegnati. Siamo sicuri che non vedete l’ora. Ma la vita realisticamente ogni tanto sappiamo che ci riserva qualche problema. E un problema che potreste incontrare personalmente lungo la strada è la difficoltà a capire un cambiamento nel modo in cui l’organizzazione o la congregazione opera. Potrebbero cambiare i modi in cui predichiamo, le procedure nella congregazione, oppure le procedure della filiale o cose del genere. Di solito siamo contenti di questi raffinamenti organizzativi descritti in Isaia 60:17. Eppure le nostre pubblicazioni e perfino la Bibbia stessa dicono che a volte per qualcuno potrebbe essere difficile accettare il passaggio dal modo in cui eravamo abituati a fare le cose al modo in cui dobbiamo farle d’ora in poi. Ma perché è difficile? Perché ci riguarda personalmente? Cambia il posto in cui serviamo o quello che facciamo? Forse sì, ma forse no. Forse è perché mentalmente non riusciamo a capire la ragione dietro al cambiamento. Vogliamo essere leali, vogliamo collaborare, ma il cervello ci dice: “Ma perché stiamo andando in questa direzione? Per me sarebbe meglio invece andare in quest’altra direzione”. Quindi, se ci sono state date delle nuove istruzioni e il nostro cervello non è proprio d’accordo, allora abbiamo un problema. Ma abbiamo anche la soluzione, che si trova in Filippesi capitolo 3. Prendetelo con me. Qui Paolo parla di un problema che esisteva a quel tempo in alcune congregazioni. Sembra che a Filippi non fosse un problema grave. Ma per evitare che diventasse un problema per alcuni della congregazione, Paolo ne parlò in Filippesi 3:15, 16: “Perciò noi che siamo maturi dobbiamo avere questo modo di pensare; e se sotto qualche aspetto la pensate diversamente, Dio vi rivelerà il modo di pensare corretto. In ogni caso, qualunque progresso abbiamo già fatto, continuiamo su questa stessa strada”. Ma di cosa stava parlando Paolo? Di un grande cambiamento organizzativo, il passaggio dalla Legge mosaica al cristianesimo. E Paolo fu uno di quelli che l’aveva accettato. Paolo non la pensava affatto diversamente, e lui non rimase indietro. Rinunciò a rimanere attaccato alla Legge, anche se ne avrebbe tratto vantaggio, anche se avrebbe avuto prestigio tra gli ebrei. Rinunciò a tutto. Questo era Paolo. Alcuni cristiani ebrei impiegarono anni a diventare maturi abbastanza per rinunciare alla Legge e per accettare pienamente tutti gli aspetti del cristianesimo. E perché ci volle così tanto? Per noi è facile dire: “Beh, erano testardi, avevano un brutto atteggiamento”. E per alcuni era così. C’erano alcuni per esempio che volevano rimanere attaccati alla Legge solo per evitare la persecuzione. Ecco perché non riuscivano a stare al passo. Ma pensate anche a questo. Prima del cristianesimo la Legge mosaica descriveva come Geova voleva essere adorato. Quindi forse c’erano alcuni ebrei devoti che prima di diventare cristiani erano molto rispettosi della Legge mosaica. Quindi cosa pensate che facessero? Si limitavano a ubbidire? No, facevano molto più di questo. Si erano impegnati molto per coltivare un grande apprezzamento per la Legge, un amore profondo per il modo in cui la Legge rispecchiava la personalità di Geova, le sue qualità, il suo modo di pensare. Forse ad alcuni c’erano voluti anni per arrivare ad avere un apprezzamento così grande. E adesso la Legge mosaica non era più in vigore. Ora capiamo perché per alcuni servitori di Dio dev’essere stato difficile accettare mentalmente questo cambiamento. Qualcosa di simile può succedere anche oggi. Forse per anni ci è stato insegnato, ‘si predica in questo modo, ed ecco perché’. Oppure, ‘la congregazione gestisce certe situazioni in questo modo, ed ecco perché’, o ancora, ‘queste sono le procedure da seguire alla filiale, ed ecco perché sono le migliori possibili’. E voi, essendo leali, che cosa avete fatto? Avete accettato di buon grado non solo le disposizioni in sé, ma anche le motivazioni che stavano dietro, e se qualcuno le criticava, voi lealmente le difendevate. E forse vi ci sono voluti anni per arrivare ad apprezzare quelle disposizioni così tanto, ma con lealtà l’avete fatto. E adesso che ci siete riusciti, quelle disposizioni cambiano e forse anche i motivi che erano alla base. Quindi, come nel caso di quei primi cristiani ebrei, è proprio la nostra lealtà alle disposizioni teocratiche precedenti che potrebbe renderci difficile cogliere immediatamente la saggezza dietro un cambiamento. Come abbiamo detto, questo è il problema, ma qual è la soluzione? Cos’è che possiamo fare? Tre cose, e tutte e tre sono menzionate nei versetti che abbiamo appena letto. Primo, siamo pazienti. Cosa dice il versetto 15? “Noi che siamo maturi dobbiamo avere questo modo di pensare; e se [...] la pensate diversamente, Dio vi rivelerà il modo di pensare corretto”. Se avete pregato al riguardo, se vi siete sforzati di capire la motivazione dietro al cambiamento e non ci siete riusciti, smettete di pensarci. Siate pazienti, perché arriverà un giorno, forse presto o forse più in là nel tempo, in cui tutti i pezzi del puzzle combaceranno e finalmente capirete davvero perché quel cambiamento è stato saggio. Numero due, “continuiamo su questa stessa strada”. L’approfondimento al versetto 16 spiega che l’espressione originale descrive un modo ordinato e compatto di marciare. In questo contesto ‘camminare su questa stessa strada’ significa sostenere i cambiamenti senza opporre resistenza o lamentarsi, perché fare questo significa marciare in modo disordinato, significa minacciare la nostra unità. Quindi ‘continuiamo su questa strada’, sosteniamo i cambiamenti. E ora numero tre, teniamoci impegnati nelle attività spirituali. Qua al versetto 16 Paolo incoraggia tutti i Filippesi a continuare a progredire, e lo stesso vale per tutti noi. Ovviamente ci sono molti aspetti della verità che ci piacciono, che capiamo e nei quali stiamo crescendo. Bene. Continuiamo a impegnarci in questi aspetti. Piuttosto che fissarci su qualcosa che per il momento non riusciamo a capire, impegniamoci nei nostri incarichi, atteniamoci al nostro programma settimanale di attività spirituali. Queste sono le cose che ci fanno stare bene. Quindi cosa abbiamo visto? Se ci capita di avere un problema nel capire un cambiamento a livello teocratico abbiamo anche la soluzione, Filippesi 3:15, 16. Essere pazienti, ‘continuare su questa strada’ e tenersi impegnati nelle attività spirituali. Ora mi piacerebbe concludere facendo un esempio riguardo a quello che abbiamo detto, cioè all’importanza di tenersi impegnati nelle attività spirituali. Perché questa è la soluzione non solo a quello di cui abbiamo parlato adesso, ma anche a molti problemi della vita. Questo esempio l’ho sentito diversi anni fa a un conferimento di Galaad. Che coincidenza! Uno degli insegnanti ci raccontò di un vecchio battello a vapore che andava a carbone. Quindi sul ponte c’erano il capitano e l’equipaggio e sottocoperta c’erano gli uomini che caricavano il carbone nella caldaia del battello. Immaginate uno di questi uomini che mette giù la pala vicino a un collega e dice: “Ehi, mi sembra di capire che il battello stia iniziando a girare verso sinistra, ma non credo sia giusto. Credo che a questo punto del viaggio dovremmo andare dritti, non cambiare direzione. Chissà se il capitano sa quello che sta facendo! Sai cosa? Adesso vado lì sopra e gli dico due parole”. A questo punto l’oratore smise di descrivere la scena, si piegò in avanti avvicinandosi al microfono e disse: “Carica il carbone”. Questi siamo noi, vero? Siamo noi, stiamo caricando il carbone. Siamo impegnati nell’opera che Geova ci ha assegnato. È lì che siamo concentrati. Ci pensa Geova a Isaia 60:17, il rame, l’oro, l’argento. Noi pensiamo al carbone, rimanendo attivi e concentrati nelle nostre attività spirituali. E così, mentre Geova guida la sua organizzazione, guida anche noi per farci sviluppare il giusto atteggiamento che ci permette di stare bene e ci guida verso il cambiamento più straordinario di tutti, da questo sistema alla vita nel nuovo mondo. Ti ringraziamo davvero di cuore, fratello Aljian, per questa soluzione in tre parti a un problema molto comune. Ora uno dei vostri istruttori, il fratello Richard Chilton, esporrà il prossimo discorso dal tema “Siete mai stati ingannati?”. Finalmente questo giorno importante è arrivato. Ce l’avete fatta! E alcuni di voi ritorneranno a casa. Altri invece troveranno una nuova casa. Ma indipendentemente da dove andrete una cosa è certa, e questo vale per tutti voi, sta per iniziare un nuovo capitolo della vostra vita. Certo, rendersi conto di questo può suscitare un certo entusiasmo, ma può anche generare ansia, può preoccuparci almeno un pochino. Tante domande potrebbero affollare la vostra mente, come: “Che tipo di persona sono adesso? Riuscirò a portare a termine tutto quello che ci si aspetta da me? Siamo sicuri che ce la posso fare?” Se alcune di queste domande stanno passando anche per la vostra testa pensate a questo. Non siete gli unici. Nel corso del tempo diversi fedeli servitori di Dio hanno provato gli stessi sentimenti. Prendiamo in esame l’esempio di uno di loro leggendo dal libro biblico che porta il suo nome, Geremia. In Geremia capitolo 1, guardate cosa dice iniziando dal versetto 4. Si legge: “Questo è il messaggio di Geova che ricevetti: ‘Prima che io ti formassi nel grembo ti conobbi, e prima che tu nascessi ti consacrai”. E poi Geova gli dice: ”Ti feci profeta per le nazioni”. Geremia si sentì forse lusingato dal fatto che Geova vedesse in lui tanto potenziale? Tutto il contrario. Notate la sua risposta nel versetto 6: “Ma io dissi: ‘Ohimè, o Sovrano Signore Geova, io non so parlare: sono solo un ragazzo!’” In altre parole: “Non penso di essere qualificato per quello che mi stai chiedendo di fare”. Ma notate cosa fa Geova. Versetto 9: “Geova allora stese la mano e toccò la mia bocca. E Geova mi disse: ‘Ho messo le mie parole nella tua bocca’”. È come se Geova stesse dicendo a Geremia: “Non ti preoccupare, fidati di me, ti aiuto io”. Alla fine Geremia accettò l’incarico di Geova, ma a dirla tutta non fu sempre facile. A volte quel profeta incontrò dura opposizione. Fu aggredito, imprigionato, lasciato a morire nel fango sul fondo di una cisterna vuota. Incontrò decisamente tante difficoltà. E a un certo punto pensò addirittura di arrendersi. Ora notate come si esprime Geremia nel capitolo 20, dalla metà del versetto 8. Lui dice: “Le parole di Geova sono divenute per me motivo di insulto e scherno tutto il giorno. Perciò mi dissi: ‘Non parlerò più di lui e non parlerò più nel suo nome’”. Come Geremia, anche noi potremmo avere dei momenti in cui pensiamo che arrendersi sia la cosa giusta da fare. Ma andiamo avanti, dalla metà del versetto 9: “Ma nel mio cuore le sue parole [quelle che lui stava proclamando] furono come un fuoco ardente, [...] chiuso nelle mie ossa, e non potevo più tenerlo dentro; non ci riuscivo più!” Cosa è successo qui? Nonostante le difficoltà, è chiaro che il ragazzo si è trasformato nel coraggioso profeta di Geova. Ma la domanda che ci facciamo è: come è successo? Ce lo spiega Geremia stesso nel versetto 11. Lui dice: “Ma Geova mi fu accanto come un temibile guerriero”. E con questo temibile guerriero al suo fianco Geremia cambiò radicalmente. Prima non voleva parlare e ora non poteva più trattenere le parole. Geremia non la pensava più come prima, era cambiato in modo radicale e sapeva esattamente chi lo aveva aiutato a fare questo cambiamento. Ce lo dice lui nel versetto che dà il titolo a questo discorso, sempre al capitolo 20, versetto 7. Qui lui dice: “Mi hai ingannato, o Geova, e sono [ sono] stato ingannato. Hai usato la tua forza contro di me, e hai prevalso”. Sì, Geova aveva ingannato Geremia, ma in senso positivo. Quando Geremia raggiunse quello che secondo lui era il suo limite, Geova si dimostrò più forte delle debolezze di Geremia e gli diede la forza di continuare. Geremia poté cambiare completamente perché prima di tutto accettò l’incarico. Secondo, confidò in Geova. E terzo, diede il tempo allo spirito di Dio di agire su di lui. E se pensate che Geremia fosse un caso isolato, beh, non è così. Mosè fece un cambiamento radicale. All’inizio disse che era “impacciato con la bocca”, ma poi diventò il grande condottiero di un’intera nazione. Giona fece un cambiamento radicale. Inizialmente aveva paura e lasciò il suo incarico scappando nella direzione opposta, ma poi predicò coraggiosamente agli abitanti di Ninive. Anche Pietro fece un grande cambiamento. A un certo punto rinnegò il Cristo tre volte, ma poi diventò la roccia di cui Gesù aveva visto il potenziale. È successo anche a voi? Voi siete mai stati ingannati da Geova? Vorrei leggervi quello che ha scritto di recente una sorella che si è diplomata alla Scuola di Galaad. Lei ha scritto questo: “Quando ci è stato detto che saremmo stati mandati in un paese in cui povertà, instabilità e malattie erano molto diffuse avrei tanto voluto dire a Geova: ‘Ma sei proprio sicuro di voler mandare me laggiù? Non mi sono mai piaciuti gli insetti e ho paura di prendere qualche malattia’. Quando è arrivato il giorno della partenza mi ricordo ancora tutte le lacrime che ho versato nel salutare famiglia e amici”. E così lei e il marito partirono. E gli anni passarono. Successivamente lei e il marito ricevettero un nuovo incarico per servire in un altro paese. Notate cosa racconta la sorella: “Pensavo che andare via dagli Stati Uniti fosse la cosa più difficile che avrei mai dovuto fare, ma sono stata completamente ingannata perché tutta la tristezza che ho provato quando ho dovuto lasciare i miei nuovi amici è davvero indescrivibile. Non ho mai pianto tanto in tutta la mia vita”. Poi lei tira un po’ le somme e dice: “Geova mi ha insegnato qualcosa nel modo più amorevole possibile. Prima di Galaad mettevo a me stessa dei limiti. Dicevo: ‘Posso arrivare solo fino a qui’. Ma la persona che sa meglio di tutti quello che sono in grado di fare è Geova. È come se mi avesse detto: ‘Non solo ti adatterai alla tua nuova assegnazione, ma ti piacerà così tanto che non vorrai più andare via da quel posto’. Ed è andata proprio così. Mi sono affezionata tantissimo alle persone di quel paese e posso dire che questi ultimi anni sono stati tra i più felici della mia vita. Ora non ho più paura dei cambiamenti, a differenza di prima. Semplicemente confido in Geova e nel suo modo di fare le cose”. Straordinario, vero? Anche lei ha fatto un grande cambiamento. È stata ingannata da Geova proprio come è accaduto a Geremia. E di conseguenza è diventata più forte e più felice. Perché è successo questo? Perché quando veniamo ingannati da Geova avvengono tre cose meravigliose. Primo, ci avviciniamo a lui. Secondo, sperimentiamo delle gioie che forse non ci saremmo mai aspettati. E terzo, permettiamo a Geova di fornirci ulteriore addestramento per futuri incarichi. Ricordate che l’importante è amare le persone. E così loro ameranno voi, e voi amerete il vostro incarico. Siate disposti a seguire la guida di Geova ovunque questa vi porti. Con il temibile guerriero al vostro fianco, siate certi che potete farcela. Quindi, cari studenti, permettete sempre a Geova di ingannarvi, perché se lo farete vivrete delle esperienze davvero uniche. Esperienze che Geova ha pensato apposta per voi. Grazie mille anche a te, fratello Chilton. Il tuo discorso ci è piaciuto molto. Abbiamo potuto conoscere meglio la figura di Geremia, una persona in cui tutti noi possiamo immedesimarci. E adesso ascolteremo un altro dei vostri insegnanti, Il fratello Trent Lippold esporrà il discorso dal tema “Siate come olio per l’ingranaggio”. Scrisse quasi un quarto delle Scritture Greche Cristiane, quasi quanto l’apostolo Paolo. Il suo nome è menzionato solo tre volte e ci saranno sì e no quattro parole nella Bibbia che lo descrivono. Si tratta di Luca: un nome che tutti conosciamo bene ma un uomo di cui sappiamo molto poco. In un mondo in cui le persone cercano di apparire importanti, Luca ci insegna cosa lo è davvero. Scopriamo allora cosa possiamo imparare dal medico Luca. La prima volta che si parla di lui, la prima volta in cui viene fatto il suo nome, si trova in Colossesi 4:14. Qui l’apostolo Paolo lo presentò come “l’amato medico”. E infatti è quello che abbiamo analizzato studiando il Vangelo che porta il suo nome. Quando scriveva, non era insolito che usasse termini medici. Ma lui non era un medico solo di professione, la sua era una vera e propria vocazione. Lo faceva con il cuore, con il desiderio di curare altri. Volete un esempio? Prendete per favore il libro di Luca al capitolo 4. Luca 4:38, 39. Il versetto 38 dice: “Dopo aver lasciato la sinagoga, Gesù entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone aveva la febbre alta, e gli chiesero di aiutarla. Allora si chinò su di lei e ordinò alla febbre di lasciarla, e questa sparì. All’istante la donna si alzò e si mise a servirli”. C’è un aspetto interessante nel versetto 38. Si dice che la donna aveva la febbre. Ma se ci avete fatto caso, c’è un dettaglio su cui si sofferma Luca. Non parlò semplicemente di febbre; lui qui scrisse: “La suocera di Simone aveva la febbre alta”. La febbre alta. Matteo non lo specifica, e Marco nemmeno. Luca invece lo fa. Vediamo un altro esempio, in Luca 22:44. Luca 22:44. Ci troviamo nel giardino di Getsemani e Gesù sta pregando. Ora notate cosa cattura l’attenzione di Luca: “Ma la sofferenza era tale che Gesù continuò a pregare ancor più intensamente; e il suo sudore divenne come gocce di sangue che cadevano a terra”. Luca da bravo medico sottolinea un sintomo, cioè che “il suo sudore divenne come gocce di sangue”. Ma riguardiamo il versetto. Disse che “la sofferenza era tale che” a un certo punto “il suo sudore divenne come gocce di sangue”. Il dettaglio su cui si sofferma Luca è la sofferenza che prova Gesù, non sono solo i sintomi dal punto di vista clinico. Luca ritrae Gesù come qualcuno che vedeva gli uomini per quello che sono, senza pregiudizi. Gesù guardava gli esseri umani e provava amore per loro. Luca ritrae Gesù come qualcuno che era particolarmente vicino a chi subiva ingiustizie e sofferenze. Era questo che colpì Luca. Pensate al suo Vangelo, alle cose che solo lui mise per iscritto. Solo Luca parla di Elisabetta e Zaccaria ormai avanti con gli anni. Solo Luca racconta di Anna e Simeone, oppure della vedova di Nain, della donna piegata in due da 18 anni, di quella che con le sue lacrime lavò i piedi di Gesù, del lebbroso samaritano, del ricco esattore di tasse Zaccheo, del ladro appeso al palo accanto a Gesù. I sentimenti che provava Gesù colpirono molto Luca, sentimenti che anche lui aveva. Anche lui, proprio come Gesù, considerava persone di ogni tipo degne di ricevere la misericordia di Dio. Ed era proprio questo suo modo di essere e di fare che lo rese amato, “l’amato medico”. Questo modo di fare contribuì senz’altro a evitare possibili attriti tra coloro che viaggiarono con Paolo nelle sue campagne di predicazione. La seconda volta in cui si parla di Luca è in Filemone versetto 24, dove si descrive il medico Luca come un “compagno d’opera”. Scopriamo qualcosa di più dal libro degli Atti. Atti capitolo 16, inizieremo dal versetto 8. Atti 16:8 dice: “Allora passarono [si riferisce a Paolo, Timoteo, Sila e gli altri che viaggiavano con loro] [passarono] la Misia e scesero a Troas”. E lì è dove Paolo ebbe la visione che gli diceva “di andare in Macedonia”. Leggiamo il versetto 10: “Subito dopo quella visione cercammo [cercammo] di andare in Macedonia”. E il versetto 11 dice: “Perciò salpammo da Troas”. Qui si usano verbi alla prima persona plurale. Questo perché Luca non scrive mai parlando di sé in prima persona. Tracciamo i suoi spostamenti insieme all’apostolo Paolo solo grazie a questo dettaglio, perché passa al “noi”. Fu durante il secondo viaggio missionario di Paolo che Luca lo raggiunse a Troas. E da lì proseguirono insieme verso la città di Filippi. Ma per capire cosa rese Luca un compagno d’opera e cosa ci insegna il suo esempio leggiamo il versetto 13, quando arrivarono a Filippi: “Il Sabato uscimmo dalla porta della città e andammo lungo il fiume, dove pensavamo ci fosse un luogo di preghiera; ci sedemmo e ci mettemmo a parlare alle donne che erano lì radunate”. Questo è il racconto in cui incontriamo Lidia, quando lei conosce la verità e accetta il messaggio. E avete notato che si dice “uscimmo dalla città”? Quindi c’era anche Luca. “Pensavamo ci fosse un luogo di preghiera”. Luca aveva ragionato con gli altri, aveva contribuito insieme a loro a decidere quale direzione prendere ed era anche nel gruppo che parlò a quelle donne, quindi era coinvolto direttamente. Non era solo uno spettatore, non era solo un cronista o un compagno di viaggio. No, Luca era un compagno d’opera. Ed ecco una lezione per noi e per voi, cari studenti: lasciatevi coinvolgere, siate un esempio, partecipate con tutto voi stessi agli incarichi che riceverete. Sembra che Luca dal 50 al 56 sia rimasto a Filippi. Non possiamo esserne certi, ma sembra che sia così, visto che poi nel 56 da quella città si unì di nuovo a Paolo nel suo terzo viaggio missionario. E cosa aveva fatto nel frattempo? Non lo sappiamo esattamente, perché la Bibbia ci dice poco riguardo a Luca, ma possiamo concludere che abbia continuato ad essere un bravo compagno d’opera lì a Filippi, senza mettersi sotto i riflettori, un semplice compagno d’opera. Quindi si unì a Paolo nel 56 a Filippi, e da lì con lui raggiunse Gerusalemme. Ed era lì quando ci fu il tumulto nel tempio. Accompagnò Paolo a Cesarea, dove Paolo andò come prigioniero, e poi proseguì fino a Roma, dove Paolo fu mandato sempre come prigioniero. Luca però non era prigioniero, ma rimase al fianco di Paolo. E per Paolo dev’essere stato di grande conforto avere un compagno d’opera come Luca. Pensate a tutto ciò che Paolo affrontò: fu picchiato, flagellato, lapidato, subì naufragi. Tutto questo l’avrà debilitato molto fisicamente, come pure la “spina nella carne” con cui conviveva. Inoltre anche Timoteo, che viaggiava con lui, aveva spesso problemi di salute. Avere Luca, l’amato medico, insieme a loro sarà stato un vero sollievo! Luca è un vero esempio per tutti noi di devozione continua all’opera del Regno, di incrollabile lealtà a Paolo e agli altri fratelli con lui. E forse potremmo riassumere tutto l’affetto e la riconoscenza che Paolo sentiva per questo suo compagno d’opera con le parole di 2 Timoteo 4:11, l’ultima menzione che si fa di Luca e tra le ultime parole che Paolo scrisse: “Solo Luca è con me”. Forse di tutti i suoi compagni d’opera, Luca era tra quelli a cui Paolo si affezionò di più. Come abbiamo visto, Luca nei suoi scritti parla molto, molto poco di sé. Eppure è evidente quanto sia stato prezioso per Paolo e gli altri che erano insieme a lui. Il suo aiuto permise a Paolo di fare molto più di quello che avrebbe potuto fare altrimenti. Luca non attira l’attenzione su di sé. Nel suo Vangelo i riflettori sono puntati su Gesù. Nel libro degli Atti sono puntati sull’opera di predicazione del Regno. A volte mi chiedo se il silenzio delle Sacre Scritture sulla sua vita sia qualcosa di intenzionale. Quello che è certo è che ci insegna qualcosa. Di pochi uomini con un ruolo tanto importante si parla così poco. Ed ecco la lezione che possiamo imparare dalla vita di Luca: date sempre il buon esempio come fece lui, servite i fratelli con umiltà e fate in modo che la vostra soddisfazione venga proprio da questo. A quel tempo c’era già un Paolo sulla scena e Luca rimase dietro le quinte. Con l’animo del vero servitore, non aveva bisogno della luce dei riflettori per sentirsi motivato. Luca non era l’ingranaggio, Luca era l’olio. E invece voi? Se per descrivere anche voi verranno usate queste semplici parole, “amato compagno d’opera”, allora la Scuola di Galaad sarà stata un successo. E anche voi, come Luca, sarete l’olio per l’ingranaggio. Ti ringraziamo davvero di cuore, fratello Lippold. Proprio un bel discorso! Ci hai fatto conoscere meglio la figura del discepolo Luca e hai tratto questa interessante lezione dal suo esempio: “Siate come olio per l’ingranaggio”. Quanto sono stati profondi e incoraggianti questi discorsi! Speriamo che vi siano piaciuti. Non vediamo l’ora che escano la Parte 2 e la Parte 3 su jw.org nel corso di questo mese. Il nostro programma non sarebbe completo senza la visita ai nostri fratelli e sorelle di un altro bellissimo paese. Questo mese visiteremo Haiti, il cui nome significa “terra montuosa”. Haiti è un’isola tropicale situata nel Mar dei Caraibi e ha bellissime spiagge di sabbia bianca, fiumi, cascate e ovviamente montagne maestose. La cultura e la lingua di Haiti sono uniche nel loro genere. Molti parlano francese, ma la madrelingua della maggioranza è il creolo di Haiti, una lingua molto espressiva che unisce parole francesi con la grammatica dell’Africa occidentale. La popolazione presenta un bel mix di culture e tratti africani ed europei. Gli haitiani amano ballare, cantare, ridere e, come tutti noi, mangiare cibi gustosi, come ad esempio il tonmtonm, che è una sorta di purè ottenuto dal frutto dell’albero del pane, spesso accompagnato con la salsa di gombo. Haiti ha una lunga storia teocratica. Non si sa esattamente quando la buona notizia abbia raggiunto il paese, ma già nel febbraio 1887 La Torre di Guardia di Sion elencava Haiti fra i paesi da cui erano giunte lettere scritte da interessati. I primi missionari della Watch Tower arrivarono ad Haiti nel 1945. Uno di loro era Roland Fredette, che poi diventò il primo sorvegliante di filiale. E missionarie zelanti e avventurose, come Gloria Hill, Naomi Adams, Helen D’Amico e Frances Bailey, diedero un prezioso contributo all’opera di predicazione negli anni ’50. Gli abitanti di Haiti mostrano un grande interesse per la Parola di Dio. Oggi ci sono più di 17.000 proclamatori attivi. Questi proclamatori zelanti e felici predicano in creolo di Haiti, lingua dei segni americana e spagnolo. E grazie alla disponibilità delle pubblicazioni in braille in creolo di Haiti, anche le persone cieche possono imparare la verità. Il territorio montuoso non spaventa i nostri leali predicatori della buona notizia. Durante la stagione estiva, fratelli e sorelle di tutte le età predicano in territori percorsi di rado. E nonostante le difficoltà economiche e i recenti disastri naturali, i fratelli e le sorelle mantengono uno spirito positivo e si concentrano sull’incoraggiare altri a guardare al futuro senza paura. La città di Cap-Haïtien si trova nella parte nord dell’isola, e qui ci sono i 113 proclamatori della congregazione Morne-Rouge. Vi mandano i loro affettuosi saluti e desiderano che sappiate che vi vogliono davvero tanto bene. E noi gli diciamo in creolo di Haiti “nou renmen nou tou”, che significa “vi vogliamo bene anche noi”. Dalla sede mondiale dei Testimoni di Geova, questo è JW Broadcasting.

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