JW Broadcasting (giugno 2023). Conferimento dei diplomi della 153ª classe della Scuola di Galaad

JW Broadcasting (giugno 2023). Conferimento dei diplomi della 153ª classe della Scuola di Galaad

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Benvenuti al programma di JW Broadcasting del mese di giugno 2023! Negli ultimi anni, a causa della pandemia di COVID-19, alla Scuola di Galaad potevano partecipare soltanto 24 studenti. Quest’anno, in occasione dell’80° anniversario della scuola, c’erano 48 fratelli e sorelle impegnati nel servizio speciale a tempo pieno da ogni parte del mondo. L’11 marzo sono stati pronunciati dei discorsi per gli studenti, come un regalo fatto apposta per loro. Siamo felici che possiate ascoltare questi discorsi anche voi. Ecco la prima parte del conferimento dei diplomi della 153ª Scuola di Galaad.

Mark Sanderson. Riuscite a vedervi come vi vede Geova?

“Oh, se qualche potere ci avesse dato il dono di vederci così come gli altri ci vedono! Questo ci avrebbe salvati da molti errori”. Questa famosa citazione del poeta scozzese Robert Burns ci ricorda che è praticamente impossibile vedere sempre noi stessi come ci vedono gli altri. Ecco perché abbiamo bisogno di aiuto. Abbiamo bisogno di suggerimenti, abbiamo bisogno di consigli che ci permettano di migliorare e di lavorare su certi difetti che forse non riusciamo a vedere in noi stessi. Che meravigliosa opportunità avete avuto voi studenti di Galaad di ricevere un addestramento spirituale mirato da fratelli che vi vogliono davvero bene! E ora sono assolutamente certo che riusciate a vedervi molto più chiaramente di quanto non vi siate mai visti prima di questa scuola. Ma sapete, questa citazione di Robert Burns può anche essere intesa in modo diverso. Forse quello che non riusciamo a vedere chiaramente in noi stessi sono tutte le buone qualità che possediamo o il potenziale che abbiamo per essere usati da Geova nel suo servizio. 1 Samuele 16:7 dice: “[L’]uomo guarda l’apparenza, mentre Geova guarda nel cuore”. E quando ha guardato nel vostro cuore Geova ha voluto attirarvi a sé e stringere un’amicizia con voi. E da allora vi ha affidato vari incarichi nel suo servizio. Perché? Perché Geova lo ha fatto? Che cosa vede in voi? Quali caratteristiche e quali qualità spirituali osserva in voi? Beh, non possiamo sapere tutto quello che Geova vede in voi, perché non possiamo vedere noi stessi come ci vede Geova. Questo è probabilmente il motivo per cui molti servitori di Dio del passato furono riluttanti ad accettare incarichi impegnativi. Ora, pensiamo solo ad alcuni esempi di persone che non vedevano in sé stesse le belle qualità che Geova poteva vedere. Una di loro fu Gedeone. Diamo un’occhiata al capitolo 6 di Giudici. In Giudici 6:14, notate quello che Geova disse a Gedeone. Gli disse: “Va’ con la potenza che hai, e salverai Israele dalla mano di Madian. Non sono forse io che ti mando?” Ma come reagì Gedeone? Versetto 15: “Gedeone gli rispose: ‘Perdonami, Geova. Come posso salvare Israele? Ecco, la mia famiglia è la più piccola di Manasse, e io sono il più insignificante della casa di mio padre’”. Beh, evidentemente Gedeone non riusciva a vedere sé stesso come lo vedeva Geova. E che dire di Mosè? In Esodo capitolo 4, quando Geova lo incaricò di condurre Israele fuori dall’Egitto, Mosè era estremamente consapevole di tutti i suoi limiti. Infatti, parlando con Geova, continuò a sollevare un’obiezione dopo l’altra. Geova era consapevole dei limiti che Mosè aveva? Naturalmente! Certo che lo era! E sapeva anche che suo fratello Aaronne era più grande d’età ed era un oratore migliore. Ma Geova vide in Mosè qualità come fede, altruismo e mitezza, qualità che rendevano Mosè la persona giusta per quell’incarico. E invece Geremia? Quando Geova lo incaricò di servire come profeta, vi ricordate cosa rispose? Prendiamo Geremia capitolo 1. Geremia capitolo 1, ecco cosa dice al versetto 6. Geremia rispose: “Ohimè, o Sovrano Signore Geova, io non so parlare: sono solo un ragazzo!” E cosa disse Geova? “Oh! Ok, Geremia. Vedo se riesco a trovare qualcun altro”. No. Leggiamo il versetto 7: “Geova quindi mi disse: ‘Non dire: “Sono solo un ragazzo”. Dovrai andare da tutti quelli da cui ti manderò, e dovrai dire tutto ciò che ti comanderò’”. Perché Geova era così sicuro che Geremia era la persona giusta per quell’incarico speciale? Ovviamente, se notate al versetto 8, Geova disse: “Io sono con te”. È la stessa cosa che Geova disse a Gedeone, ed è la stessa cosa che disse a Mosè. Dato che Geova era con loro, sarebbero riusciti a svolgere i loro incarichi. Ma c’è anche un’altra ragione. Vedete cosa dice il versetto 5? Geova disse a Geremia: “Prima che io ti formassi nel grembo ti conobbi [non è interessante? Ti conobbi], e prima che tu nascessi ti consacrai. Ti feci profeta per le nazioni”. Geova conosceva Geremia, vide che Geremia aveva delle qualità che lo avrebbero reso un bravo profeta, con l’aiuto di Geova. Geremia riusciva a vedere quelle qualità in sé stesso? No. Doveva solo confidare nel punto di vista di Geova, andare avanti e fare quello che Geova gli chiedeva di fare. Abbiamo dei meravigliosi esempi anche in tempi più recenti. Il fratello John Booth era un fratello umile e fedele. Iniziò a svolgere il servizio a tempo pieno nel 1928. Nel 1935 fu invitato a servire nella tipografia della Betel. Ma solo dopo pochi giorni rimase molto sorpreso quando il fratello Knorr lo invitò a iniziare a viaggiare come direttore del servizio regionale, quello che oggi forse chiameremmo sorvegliante di circoscrizione. Il fratello Knorr spiegò che c’era un grande bisogno e che il fratello Booth poteva essere di grande aiuto grazie alla sua esperienza come pioniere. Ma il fratello Booth rispose che non aveva mai svolto un incarico di responsabilità nella congregazione. Non aveva mai fatto un discorso. Vi immaginate? E non era mai stato addestrato a farlo. Ma ecco cosa rispose il fratello Knorr. Disse: “Non ci servono grandi oratori, ma qualcuno che ami il servizio, prenda la direttiva in esso e parli del servizio alle adunanze”. Il fratello Booth disse: “Con ansie, dubbi e timori, ma volendo fare la volontà di Geova, accettai di provare”. Come andò a finire? Il fratello Booth continuò a svolgere il suo incarico. Trascorse tutta la sua vita nel servizio a tempo pieno, servendo in seguito per più di 20 anni come membro del Corpo Direttivo. Quando terminò la sua vita terrena, <i>La Torre di Guardia</i> affermò: “Era amato per la sua personalità cristiana profondamente umile e gentile”. Ovviamente, Geova vide qualcosa di buono nel fratello John Booth. Cosa possiamo imparare da questi esempi? Come Gedeone, Mosè, Geremia e il fratello Booth, potremmo sentirci inadeguati per certi incarichi. Ed è una cosa buona che non facciamo troppo affidamento su noi stessi, però non vogliamo nemmeno andare all’estremo opposto. Perché vedete, potremmo cominciare a pensare: “Non potrei mai essere un pioniere. Non potrei mai essere un servitore di ministero. Non potrei mai essere un anziano. Non potrei mai essere un betelita. Non potrei mai essere un servitore delle costruzioni”, e così via. Se ci viene affidato uno di questi o qualche altro incarico, potremmo persino esitare ad accettare, cedere alla paura. Ma il fatto è che non possiamo vedere noi stessi bene come ci vede Geova. È molto meglio renderci disponibili e poi continuare a svolgere l’opera che ci è stata affidata aspettando che Geova ci aiuti a colmare le nostre lacune. Perciò, cari studenti ormai quasi diplomati, avrete senza dubbio diversi incarichi nei prossimi anni. Qualunque siano questi incarichi, non vi fermate. Abbiate piena fiducia in Geova. Geova sarà con voi, vi darà ciò di cui avete bisogno per portare a termine tutto quello che vi chiede di fare. Quindi, ecco la domanda: “Riuscite a vedervi come vi vede Geova?” Beh, forse in una certa misura sì, ma non completamente. Quindi siate pronti ad ascoltare i consigli e a fare cambiamenti, ma allo stesso tempo quando le vostre buone qualità e il vostro potenziale vengono notati e ricevete dei nuovi incarichi, accettateli e fate del vostro meglio. E il nostro meraviglioso Dio, Geova, sarà sempre con voi e sarà sempre pronto a benedirvi. 

Adesso ascoltiamo il primo discorso del programma di questo conferimento dei diplomi. Il tema che ha scelto il fratello Jesse Morris, membro del Comitato di Filiale degli Stati Uniti, è “A cosa farà pensare il vostro nome?”

Jesse Morris. A cosa farà pensare il vostro nome?

Il più grande onore che si possa avere è quello di essere chiamati servitori dell’Iddio Altissimo, Geova. E come avete sicuramente notato dal vostro studio approfondito della Bibbia, i servitori di Geova hanno dei tratti della loro personalità e delle qualità che ci vengono in mente quando sentiamo i loro nomi. Per esempio, quali qualità vi vengono in mente se menzioniamo i seguenti nomi? Rut, Gedeone, Davide, Marta. Sì, il nome di un servitore di Geova può richiamare alla mente certe qualità, certi tratti degni di essere imitati. Quindi a cosa farà pensare il vostro nome? Ora inizierete a svolgere un nuovo incarico, a quale qualità vorreste che pensasse chi collabora con voi quando viene menzionato il vostro nome? Il libro di Proverbi a questo proposito ci pone davanti un obiettivo alla portata di tutti. Prendiamo Proverbi al capitolo 16 e leggiamo insieme il versetto 21. Proverbi 16:21: “Chi è saggio di cuore sarà definito assennato”. Questa espressione è stata anche tradotta “sarà chiamato persona di intendimento”. Come avete imparato molto bene, questo significa saper mettere insieme i fatti, vedere il quadro completo di una certa situazione. E come si mostra intendimento? Ottenendo un buon punteggio a una prova scritta? O forse essendo i primi a fornire una soluzione in un gruppo o a un’adunanza? Continuiamo a leggere il versetto 21: “E chi parla in modo gentile sarà più persuasivo”. Ecco come si può mostrare intendimento. Parlando in modo gentile o come dice la nota in calce, con “parole attraenti”, con “dolcezza di labbra”. Quindi, chi viene definito una persona di intendimento mette insieme i fatti, vede il quadro completo e sa trovare qualcosa di buono in ogni situazione. E questo si riflette in un modo di parlare gentile, positivo e persuasivo. Questo significa più che essere semplicemente ottimisti, o cercare di pensare in modo positivo. Qual è la fonte dell’intendimento? Prendiamo insieme Proverbi, questa volta al capitolo 9 e leggiamo il versetto 10. Proverbi 9:10: “Il timore di Geova è il principio della sapienza, e la conoscenza del Santissimo è intendimento”. Ecco la fonte, il Santissimo, Geova Dio. Lui è sia la Fonte dell’intendimento che il massimo esempio di come mostrare intendimento. Pensate solo per un attimo a quello che accadde dopo la tragica ribellione nel giardino di Eden. Cosa fece Geova? Immediatamente mise insieme i fatti, vide il quadro completo, e poi pronunciò la promessa edenica, una promessa positiva, che dà speranza. E la pronunciò subito dopo quella dolorosa tragedia. Secoli dopo la nazione d’Israele abbandonò ripetutamente Geova. E lui cosa fece? Udì i loro gemiti, sentì le loro grida, vide il loro pentimento, i loro cambiamenti e suscitò dei giudici per salvarli più e più volte. Geova Dio ci mostra cos’è il vero intendimento. E dato che confidiamo in lui, anche noi possiamo essere positivi, parlare e agire con gentilezza e bontà. Ed è bello vedere che la vostra classe mostra questa qualità. Il vostro modo di parlare e di agire gentile e positivo, sia tra voi che con altri con cui siete venuti in contatto, è stato molto incoraggiante da vedere. Questo è il risultato della vostra profonda fiducia nella Bibbia e in Geova stesso. E di certo questa scuola vi ha spinto a farlo ancora di più. Al contrario, questo mondo incoraggia le persone a dubitare di tutto. Un articolo della Torre di Guardia dice: “Non fatevi ingannare dall’idea errata che avere uno spirito cinico, critico e pessimista sia indice di intelligenza. In realtà il pensiero negativo non ne richiede molta”. Che privilegio sapere, cari studenti, cos’è il vero intendimento. Non è solo la capacità di capire cosa non va in una situazione, ma è anche la capacità di capire il buono che si può trarre da quella situazione. E facendo così incoraggerete i vostri fratelli. Un membro della famiglia Betel ha notato questa qualità nell’assistente del sorvegliante di un reparto. Il sorvegliante del reparto aveva programmato un’adunanza con diversi fratelli di altri reparti, ma si era dimenticato di informare il suo assistente. Poi il giorno dell’adunanza il sorvegliante si era dovuto assentare. Così sono arrivati diversi fratelli per un’adunanza di cui l’assistente non sapeva nulla. Cosa avrebbe fatto? Chi era con lui ha visto che ha fatto una breve preghiera silenziosa, è uscito dall’ufficio ha trattato i punti in programma dopo aver dato il benvenuto a tutti, e alla fine ha detto: “Grazie fratelli per essere venuti a questa adunanza. Aggiornerò il sorvegliante appena tornerà”. Nessuna parola negativa. Sapeva che quell’uomo svolgeva fedelmente i suoi incarichi da decenni. Non era da lui. Quindi l’assistente ha agito con bontà, ha mostrato intendimento. Dobbiamo essere realisti, ci saranno giorni in cui sarà difficile mostrarsi persone di intendimento. Ma che dire se è da un po’ di tempo che facciamo fatica a vedere il buono nelle persone, a parlare e agire in modo gentile, positivo. Forse il nostro coniuge o un amico fidato ci ha parlato e ci ha detto: “Non sei più gentile e positivo come una volta”. Cosa possiamo fare? Ogni persona è unica, ogni amicizia con Dio è unica, ma consideriamo l’esempio dello scrittore del Salmo 73 e impariamo un principio prezioso. Lo scrittore ispirato di questo Salmo era combattuto e non sapeva se continuare a servire Geova. Notate come si sentiva. Leggiamo Salmo 73:14: “Sono stato angosciato tutto il giorno, sono stato corretto ogni mattina”. Può essere difficile mostrare intendimento quando affrontiamo uno stato d’animo del genere e infatti nel versetto 22 il salmista ammise onestamente: “Ero uno sciocco e non capivo”. Quindi, cosa avrebbe fatto? Sarebbe riuscito di nuovo a mostrare intendimento? Notate il versetto 15: “Ma se avessi parlato di queste cose, avrei tradito il tuo popolo”. Quindi, per prima cosa il salmista si trattenne dal rendere pubblici i suoi pensieri negativi. Sapeva che con quel modo di parlare negativo avrebbe danneggiato il popolo di Dio. Lo paragona a un tradimento, come se si trattasse di consegnare i suoi compagni di fede al nemico. Ecco cosa significava per lui parlare in modo negativo. Quindi mantenne le sue abitudini spirituali e aspettò. E poi qualcosa cambiò il suo punto di vista. Leggiamo il versetto 26: “Il mio corpo e il mio cuore possono venir meno, ma Dio è la roccia del mio cuore e la mia porzione per sempre”. Eccolo l’intendimento! Il salmista si ricordò di non essere solo. Geova Dio era la roccia a cui poteva aggrapparsi per ritrovare stabilità nel mezzo di quella violenta tempesta in cui si trovava. Questa consapevolezza lo ricollegò alla Fonte dell’intendimento. E fu ancora una volta in grado di mettere insieme i fatti, trovare il buono in una situazione, parlare e agire in modo gentile e positivo. Cosa impariamo? Quando siamo angosciati e ci sentiamo privi di intendimento, siamo in buona compagnia. Molti fedeli servitori di Geova si sono sentiti così. Come il salmista, ci tratteniamo dal parlare in modo negativo perché questo danneggerebbe chi ci circonda. Invece, parliamo privatamente con un amico fidato, manteniamo le nostre abitudini spirituali, e aspettiamo. Così facendo, anche noi potremo vivere la consapevolezza che Geova Dio è la roccia del nostro cuore. E un’ultima cosa. Mostrare intendimento significa anche mostrarlo verso noi stessi. Commetterete degli errori e quando lo farete la vostra fiducia in Geova vi permetterà di trovare il buono in voi stessi, come ha detto il fratello Sanderson all’inizio di questo programma. E questo vi aiuterà a mantenere uno stato d’animo positivo. Geova Dio sarà con voi mentre svolgerete i vostri incarichi. La vostra fiducia in lui, la Fonte dell’intendimento, continuerà a crescere. Questo vi permetterà di affrontare ogni situazione mettendo insieme i fatti, cercando il buono in una questione e parlando e agendo in modo gentile, positivo e persuasivo. E così facendo, dimostrerete di essere saggi di cuore e sarete chiamati “persone di intendimento”. 

Grazie mille, fratello Morris, per questo discorso davvero incoraggiante. Ora sarà interessante ascoltare un assistente del Comitato degli Scrittori, il fratello Nicholas Ahladis. Il tema del suo discorso è “C’è un fiume”. Prego, fratello Ahladis. 

Nicholas Ahladis. “C’è un fiume”

Abbiamo sentito molte notizie di terremoti ultimamente, ma adesso leggeremo di un terremoto, nel Salmo 46, che per quanto ne sappiamo non è mai accaduto nella storia. Leggiamo insieme Salmo 46, a partire dal versetto 1. Dice: “Dio è il nostro rifugio e la nostra forza, un aiuto che si trova prontamente nelle difficoltà. Per questo non avremo paura, anche se la terra venisse stravolta [o come dicono alcune traduzioni ‘non temiamo se trema la terra’], anche se i monti sprofondassero nel mare, anche se le sue acque ruggissero e schiumassero, anche se le montagne tremassero per la sua furia”. Probabilmente questa descrizione delle montagne che sprofondano nel mare è poetica, e quindi questo non è mai accaduto nell’antico Israele. Ma il mondo intorno al salmista sembrava dover crollare in qualche modo. A quale situazione catastrofica faceva riferimento? La Torre di Guardia ha spiegato che questo salmo sembra riferirsi ai giorni del re Ezechia, quando Gerusalemme era minacciata da Sennacherib, il re d’Assiria. Sappiamo che quelle minacce non erano campate in aria. Sennacherib aveva conquistato le nazioni circostanti, aveva anche conquistato le città fortificate intorno a Gerusalemme che servivano a proteggerla. E poi aveva invaso i villaggi fino a Nob, e Nob si poteva vedere da Gerusalemme, era solo a 1 km e mezzo di distanza. E come sapete, l’Assiria era famosa per la sua crudeltà. Sono stati ritrovati reperti dell’epoca di Sennacherib che raffigurano scene scioccanti di violenza nei confronti dei popoli conquistati. Quindi possiamo capire perché il salmista sentiva che il mondo stava per crollare. Infatti quello che scrisse è inquietante. Ma all’improvviso dal versetto 4 il tono del salmo cambia completamente. “C’è un fiume le cui acque rallegrano la città di Dio, il santo gran tabernacolo dell’Altissimo. Dio è nella città: non sarà rovesciata. Dio verrà in suo aiuto allo spuntare dell’aurora”. Quindi i pensieri del salmista vanno dalla catastrofe e dal caos alla pace e alla fiducia. E il versetto 4 parla di ‘un fiume nella città di Dio’. Non c’è un fiume che scorre a Gerusalemme, quindi a cosa si riferisce? Alcuni suppongono che si riferisca al tunnel di Ezechia che fu costruito per portare l’acqua in città, ma la struttura poetica del salmo in realtà mette in relazione il fiume al santo tabernacolo di Geova il santo tabernacolo dell’Altissimo e alla pura adorazione quindi. Ed è interessante notare che quando Ezechia ricevette le minacce di Sennacherib, la Bibbia dice in 2 Re 19 che “Ezechia prese le lettere” degli assiri, andò al tempio, “le stese davanti a Geova” e a quel punto pregò intensamente. E poi Geova gli mandò un messaggio rassicurante tramite Isaia: “Ho ascoltato la preghiera che mi hai rivolto riguardo a Sennacherib, re d’Assiria. […] Non entrerà in questa città, né vi tirerà una freccia, né l’affronterà con uno scudo [o con] una rampa d’assedio”. I figli di Cora che composero questo salmo potrebbero aver visto Ezechia entrare nel tempio e poi aver sentito la risposta di Geova tramite Isaia. E questo avrà dato loro completa fiducia in Geova. E sappiamo tutti cosa accadde dopo. Il grande esercito assiro fu sconfitto in una notte da un angelo. E potrebbe essere che il versetto 5 alluda a questo quando dice: “Dio verrà in suo aiuto allo spuntare dell’aurora”. Cosa ci insegna questo salmo? Beh, proprio come il salmista si concentrò sulla Parola di Dio e sulla pura adorazione, che è paragonata a un fiume in questo salmo, così anche noi possiamo provare pace persino quando il mondo intorno a noi sembra crollare. Il salmista dichiarò: “Dio è nella città”. Lui era il suo Sovrano, non Sennacherib. Per decenni il regno di Giuda si era ribellato a Geova e lui non era a Gerusalemme, ma Ezechia aveva restaurato il tempio e vi aveva ristabilito la pura adorazione. Quella pura adorazione era come un fiume di benedizioni che collegava il popolo a Geova, e dava una grande prova del fatto che Dio era nella città. Il libro Pura adorazione associa il fiume del Salmo 46 al fiume che scorreva dal santuario di Geova nella visione di Ezechiele. E forse ricorderete che quel fiume diventava più largo e profondo man mano che scorreva. E il libro Pura adorazione dice a questo riguardo: “Proprio come il fiume della visione di Ezechiele, il flusso di verità bibliche si è ingrossato rapidamente”. E oggi il flusso di quel fiume comprende Bibbie, pubblicazioni basate sulla Bibbia e video in oltre 1.000 lingue. Ezechiele disse che il fiume diventava così profondo che era necessario nuotare. E negli ultimi 5 mesi, voi studenti, vi siete sentiti un po’ come Ezechiele. Vi siete immersi in questa scuola e talvolta vi siete sentiti sommersi. E questo è grazie al flusso di conoscenza biblica che avete ricevuto attraverso lo studio, le lezioni e anche l’interazione con gli altri studenti e i vostri insegnanti. E forse avete avuto la sensazione di annegare, a volte. Ma come Ezechia e quelli che erano con lui, anche voi siete stati al sicuro dentro una città dove tutto è incentrato sull’adorazione di Geova. Durante questi mesi il mondo ha affrontato le conseguenze della pandemia, delle guerre e di altri disastri. Ma proprio come il salmista, la terra poteva tremare e i monti potevano sprofondare, ma voi avete provato pace perché eravate concentrati su quel fiume. Ora tornerete in trincea con il resto di noi, per così dire. Alcuni di voi serviranno dove ci sono cose come instabilità economica o violenza e disastri. O potreste dover affrontare problemi di salute o persino la persecuzione. Ma ricordate sempre quello che avete imparato a Galaad e quello che impariamo dal Salmo 46. Quando rimanete concentrati sul fiume e la pura adorazione di Geova, potete provare fiducia e gioia indipendentemente dalle difficoltà che la vita comporta. Un antico filosofo greco disse: “Nessun uomo si bagna due volte nello stesso fiume, perché non è più lo stesso fiume e non è più lo stesso uomo”. Non è forse vero che le nostre vite cambiano continuamente, e che nuove difficoltà sorgono all’improvviso? Ma il fiume delle benedizioni di Geova continua a scorrere e si rinnova costantemente, fornisce acqua di vita in ogni circostanza. E questo è vero anche quando i monti simbolici di questo mondo sprofondano e il mondo è nel caos. Una sorella nella zona colpita dalla guerra in Ucraina ha scritto: “Quello di cui avevamo più bisogno era il cibo spirituale. Siamo stati felicissimi quando abbiamo ricevuto i JW Box, perché non avevamo più Internet. Il cibo spirituale è diventato di nuovo disponibile. Nonostante i molti problemi e le difficoltà, quando incontriamo i fratelli i problemi non sono il principale argomento di conversazione. Al contrario, parliamo spesso del modo in cui Geova ci sostiene, delle cose che ci incoraggiano e di ciò per cui siamo grati”. Da queste parole percepiamo la sua calma. Questi fratelli sono esempi viventi di come concentrarsi “sul fiume” possa aiutarci a provare pace anche in momenti davvero terribili. Ora, tornando al Salmo 46, parafrasiamo i versetti 8 e 9 che potrebbero riferirsi a quando l’angelo annientò l’esercito assiro. Dice che Geova ha fatto meraviglie sulla terra, ha posto fine alle guerre, rotto gli archi, spezzato le lance e bruciato i carri nel fuoco. Possiamo solo immaginare la scena sconcertante. Arrivare nel campo assiro e vedere l’intero esercito annientato. Cosa significa questo per noi? Odiamo la guerra e la violenza che affliggono questo mondo e colpiscono i nostri cari fratelli, e non vediamo l’ora che finiscano. Ma fino ad allora, la consapevolezza che Geova è ancora nella città e ha ancora il controllo del suo popolo ci dà completa fiducia. Nessun essere umano, nessun attacco di governi simili all’Assiria potrà fermare il flusso di quel fiume o scuotere la città. E il salmista conclude al versetto 11, facendo eco alle rassicuranti parole del versetto 1: “Geova degli eserciti è con noi; l’Iddio di Giacobbe è il nostro rifugio sicuro”. Non sappiamo cosa riserva il vostro futuro dopo la Scuola di Galaad o quali incarichi riceverete, ma potete essere certi che Geova “è nella città”. Lui ha tutto sotto controllo. E ricordate questa importante lezione: rimanete concentrati “sul fiume”, il fiume “le cui acque rallegrano la città di Dio”, il fiume che scorrerà per sempre. 

Ti ringraziamo, fratello Ahladis. Questo è uno dei miei passi biblici preferiti ed è molto rassicurante in questi tempi così difficili. Adesso ascolteremo 3 discorsi pronunciati da insegnanti della Scuola di Galaad. Quindi cominciamo subito ascoltando il fratello Trent Lippold. Il tema del suo discorso è “Il rematore sottocoperta”. 

Trent Lippold. Il rematore sottocoperta

Nel racconto biblico è famoso per qualcosa che lo riguardò, ma suo malgrado. Possiamo facilmente immedesimarci in lui perché, perché possiamo capire cosa provò e come si sentì quella volta. Comunque con il modo in cui reagì proprio in quell’occasione può insegnarci davvero molto. Vediamo di chi si tratta. Si parla di lui per la prima volta in Marco capitolo 14. Marco 14, dal 50 in poi. Nel contesto di questo racconto, Gesù si trova nel giardino di Getsemani. Ora si parla degli 11 apostoli fedeli: “E tutti lo abbandonarono e fuggirono. Comunque, un giovane che indossava solo una veste di lino fine sul corpo nudo lo seguiva da vicino; quando cercarono di afferrarlo lui si lasciò dietro la veste […] e fuggì nudo”. Si ritiene che il giovane menzionato qui si possa identificare con Giovanni Marco. Avete notato che straordinaria qualità dimostrò? Mentre tutti gli apostoli lasciarono Gesù, di lui si dice che “lo seguiva da vicino”. Che enorme coraggio da parte sua! Gli apostoli, loro erano fuggiti, ma lui no. Marco era rimasto nei paraggi. Fatto interessante, dal racconto capiamo che anche Pietro poi lo seguì. Ma notate le parole del versetto 54. Dice che “Pietro, da lontano, lo aveva seguito”; Giovanni Marco invece da vicino. Questa fu una dimostrazione di coraggio da parte di Marco, ma anche di completa devozione nei riguardi di Gesù. Non sappiamo se e quanto si conoscessero o avessero parlato tra di loro, ma una cosa è certa: il suo coraggio e la sua devozione per il Signore sono fuori questione. Le Scritture parlano di Marco come di “un aiuto rafforzante” e di una “fonte di grande conforto”. È con queste parole che viene descritto in seguito. E dalle Scritture sappiamo anche che Giovanni Marco lavorò nell’ombra per alcune personalità molto importanti: l’apostolo Paolo, l’apostolo Pietro e Barnaba. Gli apostoli, o meglio Paolo e Barnaba, notarono Giovanni Marco quando lui era a Gerusalemme. Paolo, all’epoca chiamato ancora Saulo, e Barnaba arrivarono lì nel 46. Quindi a Gerusalemme presero Giovanni Marco e lo portarono con sé ad Antiochia, città dove il cristianesimo stava mettendo radici e crescendo in modo entusiasmante. L’anno successivo venne scelto proprio Giovanni Marco per accompagnarli nel loro primo viaggio missionario. Se ne parla nel libro degli Atti, al capitolo 13. In Atti 13, ai versetti 4 e 5 si legge: “Questi uomini [cioè Barnaba e Saulo], mandati dallo spirito santo, scesero a Seleucia e di là salparono per Cipro. Arrivati a Salamina, si misero a proclamare la parola di Dio nelle sinagoghe dei giudei. Con loro avevano anche Giovanni come aiutante”. Giovanni Marco, definito “aiutante”, o come dice la nota “servitore”. Luca usa un termine greco molto interessante; questo termine alla lettera significa “sottorematore”. La sua etimologia richiama l’immagine di un rematore che prestava servizio a bordo di una nave romana. Questi stava sottocoperta, doveva remare a tempo insieme a tutti gli altri rematori e doveva seguire il ritmo dettato dal capitano. Perché usare questo termine in riferimento a Giovanni Marco? Beh, un indizio ce lo dà il versetto 4, dove si legge che ‘salparono alla volta di Cipro’. La metafora del rematore quindi ha il suo perché in questo contesto. Tra l’altro, lo stesso termine è utilizzato da Paolo quando in 1 Corinti capitolo 4 parla di sé descrivendosi come un servitore di Dio. Perché aveva senso utilizzarlo lì in 1 Corinti? Perché in una delle baie vicino a Corinto attraccavano le navi della flotta romana. Anche per i corinti, quindi, la metafora del rematore aveva il suo perché ed era facile da cogliere. L’episodio che abbiamo menzionato all’inizio è riportato in Atti capitolo 15. Quell’episodio, tutt’altro che piacevole, ruotava proprio intorno a Giovanni Marco. Notate cosa si legge in Atti 15, a partire dal versetto 37: “Barnaba era deciso a portare anche Giovanni, soprannominato Marco. Ma Paolo non era favorevole a portarlo con loro, visto che in Panfilia li aveva lasciati e non li aveva più accompagnati nell’opera. Allora ci fu una discussione talmente accesa che i due si separarono; e Barnaba, preso con sé Marco, salpò verso Cipro”. Perduta quell’opportunità, negato quel privilegio, cosa fece Marco? Abbiamo letto che, insieme a Barnaba, “salpò verso Cipro”. Marco si mantenne attivo nel servire Geova. Come ci riuscì? Giovanni Marco non si preoccupò così tanto del privilegio mancato da non riuscire a vedere le opportunità che ancora gli si presentavano davanti. Ma mentre lui si dà da fare insieme a Barnaba, Paolo cosa fa? Il versetto 40 dice: “Paolo scelse Sila”. E il 41: “Attraversò la Siria e la Cilicia, rafforzando le congregazioni”. E se andiamo avanti, nel capitolo 16, leggiamo che arrivò a Derbe e a Listra. E il versetto 3, scusate l’1, dice che incontrò Timoteo, un discepolo. Cosa succede poi al versetto 3? Paolo espresse il desiderio che Timoteo lo accompagnasse. Marco era stato rimpiazzato. A questo punto Paolo inizia a viaggiare con Timoteo. Passa più o meno un annetto e scrive una lettera ai tessalonicesi. In 1 Tessalonicesi 1:1 leggiamo i saluti di Paolo, Sila e Timoteo. Stessa cosa in 2 Tessalonicesi: Paolo, Sila e Timoteo. Come si sarà sentito Marco? Che sentimenti pensate abbia provato? Cinque anni dopo Paolo scrive ai corinti, e a mandare i saluti sono Paolo e Timoteo. Durante tutto il periodo in cui Timoteo è sempre più in vista, Marco cosa fa? È lì che rema, è lì che continua a servire Geova fedelmente. E undici anni dopo, tra il 60 e il 61, mentre Paolo era a Roma, chi c’era con lui? Proprio Marco. In varie delle sue lettere, l’apostolo Paolo fece menzione di Marco. Facciamo un esempio. Quando scrisse la sua lettera ai cristiani di Colosse, nei saluti finali fece riferimento al fatto che intendeva mandare Marco come suo rappresentante personale alle congregazioni. Questo ci dice molto. Ci dice che tipo di persona era Marco e che reputazione aveva. Essere il rappresentante di qualcuno voleva dire godere della sua fiducia. E se Marco doveva rappresentare Paolo davanti alle congregazioni, vuol dire che godeva di questa fiducia. Ora c’è un dettaglio interessante. La Bibbia non fa alcuna menzione delle difficoltà che Marco affrontò nel ministero. Non dice che abbia fatto naufragio, sia stato picchiato o abbia sofferto la fame. Ce n’è solo una che di sicuro affrontò che si evince dalla Bibbia. Sappiamo tutti quale: il problema che ebbe con l’apostolo Paolo, un suo fratello. Ma nonostante il problema che c’era stato, non era rimasta traccia di ostilità tra questi due uomini. Infatti, negli ultimi commenti di Paolo riportati nella Bibbia, in 2 Timoteo al capitolo 4, l’apostolo disse a Timoteo: “Porta con te Marco, perché mi è utile”. Il nostro rematore, Giovanni Marco! Pensateci un attimo. Di Timoteo sappiamo molte cose, eppure nemmeno una sua parola è stata riportata nelle Sacre Scritture. E invece Giovanni Marco scrisse un Vangelo. E da umile rematore sottocoperta, non menzionò mai il suo nome. Ora mettiamo insieme tutto quello che sappiamo. Dalle pagine della Bibbia emerge un ritratto bellissimo di Marco. Un uomo che, primo, era zelante e promosse la buona notizia in molti luoghi. E secondo, era felice di servire gli altri. Anche solo questo lo rende un esempio per noi. Ma c’è dell’altro. In futuro anche voi potreste ritrovarvi come Marco al centro di una discussione tra un Paolo e un Barnaba. Oppure le vostre circostanze potrebbero cambiare per motivi di salute o problemi familiari. O ancora, potreste ritrovarvi all’ombra di un Timoteo. Potrebbe chiudersi una porta davanti a voi, oppure non aprirsi mai. Ma proprio come Marco, non concentratevi così tanto sui privilegi persi da non riuscire invece a vedere le opportunità che sono ancora davanti a voi. Proprio come Marco, rimanete forti, rimanete concentrati. Tenete le mani sui remi, vogate a tempo con gli altri e collaborate insieme a loro a favore dell’opera. Ricordate, non smettete mai di remare sottocoperta! 

Grazie, grazie davvero, fratello Lippold per questo consiglio molto pratico. Il secondo insegnante della Scuola di Galaad a pronunciare un discorso è il fratello Richard Chilton. Il discorso che pronuncerà si intitola “Dove andrai tu andrò anch’io”. 

Richard Chilton. “Dove andrai tu andrò anch’io”

Questi comandi, che cos’hanno in comune? Costruisci un’arca. Scegli 300 uomini. Marcia intorno alla città sette volte. Segui questa strada per il Mar Rosso. Avete indovinato? Geova stava dando al suo popolo delle indicazioni e, come nel caso degli esempi appena fatti, a volte queste indicazioni potrebbero sembrare, per così dire, un po’ insolite. Non è difficile provare a immaginare Noè rispondere: “Davvero vuoi che io costruisca un’arca gigantesca?” O Gedeone chiedere: “Solo 300 uomini contro un esercito di 135.000? Ma siamo sicuri?” Oppure Giosuè rispondere: “Marciare intorno a Gerico sette volte e poi suonare i corni? Tutto qui?” O ancora Mosè dire: “Perché dobbiamo andare verso il Mar Rosso quando se non sbaglio c’è una strada più diretta per arrivare alla Terra Promessa?” Tutti loro avrebbero potuto rispondere più o meno così, ma lo fecero? Lasciamo che sia la Bibbia a dircelo, andiamo in Genesi al capitolo 6. Genesi 6:22 dice: “E Noè fece tutto ciò che Dio gli aveva comandato. Fece proprio così”. In effetti, tutti i personaggi che abbiamo appena menzionato fecero “proprio così”. Magari le indicazioni che ricevettero non erano quelle che si aspettavano, ma umilmente modificarono il loro modo di pensare e decisero di seguire la guida divina dovunque li avesse portati. E siccome fecero questo, salvarono non solo sé stessi ma anche tutti quelli che erano con loro. È ovvio che colui che li stava guidando era Geova. E l’ubbidienza che ognuno di loro manifestò fu in effetti un modo per dire a Geova: “Dove andrai tu andrò anch’io”. Che dire di voi, cari studenti che siete presenti qui oggi? Come quei servitori del passato, anche voi non siete lasciati soli a navigare. Geova è esattamente dove è sempre stato, al timone, a guidare il suo popolo. La sola differenza è che oggi Geova utilizza lo “schiavo fedele e saggio” per dare indicazioni. Ed è solo perché non riusciamo a vedere tutti i dettagli che a volte quelle indicazioni potrebbero sembrare un po’ insolite. Eppure, voi avete seguito quelle indicazioni, indipendentemente da quali fossero e indipendentemente da dove vi portassero. E per questo vi vogliamo dire grazie. Proprio così, vogliamo ringraziare tutti voi che ci state ascoltando perché siete ubbidienti quando ricevete delle indicazioni. Ma vogliamo ringraziare in modo particolare voi cari studenti presenti qui oggi. Grazie, perché nei cinque mesi che avete passato qui vi abbiamo osservato. Abbiamo visto come avete seguito con lealtà le indicazioni dello schiavo fedele. Avete fatto “proprio così”. Per esempio, quando vi veniva assegnata una parte alle lezioni, la svolgevate in inglese, anche se la maggior parte di voi non è madrelingua. E quando vi sono state date delle disposizioni per via del COVID vi abbiamo visto seguirle attentamente, anche se non è stato facile. Lo avete fatto per salvaguardare voi e i vostri fratelli. E quando vi sono stati dati dei consigli, non solo dai vostri insegnanti ma anche dai vostri compagni, avete dimostrato gratitudine e vi siete subito impegnati per metterli in pratica. Vi abbiamo visto crescere nell’amore per i vostri compagni, per l’organizzazione, per Geova e per suo Figlio Gesù. E tutto questo è il risultato diretto della vostra leale ubbidienza alle istruzioni dello schiavo fedele. E adesso che lascerete questo posto? Anche se tornerete al paese da cui provenite, non sarete più le persone che eravate e le cose potrebbero non essere come ve le ricordate. Comunque, siamo completamente sicuri che qualsiasi cambiamento affronterete in futuro, continuerete a far riecheggiare le parole della moabita Rut. Ricordate che cosa disse a Naomi quando dovette affrontare numerosi cambiamenti che potevano spaventarla? Le sue parole sono riportate nel libro che porta il suo nome, Rut capitolo 1, versetti 16 e 17: “Rut disse: ‘Non pregarmi di lasciarti, di rinunciare a venire con te; perché dove andrai tu andrò anch’io, e dove passerai la notte tu la passerò anch’io. Il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio il mio Dio. Dove morirai tu morirò anch’io, e là sarò sepolta. Geova mi punisca e lo faccia con severità se permetterò a qualcosa che non sia la morte di separarmi da te’”. Cosa significava per Rut fare questa scelta? Significava lasciarsi alle spalle tutto quello che conosceva, entrare a far parte di un popolo che aveva delle credenze diverse dalle sue. Quelle credenze l’avrebbero potuta addirittura portare a sposare un uomo che non aveva scelto o che non conosceva neppure. Significava non tornare mai più alla sua vita precedente. Quando Rut disse a Naomi: “Dove andrai tu andrò anch’io” lo intendeva in senso letterale, senza eccezioni, senza ma e senza se. Era così e basta. Per Rut quelle non erano solo parole, era il suo modo di pensare ed era anche il modo di pensare che avevano Noè, Gedeone, Giosuè e Mosè. Proprio come loro, se ci sforziamo sempre di vedere chi c’è realmente dietro la guida che riceviamo, riusciremo a camminare all’unisono con il carro non davanti, non dietro, ma accanto. Questo mi fa tornare in mente un bellissimo ricordo di un po’ di tempo fa, di quando io e mia moglie vivevamo in Sudafrica. Una volta vidi uno stormo di uccelli in volo. Non saprei dirvi di che specie fossero, ma sono sicuro che dovevano essere migliaia. Volavano e volteggiavano all’unisono, tutti insieme, ed era bellissimo. Uno spettacolo indimenticabile. La cosa interessante è che secondo gli scienziati ogni uccello non guarda a tutto lo stormo nel suo insieme, ma solamente i suoi compagni di volo più vicini, quelli intorno a lui. E quando questi virano, anche lui vira. Ognuno di loro fa così, creando una sorta di armonioso effetto onda. Allo stesso modo, quando dimostriamo con le parole e le azioni questo modo di pensare, ‘Geova, dove andrete tu e il tuo schiavo andrò anch’io’, motiviamo chi è vicino a noi a fare lo stesso. Quando avviene un cambiamento all’interno della teocrazia e per seguirlo viriamo, i nostri fratelli e le nostre sorelle virano insieme a noi. E quando il popolo di Geova volteggia all’unisono, per così dire, crea uno spettacolo meraviglioso agli occhi di Geova. Proprio come Noè, Gedeone, Giosuè, Mosè e Rut hanno lasciato un modello per noi, ora cari studenti, tocca a voi lasciare un modello per gli altri. Mentre continuate a ubbidire attentamente alle indicazioni che provvede Geova tramite il suo schiavo fedele, gli altri vedranno come Geova vi benedice. Vedranno come vi tiene al sicuro, al riparo. Vedranno la vostra gioia e la soddisfazione che provate. A quel punto probabilmente vorranno provare la stessa cosa e così saranno spinti a dire: “Dove andrai tu andrò anch’io”. 

Grazie tante, fratello Chilton. Questo discorso è stato davvero molto pratico, sia per gli studenti che per tutti noi. Lo abbiamo apprezzato molto. È arrivato il momento di ascoltare il terzo insegnante della Scuola di Galaad, il fratello James Cauthon. Il titolo del suo discorso è una domanda, “Consiglieri o pastori?” 

James Cauthon. Consiglieri o pastori?

Chi attrae di più gli altri? Un consigliere efficace o un pastore amorevole? Fratelli e sorelle, se volete essere efficaci nel rafforzare l’organizzazione e nell’edificare gli altri, questa è una buona domanda a cui pensare. E questo vale sia per i fratelli che per le sorelle. Come sappiamo bene, un consigliere è una persona che dà consigli. E ci sono un sacco di professionisti che danno consigli. Consigli sul matrimonio, su come investire il denaro, su come elaborare il lutto, e la lista potrebbe continuare. Sappiamo che i loro consigli possono variare a seconda dell’esperienza e della formazione che hanno. Ahitofel, per esempio, è un consigliere di cui parla la Bibbia e la Bibbia dice che i suoi consigli “erano considerati come fossero la parola del vero Dio”. Oggi una persona potrebbe credere di essere un buon consigliere e potrebbe offrire consigli generosamente, consigli che non sempre potrebbero risultare, ehm, graditi. Forse un marito con la soluzione sempre pronta consiglia a sua moglie, emotivamente distrutta, di smetterla di preoccuparsi. O forse un anziano che conosce bene la Bibbia, legge subito un versetto a un proclamatore in preda all’ansia e gli dice: “Non pensare troppo”. Quanto sono efficaci questi consigli? Qualcuno ha detto: “Alle persone non importa quanto sai, finché non sanno quanto ti importa di loro”. I consigli sono più efficaci se un consigliere è anche un pastore. E un pastore è una persona che conforta, che nutre, che ascolta e che non ignora i bisogni emotivi di chi soffre. Geova Dio dà consigli, ma fa sempre molto di più. Infatti Geova è anche un pastore. Quando dà consigli si prende cura dei bisogni emotivi della persona e continua a farlo nel tempo. Pensate a come si comportò con un profeta che stava passando un momento di depressione, il profeta Elia. Aprite la vostra Bibbia in 1 Re 19. Prenderemo brevemente in esame il modo in cui Geova trattò Elia. Ricorderete che Elia era spaventatissimo. Era molto spaventato da Izebel. Elia scappò verso sud, percorse 150 km fino a Beer-Seba, e poi camminò per altri 320 km fino al monte Horeb. Cominciamo a leggere dal versetto 5. Dice: “Alla fine [qui si parla di Elia] si sdraiò sotto la ginestra e si addormentò. All’improvviso un angelo lo toccò e gli disse: ‘Alzati, mangia’. Quando guardò, trovò vicino alla sua testa un pane rotondo su pietre roventi e una brocca d’acqua. Mangiò e bevve, dopodiché si sdraiò di nuovo. Più tardi l’angelo di Geova tornò una seconda volta, lo toccò e gli disse: ‘Alzati, mangia, altrimenti non riuscirai ad affrontare il viaggio’. Elìa allora si alzò, mangiò e bevve, e con la forza datagli da quel cibo proseguì per 40 giorni e 40 notti finché non raggiunse l’Hòreb, il monte del vero Dio”. Interessante. L’angelo svegliò Elia, gli diede da mangiare, ed Elia ritornò a dormire, come spesso fa chi è depresso. Forse l’angelo aspettò tutta la notte e poi toccò Elia di nuovo e gli ridiede da mangiare. E quel cibo gli diede la forza per proseguire il suo viaggio per 40 giorni e 40 notti, finché non raggiunse il monte Horeb. C’è una domanda che vorrei che vi faceste. Pensate che quell’angelo fosse d’accordo col modo in cui Elia si stava comportando? Non credete che a un certo punto avrebbe voluto dargli un piccolo consiglio e dirgli: “Elia, smettila di preoccuparti. Devi solo confidare in Dio e tornare a fare quello che facevi”. Ma non fece così. Secondo voi, Geova sapeva a cosa stava pensando Elia? E pensate che fosse d’accordo con lui? Sicuramente no. Forse un consigliere avrebbe dato un consiglio. Ma Geova, “l’Iddio di ogni conforto”, si prese cura prima di tutto dei bisogni emotivi di Elia. Così, quando alla fine Elia entrò in una caverna del monte Horeb, ricordate cosa fece Geova? La Bibbia dice che con una voce calma e sommessa si rivolse a lui dicendo: “Che fai qui, Elia?” Questa domanda era un modo per invitare Elia ad aprirsi. “Dimmi come ti senti”. Vedete, quello fu esattamente quello che Elia fece. Leggiamo al versetto 10 cosa disse Elia: “Ho avuto grande zelo per Geova, l’Iddio degli eserciti, perché il popolo d’Israele ha abbandonato il tuo patto”. Sentiva che tutto il suo impegno era stato inutile. E poi disse: “Io sono l’unico rimasto”. Elia si sentiva solo e disse ancora: “Ora cercano di togliermi la vita”. E quindi cosa capiamo? Che era anche molto spaventato. Geova ascoltò tutto quello che gli disse e rassicurò Elia riguardo a tutte le sue preoccupazioni. Successivamente, diede a Elia tutto ciò di cui aveva bisogno perché così continuasse a servirlo con coraggio. Cosa possiamo imparare da questo breve racconto? Impariamo che Geova diede importanza a come si sentiva Elia pur non essendo d’accordo col suo punto di vista. Impariamo anche che spesso non è necessario offrire una soluzione rapida. Anche solo permettere a chi ci sta di fronte di esprimersi senza sentirsi giudicato può dare alla persona un enorme conforto. Infatti, fratelli, per la maggioranza delle persone capire che qualcuno ti sta ascoltando equivale praticamente a sentirsi amati. Proprio come Geova, anche noi daremo un aiuto più efficace se saremo pastori pazienti che ascoltano e mostrano considerazione per i sentimenti di coloro che cerchiamo di aiutare. Ecco quattro punti da ricordare, vediamoli. Numero 1. Siate buoni ascoltatori, più che buoni parlatori. Mostrate empatia. E ricordate, mostrare empatia significa vedere con gli occhi di un altro, ascoltare con le orecchie di un altro e sentire con il cuore di un altro. È facile, cari fratelli, per noi esseri umani imperfetti prenderci troppo sul serio, soprattutto quando abbiamo un incarico di responsabilità. Quindi, a volte, la cosa migliore è trattenersi dal dare subito consigli, perché potremmo dare l’impressione di sentirci superiori. Al contrario, essere disposti ad ascoltare perfino le parole avventate di qualcuno rivela la profondità della nostra umiltà. Punto numero 2. Date peso alle emozioni delle persone, non sminuite quello che provano. Le emozioni sono reali, quindi imparate a capire quali frasi possono ferire e quali invece incoraggiare. “Posso capire perché ti senti in questo modo, deve essere davvero difficile”. Vedete, quando ascoltiamo con empatia, in pratica stiamo dicendo: “Sei importante per me, e mi interessa davvero sapere come ti senti”. Inoltre, se farete capire a una persona che lei è importante per voi, potrebbe essere molto più disposta ad ascoltare i consigli che vorrete darle. Ricordate, c’è una differenza tra… Anzi, prima voglio dirvi questo: i consigli che diamo non sono necessariamente buoni solo perché sono corretti. In realtà, il modo e il momento in cui li diamo sono importanti, quindi cercate di ricordarlo. Anche se è corretto, non è per forza un buon consiglio. E c’è un’enorme differenza tra incoraggiare e demolire. “Sai una cosa? Sei troppo sensibile”. “E dove sarebbe il problema?” “Non voglio saperlo”. “Non ho tempo adesso”. “Devi lavorare sulla tua spiritualità”. Forse non è quello che intendiamo, ma tutto questo potrebbe tradursi così: “Non sei importante. I tuoi sentimenti non sono importanti. E onestamente, non mi interessa”. Punto numero 3. Pensate alle fragilità altrui. Parlare dei propri pensieri ed emozioni può essere difficile, può mettere a disagio o persino paura. Per questo è importante continuare a impegnarci per capire i sentimenti degli altri. E infine, il punto numero 4. Non è obbligatorio dare consigli. A quanti di noi fratelli è capitato di fare una visita pastorale e dire poco o niente e alla fine il fratello o la sorella ci ha detto: “Sapete, è stata la migliore visita pastorale mai avuta”. Quindi, forse alcuni non hanno bisogno della soluzione a un loro problema, ma semplicemente di parlare a un buon ascoltatore, qualcuno che non gli dica come dovrebbero sentirsi, ma che li ascolti senza farli sentire giudicati. Fratelli, c’è un detto che dice: “Il tempo è vita”. Se non siamo disposti a dare a un fratello il nostro tempo, potremo davvero dare la nostra vita per lui? Quando mostriamo “compassione al misero” dandogli il nostro tempo e le nostre attenzioni stiamo facendo “un prestito a Geova”. E la Bibbia dice che lui ci “ripagherà” quando saremo noi ad avere bisogno di aiuto. Quindi, siate sia consiglieri che pastori e sarete amati da tutti coloro che vi circondano, soprattutto da Geova Dio e da Gesù Cristo. 

Ti ringraziamo davvero tanto, fratello Cauthon. Questo discorso così pratico ci sarà molto utile. E siamo sicuri che lo sarà anche per gli anziani di tutto il mondo quando sarà reso disponibile su JW Broadcasting. 

Speriamo vi sia piaciuta questa prima parte del conferimento. La seconda e la terza parte saranno disponibili nel corso del mese su jw.org. Prima di concludere, visitiamo insieme l’isola della Groenlandia, che è l’isola più grande al mondo. Come ve la immaginate? Spiagge di sabbia bianca e un clima caldo con tanto sole? No, la Groenlandia è uno dei paesi più vicini al Polo Nord ed è quasi tutta ricoperta di ghiaccio. L’aurora boreale danza nel cielo notturno, volpi artiche e orsi polari vagano per la tundra e le acque color turchese dei fiordi sono costellate dagli iceberg. Il kayak è stato inventato qui. I cacciatori eschimesi, infatti, avevano bisogno di un’imbarcazione stretta per poter navigare in queste acque ghiacciate. La maggior parte delle persone usa le barche per viaggiare, visto che qui non ci sono molte strade. I nostri fratelli e sorelle le usano per raggiungere comunità di persone che vivono in luoghi remoti. E hanno sempre usato mezzi di trasporto originali, fin da quando si è iniziato a predicare la Parola di Dio in Groenlandia. I primi proclamatori sull’isola, Kristen Lauritsen e Arne Hjelm, hanno viaggiato perfino con slitte trainate dai cani per completare un giro di predicazione di 1.600 km. I proclamatori continuano a essere creativi anche oggi. Infatti predicano nel territorio commerciale, nei porticcioli e per telefono. Il groenlandese è una lingua complessa, dalle parole molto lunghe, composte da tante sillabe. Comunque i fratelli traducono con cura pubblicazioni e video per le 57.000 persone che parlano questa lingua. Il 30 ottobre 2021 è stata presentata la Traduzione del Nuovo Mondo delle Scritture Greche Cristiane in groenlandese, davvero apprezzata da chi in quest’isola ama la Parola di Dio. I 120 proclamatori della Groenlandia salutano con affetto i fratelli di tutto il mondo. Dalla sede mondiale dei Testimoni di Geova, questo è JW Broadcasting!

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