Intervista dell’Organizzazione russa “Znanie” al Ministro degli Affari Esteri della Federazione Russa, Sergej Lavrov, a margine del Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo, 17 giugno 2023

Intervista dell’Organizzazione russa “Znanie” al Ministro degli Affari Esteri della Federazione Russa, Sergej Lavrov, a margine del Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo, 17 giugno 2023

Ambasciata della Federazione Russa nella Repubblica Italiana

Domanda: Solitamente i giornalisti la tormentano con domande veloci sui temi più urgenti. Noi, grazie alla piattaforma fornitaci dall’Organizzazione “Znanie”, abbiamo la possibilità di elevarci a un livello un po’ più “strategico” e di parlare, ad esempio, di come Lei vede questo mondo multipolare che sta emergendo. Alcuni si dicono preoccupati che questo mondo possa diventare meno sicuro in ragione del fatto che non vi sarà il predominio di un unico attore. Qual è la Sua posizione al riguardo?

Sergej Lavrov: Esiste un punto di vista che parte dal fatto che c’era l’Unione Sovietica, c’era il Patto di Varsavia, e che gli Stati Uniti presiedevano l’Alleanza Atlantica. Questi due poli del mondo bipolare garantivano la stabilità. Una stabilità negativa, talvolta addirittura pericolosa, ma tutti questi rischi, questi pericoli, si situavano a margine della “convivenza” tra questi due sistemi ideologici e socio-economici contrapposti.

Forse, ha senso ricordare che sono stati tempi piuttosto sicuri, prevedibili. La prevedibilità era negativa, sapevamo che cosa aspettarci l’uno dall’altro. Talvolta, per alcune questioni collaboravamo: siamo stati nello spazio, abbiamo avviato produzioni in compartecipazione. Ma le rispettive dottrine militari e le “macchine” da guerra le tenevamo puntate l’uno contro l’altro. E queste venivano perfezionate sulla base della necessità di assicurarsi la vittoria qualora, Dio non volesse, fosse accaduto qualcosa. Poi, in realtà, ha prevalso la ragione. Ci sono stati accordi sulla riduzione delle armi nucleari strategiche, sulla loro limitazione, sulla difesa antimissilistica. Purtroppo, quando il Patto di Varsavia e, successivamente, l’Unione Sovietica hanno cessato di esistere, tutto questo è stato smantellato in fretta e furia dagli Stati Uniti, i quali si sono innalzati a vincitori della “Guerra Fredda”. Hanno stabilito che fosse giunta la “fine della storia”, come disse, a suo tempo, il celebre politologo F. Fukuyama; e intendendo, con ciò, che da quel momento in poi solo la democrazia liberale avrebbe dominato, e che nessun altro sistema sarebbe mai più comparso né avrebbe potuto svilupparsi.

Domanda: Ma poi ha riconosciuto di essersi sbagliato...

Sergej Lavrov: Poi ha riconosciuto di essersi sbagliato. Questo gli fa onore. Sebbene il tipo di mentalità che si rispecchia nella tesi della “fine della storia” si manifesti tuttora in maniera piuttosto attiva in Occidente. Perché quando l’Occidente esige da tutti il rispetto delle “regole” sulle quali si basa l’ordine mondiale, assistiamo precisamente a ciò di cui parlava F. Fukuyama. È la “fine della storia” perché, per come l’Occidente attualmente porta avanti la propria concezione di “regole”, solo l’Occidente ha il diritto di decidere chi deve fare che cosa. Come dire, a noi tutto è concesso, mentre agli altri è concesso solo quello che noi permettiamo loro di fare. Questa è la tipica mentalità colonialista. Come scriveva, a suo tempo, R. Kipling sul fatto che il fardello dell’uomo bianco fosse quello di dover gestire una moltitudine di ottusi. Praticamente sono le stesse parole.

Quando hanno iniziato a manifestarsi gli istinti degli Stati Uniti e dei loro “alleati” (direi forse degli anglosassoni e dei loro alleati, visto che gli anglosassoni ormai hanno “sottomesso” l’intera Europa e tutto il restante “Occidente collettivo” a cui facciamo riferimento, dove troviamo anche Giappone, Australia e Nuova Zelanda), quando questi istinti hanno iniziato a manifestarsi in maniera particolarmente evidente in relazione all’operazione militare speciale che siamo stati costretti, per necessità, ad avviare a seguito di molti anni durante i quali abbiamo cercato di persuadere i nostri colleghi occidentali dell’assoluta inaccettabilità della linea da loro adottata nei confronti dell’Ucraina, che l’ha trasformata in una minaccia diretta alla Federazione Russa, in una minaccia alla nostra sicurezza e in uno strumento di annientamento della lingua, dell’istruzione e della cultura russa, fino addirittura all’annientamento fisico delle persone, che loro chiamavano “esseri” (mi riferisco agli abitanti del Donbass) e che minacciavano di eliminare o giuridicamente, o fisicamente (e ce ne sono moltissime, di dichiarazioni di questo genere), ecco, ormai è chiaro che l’accanimento con il quale l’Occidente al momento esige che tutti “puniscano” la Federazione Russa, che nessuno si relazioni con noi, rispecchia la sua consapevolezza del fatto che presto non esisterà più un mondo unipolare. Questi spasmi ai quali stiamo assistendo sono, in una certa misura, spasmi di un’agonia che potrà durare per anni, per un’intera epoca storica, come io ipotizzo, di transizione verso un mondo multipolare.

Ma il processo ormai ha avuto inizio, come è stato già detto. Senza dubbio, paesi quali la Cina, l’India (paesi di civiltà, alla stregua della Russia in sostanza), continenti e civiltà come l’Africa, l’America Latina, i Caraibi, il Medio Oriente, il Sudest asiatico, i paesi dell’ASEAN, che si percepiscono come parte di una comunità a carattere civile, comprendono che il fare affidamento sugli strumenti che l’Occidente ha creato e che ha imposto a tutti gli altri come unici possibili meccanismi di funzionamento dell’economia, quali la proprietà privata, la sua inviolabilità, il libero gioco del mercato, la concorrenza leale, la presunzione d’innocenza e molto altro, si colloca alla base dell’economia mondiale, alla base del funzionamento del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. L’Occidente, da un giorno all’altro e senza alcuna esitazione, come stiamo vedendo, tutti questi strumenti li ha trasformati da meccanismi atti a garantire un servizio al commercio e all’economia mondiale a strumenti di coercizione, ricatto e punizione, come stiamo vedendo adesso. Nel nostro caso, siamo a qualcosa come 15mila diverse sanzioni. Una “storia” singolare. Ma le sanzioni sono un metodo tutt’altro che nuovo di cui l’Occidente si serve per “punire” i disobbedienti.

Secondo una statistica, nel mondo un paese su quattro si trova sotto sanzioni, imposte soprattutto dagli americani, dagli europei e da chi collabora con loro. Adesso osserviamo una tendenza alla separazione da queste dinamiche al fine di poter proseguire nelle attività commerciali e di investimento, per rafforzare i rapporti economici, mettere in piedi joint venture e catene logistiche in maniera tale da non dover dipendere dalle strutture e dai meccanismi controllati dall’Occidente. Questo processo sta ponendo delle basi oggettive per la realizzazione del multipolarismo. Perché il multipolarismo inteso come comunanza culturale e di civiltà (ho appunto fatto l’esempio di India, Cina, Africa, Asia Meridionale, Sudest asiatico, America Latina), e cioè la cultura, la lingua, la tradizione, compresi i valori religiosi, è sempre esistito. I vari “Kipling” hanno provato a rappresentare il resto del mondo come una “giungla selvaggia”. Anche Josep Borrell, noto diplomatico dell’Unione Europea, formula il suo pensiero in base alle medesime categorie: l’Europa è un “giardino fiorito”, mentre tutto intorno è “giungla”, una giungla che, in qualche modo, va civilizzata, oppure dalla quale è necessario difendersi. L’identità culturale e civile c’è sempre stata. Adesso, con le loro sanzioni e le loro azioni aggressive gli Stati Uniti e altri con loro essenzialmente obbligano, costringono tutto il resto del mondo ad introdurre basi materiali a supporto della loro identità culturale e civile. Per questo ritengo che il processo sia inarrestabile.

Domanda: In questo nuovo mondo multipolare il ruolo dell’ONU diminuirà d’importanza? E d’altra parte acquisirà più importanza il ruolo di organizzazioni come i BRICS o l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai?

Sergej Lavrov: Se tutti rispetteranno i requisiti della Carta delle Nazioni Unite, allora il ruolo dell’organizzazione sarà lungi dall’essere terminato. Aumenterebbe di importanza se tutti seguissero i principi della Carta. Intendo dire che il principio chiave all’interno della Carta dell’ONU afferma che l’Organizzazione delle Nazioni Unite si fonda sull’eguaglianza sovrana degli Stati. Se guardate alle azioni intraprese dall’Occidente, questo principio viene violato quotidianamente nelle situazioni più disparate. I nostri colleghi dell’Occidente collettivo non permettono l’attuazione di alcun tipo di eguaglianza, ritenendo che noi dobbiamo vivere non in base ai principi e alle norme della Carta dell’ONU, e cioè al diritto internazionale, bensì in base alle loro “regole”. E quali sono queste regole? Ad esempio, nella Carta dell’ONU sono indicati alcuni principi, tra i quali anche quelli dell’integrità territoriale e del rispetto della sovranità degli Stati, ma vi troviamo anche il principio riguardante il diritto delle nazioni all’autodeterminazione. È sancito tutto su un’unica pagina. Quando l’ONU è stata fondata, quando è stata approvata, firmata e ratificata la Carta, praticamente già dai primi giorni dei lavori dell’Organizzazione sono iniziate discussioni e polemiche su quale dei due principi fosse il più importante: l’integrità territoriale o il diritto delle nazioni all’autodeterminazione. Ebbe quindi inizio il processo delle trattative. Fu formato un comitato speciale, che concluse il suo lungo lavoro negli anni ‘70, con l’adozione della Dichiarazione relativa ai Principi di Diritto Internazionale, riguardante i rapporti tra Stati in accordo con la Carta delle Nazioni Unite. Un documento voluminoso, un intero capitolo del quale è dedicato esattamente a quello di cui stiamo parlando noi adesso: in che modo il principio del rispetto dell’integrità territoriale si concilia con quello del diritto delle nazioni all’autodeterminazione. Si sancisce quanto segue: che tutti hanno l’obbligo di rispettare l’integrità territoriale degli Stati i cui governi riconoscono e rispettano il principio di autodeterminazione dei popoli e (cosa più importante) i cui governi rappresentano tutti gli individui che vivono su quel dato territorio.

Se qualcuno mi dicesse che, a partire dal colpo di stato del febbraio 2014 la giunta militare di Kiev ha rappresentato gli individui che risiedevano in Crimea, nel sud-est dell’Ucraina, penso sarebbe chiaro a tutti che ciò è una falsità. Esattamente come Porošenko, anche con Zelenskij, si tratta di regimi che non rappresentano gli individui dei quali parliamo: individui che hanno votato a favore dell’ingresso nella Federazione Russa. Si tratta sia della Crimea, che di altri quattro nuovi territori. Naturalmente queste persone vanno ad esercitare il proprio diritto sovrano all’autodeterminazione in una situazione in cui il governo che è stato lasciato loro attraverso il colpo di stato non solo non rappresenta assolutamente i loro interessi, ma addirittura li offende quotidianamente e minaccia di annientarli.

Quando a Zelenskij, molto prima dell’inizio della nostra operazione militare speciale, fu chiesto, durante un’intervista, che cosa pensasse delle persone che vivono nel Donbass, alle quali sarebbe stato necessario riconoscere uno status speciale secondo gli accordi di Minsk (già ostacolati da Porošenko, e poi da Zelenskij), lui rispose: “Sa, un conto sono le persone, e un conto sono gli “esseri””. E in generale, a coloro che sentissero di far parte di qualcosa di russo, a livello culturale o per istruzione, lui consigliava di andarsene in Russia, per il bene di figli e nipoti. E queste sono le dichiarazioni di un uomo che al momento attuale in Occidente viene celebrato come un grande uomo di democrazia, il più grande combattente per la libertà. Tale correlazione è molto importante.

E tornando al fatto che l’Occidente sta tentando di imporre le proprie “regole”, ignorando di proposito la Carta dell’ONU: dopo che a Kiev ebbe luogo il colpo di stato sotto slogan che proclamavano la revoca dello status della lingua russa e la cacciata dei russi dalla Crimea, quando lì furono inviati combattenti armati in assalto al Consiglio Supremo, e i cittadini della penisola si rivoltarono contro questo “attacco” così aggressivo nei loro confronti e al referendum votarono a favore del ritorno nella Federazione Russa, ricordate allora quale fu la reazione dell’Occidente? Affermarono che questo referendum, tra le altre cose, violava l’integrità territoriale dell’Ucraina.

Non molto prima di questi accadimenti verificatisi nel 2014, nel 2008, senza alcun tipo di referendum il Kosovo, a seguito dell’aggressione occidentale ai danni della Jugoslavia, fu strappato via da un territorio che era sempre stato serbo, e dichiarò la sua indipendenza. In seguito, anche la Corte Internazionale di Giustizia dell’ONU (il Presidente Putin lo ha ricordato più di una volta nei suoi interventi) analizzò quanto accaduto con la proclamazione unilaterale dell’indipendenza del Kosovo, e decretò che parte di uno Stato può dichiararsi indipendente senza il consenso da parte del potere centrale. Così, semplicemente.

Altro esempio di come, di nuovo, queste regole vengono “capovolte” in situazioni concrete quando per qualche motivo ciò conviene all’Occidente, è quello delle isole Malvine. Il ministro degli Affari Esteri della Gran Bretagna James Cleverly, per commentare le risoluzioni emanate annualmente dall’Assemblea Generale dell’ONU di modo che Argentina e Regno Unito avviassero dei negoziati per decidere le sorti di queste isole (che i Britannici chiamano Falkland) disse: “Ma quali negoziati, lì c’è stato un referendum”.

Ma quindi in Kosovo il referendum non fu necessario, mentre il referendum svoltosi in Crimea non è stato riconosciuto dall’Occidente. Nelle isole Malvine c’è stato, e perciò lì è stato tutto “regolare”. Se tutti rispettassero i principi della Carta e li interpretassero nella stessa maniera, allora nel mondo molte cose, forse, starebbero diversamente.

Lo stesso possiamo dire, ad esempio, di Mauritius: il Regno Unito ha strappato l’arcipelago delle Chagos allo stato di Mauritius. Quando lì fu proclamata l’indipendenza, il Regno Unito semplicemente non cedette le isole Chagos, sebbene ci siano state sia una risoluzione da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che una sentenza da parte della Corte Internazionale di Giustizia.

Poi, le isole Comore. Quando ci fu il referendum, i francesi ne riconobbero il risultato per tutte le isole, tranne che per l’isola di Mayotte, che resta tuttora francese. Tutti gli analisti delle Nazioni Unite ricordano periodicamente la vicenda nelle loro ricerche, ma nessuno ha intenzione di fare nulla, nonostante ci sia una risoluzione dell’Assemblea Generale. Sono ancora moltissimi gli irrisolti derivanti dall’epoca della decolonizzazione. In effetti noi adesso stiamo lavorando attivamente su questo fronte.

All’Organizzazione “Znanie”, ai vostri membri e partecipanti, interesserà apprendere che il partito “Russia Unita” ha proclamato che a ottobre di quest’anno condurrà il Forum Internazionale dei sostenitori della lotta contro le moderne pratiche neocolonialiste. Si tratta di una tematica molto attuale. Molti partiti nei paesi in via di sviluppo (sia i partiti al potere, che quelli che fanno parte delle varie coalizioni all’interno dei relativi governi) hanno già manifestato il loro interesse e sono entrati a far parte del Comitato Organizzativo. Sarà un forum interessante, conoscitivo, che permetterà, in maniera significativa e con un approccio onesto, di osservare ciò che sta accadendo nell’ambito delle relazioni internazionali, nell’ambito del rispetto del diritto dei popoli a scegliere quali debbano essere le proprie sorti, e come, in generale, i paesi africani e le altre ex colonie guardano al loro futuro alla luce delle condizioni attuali.

Le richieste che l’Occidente renda conto dei suoi 500 anni di potere e dominazione nel mondo si fanno sempre più forti. Purtroppo però l’Occidente sta continuando a comportarsi da arrogante, in maniera assolutamente colonialista. Come, in effetti, ha fatto il Presidente francese Macron, che non molto tempo è stato in visita in Algeria. Nel corso della visita, gli è stato proposto di scusarsi per quello che i francesi per molti anni hanno fatto nel paese, perché innumerevoli vite sono state spezzate durante la guerra. Ha detto che non si sarebbe scusato. Proprio come gli americani, che mai si scuseranno per Hiroshima e Nagasaki, per aver usato armi nucleari su obiettivi totalmente civili e su città, con conseguenze enormi in termini di vittime umane e di distruzione.

Per cui vi sono l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, i BRICS e altre organizzazioni che, diciamo, sono nate sul continente africano. C’è la Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi (CELAC), che adesso, dopo l’ascesa al potere del Presidente Lula da Silva in Brasile, ha guadagnato un “nuovo slancio” e si sta sviluppando attivamente, nello specifico nell’ambito della separazione dal sistema monetario e finanziario globale controllato dagli Stati Uniti. È un processo oggettivo. Lo stesso Presidente del Brasile Lula da Silva si è espresso a favore dell’individuazione, nell’ambito dei CELAC, di certi nuovi meccanismi bancari e di regolamento che siano protetti da brusche interferenze esterne motivate da ragioni politiche. In effetti, tale pensiero il Presidente Lula lo sta promuovendo anche nell’ambito dell’organizzazione dei BRICS, il cui summit avrà luogo ad agosto di quest’anno. Sarà uno dei grandi temi all’ordine del giorno per questa organizzazione.

Tali organizzazioni si differenziano dalle strutture occidentali (come la NATO e l’Unione Europea) per il fatto che al loro interno non vige alcuna “disciplina del bastone”. Il principio del consenso viene davvero rispettato da tutti. Anche all’Unione Europea esiste il consenso, ma questo viene applicato in maniera molto specifica. Come è accaduto con l’Ungheria e con la stessa Polonia, non appena uno dei Paesi manifesta una propria opinione, come mai prima si inizia a fargli pressioni, a minacciarlo con il taglio dei finanziamenti che questo o quel Paese riceve secondo la linea della Commissione Europea. Ecco che il consenso lo si ottiene per mezzo di ricatti e minacce. Questo non accade mai né nell’ambito dei BRICS, né in quello dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Se a qualcuno sorgono dubbi, la questione viene rinviata e il confronto prosegue finché non viene elaborata una posizione condivisa da tutti i membri dell’organizzazione.

Per cui io non vedo contraddizioni tra le Nazioni Unite in quello che era il loro scopo originario, da un lato, e le organizzazioni di cui stiamo parlando adesso, dall’altro. Si completano a vicenda. A maggior ragione alla luce del capitolo 8 della Carta dell’ONU, denominato “Cooperazione con le organizzazioni regionali”, già nel 1945 si prevedeva uno sviluppo dei processi a livello regionale; e qui si stabilisce che l’ONU è chiamata a cooperare e ad armonizzare tali processi, qualora vi sia questo interesse in seno alle organizzazioni regionali.

E ripeto, in generale le basi materiali per lo sviluppo delle strutture regionali si determinano sulla consapevolezza che le sanzioni occidentali richiedono che tutti adottino misure precauzionali e si difendano da questi ordini, da questi ricatti.

Domanda: Parliamo un po’ del tentativo di cancellare la cultura russa in Occidente. Cosa ne pensa, il picco di questa psicosi è passato? E che cosa può fare la Russia?

Sergej Lavrov: La Russia deve rimanere se stessa e continuare a creare opportunità per lo sviluppo dell’arte, della scienza, dell’istruzione; e deve condividere apertamente i risultati conseguiti con tutti i Paesi del mondo, come ha sempre fatto sinora. Credevo che il picco di russofobia fosse ormai passato. Ma poi, non molto tempo fa, il Presidente della Repubblica Ceca Petr Pavel ha dichiarato che è necessario far sorvegliare tutti i russi e gli individui di origine russa che si trovino sul territorio europeo. Ciò significa che ancora non è stata maturata fino in fondo la consapevolezza del fatto che la russofobia è una strada che non porterà da nessuna parte.

Ma c’è una tendenza in senso opposto. Sull’onda della russofobia più aggressiva è stata costituita una nuova struttura internazionale, il Movimento internazionale dei Russofili. Nel marzo di quest’anno si è svolto il loro congresso costitutivo. Tra fine 2023 e inizio 2024 si terrà il vero e proprio forum del Movimento internazionale dei Russofili. Si tratta di un’iniziativa dei nostri partner esteri, non è un’iniziativa che ha avuto origine dal sistema russo.

Non è possibile “uccidere” la cultura russa, indipendentemente da chi ci provi. E questo provano a farlo coloro che, di per sé, non si distinguono certo per cultura di comportamento e di coesistenza in questo mondo; coloro che non rappresentano realmente i loro popoli e le loro nazioni. Guardate chi governa l’Unione Europea in questo momento. Sono persone totalmente ossessionate dal proprio potere, irreparabilmente ossessionate dalla certezza di essere nel giusto e dal desiderio di punire la Russia di modo che agli altri non venga in mente di fare lo stesso. Queste persone sono consapevoli del fatto che la guerra che hanno scatenato contro di noi non riuscirà a piegarci. Sebbene ogni giorno ripetano che ci infliggeranno una “strategica sconfitta”, sanno che questo non è possibile. Sanno che, una volta che avranno perso questa guerra e non saranno stati in grado di mettere in atto le loro minacce in merito alla “strategica sconfitta da infliggere alla Russia”, la loro rilevanza sulla scena mondiale subirà un brusco ridimensionamento. Tutti adesso ne sono consapevoli, a ciascuno il suo, e allora sarà chiaro come il sole che l’Occidente sta perdendo il suo status precedente; che la sua epoca d’oro, durata praticamente per 500 anni, è ormai passata e sarà necessario vivere in base a nuove regole, che ci riporteranno alla Carta delle Nazioni Unite, e cioè al rispetto dell’eguaglianza sovrana di tutti i Paesi.

Domanda: Proviamo a tracciare i contorni di come sarà la Russia, una volta uscita da questa complessa situazione politica. Come cambierà?

Sergej Lavrov: Non azzardo ipotesi su come le cose saranno in una qualche fase successiva del nostro sviluppo. Noi stiamo semplicemente lavorando per affermare, con metodi diplomatici, gli interessi del nostro Paese per ciò che concerne il nostro Ministero, nonché per mostrare a tutti la nostra verità, contando sul fatto che, le persone oneste, questa verità la comprenderanno.

Per quanto riguarda come tutto questo andrà a finire, come staranno le cose, il processo è lungo. Come ho già detto, il mondo multipolare andrà formandosi nel corso di un periodo molto lungo.

La situazione in Ucraina non è che un episodio. Il principale, un episodio grave forse, addirittura decisivo, ma comunque fa tutto parte del processo di realizzazione di un mondo multipolare. L’Occidente deve ancora capire che deve sapere qual è il suo posto anche in relazione a quanto sta accadendo in Asia, area su cui la NATO (come già abbiamo detto) sta allungando i suoi tentacoli. Il Segretario Generale Jens Stoltenberg ha tentato di giustificarsi dicendo che la NATO resta un’alleanza euro-atlantica e che sull’Asia, ha detto, non ha pretese. Un tentativo poco credibile, poiché tutti vedono come l’Organizzazione si stia a tutti gli effetti inserendo in Asia e stia mettendo in piedi delle unità militari che stanno minando i naturali processi di sviluppo nella regione e di rafforzamento delle architetture regionali create dagli stessi Stati del Sudest asiatico.

Richiamiamo alla mente come la Russia è uscita dai conflitti precedenti: ai tempi di Aleksandr Nevskij, poi durante la campagna di Russia del 1812; com’è uscita dalla Seconda Guerra Mondiale, dalla Grande Guerra Patriottica, e come queste vittorie hanno ridato forza e sicurezza alla Russia e grande energia al nostro popolo, affinché quest’ultimo potesse cambiare in meglio il nostro Paese, potesse crescere i propri figli nel rispetto delle nostre tradizioni, potesse fare in modo che i ragazzi conoscessero la storia, rispettassero i loro genitori e anche gli antenati, che questo Paese lo hanno creato.

Sono sicuro che la Russia uscirà ulteriormente rafforzata da questa situazione.

Domanda: Parlando di economia, verranno ripristinate le catene di approvvigionamento? Verrà creato un nuovo mercato finanziario? Non ci sono altre opzioni?

Sergej Lavrov: Ce ne stiamo occupando attivamente in questo momento. Stiamo creando nuovi corridoi di trasporto, che non dipenderanno né dalle rotte logistiche controllate dall’Occidente, né da quelle che non riescono a far fronte ai volumi di trasporto. Non ci sono dubbi sul fatto che i nuovi canali finanziari emergenti potranno operare in maniera affidabile per i rapporti commerciali indipendenti e per i contatti paritari a livello economico, finanziario e di investimento tra Paesi che desiderino sviluppare in maniera leale i loro rapporti reciproci. Tali sistemi non dipenderanno dall’arbitrarietà a cui stiamo assistendo oggi in rapporto al palese abuso da parte dell’Occidente della posizione del dollaro e di molti altri meccanismi, quali ad esempio lo stesso SWIFT, le regole assicurative per il trasporto marittimo, eccetera.

Domanda: Approfittando del fatto che abbiamo un ampio pubblico composto da giovani, possiamo dire qualche parola su come la gioventù in questo momento può contribuire allo sviluppo del proprio Paese, la Russia?

Sergej Lavrov: I giovani possono aiutare il Paese mantenendosi sani, in tutti i sensi. Studiando con impegno, acquisendo conoscenze, dando spazio ai propri sogni, al proprio pensiero. Creando, inventando, immaginando. E come ho già detto, naturalmente, rispettando gli anziani in famiglia, ma non solo: rispettandoli anche come arricchimento di un retaggio culturale che ci è stato lasciato da numerose generazioni di avi, amando la propria storia, conoscendola. Prima di tutto, bisogna conoscere la storia. Perché una volta che conosci la vera storia del tuo Paese, non puoi non innamorartene.



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