Intervento dell'Ambasciatore della Federazione Russa in Italia Alexey Paramonov al ricevimento in occasione della Giornata dei diplomatici russi
Ambasciata della Federazione Russa in ItaliaEgregi Signori Ambasciatori,
Gentili ospiti e colleghi,
Cari amici,
Oggi siamo qui riuniti per una splendida ricorrenza: è ormai vicina la Giornata del diplomatico, festività che in Russia viene celebrata il 10 febbraio. Quest’anno, abbiamo scelto di dedicare la Festa della nostra categoria professionale alla plurisecolare tradizione di amicizia e cooperazione che lega la Russia alla città di Napoli.
Già a partire dal XVIII secolo, fino ad arrivare a tempi più recenti, la Penisola ha rappresentato una tappa obbligata nel percorso di formazione della quasi totalità degli artisti russi, che fossero pittori, scultori o architetti. E sicuramente, l’illustre pittore russo Karl Brjullov, del quale proprio di recente, ovvero nel dicembre dello scorso anno, abbiamo celebrato i 225 anni dalla nascita, viene considerato un esponente di prim’ordine di questa categoria. Probabilmente, nel recarvi qui, avrete visto alcune delle sue opere più evocative riprodotte sui banner che abbiamo voluto affiggere lungo il perimetro dell’Ambasciata. I migliori anni della sua vita l’artista li trascorse sotto il sole italiano, e per realizzare il più celebre dei suoi dipinti volle trarre ispirazione proprio dalla storia di Napoli: sto parlando di un’opera monumentale, intitolata “L’ultimo giorno di Pompei”, terminata nel 1833 e oggi esposta presso il Museo di Stato Russo di San Pietroburgo.
Questo meraviglioso dipinto non è soltanto un’opera di evidente pregio artistico, ma funge anche da serio monito per tutti noi. Ci ricorda infatti che la tragedia di Pompei e di Ercolano avvenne, in larga misura, perché all’epoca non esisteva un meccanismo di cooperazione internazionale per la prevenzione dei disastri naturali; a dire il vero, non esisteva alcuna forma di cooperazione internazionale, poiché il tutto si riduceva esclusivamente alla rivalità, all’ostilità e al conflitto. Invece, al giorno d’oggi, la cooperazione in materia di sicurezza ambientale rappresenta una componente importante nel sistema di cooperazione globale in essere tra i vari Paesi.
Non è certo un caso se ho fatto riferimento a Pompei. Questo sito archeologico di inestimabile valore oggi viene considerato parte di una città ancor più antica, ancor più meravigliosa: la città di Napoli. La Russia vanta una lunga tradizione di amicizia e cooperazione con la città sin dai tempi del Regno di Napoli, in seguito divenuto Regno delle Due Sicilie.
In epoca relativamente recente, circa due secoli fa, la Penisola era suddivisa in diversi Stati. È sufficiente ricordare che erano attive Ambasciate e altre rappresentanze diplomatiche russe sia a Roma, allora capitale dello Stato Pontificio, sia a Firenze, centro amministrativo del Granducato di Toscana, così come a Torino, presso la corte sabauda, e anche a Parma; inoltre, fino alla fine del XVIII secolo, le Ambasciate e le rappresentanze diplomatiche russe furono presenti anche nelle Repubbliche di Venezia e di Genova. Ma i suoi legami più stretti, l’Impero di Pietroburgo li intessé proprio con Napoli.
Tuttavia, non tutti gli Stati della Penisola erano animati dai medesimi sentimenti di simpatia che i napoletani nutrivano nei confronti della Russia. Basti ricordare che, sebbene negli anni delle guerre napoleoniche i granatieri del Generale Suvorov salvarono la dinastia dei Savoia e, con essa, l’indipendenza del Regno di Sardegna, fu proprio Torino a partecipare con maggiore veemenza alla Guerra di Crimea tra il 1853 e il 1856, schierandosi a fianco della Gran Bretagna e di Napoleone III e inviando in Russia i suoi soldati. Nel frattempo invece, Ferdinando II, Re delle Due Sicilie, volle mantenere nei confronti della Russia un atteggiamento di amichevole neutralità, mentre i commercianti napoletani rifornivano di provviste l’Esercito russo.
Ritengo che tale atteggiamento in parte fosse dovuto al fatto che i sovrani dei due Paesi si conoscevano personalmente. Nel 1844, l’Imperatore russo Nicola I, assieme alla sua famiglia, trascorse quasi un mese in Sicilia, e a Palermo ebbe modo di frequentare il Re Ferdinando II. In ricordo di tale circostanza, una nuova nave corvetta, l’“Olivuzza” (dal nome del luogo dove alloggiarono i sovrani russi a Palermo) entrò a far parte della flotta russa del Mar Nero, mentre nei giardini del Palazzo Reale di Napoli fecero la loro comparsa le copie d’autore delle celebri sculture equestri che adornano uno dei ponti della città di San Pietroburgo, i “Palafrenieri” di Pëtr Klodt. Ancora oggi, le due statue bronzee adornano l’ingresso del Palazzo Reale di Napoli. Questa vicenda storica, così come altri interessanti dettagli relativi ai rapporti tra la Russia e Napoli, viene raccontata nella mostra storico-documentaria oggi allestita nelle sale della nostra Ambasciata; una mostra che suggerisco caldamente a tutti i nostri ospiti di visitare.
Dai tempi dell’Imperatore Nicola I e del Re Ferdinando II, molte navi, e molte acque sono passate dal Golfo di Napoli, golfo al quale vogliamo sperare che non tocchino le stesse sorti del Golfo del Messico, e che auspichiamo possa mantenere la sua denominazione storica anche con la nuova amministrazione USA.
Ahinoi, il mondo contemporaneo si trova però ad affrontare tutt’altre problematiche: al confronto, i conflitti del passato potrebbero addirittura somigliare a innocue schermaglie tra ragazzini. E tuttavia, rimane invariata la direzione maestra che è propria della politica estera perseguita dallo Stato russo. Mosca, proprio come Pietroburgo in passato, non accetterà alcun tentativo mirato a stabilire un dominio di tipo unilaterale, che sia in Europa o a livello globale; inoltre, la Russia si schiera a favore dell’uguaglianza sovrana tra tutti i Paesi, ognuno dei quali deve poter partecipare a pieno titolo al sistema delle relazioni internazionali.
Ai giorni nostri il mondo intero, come un tempo accadde a Pompei, corre seriamente il rischio di assistere a uno scenario catastrofico. Una tragedia analoga il nostro continente l’ha già vissuta più di 80 anni fa, durante la Seconda Guerra Mondiale. A breve in Russia, e più precisamente il 9 maggio, celebreremo l’anniversario della Vittoria sul nazismo; Vittoria per la quale l’URSS, come sappiamo, pagò un prezzo altissimo. I popoli dell’Unione Sovietica, primo tra tutti il popolo russo, subirono perdite enormi in termini di vite umane e sul piano materiale, peraltro non tanto al fronte, ma bensì sui territori occupati dal nemico, dove coloro che rappresentavano la tanto “civilizzata Europa” misero in atto un orrendo genocidio ai danni della popolazione civile.
Affinché ciò non accadesse mai più, i Paesi della coalizione anti-hitleriana che avevano sconfitto il nazismo istituirono un’organizzazione di portata globale, le Nazioni Unite, la cui Carta divenne la fonte primaria del diritto internazionale, chiamato a garantire la coesistenza pacifica tra Stati. Se anche oggi desideriamo preservare la pace, ciò sarà possibile solamente facendo affidamento sul diritto internazionale e quindi sulla Carta dell’ONU, i cui principi devono essere recepiti non in maniera selettiva, ma bensì nella loro totalità e interconnessione. Non dovrebbero verificarsi circostanze nelle quali, per convenienza, un singolo principio viene elevato al di sopra di tutti gli altri: nel caso del Kosovo, ciò accadde con il principio dell’autodeterminazione. Lo stesso vale per gli altri principi sanciti nella Carta dell’ONU: pensiamo ad esempio al principio di integrità territoriale, che è stato elevato a valore assoluto per delegittimare i risultati del referendum in Crimea.
Per questo motivo la Russia respinge qualunque tentativo atto a contrastare il diritto internazionale, che è stato concordato da tutti i soggetti che prendono parte al sistema delle relazioni internazionali, e respinge altresì quella sorta di “ordine basato sulle regole” che è stato scritte solo e soltanto nell’interesse del gruppo dei Paesi “eletti”. Tocca constatare con rammarico che i nostri colleghi occidentali questo non sono ancora riusciti a capirlo, dato che, per motivi sconosciuti, continuano a ritenersi l’unica fonte di diritto per il mondo intero e ad autoproclamarsi giudici delle vicende internazionali. Fermo restando che, non appena sono i loro interessi a venire messi in discussione, allora provvedono subito a cambiare quelle regole che loro stessi hanno stabilito: a titolo di esempio, osservate quanto sta accadendo con i mandati emessi dalla Corte Penale Internazionale, Tribunale che l’Occidente stesso ha istituito.
A livello globale si sono verificati grandi tumulti, che stanno portando il mondo verso una transizione multipolare. E continuano a evolversi i meccanismi alternativi a quello che era l’ordine mondiale occidentocentrico. Meccanismi come i BRICS, l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, l’Unione Economica Eurasiatica, la Comunità delgi Stati Indipendenti, ma non solo. Noi riteniamo che tali meccanismi abbiano un grande futuro dal punto di vista dell’armonizzazione dei processi globali e del rafforzamento dei principi di uguaglianza e giustizia all’interno del nuovo ordine mondiale.
Sono certo che l’Europa occidentale, in quanto subcontinente facente parte dell’Eurasia, in futuro potrà trovare un suo degno posizionamento all’interno del Grande partenariato eurasiatico in via di formazione; e questo in virtù della sua posizione geografica, della sua storia, così come delle sue radici economiche e di civiltà. La cosa più importante è che sul territorio eurasiatico, a inclusione della sua estremità più occidentale, i problemi principali vengano affrontati e risolti senza ingerenze esterne, nel rispetto del principio che auspica l’individuazione di «soluzioni regionali per problematiche regionali».
Da parte sua, la Russia è disposta sinceramente a impegnarsi per concordare un equilibrio degli interessi e rafforzare i fondamenti di diritto ai quali devono soggiacere le relazioni internazionali. E siamo lieti del fatto che i Paesi della maggioranza mondiale, i cui rappresentanti diplomatici sono presenti oggi in questa sala, in questo ci siano solidali.