In difesa del salvadoregno Nayib Bukele

In difesa del salvadoregno Nayib Bukele

di Sumantra Maitra


“Il successo di El Salvador nella lotta al crimine è arrivato a spese dei diritti civili e tra le accuse che Bukele stia prendendo una piega sempre più autoritaria”, ha commentato Marcelo Rochabrun, capo dell'ufficio di Lima di Bloomberg, in un recente articolo. “Nayib Bukele ha messo sotto scacco le bande criminali in El Salvador. Se da un lato questo ha reso il Paese più sicuro e lo ha reso estremamente popolare, dall'altro le sue tattiche da uomo forte sono arrivate a scapito delle libertà civili”.

 

Il saggio ha fatto seguito a un tweet del Somalia First caucus del Congresso degli Stati Uniti, in cui Ilhan Omar, nota decolonizzatrice, auspicava un intervento in El Salvador per promuovere i diritti umani e fomentare una Rivoluzione colorata.

 

Il contesto non ha bisogno di spiegazioni. El Salvador, secondo la destrezza retorica dell'ex presidente Donald Trump, era considerato uno dei “Paesi di merda”. Aveva il più alto tasso di criminalità e di omicidi della regione ed era uno dei principali esportatori di migranti economici e di spacciatori di droga. Poi Nayib Bukele è salito al potere, ha sospeso i diritti dei criminali e ha incarcerato migliaia di persone con tatuaggi di bande. Ora El Salvador è uno dei Paesi più sicuri e di maggior successo economico della regione. El Salvador è l'“unico” successo degli ultimi anni in America Centrale; la migrazione verso l'estero è diventata negativa, i posti di lavoro sono stabili e l'attuale tasso di criminalità è pari a quello del Lussemburgo. Non c'è da stupirsi che Bukele sia ora il chiaro favorito per la rielezione e che altri Paesi del Sud stiano seguendo il suo modello. Da qui il panico che ne deriva nei circoli liberali statunitensi.

 

La questione non è puramente retorica. Il ripristino dell'ordine da parte di un'autorità legittima non è ovviamente “autoritarismo”. Ciò renderebbe illegale qualsiasi autorità, per quanto legittima. Tutti sostengono le libertà, ma le preferenze rivelate, beh, rivelano che la maggior parte delle persone normali che rispettano la legge desiderano soprattutto l'ordine. Un'idea di libertà e diritti illimitati che non riesce a garantire l'ordine per i contribuenti rispettosi della legge è in sostanza solo libertà e diritti per i criminali, ed è quindi una visione del mondo fallimentare.

 

Sia la common law inglese che i fondatori americani che ne furono influenzati sostenevano la necessità di una “libertà ordinata”. Il cardinale Richelieu, che comprendeva la differenza tra la moralità individuale e il dovere dello Stato, lo spiegò in modo succinto: “La verga, che è simbolo di giustizia, non dovrebbe mai essere inoperosa”.

 

I media liberali americani non riescono a comprendere che l'applicazione di una dura autorità potrebbe rendere migliore una società e, controintuitivamente, più libera e liberale; uno sconcerto che è condiviso dall'altra parte dello stagno grigio, se si considera la reazione ai tweet della deputata conservatrice Suella Braverman. La maggior parte dei liberali che si arrovellano sulla moralità della “giustizia riparativa” sono troppo ottusi per capire che essere “morali” non è sempre un bene. Non è nemmeno morale. Spesso è una mentalità ristretta e stupida. Questo, a sua volta, provoca un grande caos sociale e un grande danno e, tutto sommato, è più immorale. In nessun caso ciò è più evidente che nelle questioni di legge e di ordine.

 

Ma, soprattutto, Bukele, fornendo un modello di autorità che è istintivo e naturale, rischia di dimostrare quanto sia vuota la visione liberale del mondo. Questo è il semplice motivo per cui ora c'è uno sforzo propagandistico organizzato contro Nayib Bukele: egli fornisce un'alternativa collaudata e di successo al modello di governo liberale.


Traduzione a cura di Costantino Ceoldo

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