Il Processo di Lavoro

Il Processo di Lavoro


Karl Marx, 5 Maggio 1818 - 14 Marzo 1883

Da Il Capitale (1867), 2013, UTET, Torino

L’uso della forza lavoro è il lavoro stesso. Il compratore della forza lavoro la consuma facendo lavorare il suo venditore, cosicché quest’ultimo diventa actu ciò che prima era soltanto potentia: forza lavoro in azione, lavoratore. Per rappresentare il suo lavoro in merci, egli deve prima di tutto rappresentarlo in valori d’uso, in cose che servano a soddisfare bisogni di qualunque specie. È dunque un particolare valore d’uso, un determinato articolo, quello che il capitalista fa eseguire all’operaio. Il fatto di compiersi per il capitalista e sotto il suo controllo, non cambia la natura generale della produzione di valori d’uso, o beni: il processo di lavoro va quindi considerato, anzitutto, a prescindere da ogni forma sociale data.
Il lavoro è in primo luogo un processo fra uomo e natura; un processo nel quale l’uomo media, regola e controlla con la sua attività il ricambio organico con la natura. Egli agisce nei confronti della stessa materia naturale come una forza di natura. Mette in moto forze naturali appartenenti alla sua corporeità, braccia e gambe, testa e mano, per appropriarsi la materia in una forma utilizzabile per la sua vita. Agendo con questo movimento sulla natura esterna, e modificandola, egli modifica nello stesso tempo la natura propria. Sviluppa le facoltà che sonnecchiano in lui e sottopone al proprio dominio il gioco delle sue stesse forze.

Quelle che ci stanno di fronte non sono le prime e animalescamente istintive forme del lavoro. Rispetto allo stadio nel quale il lavoratore si presenta sul mercato come venditore della propria forza lavoro, lo stadio in cui il lavoro umano non si è ancora spogliato della sua primordiale forma istintiva arretra nello sfondo remoto della preistoria. Noi qui presupponiamo il lavoro in una forma nella quale esso appartiene esclusivamente all’uomo. Un ragno compie operazioni simili a quelle del tessitore; un’ape fa arrossire molti architetti umani con la costruzione delle sue celle di cera. Ma ciò che, fin dapprincipio, distingue il peggiore architetto dalla migliore ape è il fatto di aver costruito la cella nella propria testa prima di costruirla in cera. Al termine del processo lavorativo, si ha un risultato che era già presente all’inizio nella mente del lavoratore; che, quindi, esisteva già come idea. Non è che egli si limiti a produrre un cambiamento di forma nel dato naturale; realizza in esso, nel medesimo tempo, il proprio scopo, uno scopo ch’egli conosce, che determina a guisa di legge il modo del suo operare, e al quale egli deve subordinare la propria volontà. E questa subordinazione non è un atto isolato. Oltre allo sforzo degli organi che lavorano, occorre per tutta la durata del lavoro quella volontà conforme al fine, che si estrinseca come attenzione; tanto più essa occorre, quanto meno il lavoro attrae e assorbe l’operaio per il suo contenuto specifico e per il modo di eseguirlo; quanto meno, perciò, egli ne gode come di un gioco delle proprie forze fisiche e mentali.
Gli elementi semplici del processo di lavoro sono fattività utile, cioè il lavoro stesso, il suo oggetto e il suo mezzo.
La terra (nella quale, dal punto di vista economico, è altresì compresa l’acqua), così come originariamente rifornisce l’uomo di cibo, di mezzi di sussistenza già prontia, è presente, senza alcun contributo dell’uomo stesso, come l’oggetto generale del lavoro umano. Tutte le cose che l’uomo si limita a sciogliere dal loro legame immediato con l’orbe terracqueo, sono oggetti di lavoro preesistenti in natura: così il pesce, che viene preso strappandolo al suo elemento vitale, l’acqua; così il legname abbattuto nelle foreste vergini; così il minerale estratto a forza dalla sua vena. Se invece lo stesso oggetto di lavoro è, per così dire, già filtrato da lavoro precedente, lo chiamiamo materia prima: per esempio, il minerale già estratto e sottoposto a lavaggio. Ogni materia prima è oggetto di lavoro, ma non ogni oggetto di lavoro è materia prima. Materia prima l’oggetto di lavoro è, solo quando abbia già subito una modificazione tramite il lavoro.

Il mezzo di lavoro è una cosa o un complesso di cose, che il lavoratore inserisce fra sé e l’oggetto di lavoro, e che gli serve come veicolo della propria azione su di esso. L’operaio utilizza le proprietà meccaniche, fisiche e chimiche delle cose, per farle operare conformemente ai suoi scopi come mezzi di potere su altre coseb. L’oggetto di cui il lavoratore si impadronisce immediatamente — prescindendo dalla raccolta di mezzi di sussistenza già pronti, frutti ecc., nel qual caso solo gli organi del suo corpo servono come mezzi di lavoro — non è l’oggetto ma il mezzo del lavoro. Così il dato naturale diventa esso stesso l’organo della sua attività, un organo che egli aggiunge ai propri organi fisiologici allungando, a dispetto della Bibbia, la sua statura naturale. La terra, come è la sua dispensa originaria di generi alimentari, così è il suo primitivo arsenale di mezzi di lavoro. Per esempio, gli fornisce la selce di cui si serve per il lancio, per limare, macinare, pestare, tagliare ecc. La terra stessa è un mezzo di lavoro; ma, per servire da mezzo di lavoro nell’agricoltura, esige tutta una serie di altri mezzi di lavoro e uno sviluppo già relativamente elevato della forza lavoro. Il processo lavorativo, non appena abbia raggiunto un certo grado di sviluppo, ha bisogno di mezzi di lavoro già elaborati. Nelle più antiche caverne abitate dall’uomo troviamo arnesi e armi di selce. Accanto alla pietra, al legno, all’osso e alle conchiglie lavorati, nei primordi della storia umana occupa un posto di primo piano come mezzo di lavoro l’animale addomesticato, quindi esso stesso già modificato dal lavoro.L’impiego e la fabbricazione di mezzi di lavoro, sebbene già propri, in germe, di alcune specie animali, caratterizzano il processo di lavoro specificamente umano, ed è perciò che Franklin definisce l’uomo «a toolmaking animal», un animale che fabbrica utensili. La stessa importanza che la struttura dei reperti ossei ha per la conoscenza dell’organizzazione di specie animali estinte, hanno i reperti di mezzi di lavoro per il giudizio su formazioni socio-economiche scomparse. Non che cosa si fa, ma come e con quali mezzi di lavoro la si fa, distingue le epoche economichee. I mezzi di lavoro sono non soltanto i gra-dimetri dello sviluppo della forza lavoro umana, ma gli indici dei rapporti sociali nel cui ambito l’uomo lavora. Fra questi mezzi, quelli meccanici, il cui insieme si può chiamare il sistema osseo e muscolare della produzione, offrono tratti caratteristici molto più indicativi di un’epoca di produzione sociale, che i mezzi di lavoro i quali servono soltanto come ricettacoli dell’oggetto di lavoro, e il cui insieme si può racchiudere nel termine molto generale di sistema vascolare della produzione: tubi, botti, ceste, giare ecc. Solo nella fabbricazione chimica essi recitano una parte di rilievo.

In senso più lato, il processo di lavoro comprende fra i suoi mezzi, oltre alle cose che mediano l’azione del lavoro sul suo oggetto e quindi servono in un modo o nell’altro come veicoli dell’attività, tutte le condizioni oggettive che si richiedono, in generale, perché il processo abbia luogo, e che non entrano direttamente in esso, ma senza le quali il processo non può svolgersi, o può svolgersi solo in modo incompleto. Il mezzo di lavoro generale di questa specie è, ancora una volta, la terra, perché dà al lavoratore il suo locus standi3 e al suo processo il vero e specifico campo di azione (field of employment). Mezzi di lavoro già mediati dal lavoro nel senso già detto sono, per esempio, gli edifici di lavoro, i canali, le strade ecc.
Nel processo lavorativo, l’attività umana provoca col mezzo di lavoro un cambiamento, voluto e perseguito a priori, nell’oggetto di lavoro. Il processo si esaurisce in un prodotto che è un oggetto d’uso, una materia adattata, mediante un cambiamento di forma, a certi bisogni umani. Il lavoro si è combinato col suo oggetto. Il lavoro è oggettivato; l’oggetto è lavorato. Ciò che, dal lato del lavoratore, appariva nella forma dell’irrequietezza, dal lato del prodotto appare ora come proprietà in quiete, nella forma dell’essere. Egli ha filato, e il prodotto è un filato.
Se si considera l’intero processo lavorativo dal punto di vista del suo risultato, del prodotto, sia il mezzo che l’oggetto di lavoro appaiono come mezzi di produzione e il lavoro stesso come lavoro produttivo.
Se un valore d’uso esce dal processo di lavoro come prodotto, altri valori d’uso, prodotti di processi lavorativi precedenti, vi entrano come mezzi di produzione. Lo stesso valore d’uso che è il prodotto di un lavoro, costituisce il mezzo di produzione di un altro. Dunque, i prodotti non sono soltanto risultato, sono nello stesso tempo condizione, del processo di lavoro.

Con l’eccezione dell’industria estrattiva che trova già pronto in natura il suo oggetto di lavoro, come le industrie mineraria, della caccia, della pesca ecc. (l’agricoltura solo in quanto dissodi in prima istanza la terra vergine), tutti i rami d’industria trattano un oggetto che è materia prima, cioè un oggetto di lavoro già filtrato dal lavoro, già esso stesso prodotto del lavoro: esempio, il seme in agricoltura. Animali e piante che si è soliti considerare quali prodotti naturali, sono in realtà non soltanto prodotti del lavoro forse dell’anno passato, ma, nelle loro forme attuali, prodotti di una metamorfosi prolungatasi per molte generazioni e operata, sotto controllo umano, dal lavoro umano. Ma, per quanto riguarda i mezzi di lavoro in particolare, la loro enorme maggioranza mostra anche allo sguardo più superficiale l’orma del lavoro trascorso.
La materia prima può costituire la sostanza principale di un prodotto, o entrare nella sua formazione come pura materia ausiliaria. La materia ausiliaria è consumata dal mezzo di lavoro, come il carbone lo è dalla macchina a vapore, l’olio dalla ruota, il fieno dal cavallo da tiro, oppure è aggiunta alla materia prima per operarvi una trasformazione materiale, come il cloro è aggiunto alla tela non candeggiata, il carbone al ferro, il colorante alla lana, o ancora è usata in appoggio all’esecuzione del lavoro, come per illuminare o riscaldare il posto di lavoro. Nella vera e propria fabbricazione chimica, la distinzione fra materia principale ed ausiliaria svanisce, in quanto nessuna delle materie prime usate riappare come sostanza del prodotto.
Poiché ogni cosa possiede numerose proprietà, e quindi è suscettibile di diversi impieghi utili, lo stesso prodotto può costituire la materia prima di processi di lavoro molto diversi. Per esempio, il grano è materia prima per il mugnaio, il fabbricante d’amido, il distillatore, l’allevatore, ecc., ma diviene materia prima della sua stessa produzione come semente. Così il carbone esce quale prodotto dall’industria mineraria, e vi rientra quale mezzo di produzione.

Lo stesso prodotto può servire nel medesimo processo lavorativo come mezzo di lavoro e come materia prima: per esempio, nell’ingrassamento del bestiame la materia prima lavorata, il bestiame, è nello stesso tempo mezzo alla preparazione di concime.
Un prodotto esistente in forma pronta per il consumo può ridiventare materia prima di un altro prodotto, come l’uva diventa materia prima del vino. Oppure il lavoro mette in libertà il suo prodotto in forme nelle quali lo si potrà riutilizzare soltanto come materia prima. La materia prima in questo stato si chiama semilavorato, e meglio si direbbe lavorato a gradi, come nell’esempio del cotone, del filo, del refe ecc. Benché sia essa stessa un prodotto, la materia prima originaria può dover percorrere una serie di processi diversi, in cui funge ogni volta da materia prima in forma sempre mutata, fino all’ultimo processo lavorativo che la espelle da sé o quale mezzo di sussistenza o quale mezzo di produzione finito.
Come si vede, che un valore d’uso si presenti quale materia prima, o mezzo di lavoro, o prodotto, dipende in tutto e per tutto dalla sua funzione specifica nel processo di lavoro, dal posto che occupa in esso; col cambiamento di questo posto, cambiano quelle specificazioni.
Dunque, col loro ingresso in quanto mezzi di produzione in nuovi processi di lavoro, i prodotti perdono il carattere di prodotto e non funzionano più che in quanto fattori oggettivi del lavoro vivente. Il filatore tratta il fuso soltanto come mezzo per filare, il lino soltanto come oggetto ch’egli fila. È vero che non si può filare senza materiale filabile e senza fuso, e quindi la presenza di questi prodotti è presupposta fin dall’inizio della filatura. Ma in questo processo medesimo è tanto indifferente che lino e fuso siano prodotti di lavoro passato, quanto nell’atto della nutrizione è indifferente che il pane sia il prodotto dei lavori passati del contadino, del mugnaio, del fornaio ecc. Inversamente, se i mezzi di produzione fanno valere nel processo lavorativo il proprio carattere di prodotti del lavoro passato, lo fanno mediante i loro difetti. Un coltello che non taglia, un filo che si spezza continuamente, ecc., ricordano al vivo il fabbro A e il filatore E. Nel prodotto riuscito, la mediazione delle sue proprietà utili da parte del lavoro passato è estinta.
Una macchina che non serve nel processo di lavoro è inutile. Inoltre, subisce l’azione distruttiva del ricambio organico naturale: il ferro arruginisce, il legno marcisce. Il filo non tessuto o lavorato a maglia è cotone sprecato. Il lavoro vivo deve afferrare queste cose, ridestarle dal regno dei morti, trasformarle da valori d’uso soltanto possibili in valori d’uso reali ed operanti. Lambite dal fuoco del lavoro, divenute suoi organi, animate dal suo soffio ad eseguire le funzioni implicite nel loro concetto e nella loro destinazione, esse sono bensì consumate, ma per uno scopo definito, come elementi costitutivi di nuovi valori d’uso, di nuovi prodotti, capaci di entrare o nel consumo individuale come mezzi di sussistenza o in nuovi processi di lavoro come mezzi di produzione.
Se perciò i prodotti esistenti, oltre che risultati, sono condizioni di esistenza del processo lavorativo, d’altra parte la loro immissione in esso, il loro contatto col lavoro vivo, è l’unico mezzo per conservare e realizzare come valori d’uso questi prodotti del lavoro passato.
Il lavoro consuma i suoi elementi materiali, il suo oggetto e il suo mezzo; se ne nutre; quindi, è processo di consumo. Tale consumo produttivo si distingue dal consumo individuale, perché quest’ultimo divora i prodotti come mezzi di sussistenza de\Vindividuo vivente, mentre il primo li divora come mezzi di vita del lavoro, della forza lavoro in azione. Perciò il consumo individuale ha come prodotto il consumatore medesimo; il consumo produttivo ha come risultato un prodotto distinto dal consumatore.
In quanto il suo mezzo e il suo oggetto sono già essi stessi dei prodotti, il lavoro consuma prodotti per generare prodotti, utilizza prodotti come mezzi alla produzione di prodotti. Ma come, originariamente, il processo lavorativo si svolge soltanto fra l’uomo e la terra, che esiste senza il suo intervento, così in esso continuano a servire mezzi di produzione che esistono in natura, e che non rappresentano alcuna combinazione di materia naturale e lavoro umano.

Come l’abbiamo delineato nei suoi elementi semplici ed astratti, il processo lavorativo è attività finalistica diretta alla produzione di valori d’uso, appropriazione del dato naturale per i bisogni umani, condizione universale del ricambio organico fra uomo e natura, premessa naturale eterna della vita umana; è quindi indipendente da ogni forma di tale vita, comune anzi a tutte le sue forme sociali. Perciò non abbiamo avuto bisogno di presentare l’operaio nel suo rapporto con altri operai: bastavano l’uomo e il suo lavoro da un lato, la natura e i suoi materiali dall’altro. Come dal sapore del grano non si sente chi l’ha coltivato, così in questo processo non si vede in quali condizioni si svolge, se sotto la frusta brutale del guardaciurma o sotto l’occhio ansioso del capitalista; se lo compie Cincinnato nell’arare il suo paio di iugeri, o il selvaggio nell’abbattere con un sasso una fiera.
Torniamo al nostro capitalista in spe. L’avevamo lasciato dopo che aveva comprato sul mercato tutti i fattori necessari a un processo lavorativo: i fattori oggettivi, mezzi di produzione, e il fattore personale, forza lavoro. Con l’occhio scaltro di chi sa il suo mestiere, ha scelto i mezzi di produzione e le forze lavoro atti alla sua particolare occupazione: filatura, calzoleria, ecc. Il nostro capitalista si appresta quindi a consumare la merce da lui acquistata, la forza lavoro; cioè fa consumare al depositario della forza lavoro, all’operaio, i mezzi di produzione mediante il suo lavoro. La natura generale del processo lavorativo non cambia, naturalmente, per il fatto che l’operaio lo compia per il capitalista invece che per sé. Ma neppure il modo determinato in cui si fanno stivali o si fila refe può cambiare, a tutta prima, perché il capitalista vi si inserisce. Egli deve, in un primo momento, prendere la forza lavoro così come la trova sul mercato, quindi anche il suo lavoro così come si è configurato in un periodo in cui non esisteva ancora nessun capitalista.La trasformazione del modo stesso di produzione mediante soggiogamento del lavoro al capitale può avvenire solo più tardi; e quindi va considerata solo in un secondo tempo.
Ora il processo lavorativo, così come si svolge in quanto processo di consumo della forza lavoro da parte del capitalista, mostra due fenomeni peculiari.
L’operaio lavora sotto il controllo del capitalista, al quale il suo lavoro appartiene: il capitalista veglia a che il lavoro sia eseguito appuntino e i mezzi di produzione utilizzati conformemente al loro scopo; quindi, che non si sprechi materia prima e si abbia cura dello strumento di lavoro, cioè lo si logori solo quel tanto che il suo impiego nel lavoro esige.
Ma, secondo punto, il prodotto è proprietà del capitalista, non del produttore immediato, dell’operaio. Il capitalista paga, per esempio, il valore giornaliero della forza lavoro. Dunque, l’uso di questa, come di ogni altra merce, mettiamo di un cavallo noleggiato dalla mattina alla sera, gli appartiene per tutta la durata di quel giorno. Il suo uso appartiene al compratore della merce, e in realtà il possessore della forza lavoro, dando il suo lavoro, non dà che il valore d’uso da lui venduto. Dal momento che è entrato nell’officina del capitalista, è a quest’ultimo che appartiene il valore d’uso della sua forza lavoro; quindi il suo uso, cioè il lavoro. Mediante la compera della forza lavoro, il capitalista ha incorporato il lavoro stesso, come lievito vivente, nei morti elementi costitutivi del prodotto, che egualmente gli appartengono. Dal suo punto di vista, il processo lavorativo non è che il consumo della merce forza lavoro da lui acquistata, ma da lui consumabile solo a patto di aggiungerle mezzi di produzione. Il processo lavorativo è quindi un processo fra cose che il capitalista ha acquistato, fra cose che possiede in proprio. Perciò il prodotto di questo processo gli appartiene tanto quanto gli appartiene il prodotto del processo di fermentazione nella sua cantina.


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