“Ma guardate l'idrogeno tacere nel mare...”

“Ma guardate l'idrogeno tacere nel mare...”

Avvocato Atomico

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Un protone e un elettrone, nient’altro

L’idrogeno è l’elemento più semplice che esiste in natura, ed è anche quello più abbondante: la materia visibile del nostro Universo, quella che compone pianeti, stelle e galassie, è composta per il 74% da idrogeno, per il 24% da elio e per il restante 2% da tutti gli altri elementi della tavola periodica. L’idrogeno rappresenta il combustibile che alimenta le reazioni di fusione nucleare che avvengono nelle stelle, incluso il Sole, ed è molto abbondante anche sulla Terra: si trova infatti nelle molecole che compongono l’acqua, gli organismi viventi e i combustibili fossili. Se ne possono trovare tracce anche nell'aria, sebbene in quantità molto basse, inferiori ad 1 ppm (parte per milione).

La combustione dell'idrogeno, ovvero la sua reazione con l'ossigeno atmosferico, è fortemente esotermica: a parità di massa, il potere calorifico dell'idrogeno è il quadruplo di quello del carbone, e due volte e mezzo quello del gas naturale; inoltre, come sappiamo, il prodotto della reazione dell'idrogeno con l'ossigeno è l'acqua (H₂O), sotto forma di vapore. Non vengono dunque rilasciate sostanze inquinanti o climalteranti (il vapore acqueo è un gas serra, ma resta in atmosfera per poco tempo, poi il ciclo dell'acqua fa sì che si condensi e precipiti).

Per tutti questi motivi, l'utilizzo dell'idrogeno nel settore energetico è qualcosa a cui oggi l'umanità guarda con molta speranza.

Verrebbe, in effetti, da chiedersi perché questa risorsa non sia ancora stata utilizzata su larga scala: la risposta risiede nel fatto che l’idrogeno è molto instabile dal punto di vista chimico, e quindi tende naturalmente a legarsi ad altri elementi. Questo fa sì che sia praticamente impossibile trovare idrogeno puro in natura: lo si trova sempre legato ad altri atomi, con i quali forma molecole come H₂O (acqua), CH₄ (metano), C₂H₆ (etano), C₃H₈ (propano), C₄H₁₀ (butano), CH₃OH (metanolo) etc. Non esistono giacimenti di idrogeno come quelli di petrolio e gas naturale, e l'unico modo per ottenere questo elemento è quello di estrarlo dalle molecole in cui è presente, separandolo dagli altri atomi.

Esistono moltissimi processi tramite i quali si può ottenere idrogeno “rompendo” delle molecole che lo contengono, ma hanno tutti una cosa in comune: richiedono energia, e siccome la natura è stronza, questa è maggiore di quella che si può ottenere bruciando l'idrogeno così ottenuto. Chi ha studiato un minimo di termodinamica, infatti, saprà che ogni trasformazione energetica comporta delle perdite irreversibili: minore è l’efficienza della trasformazione, maggiori saranno le perdite (sì, è vero, l'energia si conserva, ma l'energia efficace, ovvero quella che posso utilizzare per compiere del lavoro, diminuisce sempre).

Per questo motivo l’idrogeno NON si può considerare fonte energetica come i combustibili fossili, l’uranio, il sole, il vento etc.: è invece un vettore energetico, ovvero un mezzo che consente di trasferire energia da un sistema A (quello dove avviene la produzione) a un sistema B (quello dove avviene la combustione).

In pratica, se ho a disposizione 1 kWh di energia, e voglio utilizzarlo per produrre idrogeno, l'energia immagazzinata nell'idrogeno sarà sempre inferiore a 1 kWh, e questo vale a prescindere dalla tecnologia utilizzata. Dopodiché, se voglio trasformare nuovamente quell’idrogeno in energia elettrica (o termica), avrò altre perdite, e se nel mezzo c’è anche l’accumulo avrò altre perdite ancora. L'entità di queste perdite dipende dai processi tecnologici utilizzati, ma non sarà mai possibile ridurle a zero.

Ad oggi, quasi tutto l’idrogeno nel mondo viene ricavato dai combustibili fossili tramite processi come lo "steam methane reforming" e la gassificazione. Nel primo si fanno reagire chimicamente ad alte temperature il metano e il vapore per poter separare l’idrogeno dal carbonio. Nel secondo, invece, si utilizza il carbone (o a volte le biomasse) per fornire il calore necessario a separare chimicamente l’idrogeno dall’ossigeno all’interno della molecola d’acqua. Alla fine si ottiene un gas “sporco”, detto syngas, che contiene al suo interno un po’ di idrogeno che può essere estratto. Questi processi richiedono ovviamente l’utilizzo di combustibili fossili, e quindi l'idrogeno prodotto in questo modo non può essere considerato “pulito” (le emissioni di CO₂ per questi processi sono anzi piuttosto alte).

Un’altra tecnologia molto conosciuta per ottenere l’idrogeno è quella dell’elettrolisi, nella quale si utilizza energia elettrica per ottenere idrogeno dall'acqua, separandolo dall'ossigeno. L’efficienza di questo processo può raggiungere valori molto alti, anche superiori all’80%, e non è necessario utilizzare combustibili fossili, se si riesce ad ottenere l’energia elettrica tramite fonti alternative. Per questo motivo si è pensato di accoppiare gli elettrolizzatori con sistemi di generazione elettrica da fonte eolica o solare, in modo da sfruttare l'eccesso di energia delle fonti rinnovabili per produrre idrogeno.

Purtroppo questa splendida idea presenta delle problematiche non da poco:

  1. La prima grossa difficoltà è legata alla ridottissima densità dell’idrogeno, che rende estremamente difficile accumulare quantità elevate di massa in un volume limitato: per dare un’idea, nelle bombole del metano di una Panda entrano all’incirca 10 kg di gas; per avere la stessa energia sotto forma di idrogeno servirebbero nove bombole delle stesse dimensioni. Potete facilmente immaginare quale sia l'entità del problema nel momento in cui la quantità di idrogeno da accumulare ammonta a diversi milioni di tonnellate. Per attenuare questo problema si può pensare di portare l'idrogeno a pressioni elevatissime, superiori a 700 atmosfere, o di liquefarlo, portandolo a centinaia di gradi sotto lo zero con un ciclo criogenico. Ma entrambi questi metodi richiedono energia, e pertanto riducono l'efficienza del processo
  2. Dopo l’accumulo, è necessario trasportare l’idrogeno, visto che l’utilizzo finale solitamente avviene in un luogo diverso da quello di produzione. Per i tragitti più lunghi, la soluzione più adatta è il trasporto di idrogeno liquido via mare, come viene già fatto per il metano: la nave per spostarsi utilizzerà energia, la quale deve essere tenuta in considerazione nell’ambito dei consumi totali del processo. In alternativa si può pensare di utilizzare dei gasdotti, ma l’idrogeno presenta delle perdite di carico molto più elevate rispetto a quelle del gas naturale (sempre a causa della bassa densità), e quindi è necessario spendere molta più energia per trasportarlo; inoltre l’attuale rete di distribuzione del gas non sarebbe adatta a trasportare idrogeno, in quanto quest’ultimo tende a “sfuggire” molto più facilmente dalle tubature, se la struttura non è stata progettata appositamente.
  3. Infine, l’ultimo passaggio prevede di trasformare nuovamente l’idrogeno in energia elettrica o in calore, a seconda dell’utilizzo che se ne deve fare, e questo comporta ulteriori perdite.

Dopo tutti questi passaggi, quanta energia ci è rimasta di quella che avevamo all'inizio?

Il rendimento globale, detto anche "power-to-power", non supera il 30%, e a volte può essere anche molto più basso. Nel caso di utilizzo di idrogeno liquido come sistema di accumulo per periodi di tempo lunghi, quali sono ad esempio quelli richiesti dallo stoccaggio stagionale delle rinnovabili, l’efficienza può scendere sotto al 10%. Si consideri che il rendimento power-to-power di una centrale di pompaggio idroelettrica è del 70-80%, e per le batterie può essere anche più alto.

Se consideriamo poi che, a monte, il rendimento di un pannello fotovoltaico è dell’ordine del 20%, ci ritroviamo in una situazione in cui riusciamo ad immagazzinare meno di un decimo dell'energia a disposizione, e se ci aggiungiamo anche le perdite dovute alla trasmissione questa percentuale scende a un ventesimo. Questo ovviamente crea dei problemi economici enormi, dal momento che tutta la filiera che abbiamo descritto sopra deve poter essere cost-effective, e l’unico modo che ha per guadagnare è la vendita energia. Già le rinnovabili basano la loro competitività sugli incentivi: se aggiungiamo a cascata un sistema di elettrolizzatori, un sistema di accumulo, un eventuale sistema di trasporto e un sistema di riconversione dell’idrogeno in energia elettrica, per ognuno dei quali abbiamo spese di costruzione, di manutenzione e di smantellamento, le cose diventano davvero proibitive – e non stiamo nemmeno considerando l'impatto ambientale della realizzazione dei sistemi sopracitati, che ovviamente richiedono materie prime ed energia.

Esistono altre tecniche per produrre idrogeno? Sì, ve ne sono diverse che non richiedono energia elettrica, ma semplicemente calore (ad esempio la pirolisi); tuttavia non sono compatibili con l'energia eolica, né tantomeno con quella fotovoltaica. Sarebbero invece estremamente compatibili con l'energia nucleare, dal momento che un reattore produce grandi quantità di calore di scarto a basse emissioni (e a costo zero). Si potrebbe dunque incrementare l’efficienza delle centrali nucleari trasformandole a tutti gli effetti in impianti di cogenerazione in grado di produrre sia energia elettrica che idrogeno, senza dover installare potenza aggiuntiva.

Dal momento che poi l'energia nucleare non necessita di sistemi di accumulo stagionali, l'idrogeno prodotto in questo modo potrebbe essere destinato a settori differenti e attualmente molto indietro nel processo di decarbonizzazione, come il trasporto pesante su gomma e il trasporto aereo.

-Luca e Fulvio

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