“Fatevi coraggio!” (Giov. 16:33)

“Fatevi coraggio!” (Giov. 16:33)

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Hermanus van Selm

Prenderemo in considerazione 2 domande. Che relazione c’è tra la pace e il coraggio? E come possiamo aiutare altri ad avere coraggio? Cominciamo leggendo Giovanni 16:33. In questo passo biblico troviamo le parole che Gesù disse ai suoi discepoli la sera prima di morire: “Vi ho detto queste cose perché mediante me abbiate pace”. E aggiunge: “Nel mondo soffrirete, ma fatevi coraggio! Io ho vinto il mondo”. Le parole chiave sono “pace” e “coraggio”. L’articolo della Torre di Guardia da cui è tratto il commento di oggi cita questo versetto e lo mette in relazione al sacrificio di riscatto. Questo articolo spiega come il riscatto sia un’espressione di coraggio. Infatti possiamo dire che il coraggio è legato al riscatto in 2 modi. Nel caso di Gesù, pagare il riscatto richiese coraggio e, nel nostro caso, accettare il riscatto ci dà coraggio. Ma prima di prendere in esame l’espressione “fatevi coraggio”, soffermiamoci un attimo sulla parola “pace”. Che cos’è questa pace che possiamo avere mediante Gesù? Si tratta di quella pace interiore, di quella serenità che sentiamo quando ci rendiamo conto di avere l’amore e l’approvazione da parte di Geova e di Gesù. E qual è la ragione per cui possiamo provare questa pace interiore? È proprio il sacrificio di riscatto di Gesù Cristo. Grazie al riscatto possiamo essere riconciliati con Dio e riavere una stretta amicizia con lui, proprio quel tipo di amicizia che aveva in mente quando ci ha creati. Cosa otteniamo quando proviamo pace? Leggiamo Giovanni 14:27. Poco prima, quella stessa sera, Gesù aveva detto ai suoi apostoli: “Vi lascio pace; vi do la mia pace [...]. Il vostro cuore non sia turbato né [notate cosa dice qui] si intimorisca”. Quindi “la pace di Dio” di cui parla Paolo, quella che riceviamo mediante Gesù, farà sì che il nostro cuore non si intimorisca. In altre parole, provare pace ci farà avere coraggio. Per spiegare il legame che c’è tra pace e coraggio, pensiamo a un fiore, un tulipano, per esempio. Un tulipano ha un bulbo e un fiore. Paragoniamo il bulbo alla pace e il fiore invece al coraggio. Proprio come un tulipano cresce dal bulbo che un giardiniere ha messo nel terreno, allo stesso modo il coraggio cresce dalla pace interiore che Geova ha messo nel nostro cuore. Senza il bulbo non c’è neanche il fiore, senza la pace interiore non c’è neanche il coraggio che viene da Dio. Quindi cosa è necessario fare per riuscire ad avere pace e coraggio? Beh, c’è un detto inglese che ci aiuta a trovare la risposta. Dice: “Una Bibbia che è ridotta male di solito appartiene a un uomo che non lo è”. Perciò dobbiamo usare la Bibbia spesso, dobbiamo studiarla, dobbiamo meditarci sopra. Più riusciremo a farlo più coraggiosi diventeremo. Ora torniamo a Giovanni 16:33, e consideriamo l’espressione contenuta nella scrittura di oggi: “Fatevi coraggio!” Che cosa significa? Farsi coraggio è sinonimo di “rincuorarsi”. La parola “coraggio” e la parola “cuore” derivano dallo stesso termine latino “cor”. Perciò “farsi coraggio” significa essere rincuorati o incoraggiati da qualcosa. Come vedete sullo schermo, nella Bibbia ci sono 5 occasioni in cui Gesù disse di farsi coraggio. Quando parlò a un uomo paralizzato, Gesù disse: “Fatti coraggio”. A una donna che aveva una perdita di sangue, Gesù disse: “Fatti coraggio”. Rivolgendosi agli apostoli spaventati che lo vedevano camminare sull’acqua, Gesù disse: “Coraggio”. Parlando agli apostoli la sera prima della sua morte, Gesù disse: “Fatevi coraggio!” Quando apparve all’apostolo Paolo, Gesù disse: “Fatti coraggio!” Se analizziamo più da vicino queste 5 occasioni, ci rendiamo conto che c’era uno schema ricorrente ogni volta che Gesù usava l’espressione “fatevi coraggio”. Lui dava sempre un motivo per cui era possibile farsi coraggio. Lo faceva ogni volta. Gesù non dava solo un comando, non si limitava a esortare le persone a cui si rivolgeva, ma dava loro un motivo per essere coraggiose. Per esempio, prendiamo Atti 23:11. Qui Gesù parla a Paolo e in questo versetto Gesù dice a Paolo: “Fatti coraggio!” E subito dopo che cosa aggiunge? Gli dà un motivo, una ragione per cui l’apostolo può ritrovare il suo coraggio. Non si limita solamente a dirgli di essere coraggioso. Nella seconda parte del versetto infatti dice: “Fatti coraggio!” Perché? “[Perché] come mi hai reso completa testimonianza a Gerusalemme, così devi rendere testimonianza anche a Roma”. Quel chiaro motivo che Gesù aggiunge alla sua esortazione avrà dato molto coraggio a Paolo. E anche nelle altre occasioni in cui Gesù dice di farsi coraggio, spiega perché è possibile riuscirci. Sullo schermo vediamo quali motivazioni dà. Leggiamole insieme. Come possiamo utilizzare anche noi lo stesso schema che utilizzava lui? Quando incoraggiamo altri dal podio o durante una conversazione, diciamo loro non solo cosa dovrebbero fare, ma anche perché dovrebbero farlo. Cerchiamo di ragionare con loro, spiegando i motivi per cui dovrebbero fare così. Cos’altro possiamo imparare dallo schema che seguiva Gesù? Quando incoraggiava altri non si limitava solo a ragionare con loro, ma cercava anche di coinvolgere i loro sentimenti. Lo possiamo vedere in 3 degli esempi che abbiamo appena menzionato. Come vediamo sullo schermo, ecco il primo esempio. In Matteo 9:2, Gesù non disse solo: “Fatti coraggio” all’uomo paralizzato, ma gli disse: “Fatti coraggio, figlio!” Che modo commovente di rivolgersi a un uomo in quella condizione! L’uomo si sarà sentito al sicuro come un bambino tra le braccia di suo padre. Certamente le parole di Gesù lo avranno fatto sentire amato. Secondo esempio. In Matteo 9:22, Gesù non disse solo: “Fatti coraggio” alla donna che aveva una perdita di sangue, ma le disse: “Fatti coraggio, figlia!” La chiama “figlia”. Che modo dolce di parlare a una donna malata! Gesù non aveva mai usato un’espressione così affettuosa per rivolgersi a una donna. Senza dubbio queste parole l’avranno fatta sentire amata. Terzo esempio. La sera prima di morire, Gesù era con gli apostoli in una stanza al piano di sopra di una casa a Gerusalemme. Ora proviamo a immaginare cosa accadde poco prima che Gesù dicesse loro “Fatevi coraggio!” Dopo aver istituito la Commemorazione, Gesù guardò gli 11 amici fedeli che erano con lui. Eccoli lì. Pietro, Gesù non poteva non volergli bene, così impulsivo, ma anche così sincero. E poi Giacomo e suo fratello minore Giovanni, una volta figli del tuono, ma tanto cambiati nel tempo, ancora zelanti, ma ora compassionevoli. E poi Andrea, uno dei suoi primi discepoli, che era rimasto sempre al suo fianco. E mentre Gesù guardava ognuno di loro, deve aver provato un profondo affetto nei loro confronti. In quel momento si deve essere sentito così vicino a loro da chiamarli in un modo in cui non li aveva mai chiamati prima. Li chiama “figli miei”. Di sicuro le parole di Gesù li avranno fatti sentire molto amati. E poco dopo disse loro: “Fatevi coraggio!” Che lezioni ci insegna Gesù in queste 3 occasioni? Quando vogliamo incoraggiare i fratelli nella congregazione, alla Betel o in qualsiasi altro posto in cui serviamo, vogliamo che percepiscano il nostro affetto e la nostra profonda e sincera amicizia. Vogliamo farli sentire amati. Quindi vorremmo ricordare 2 cose di questo discorso. Affrontiamo delle difficoltà e delle prove, ma grazie alla pace che abbiamo possiamo essere coraggiosi. E, quando incoraggiamo qualcuno, vogliamo ragionare con lui e coinvolgere i suoi sentimenti dicendogli: “Fatti coraggio amico mio, perché Geova è al nostro fianco”.

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