Famiglia Parrocchiale Maggio 2024 -pag.2

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Segreteria Parrocchia Botricello


Anche "la casa" indicata, dove essi "si trovavano tutti insieme" quando viene l'irru­zione dello Spirito (2,2), ricorda il "piano superiore" dove gli Apostoli abita­vano (1,13). A confermare questa lettura c'è anche la promessa di Gesù che riguardava gli Apostoli, e dunque sarebbe strano che il dono dello Spirito Santo si realizzasse a favore del gruppo dei centoventi che era presente alla elezione di Mattia. Destinatario dello Spirito è dunque la piccolissima comunità.

Il gruppo dei discepoli, al quale si è aggiunto Mattia (1,26) insieme a Maria e alle donne, stretto in una comunione profonda, attende nella preghie­ra il dono promesso dal Signore risorto come, al momento del suo battesimo, Ge­sù stava in preghiera prima che discendesse su di lui lo Spirito per la missio­ne (Lc 3,21-22 ). All'evangelista Luca è caro collegare il dono dello Spirito al momento preparatorio della preghiera (cf. anche Lc 11,13 ).

La descrizione dell'unità e della concordia intende richiamare alla memoria l'unanimità dell'as­semblea di Israele al momento dell'alleanza del Sinai: "Tutto il popolo rispose insieme[5] e disse: Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!" (Es 19,8 ). Luca, dunque, anticipa in questa introduzione un quadro teologicamente denso, e invita il lettore ad unirsi alla comunità apostolica ponendosi nello stesso atteggiamento di attesa e di preghiera.

4.3 I fenomeni teofanici

L'effusione dello Spirito è raccontata con un linguaggio molto particola­re, si accenna a fenomeni uditivi (v. 2) e visivi (v. 3) attraverso i quali l'even­to sembra visibilizzarsi. Il racconto fa continuamente riferimento al­l'evento del Sinai: il linguaggio usato è quello del genere della teofania: si parla di fragore, di voce, di vento e di fuoco. Appare lo sforzo di esprimere con immagini un'esperienza inesprimibile.

I fenomeni uditivi. La presenza dello Spirito si manifesta inizialmente come un rumore fortissi­mo, un "rombo" (échos) che poi, al v. 6, è chiamato "fragore" o "voce" (phoné). Il termine greco "échos" indica un rumore rimbombante, come il fra­stuono delle onde del mare (Lc 21,25 ; Sal 65,7 ) o il rumore del tuono (Sir 46,17 ) o della tromba (Es 19,16 ; Eb 12,18-19 ). Questo fragore che si produce "improvvisamente", proviene "dal cielo", come la voce di YHWH che era risuonata sul Sinai (Es 19,3 ) o che si era udita al momento del battesimo di Gesù (Lc 3,22 ), o che Pietro intese a Giaffa (At 11,9 ) o, ancora, che udì il veggente dell'Apoca­lisse (Ap 10,4.8 ). Questo rumore è poi paragonato ad un "vento gagliardo", simbolo della potenza misteriosa, vivificatrice e creatrice di Dio (Gen 1,1 ; Gv 3,8 ). L'autore precisa ulteriormente, dicendo che questo rumore "riempì tutta la casa" dove il gruppo dei discepoli con Maria e le donne era radunato. Lo Spi­rito non è ancora stato nominato, ma vengono presentati i segni annunciatori della sua presenza. Fra poco irromperà sui presenti come un avvenimento che dipende totalmente dall'iniziativa di Dio e, come Gesù aveva annunciato (Lc 24,49 ), che discende come "potenza dall'alto".

I fenomeni visivi (v. 3). Si parla dell'apparire di "lingue come di fuoco". Esse "furono viste" dai presenti nell'atto di dividersi e di po­sarsi su ciascuno di loro.

  • Nel linguaggio lucano il verbo "apparire", che è sta­to riferito agli angeli (Lc 1,11; 22,43 ; At 7,30-35 ), a Dio (At 7,2 ) o al Risorto (Lc 24,34 ; At 9,17; 26,16 ) dice che siamo di fronte alla manifestazione di una realtà soprannaturale: incomincia la descrizione dell'effusione dello Spirito Santo.
  • Le "lingue" (glôssai) fanno pensare al "dono delle lingue" che gli apostoli ri­ceveranno, come viene detto poco oltre, e portano a pensare alla connes­sione stretta che esiste tra dono dello Spirito e dono della Parola.
  • Il paragone con il "fuoco" riporta al contesto delle teofanie, ed è segno del manifestarsi del divino. Le rivelazioni di Dio sono spesso messe in relazione con l'imma­gine del fuoco, che diviene simbolo di alterità e di santità; in particolare lo è quella del Sinai (Es 19,18; 24,17 ), ma anche quella della manifestazione di Dio a Mosè nel roveto ardente, dove il fuoco arde ma non consuma (Es 3,1-6 ). Anche il Battista aveva associato lo Spirito Santo al fuoco (Lc 3,16 ).
  • Le "lingue" viste nell'atto di dividersi vanno poi a posarsi su ciascuno dei presenti. Il verbo "si posò" è formulato nel testo greco al singolare (ekáthisen), per fare meglio allusione allo Spirito; esso significa più esattamente "si stabilì". Con questa immagine il narratore vuole dire che lo Spirito santo è presenza divina, è come fuoco che purifica e che avvolge, e con la sua azione unica e singolare, prende possesso di ogni persona, si adagia per poi rimanere su ciascuno dei presenti, come lo Spirito "discese e si fermò" su Gesù al momento del suo battesimo (Gv 1,32-33 ).

4.4 La manifestazione dello Spirito Santo

Siamo giunti così al momento culminante dell'avvenimento. Nominando lo Spirito Santo due volte il narratore spiega ora apertamente quanto i segni pre­monitori avevano annunciato: "tutti" i presenti (cfr. v. 1) furono "ripieni di Spi­rito Santo". Avviene su tutti un'effusione interiore che li riempie fino a tra­boccare; Pietro infatti, nel successivo discorso dirà che Gesù, sali­to al cielo lo ha ricevuto dal Padre per "riversarlo" sui suoi discepoli (At 2,33 ). Nel tempo della promessa lo Spirito era stato donato ai profeti e ad al­cuni grandi uomini dell'Antico Testamento, poi a pochi eletti i cui nomi ven­gono ricordati dal narratore nel vangelo dell'infanzia:

Esso poi si era concentrato unicamente in pienezza sulla persona di Gesù (Lc 1,35; 3,22; 4,1.18 ). Ora questo dono rag­giunge "tutti": così il gruppo dei discepoli viene definitivamente costituito e intimamente trasformato.

Successivamente molte altre persone verranno desi­gnate nel libro degli Atti come "riempite" di Spirito Santo:

Lo Spirito resterà da ora in poi sempre all'o­pera nella Chiesa come il protagonista principale.

4.5 Il parlare in lingue

Vengono poi descritti gli effetti prodotti dall'effusione dello Spirito: il gruppo dei discepoli comincia a "parlare in altre lingue" (v. 4b).

Come comprendere questo fenomeno straordinario? Si tratta forse del dono della glossolalia, che consisterebbe in un parlare estatico, misterioso, con suoni che non corrispondono a nessun idioma dell'epoca ma estremamente comu­nicativo grazie all'emozione di chi lo parlava? Questo "parlare in lingue" è abbastanza frequente nella Chiesa primitiva, come ci testimoniano il libro de­gli Atti stesso (10,46; 19,6) e le lettere paoline (cfr 1Cor 12-14 ); nel nostro te­sto il sospetto di ubriachezza (2,13), smentito da Pietro nel suo seguente discorso (2,15), potrebbe far pensare che si tratti di questo fenomeno. Oppure il narratore intende descrivere un dono di profezia per cui il gruppo dei di­scepoli parla realmente in altre lingue e con un linguaggio, per ciascuno dei presenti, comprensibile e intelligibile.

Se leggiamo attentamente il v. 4 troviamo elementi per operare una scelta: il testo dice chiaramente che il gruppo dei discepoli incomincia a "parlare" (laleîn) in "altre" (hetérais) lingue (v. 4a). L'aggettivo "altre" (hetérais) è molto importante, perché indica che gli apostoli si mettono a parlare in lingue diverse dalla propria. Il narratore, poi, sottolinea come questo dono sia frut­to della irruzione dello Spirito: "Come lo Spirito dava loro il potere di espri­mersi (apophthéngomai)" (v. 4b). Il verbo "esprimersi", che introduce anche l'inizio del discorso di Pietro che segue questo avvenimen­to, fa sempre riferimento, in Luca, ad un parlare solenne, ispirato e com­prensibile (cfr. At 2,14; 26,25 ). Si può quindi affermare, a partire da questi dati, che il prodigio della Pentecoste consista nel dono che gli apostoli ricevono di "parlare" con le lingue stesse degli uditori: essi proclamerebbe una "parola" che, proprio perché tutti capiscono, ha una valenza universale.

Bisogna notare però che non è ancora noto il contenuto di tale messaggio.

4.6 La reazione degli abitanti di Gerusalemme

Dei fatti narrati sono testimoni "giudei osservanti" che abitavano la città di Gerusalemme e che provenivano "da ogni nazione che è sotto il cielo" (v. 5).

La qualifica di "giudei osservanti" si riferisce a circoncisi per nascita o per religione[6]; verosimilmente si erano stabiliti a Gerusalemme per vivere all'ombra del Tempio.

L'espressione "uomini osservanti" (àvdres eùlabeîs), cara all'e­vangelista Luca, rende l'idea della loro religiosità fatta essenzialmente di timore di Dio e di osservanza scrupolosa e amorevole della Legge di Mosè[7]. Essi, pur provenendo da nazioni pagane ("tut­te le nazioni che sono sotto il cielo"), hanno sempre mantenuto la loro iden­tità giudaica ed appartengono a pieno titolo al popolo d'Israele.

Il "fragore" della discesa dello Spirito che ha "riem­pito tutta la casa" (v. 2) dove abitava il gruppo apostolico, viene percepito an­che all'esterno: la "moltitudine" dei giudei si raduna, eccitata e confusa. Il narratore riferisce le loro reazioni e sottolinea con insistenza la loro sor­presa per i discorsi degli apostoli. I termini che parlano di stupore e di meraviglia si accavallano l'uno all'altro:

  • la moltitudine è pre­sentata al v. 6 come "stupefatta", in piena confusione (sunechùthe) perché "ciascuno li udiva parlare la propria lingua";
  • al v. 7 si ripete che essi era­no "stupiti" e "meravigliati";
  • ancora, al v. 12, dopo l'enumerazione dei po­poli rappresentati nell'uditorio, si afferma che "tutti erano stupiti e perplessi".

La meraviglia si traduce in escla­mazioni: si formulano una serie di domande che riguardano il prodigio del parlare in lingue:

  • viene sottolineata dapprima la stranezza del fenomeno, per il fatto che il gruppo apostolico è formato da Galilei (v. 7);
  • si domandano poi come mai i presen­ti li sentano parlare nella lingua del loro paese di provenienza (v. 8);
  • successiva­mente le loro parole si precisano ulteriormente in relazione al contenuto di quanto dicono: "Li udiamo parlare nelle no­stre lingue delle grandi opere di Dio" (v. 11).

Il narra­tore sottolinea che lo Spirito rende capaci i discepoli di parlare nel­le lingue delle diverse nazioni alle quali appartenevano gli Ebrei pii che ascoltavano.

4.7 Il contenuto del parlare in lingue

Lo stupore dei presenti non riguarda solo il fenomeno del parlare in lingue straniere, ma anche e soprattutto, l'annuncio sorprendente che viene loro ri­volto. Il gruppo apostolico, parlando nella lingua stessa degli uditori, proclama con forza e con parole persuasive, intelligibili e comprensibili a tutti "le gran­di opere di Dio" (tà megaleîa toû Theoû, v. 11). Il contenuto della predicazione apostolica è ora formulato apertamente e condensato in questa ricca espressione, in cui Dio, il Padre di Gesù, è al centro della lode[8] (cfr. anche Rm 15,9 ).

Si tratta di un parlare estatico, pieno di gioia, che assomiglia alla proclamazione di un cantico che tutti compren­dono: lo Spirito, riempiendo i loro cuo­ri, li fa traboccare di ammirazione e di riconoscenza verso Dio, li tra­volge e li fa parlare!

Pietro, nel successivo discorso profetico che lo Spirito gli farà proclamare (2,14-36) espliciterà il senso delle "grandi opere di Dio" di cui i presenti sono testimoni.

4.8 La lista dei popoli

La lista dei popoli e delle regioni elencate (vv. 9-11), pur non essendo esaustiva di tutto il mondo allora conosciuto, è stata inserita dal narratore con un chiaro significato universalistico: tali popoli rappresentano la pienezza d'Israele, ora simbo­licamente radunato, in accordo con le profezie dell'Antico Testamento (cfr. Ez 36,24.28.33 ). Questa promessa, che sembrava già essersi realizzata quando Israele giunse al Sinai (cfr. Dt 1,10; 10,22 ) ha invece ora il suo vero compimento, perché tutta questa moltitudine, proveniente "da tutte le nazioni che sono sotto il cielo", è rappresentativa di tutti i popoli pagani, ai quali gli apostoli porteranno la loro testimonianza.

La lista dei popoli intende affermare che non solo lì c'è l'inte­ro Israele, primo destinatario del prodigio dell'effusione del­lo Spirito Santo, ma anche che esso farà da legame tra Gerusalemme e il resto del mondo. Nella moltitudine radunatasi a Pentecoste si intravede tutta l'umanità.

4.9 Le reazioni negative

La narrazione dell'evento di Pentecoste termina riportando anche rea­zioni opposte, di chiusura e di perplessità, e il parlare in lingue viene letto come espressione di ubriachezza (v. 2,13b). Tale reazione esprime quell'esperienza di rifiuto e di derisione che la Chie­sa subirà anche più avanti al proclamare la notizia straordinaria del crocifisso risorto (At 17,32; 26,24 ).

Per arrivare da queste prime reazioni alla con­versione sono necessari però, due ulteriori passi:

  • l'accedere al signi­ficato profondo dell'evento;
  • l'aderirvi con una risposta personale.

Sarà proprio la parola annunciata da Pietro nel prosieguo del capitolo a condurre a questa meta.

5.Nella Liturgia

🔍 Per approfondire, vedi la voce Pentecoste (solennità)

La Chiesa celebra ogni anno la solennità di Pentecoste, cinquanta giorni dopo la Pasqua.

Con questa solennità si chiude il Tempo di Pasqua e inizia la seconda parte del Tempo Ordinario.


Note

Bibliografia

Voci correlate

da Cathopedia, l'enciclopedia cattolica


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don Rosario Morrone

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