Donne, matrimonio e questione sessuale

Donne, matrimonio e questione sessuale

Parte IV

Alla mia domanda sulla situazione nella Russia sovietica circa questo problema Lenin rispose: «Il governo della dittatura del proletariato, insieme con il partito comunista e i sindacati, non lascia naturalmente nulla di intentato nello sforzo di eliminare lʼarretratezza degli uomini e delle donne, di distruggere la vecchia mentalità non comunista. La legge naturalmente stabilisce la completa parità di diritti tra uomini e donne. E il sincero desiderio di tradurla in atto esiste ovunque. Noi inseriamo la donna nellʼeconomia sociale, nel potere legislativo e nel governo. Le apriamo le porte dei nostri istituti educativi perché possa accrescere la sua capacità professionale e sociale. Creiamo cucine comunali e mense, lavanderie, laboratori, nidi e giardini dʼinfanzia, case per bambini, istituti educativi dʼogni specie.

In breve, stiamo seriamente attuando il nostro programma di trasferire alla società le funzioni educative ed economiche del nucleo familiare. Questo significa per la donna la liberazione dalla vecchia fatica massacrante della casa e dallo stato di soggezione allʼuomo. Le permetterà di sviluppare in pieno il suo ingegno e le sue inclinazioni. I bambini vengono allevati meglio che a casa loro. Per le lavoratrici abbiamo le leggi protettive più avanzate del mondo, e i dirigenti delle organizzazioni sindacali le traducono in pratica. Stiamo costruendo istituti di maternità, case per donne e bambini, cliniche per donne; organizziamo corsi di puericultura e mostre per insegnare alle donne a prender cura di se stesse e dei propri bambini, eccetera; facciamo seri sforzi per provvedere alle donne disoccupate e senza appoggio.

Ci rendiamo perfettamente conto che tutto questo è insufficiente di fronte ai bisogni delle lavoratrici, è insufficiente di fronte alle condizioni esistenti nella Russia capitalista e zarista. Ma è già molto in paragone ai Paesi dove impera ancora il capitalismo. È un buon inizio nella giusta direzione e in questa direzione continueremo a procedere con tutta la nostra energia, sii certa. Ogni giorno di esistenza dello Stato sovietico dimostra infatti che non possiamo andare avanti senza le donne. Pensa cosa significhi in un Paese in cui i contadini sono circa lʼ80 per cento della popolazione! Piccola economia contadina significa piccoli nuclei familiari separati, con le donne incatenate a questo sistema. Per voi, da questo punto di vista, il compito sarà più facile e meglio realizzabile, a condizione che le vostre donne proletarie sappiano cogliere il momento storico obiettivo per prendere il potere, per la rivoluzione. Noi non disperiamo. La nostra forza cresce con le difficoltà. La forza delle cose ci spingerà a cercare nuove misure per liberare le masse femminili. La cooperazione in regime sovietico, farà molto. Cooperazione nel senso comunista e non borghese, naturalmente, non come la predicano i riformisti, il cui entusiasmo tuttʼaltro che rivoluzionario non è che un fuoco di paglia. Lʼiniziativa individuale deve procedere di pari passo con ila cooperazione, la quale deve crescere e fondersi con lʼattività delle comuni. Sotto la dittatura del proletariato la liberazione della donna si realizzerà attraverso lo sviluppo del comunismo anche nei villaggi. Ho grandi speranze sulla elettrificazione dellʼindustria e dellʼagricoltura. Un lavoro immenso! E le difficoltà per tradurlo in pratica sono grandi, immense! Per compierlo bisogna ridestare le energie delle masse. E le energie di milioni di donne ci aiuteranno».

Negli ultimi dieci minuti avevano bussato due volte alla porta, ma Lenin aveva continuato a parlare. A questo punto aprì la porta dicendo: «Vengo subito». Poi, rivolta a me, soggiunse ridendo: «Sai, Clara, mi giustificherò spiegando che ero con una donna. Mi scuserò del ritardo alludendo alla nota volubilità femminile. Infatti questa volta è stato lʼuomo e non la donna a parlare tanto. Posso, del resto, testimoniare che sai ascoltare con serietà. Forse è questo che ha stimolato la mia eloquenza». Così scherzando mi aiutò a infilare il soprabito: «Devi vestirti più pesante – disse seriamente – Mosca non è Stoccarda. Devi avere cura di te. Non prendere freddo. Auf Wiedersehen!». Mi strinse cordialmente la mano.

Due settimane dopo ebbi con Lenin un altro colloquio sul movimento femminile. Lenin era venuto a trovarmi. Come al solito la sua visita fu inattesa, fu una sosta improvvisa nel mezzo del lavoro schiacciante che doveva poi abbattere il capo della rivoluzione vittoriosa. Lenin appariva molto stanco e preoccupato. La sconfitta di Vrangelʼ non era ancora sicura e il problema di rifornire le grandi città si ergeva di fronte al governo sovietico come una sfinge inesorabile. Lenin si informò sulle direttive o tesi. Gli dissi che tutte le compagne dirigenti che si trovavano a Mosca si erano riunite e avevano esposto le loro opinioni. Le loro proposte venivano ora esaminate da una commissione ridotta. Lenin si raccomandò di non dimenticare che il III Congresso mondiale avrebbe trattato la questione con tutta lʼattenzione necessaria. «Questo solo fatto avrà ragione di molti pregiudizi delle compagne. Per il resto le compagne debbono mettersi al lavoro e lavorar sodo. Non mormorando a fior di labbra come vecchie zie, ma parlando ad alta voce, chiaramente, da combattenti – esclamò Lenin con foga. – Un congresso non è un salotto dove le donne scintillano con la loro grazia, come dicono i romanzi. È lʼarena dove impariamo ad agire da rivoluzionari. Dimostrate di saper lottare. Prima di tutto contro il nemico, naturalmente, ma, se è necessario, anche in seno al partito. Abbiamo a che fare con milioni di donne. Il nostro partito russo sarà favorevole, a tutte le proposte e misure che contribuiranno ad attirarle nel nostro movimento. Se non sono con noi, la controrivoluzione potrebbe condurle contro di noi. Dobbiamo sempre pensare a questo. Dobbiamo conquistare le masse femminili quali che siano le difficoltà».

Qui, nel mezzo della rivoluzione, in quel rigoglio di attività, in quel rapido e forte ritmo di vita, avevo elaborato un piano dʼazione internazionale tra le masse delle lavoratrici.

«Lʼidea mi è stata data dai vostri grandiosi congressi e riunioni di donne senza partito. Trasporteremo questʼidea dal piano nazionale a quello internazionale. È innegabile che la guerra mondiale e le sue conseguenze hanno colpito profondamente tutte le donne dei vari ceti e classi sociali. Esse hanno vissuto un periodo di fermento e di attività. Il problema che le assilla oggi è di conservarsi in vita. Come vivere? La maggior parte di esse non aveva mai pensato che si potesse giungere a questo punto e solo poche hanno compreso il perché. La società borghese non può dare una risposta soddisfacente a questi problemi. Solo il comunismo può farlo. Dobbiamo portare le donne dei Paesi capitalisti a comprendere questo fatto e per questo appunto organizzeremo un congresso internazionale delle donne senza distinzione di partito».

Lenin non rispose subito. Con lo sguardo fisso, profondamente assorto, le labbra compresse, il labbro inferiore leggermente sporgente, pesava la mia proposta. Poi disse:

«Sì, dobbiamo farlo. È un buon piano. Ma i buoni piani, anche i migliori, non valgono nulla se non sono attuati bene. Hai pensato come attuarlo? Qual è il tuo punto di vista sulla questione?».

Esposi a Lenin i particolari. Per prima cosa si doveva costituire un comitato di compagne dei vari Paesi che avrebbe dovuto mantenere stretti contatti con le sezioni nazionali e preparare, elaborare, indire il congresso. Rimaneva da decidere se per ragioni di opportunità il comitato avrebbe cominciato a lavorare subito ufficialmente e pubblicamente. Comunque, i suoi membri per prima cosa dovevano mettersi in contatto con le dirigenti dei movimenti sindacali e politici, delle organizzazioni borghesi femminili dʼogni specie (dottoresse, giornaliste, insegnanti, ecc., incluse) e costituire in ogni Paese un comitato nazionale organizzativo apartitico.

Il comitato internazionale, composto da membri dei comitati nazionali, avrebbe stabilito il tempo, il luogo e il programma dei lavori del congresso.

Il congresso, secondo me, avrebbe dovuto per prima cosa trattare il diritto delle donne al lavoro professionale. In questo punto si sarebbero inserite le questioni della disoccupazione, dellʼeguale salario per eguale lavoro, della giornata legale di otto ore, della legislazione protettiva della donna, del sindacato e delle organizzazioni professionali, delle previdenze sociali per la madre e il bambino, delle istituzioni sociali per aiutare la donna di casa e la madre, ecc. Lʼordine del giorno avrebbe dovuto includere il seguente tema: “La situazione della donna nel diritto matrimoniale e familiare e nel diritto pubblico politico”. Una volta elaborate queste proposte, suggerivo che i comitati nazionali conducessero tra le donne attive e lavoratrici di tutti gli strati sociali una campagna sistematica, a mezzo della stampa e dei comizi, per preparare il congresso e assicurargli la presenza e la cooperazione delle rappresentanti di tutte le organizzazioni con le quali si erano presi contatti e anche delle delegazioni di pubblici comizi di donne.

Il congresso avrebbe dovuto essere una “rappresentanza del popolo”, ma ben diversa dal parlamento.

Naturalmente le donne comuniste dovevano essere non soltanto la forza motrice ma anche la forza direttiva del lavoro di preparazione, nelle attività del comitato internazionale e nel congresso stesso e, infine, nellʼapplicazione delle decisioni. Al congresso si dovevano presentare, su tutti i punti allʼordine del giorno, tesi e risoluzioni comuniste informate a principi unici e basate sullʼesame scientifico delle condizioni esistenti. Queste tesi sarebbero state poi discusse ed approvate dallʼEsecutivo dellʼInternazionale. Parole dʼordine comuniste e proposte comuniste dovevano essere al centro dei lavori del congresso, richiamando lʼattenzione generale. Dopo il congresso queste stesse parole dʼordine sarebbero state diffuse tra le più vaste masse femminili per stimolare unʼazione internazionale di massa da parte delle donne.

La condizione indispensabile per svolgere un buon lavoro nei comitati e al congresso era, per le donne comuniste, di mantenersi saldamente unite, di lavorare collettivamente e sistematicamente su principi chiari e ben determinati. Nessuna comunista doveva uscire dalla linea tracciata. Mentre parlavo Lenin approvava con cenni del capo o pronunciava brevi commenti di consenso.

«Mi pare, cara compagna – egli disse – che hai studiato molto bene lʼaspetto politico della faccenda e anche i problemi organizzativi fondamentali. Sono fermamente convinto che in questo momento un simile congresso possa svolgere un lavoro molto importante. Può conquistare alla nostra causa larghe masse di donne: masse di professioniste, di lavoratrici dellʼindustria, di massaie, di insegnanti e altre ancora. Bene, molto bene. Pensa: in caso di gravi dissensi tra i gruppi industriali o di scioperi politici, quale aumento di forza rappresenta per il proletariato rivoluzionario lʼapporto di donne che si ribellano coscientemente! Naturalmente tutto ciò avverrà se sapremo attrarle e mantenerle nel nostro movimento.

Il vantaggio sarà grande, immenso. Ma ci sono alcune questioni. È verosimile che le autorità governative non vedranno di buon occhio i lavori del congresso, che tenteranno di impedirlo. Non credo che cercheranno di soffocarlo con mezzi brutali. Quel che faranno non ti dovrà spaventare. Ma non temete che nei comitati e nel congresso le comuniste si faranno controllare dalla maggioranza numerica degli elementi borghesi e riformisti e dalla forza innegabile della loro routine? E finalmente e soprattutto hai realmente fiducia nella preparazione marxista delle nostre compagne a tal punto da farne un plotone dʼassalto che uscirà dalla lotta con onore?».

Risposi che indubbiamente le autorità non avrebbero fatto ricorso alla violenza contro il congresso. Espedienti e misure brutali avrebbero solo servito a far propaganda per il congresso stesso. Il numero e il peso degli elementi non comunisti sarebbe stato affrontato da noi comuniste con la forza superiore che ci derivava da una comprensione e da una delucidazione scientifica dei problemi sociali alla luce del materialismo storico, dalla coerenza delle nostre rivendicazioni e proposte e, infine, ultimo ma non meno importante, dalla vittoria della rivoluzione proletaria in Russia e dalla sua azione dʼavanguardia per la liberazione della donna. Le debolezze e le deficienze delle singole compagne per quanto riguardava la loro educazione e la loro capacità di comprendere le situazioni, potevano essere superate con il lavoro collettivo e la preparazione sistematica.

Mi attendo molto dalle compagne russe che dovranno essere il centro dʼacciaio della nostra falange. Con esse oserei assai più che lotte congressuali. Inoltre, anche se fossimo state battute dal voto, la nostra stessa lotta avrebbe spinto il comunismo in primo piano, con un eccellente risultato propagandistico e avrebbe servito a creare nuovi legami per il nostro lavoro futuro.

Lenin rise di cuore: «Sempre lo stesso entusiasmo per le donne rivoluzionarie russe! Sì, sì, il vecchio amore non è ancora spento. E credo che hai ragione. Anche la sconfitta dopo una buona lotta segnerebbe un vantaggio e una preparazione a successi futuri tra le lavoratrici, tutto considerato, vale la pena di rischiare. Tuttavia, naturalmente, io spero con tutto il cuore nella vittoria. Sarebbe un importante contributo di forze, un grande sviluppo e rafforzamento del nostro fronte, apporterebbe nuova vita, movimento e attività nelle nostro file. E ciò è sempre utile. Inoltre il congresso provocherebbe e accrescerebbe lʼinquietudine, le incertezze, le ostilità e gli urti nel campo della borghesia e dei suoi amici riformisti. Immagina i tipi che sʼincontreranno con le “iene della rivoluzione” e – se tutto andrà bene – dovranno porsi sotto la loro guida: placide e bennate socialdemocratiche del campo di Scheidemann, Dittmann e Legien, pie cristiane benedette dal papa o ligie al verbo di Lutero, figlie di consiglieri privati, consigliere governative appena sfornate, pacifiste inglesi di illustre casato e femministe francesi. Che quadro del caos e della decadenza della borghesia offrirà questo congresso! Che riflesso della sua futilità e nullità! Un simile congresso accelererà la disintegrazione delle forze controrivoluzionarie e perciò le indebolirà. Ogni indebolimento delle forze del nemico rappresenta al tempo stesso un rafforzamento del nostro potere. Approvo il congresso. Parlane con Grigorij¹. Comprenderà bene l'importanza della questione. Noi la sosterremo con forza. Cominciate, dunque, e buona fortuna nella lotta».

Continuammo a parlare della situazione in Germania, in particolare del prossimo “Congresso di unità” tra i vecchi Spartachisti² e l'ala sinistra degli Indipendenti³. Poi Lenin si allontanò in fretta, salutando alcuni compagni che scrivevano in una stanza in cui doveva passare.

Anche il compagno Zinoviev approvò il mio piano. Mi misi al lavoro di preparazione con speranza.

Disgraziatamente il congresso andò a monte a causa dellʼatteggiamento delle compagne tedesche e bulgare che a quel tempo costituivano il miglior movimento femminile comunista al di fuori della Russia. Esse respinsero la proposta di organizzare il congresso. Quando lo dissi a Lenin, esclamò: «Peccato, un vero peccato! Le compagne si sono lasciate sfuggire una brillante occasione di aprire uno spiraglio di speranza alle masse lavoratrici e di portarle nella lotta rivoluzionaria della classe operaia. Chi sa quando si ripresenterà unʼoccasione cosi favorevole? Bisogna battere il ferro mentre è caldo. Il compito resta. Bisogna trovare il modo di raggiungere le donne che il capitalismo ha gettato nella miseria più spaventosa. Non ci si può sottrarre a questa necessità. Senza unʼattività organizzata di massa sotto la direzione dei comunisti non ci può essere vittoria sul capitalismo né edificazione del comunismo. Ecco perché le donne finiranno col ribellarsi».




  1. Zinovʼev.
  2. La Lega di Spartaco, fondata da Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, precursore del Partito Comunista.
  3. Partito Socialdemocratico Indipendente di Germania.


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