Dialettica e Critica della Sovranità

Dialettica e Critica della Sovranità


Carlo Galli, 7 Dicembre 1950 -

Anche il pensiero dialettico pone con Hegel la sovranità al proprio centro (Filosofia del diritto, 1821), pur pensandola in un modo nuovo, cioè sviluppandone le interne contraddizioni. Per Hegel la sua ultima manifestazione – la Rivoluzione francese, che è il vero motore del suo pensiero –, è una delusione; la pretesa, in sé giusta, di portare negli affari del mondo la ragione, la morale, la libertà, di spazzare via gli arcana dalla politica e di fare di questa il prodotto cosciente dell’umanità, è culminata con il Terrore, che ha tolto via, come inessenziali, proprio i soggetti che doveva potenziare: i cittadini.

La sovranità moderna per Hegel non è un peccato contro Dio e contro la Natura, come vogliono i reazionari. Solo, non può essere spiegata con la finzione di individui isolati che nello stato di natura stipulino un patto per costruire uno Stato che sia mediazione e tutela del loro utile privato: che paghino l’esistenza politica con una meccanica alienazione della propria libertà. La sovranità è una realtà storica, non pattizia; non è l’anima di una macchina, come per Hobbes, ma è la mediazione efficace che riconduce le parti alla totalità del corpo stesso, che le precede. Affermare che la sovranità non è unilateralità individualistica ma mediazione – non tanto dei singoli individui, quanto dell’intera società in se stessa –, significa che la sovranità è il modo d’esistenza reale di un corpo politico storico, attraversato da contraddizioni – la società civile, le soggettività moderne all’opera – che sono riportate a unità dal corpo politico stesso; ovvero che lo Stato sovrano, che è potere e sapere al contempo, può salvare l’individuo moderno dal destino a cui è soggetto, cioè di essere annientato nell’immediatezza uniforme del Terrore, o di qualche altra macchinazione. La sovranità è legge e potere ma anche libertà.

Insomma, per Hegel, la sovranità, «l’idealità di ogni potestà particolare», è il punto di vista logico e al tempo stesso reale che consente di pensare (e di conferirgli un senso, una proiezione) il potere politico articolato in libere istituzioni e in liberi soggetti individuali. È nella storia moderna – la storia del soggetto libero che esce allo scoperto sulla scena del mondo – che si danno le condizioni perché la mediazione sovrana sia possibile: e sono condizioni teologico-politiche. Ovvero, è il cristianesimo protestante – che attua la mediazione tra finito e infinito nel cuore del singolo soggetto – la forza che prepara la mediazione fra le parti della società e lo Stato, in un tempo che è non il tempo vuoto dell’attesa del regno di Cristo ma è il tempo della pienezza, della realizzazione mondana dell’«Idea etica», dell’idea, cioè, di una vita piena, fondata, complessa. Lo Stato non è il luogotenente di Dio, ma è «l’ingresso di Dio nel mondo»: è un Dio relazionale, che perde la trascendenza e diventa spirito oggettivo, realtà pratica consapevole di quelle relazioni interumane che sono il diritto e l’economia. Prima delle parti, dei singoli, ci sono i loro rapporti concreti, storici. Lo Stato di Hegel è il moderno Stato costituzionale, pensato con logiche non individualistiche; e la nozione di sovranità è la chiave di tale pensiero.

In questa interpretazione teologico-politica della sovranità il soggetto non si crede l’origine dello Stato, pur essendone l’indispensabile articolazione. Ma lo Stato sovrano, d’altra parte, è affacciato sulla contingenza storica, e la sua essenza di mediazione culmina quindi nell’immediatezza della decisione presa dal vertice politico, il «potere del principe», in cui la anomia della sovranità, quindi, si riaffaccia. La vera mediazione di tutte le mediazioni non si può realizzare nella concretezza storica dello Spirito oggettivo, nella politica, ma solo nello Spirito assoluto, nella filosofia: questo è il realismo dell’idealista Hegel.

Un realismo eccessivo, per Marx (La questione ebraica, 1843; Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione, 1843), il quale nella sovranità hegeliana vede la duplicazione dello status quo, un raddoppiamento della realtà che la giustifica, senza criticarla; e, quindi, una mediazione che è una immediatezza. Che sia generata dal contratto (come nel razionalismo) o dall’Idea che entra nella storia (come in Hegel), la sovranità è per Marx un’alienazione politica, la trasformazione dell’uomo in cittadino, che nasce da un’altra alienazione, la reificazione dell’uomo all’interno dei processi produttivi. È quindi un universale che cela un particolare, una conciliazione che cela una contraddizione non mediabile: quella fra capitale e lavoro. La sovranità dimostra con la sua stessa esistenza che la società moderna, borghese, è carica di una politicità intensissima, lacerante, e che non può esistere senza ipostatizzarla in un principio di forma e di volontà comune. La violenza legittima che appartiene alla sovranità è la manifestazione di una violenza illegittima che percorre tutta la società: la violenza del capitale. Spoliticizzare la società e concentrarne la politicità nelle istituzioni sovrane è una pretesa impossibile e contraddittoria, che non potrà mai pacificare e stabilizzare veramente la società.

A tale fine è necessaria la rivoluzione, contro Dio e contro lo Stato (cioè contro le forme storiche della duplicazione religiosa e politica dei rapporti di potere reali), naturalmente, ma anche e soprattutto contro (e dentro) il capitale. Con Marx la sovranità si conferma il luogo in cui convergono tutti i problemi politico-sociali, e in cui la politica si dichiara apertamente una teologia politica; e si conferma abitata da una anomia invincibile. Ma si afferma anche che quei problemi non possono trovare soluzione entro una nuova configurazione della sovranità ma che anzi, per essere risolti, richiedono, insieme alla trasformazione dei rapporti di produzione, la distruzione e il superamento della sovranità, il suo abbattimento reale. Anche per Marx, quindi, la sovranità è un destino politico concreto; tuttavia, è un destino che ha il destino di scomparire – ma nel passato (e anche nel presente) proprio il comunismo al potere si è ritenuto legittimato a praticare pienamente, benché in via almeno formalmente transitoria, le logiche della sovranità –.


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