Dai mainframe all'IA Libera: lotta per l'autonomia digitale
Etica e digitale per l'emancipazione individuale: tra resistenza e rinnovamento.
Dal timesharing all'IA libera: una battaglia per l'autonomia collettiva
Il paradosso della tecnologia contemporanea
Viviamo in un'epoca ricca di straordinarie contraddizioni. Da un lato, mai come oggi abbiamo avuto a disposizione strumenti tecnologici così potenti per democratizzare la conoscenza e ampliare le possibilità umane. Dall'altro, questi stessi strumenti rischiano di trasformarsi in dispositivi di controllo senza precedenti, capaci di erodere progressivamente gli spazi di libertà e autonomia che ancora ci rimangono.
Questo paradosso non è nuovo. Affonda le radici nelle origini stesse dell'informatica moderna, quando i suoi pionieri immaginavano i computer non come semplici macchine di calcolo, ma come strumenti per "aumentare" l'intelligenza umana, per potenziare le nostre capacità collettive.
Oggi, mentre Apple minaccia il monopolio di Google integrando modelli di intelligenza artificiale chiusi nel suo browser Safari, e mentre la comunità Debian si interroga sull’opportunità di includere grandi modelli linguistici nei suoi repository, assistiamo a una riproposizione della stessa domanda fondamentale: la tecnologia deve servire a liberare o a dominare?
Questo saggio si propone di tracciare una linea di continuità storica e filosofica tra le prime comunità hacker, che vedevano nel timesharing una forma di condivisione rivoluzionaria, e i nuovi movimenti che lottano per un’intelligenza artificiale etica e open-source. Attraverso l’analisi di due recenti fatti di cronaca – il crollo in Borsa di Alphabet e il dibattito etico all’interno di Debian – dimostreremo come l’etica hacker rappresenti ancora oggi l’unico vero antidoto alla deriva disumanizzante delle tecnologie digitali.
L'utopia originaria: timesharing ed etica hacker
Per comprendere la posta in gioco contemporanea, dobbiamo tornare agli anni Sessanta e Settanta, quando il timesharing - la condivisione delle risorse computazionali tra più utenti - rappresentava molto più di una semplice soluzione tecnica. Era l'espressione di una visione del mondo, di un'idea di società in cui la tecnologia poteva essere strumento di emancipazione collettiva.
Figure come come Lee Felsenstein, Douglas Engelbart e J.C.R. Licklider vedevano i computer come strumenti per potenziare l'intelligenza umana, non per sostituirla. Gli hacker del MIT, con la loro etica basata sulla condivisione libera del codice e sulla resistenza ai monopoli tecnologici (all'epoca rappresentati soprattutto da IBM), gettavano le basi per quella che sarebbe diventata la cultura del software libero.
Questa visione trovò la sua massima espressione nel movimento di Richard Stallman, che negli anni Ottanta formalizzò i principi del free software: trasparenza, collaborazione e condivisione. Eppure, come spesso accade alle utopie, anche questa è stata più volte tradita. L'avvento del capitalismo delle piattaforme ha progressivamente stravolto i principi originari, trasformando strumenti nati per emancipare in dispositivi di controllo e profitto.
La grande frattura: dall'emancipazione al controllo
La transizione dai mainframe condivisi ai cloud proprietari, rappresenta forse la metafora più efficace di questa deriva. Dove una volta esisteva una comunità di utenti che condividevano risorse computazionali in modo paritario, oggi troviamo pochi giganti tecnologici - Google, Amazon, Microsoft - che controllano infrastrutture essenziali per la vita digitale.
L'intelligenza artificiale, che avrebbe potuto rappresentare l'erede naturale di quella tradizione emancipativa, è diventata invece il campo di battaglia per nuove forme di monopolio. Il recente crollo in Borsa di Alphabet (la holding di Google) in seguito alla notizia che Apple potrebbe integrare modelli di OpenAI e Anthropic in Safari, è particolarmente significativo. Non si tratta semplicemente di una competizione tra colossi tecnologici, ma di un sintomo di una verità più profonda: l'IA è diventata lo strumento attraverso cui si ridefiniscono i rapporti di potere nel digitale.
Parallelamente, il dibattito in corso nella comunità Debian sull'opportunità di includere grandi modelli linguistici nei suoi repository ufficiali rappresenta un momento cruciale per il futuro dell'etica digitale. La posta in gioco non è tecnica, ma filosofica: accettare modelli opachi, anche se formalmente open-source, significherebbe svendere i principi del software libero sull'altare del progresso tecnologico a ogni costo.
La resistenza contemporanea: nuovi movimenti per un'etica digitale
In questo scenario apparentemente dominato dai giganti tecnologici, sta però emergendo una nuova ondata di resistenza. Movimenti come quello per l'IA open-source (EleutherAI, Mistral, e altri) stanno dimostrando che alternative concrete esistono.
La continuità con l'etica hacker originaria è evidente in almeno tre dimensioni. Innanzitutto, nella difesa della trasparenza: così come gli hacker degli anni Settanta insistevano sulla necessità di accedere al codice sorgente, oggi i nuovi movimenti chiedono che i modelli di IA siano completamente spiegabili e verificabili.
In secondo luogo, nella promozione di modelli decentralizzati: progetti come IPFS (InterPlanetary File System) un protocollo peer-to-peer per l'archiviazione distribuita o il Fediverso per i social network stanno riproponendo, in forme nuove, quello spirito comunitario che animava le prime reti di timesharing.
Infine, e forse più importante, nella concezione pedagogica della tecnologia. Insegnare a usare l'intelligenza artificiale non significa semplicemente addestrare all'utilizzo di strumenti, ma sviluppare una capacità critica che permetta di interrogarsi sulle implicazioni sociali, politiche ed etiche di queste tecnologie.
Verso un nuovo umanesimo digitale
Il percorso che abbiamo tracciato suggerisce che ci troviamo a un bivio. Da un lato, la strada dell'accettazione passiva di tecnologie sempre più invasive e opache. Dall'altro, la possibilità di riprendere il filo di un'altra tradizione, quella che vede nella tecnologia uno strumento di emancipazione individuale e collettiva.
Le proposte concrete non mancano. A livello educativo, sarebbe necessario introdurre corsi che vadano oltre la semplice alfabetizzazione tecnologica, insegnando a decostruire criticamente le tecnologie che usiamo ogni giorno. A livello tecnico, occorre sostenere lo sviluppo di alternative realmente open-source ai modelli proprietari. A livello politico, è urgente una riflessione su come regolamentare il settore senza soffocarne l'innovazione.
Ma forse, più di tutto, serve recuperare quello spirito comunitario che animava i pionieri del timesharing. Perché se è vero che oggi combattiamo contro avversari diversi (non più IBM, ma OpenAI e Google), la posta in gioco rimane la stessa: decidere se il digitale sarà uno spazio di libertà o di controllo, di autonomia o di dipendenza.
In questo senso, il lavoro di tanti sviluppatori, educatori e ricercatori impegnati su questo fronte rappresenta non solo una forma di resistenza, ma anche la possibilità concreta di un rinnovamento. Perché come dimostra la storia delle tecnologie digitali, le alternative esistono sempre. Bisogna solo avere il coraggio di costruirle.
Bibliografia essenziale
- Engelbart, D. (1962), "Aumentare l’intelletto umano: un quadro concettuale", in "Il futuro dell’informatica" (a cura di P. Galluzzi), Meltemi, 2022.
- Licklider, J.C.R. (1960), "Man-Computer Symbiosis", in "Interazioni uomo-macchina", Franco Angeli, 2021.
- Levy, S. (1984), "Hackers: Gli eroi della rivoluzione informatica", Shake Edizioni, 2002.
- Raymond, E.S. (1999), "La cattedrale e il bazaar", Apogeo, 2001.
- Stallman, R. (2002). Free Software, Free Society, GNU Press.
- Zuboff, S. (2019), "Il capitalismo della sorveglianza", LUISS University Press, 2020.
- Pasquinelli, M. (2023), "Come impara (e fallisce) una macchina: grammatica dell’errore nell’intelligenza artificiale", Nero Editions, 2023.
- Coleman, G. (2012), "Coding Freedom. L’etica e l’estetica dell’hacking", Meltemi, 2015.