Cronologia della dittatura europea

Cronologia della dittatura europea

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Prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo un po’ per vedere che succede. Se non provoca proteste né rivolte, perché la maggior parte della gente non capisce niente di cosa è stato deciso, andiamo avanti passo dopo passo fino al punto di non ritorno

Jean-Claude Juncker - Presidente della Commissione Europea


Nel 1981 è avvenuto “il divorzio” tra Banca D’Italia e Ministero del Tesoro: la Banca d’Italia è stata sollevata dall’obbligo di acquistare i titoli di Stato rimasti invenduti. Lo Stato veniva a trovarsi in balìa dei mercati finanziari e delle banche che lo costringeranno a pagare loro interessi sempre maggiori per collocare il proprio debito. La sciagurata decisione del 1981 insieme a quella di aderire allo SME di due anni prima sono senza ombra di dubbio le principali responsabili della crescita esponenziale del debito pubblico in Italia – addirittura raddoppiato nel giro di dieci anni come dimostrano tutti i relativi grafici macroeconomici – ed il primo passo verso la completa perdita della sovranità monetaria affidata ad una entità esterna e indipendente (indipendente dallo Stato italiano ma totalmente dipendente dai mercati). Infatti, come ricordava lo stesso artefice del “divorzio” Beniamino Andreatta: “da quel momento in avanti la vita dei ministri del Tesoro si era fatta più difficile e a ogni asta il loro operato era sottoposto al giudizio del mercato”. Da li in poi, in pratica, sarebbero stati i mercati, depositari del potere monetario, a dettare l’agenda economica al governo e al parlamento di Roma. Utilizzando la scusa di combattere il malgoverno,in pratica, eliminarono il governo. Non si trattò di una cessione avvenuta in modo democratico. Tutt’altro: non ci fu alcun decreto del governo, nessun voto parlamentare il tutto avvenne tramite una comunicazione scritta che Andreatta, in qualità di Ministro del Tesoro e a quei tempi membro del Bilderberg (in futuro parteciperà alla riunione sul Britannia), consegnò a Carlo Azeglio Ciampi, all’epoca Governatore della Banca d’Italia e membro del Bilderberg.


1992: In sette giorni cambia il sistema monetario.

Negli anni ’90 in soli 7 giorni venne cambiato il sistema monetario italiano che venne tolto dal controllo del Governo e messo nelle mani della finanza e delle banche private. I firmatari di tali provvedimenti, guarda caso, erano tutti membri del Bilderberg e delle altre organizzazioni ad esso collegate.


Il 29 Gennaio 1992 la legge 35/92 Amato-Carli (Aspen-Bilderberg) venne emanata per la privatizzazione degli Istituti di Credito e degli enti pubblici. In pratica divennero private le banche che possedevano le azioni della Banca d’Italia.


Il 7 Febbraio del 1992 vi furono due avvenimenti paralleli e contemporanei. La legge numero 82 varata da Guido Carli (Bilderberg) attribuisce alla Banca d’Italia la facoltà di variare il tasso ufficiale di sconto (costo del denaro alla sua emissione) senza che venisse concordato preventivamente con il Ministero del Tesoro con ulteriore privazione di sovranità in ambito monetario: “Art. 1. Le variazioni alla ragione normale dello sconto e alla misura dell’interesse sulle anticipazioni in conto corrente e a scadenza fissa presso la Banca d’Italia sono disposte, in relazione alle esigenze di controllo della liquidità del mercato, dal Governatore della Banca d’Italia con proprio provvedimento, da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana”. Il Governo italiano è divenuto così completamente estraneo alla politica monetaria della Banca d’Italia che è stata di fatto affidata a dei privati.


In quello stesso giorno del 1992 venne firmato il Trattato di Maastricht voluto fortemente da Romano Prodi (Bilderberg; Commissione Trilaterale; Goldman Sachs). Vennero poste le basi per la definitiva cessione della sovranità monetaria nazionale e la consegna della stessa alla Bce e quindi ai mercati che avevano ormai allungato le loro mani sul debito pubblico italiano fin dall’anno 1981: “La BCE ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote all’interno della Comunità”.


La creazione della moneta veniva strappata dal controllo democratico ed attribuita in via esclusiva ad un organo di proprietà privata che così avrebbe acquisito un controllo totale delle politiche economiche nazionali e ciò senza alcun rischio d’impresa.

Il Trattato di Maastricht, costituendo il SEBC, ovvero il sistema europeo delle banche centrali, viola palesemente alcuni principi sanciti dalla nostra Costituzione e può essere considerato un duplice attacco alla sovranità ed all’indipendenza nazionale. 

Da un lato il Trattato fornisce base giuridica al fine di consentire che sia l’Europa a dettare le politiche economiche delle nazioni, dall’altro priva le nazioni stesse di una Banca Centrale con cui finanziare in autonomia dette politiche. “L’Italia, con una moneta così concepita, perdeva, sia il controllo diretto dei tassi d’interesse che vengono oggi decisi dal mercato e che ovviamente può facilmente influenzarli con le speculazioni (come accaduto con la crisi dello Spread del 2011), sia la possibilità di svalutare la moneta stessa. Possibilità che si era resa necessaria in alcune circostanze a causa di shock esterni”: da Maastricht in poi non sarà più la moneta ad adeguarsi all’economia ma l’economia a doversi adeguare alla moneta (svalutando i salari!).


Il denaro, quindi, da strumento alternativo al baratto per consentire lo scambio di beni e servizi di cui costituiva unicamente l’unità di misura, diventa esso stesso prodotto e strumento di predazione.

Questo trattato ha quindi istituito la BCE, Banca Centrale Europea di proprietà di azionisti privati a cui ha conferito l’assoluta indipendenza di gestione delle politiche monetarie.

BCE diviene l’unico organo autorizzato ad emettere moneta nella comunità Europea ex art. 106 Trattato UE.

Ai sensi dell’art. 108 del TUE, BCE era ed è un organo che non risponde ad alcun criterio democratico: “Nell’esercizio dei poteri e nell’assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dal presente trattato e dallo statuto SEBC, né la BCE né una banca centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni o dagli organi comunitari, dai governi degli stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni e gli organi comunitari nonché i governi degli stati membri si impegnano a rispettare questo principio e non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della BCE o delle banche centrali nazionali nell’assolvimento dei loro compiti” (Detta norma è stata confermata nella sostanza anche dal successivo Trattato di Lisbona).


Marco Mori: “Appare ovvio che questa indipendenza è priva di senso logico posto che la BCE è di proprietà delle banche centrali europee che a loro volta sono in massima parte di proprietà dei principali gruppi bancari internazionali i quali rispondono ad interessi propri e non certo al benessere collettivo. Alla BCE, altresì, è stato posto il divieto di svolgere attività di prestatore di ultima istanza potendo prestare unicamente al tasso ufficiale di sconto, unilateralmente determinato, alle banche commerciali le quali poi speculano sui debiti delle nazioni acquistati nel mercato secondario causando un’imposizione fiscale semplicemente folle”.

In pratica se la banca centrale prestasse direttamente agli stati senza l’inutile intermediazione delle banche private, lo Stato risparmierebbe decine e decine di miliardi di euro ogni anno da utilizzare per risolvere gran parte dei problemi legati alla spesa pubblica. A tal proposito vale la pena ricordare che, ad esempio, nel 2011 le banche ricevevano il denaro allo 0,25% di interesse dalla Bce e poi con questo denaro compravano i titoli di debito che fruttavano percentuali superiori al 6%. Provate ad immaginare quanti miliardi di euro avrebbe risparmiato lo Stato se avesse ricevuto direttamente il denaro allo 0,25% invece di prenderlo in prestito ad una percentuale 6 volte superiore.


L’art. 101 TUE dispone: “E’ vietata la concessione di scoperti di conto o di qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della BCE o da parte delle banche centrali agli Stati Membri, a istituzioni o organi della Comunità, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della BCE o delle banche centrali nazionali”. (Il testo è stato riconfermato dal Trattato di Lisbona).

Ovviamente la disciplina del Trattato che ha istituito il SEBC va in palese conflitto con la costituzione anche con riferimento all’art. 47 che merita di essere rammentato: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”.

L’indipendenza della Banca Centrale è dunque pacificamente incostituzionale in quanto non consente alla mano pubblica il controllo diretto del credito.


L’Art. 104 del TUE ha altresì attribuito tutti i poteri di raccomandazione e di imposizione di politiche fiscali d’austerità alla BCE, di fatto sottraendo definitivamente la sovranità alle nazioni dell’Europa che da tale momento venivano ufficialmente consegnate ai mercati.

La politica economica è così divenuta di competenza di soggetti che sfuggono a qualsivoglia controllo democratico.

Dunque è circostanza dimostrata e dimostrabile che negli ultimi anni circa un quarto della pressione fiscale complessiva veniva utilizzata (e viene utilizzata tutt’oggi) unicamente per pagare interessi (dunque parliamo dei soli interessi e non già del capitale!) sul debito in favore dei mercati e dunque anche di quelle banche che, essendo azioniste di BCE, hanno unilateralmente deciso la politica monetaria dell’Unione Europea con l’assoluta indipendenza di cui all’art. 108 del TUE (oggi capo II art. 130 del Trattato di Lisbona) e che poi acquistano sul mercato secondario le obbligazioni nazionali determinandone il relativo interesse secondo le leggi della domanda e dell’offerta che dunque finiscono per governare con il solo spostamento dei propri ingenti capitali”.

Le Banche sono dunque autorizzate a comprare denaro creato dal nulla a costi bassissimi per poi acquistare il debito pubblico con margini di guadagno enormi.

I firmatari italiani di tale Trattato sono stati: Giulio Andreotti come Presidente del Consiglio, Gianni De Michelis come Ministro degli Esteri (Bilderberg/Aspen), Guido Carli come Ministro del Tesoro (Bilderberg).


Il 12 dicembre 2006 venne modificato l’articolo 3 dello Statuto della Banca D’Italia che prevedeva la partecipazione maggioritaria al capitale della Banca da parte di enti pubblici. Il decreto venne firmato dal presidente del Consiglio Romano Prodi (Bilderberg, Trilaterale, Goldman Sachs) dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (Aspen) e dal Ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa (Bilderberg, Aspen, Commissione trilaterale, Gruppo dei 30) sanando il contrasto dello Statuto con l’avvenuta privatizzazione della banca (non più nazionale) con la cancellazione della dicitura, che nel vecchio articolo 3, prevedeva che la maggioranza delle azioni rimanesse in mano a “Enti pubblici o società a partecipazione statale con maggioranza pubblica”.


Nello stesso periodo è divenuto Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi (Goldman Sachs, Bilderberg, Commissione Trilaterale e Gruppo dei 30, proprio come Padoa Schioppa che aveva modificato lo statuto della Banca).


Il 2 Giugno del 1992 a pochi giorni dall’assassinio del giudice Giovanni Falcone, ci fu la riunione sulla nave Britannia, che avrebbe avuto conseguenze molto profonde sul futuro del Paese. Lo yacht della Corona inglese, gettava l’ancora a Civitavecchia con a bordo alcuni nomi illustri del mondo finanziario e bancario speculativo anglo/americano che sarebbero venuti per ricevere alcuni esponenti delle imprese statali e delle banche italiane, tra cui proprio Mario Draghi in qualità di Direttore generale del Tesoro, Beniamino Andreatta – che da li in poi divenne ministro al Bilancio con Amato agli esteri con Ciampi e alla difesa con Prodi – ed altri esponenti di spicco dell’Iri, dell’Eni, dell’Agip della Comit di Assicurazioni Generali, per preparare la cessione di alcuni dei patrimoni industriali e bancari più prestigiosi del nostro Paese a multinazionali e in particolare alla Goldman Sachs come denunciato da Benito Livigni, ex dirigente ENI, alla Tv tedesca, dove – in qualità di testimone oculare – ha raccontato come, successivamente a quella riunione, le proprietà immobiliari dell’azienda petrolifera vennero svendute, quasi regalate, alla Goldman Sachs. Fu poi affidato ai mass media, che censurarono totalmente la riunione in questione, ed al nuovo governo Amato il compito di trovare gli argomenti per giustificare la folle e urgente ondata di privatizzazioni che investì il paese da quel momento in poi. Lo fecero addossando la colpa all’esigenza di ridurre il debito pubblico (oggi stanno facendo la stessa cosa). In realtà c’era semplicemente la volontà dei grandi potentati bancari inglesi ed americani di prendere il controllo di ogni aspetto della vita economica italiana sfruttando le numerose scuse di ingovernabilità, corruzione, inefficienza.


Gli accordi presi durante quel meeting avrebbero permesso agli anglo-americani di mettere le mani sul 48% delle aziende private italiane; su quelle considerate “gioielli” di Stato e sulla Banca d’Italia, come denunciato in quegli anni in un documento dell’EIR intitolato: “la strategia anglo-americana dietro le privatizzazioni italiane: il saccheggio di un’economia nazionale”. Da quel documento, che inquadrava l’episodio del Britannia in uno scenario più ampio di vera e propria destabilizzazione politico-economica del paese, nacquero diverse interrogazioni parlamentari la prima ad opera di un parlamentare missino Antonio Parlato che provò più di una volta a fare emergere la verità.


Nello stesso mese del 1992 in cui si svolse il meeting, si insediò il governo Amato, si trattava di un personaggio in armonia con gli speculatori che ambivano ad appropriarsi dell’Italia, infatti, Amato per dare inizio alle privatizzazioni, si rivolse proprio alle banche di Wall Street che erano state rappresentate sul Britannia e appena salito al potere trasformò gli enti statali in società per azioni valendosi del decreto legge 386/1991, in modo tale che l’élite finanziaria li potesse controllare ed in seguito acquistare. Lo stesso Amato che a Luglio di quell’anno, mise in essere una ingente manovra correttiva che prevedeva il tristemente noto prelievo forzoso dai conti correnti nelle banche italiane ratificato ex post con decreto legge (fatto privo di legittimità giuridica). Il peggio, però, doveva ancora venire. Per permettere, infatti, ai rappresentanti delle élite anglo americane di fare acquisti a buon mercato, a settembre del 92 ci fu il più tremendo attacco speculativo contro la lira con George Soros, che opera attraverso il Quantum Fund collegato ai Rotschild, che portò ad una immediata svalutazione del 30% che permise agli speculatori della grande finanza internazionale di privatizzare a prezzi stracciati a discapito degli interessi dello stato italiano dell’economia nazionale e dell’occupazione.


Negli anni a seguire la Sip diventò Telecom Italia, le Ferrovie dello Stato diventarono Trenitalia, le Poste Italiane divennero una Spa, le reti della banca Rotschild misero le mani sull’Eni che venne svenduta e così via mentre Prodi quell’anno stesso suggerì pubblicamente di privatizzare, vendendo tutte e tre le banche d’interesse nazionale (Banca Commerciale, Credito italiano, Banca di Roma) più il San Paolo di Torino ed il Monte dei Paschi di Siena. Dai resoconti di una intervista che in quei mesi Prodi rilasciò al Wall Street Journal si evince che la volontà era prima quella di risanare e poi di vendere le aziende. Ma non dimentichiamo che si trattava di aziende che venivano risanate con i soldi dei contribuenti italiani e poi vendute invece ad investitori stranieri. I gioielli dello Stato, quelli attivi e quelli in passivo, vengono venduti, o svenduti secondo i punti di vista, con una facilità ed una leggerezza incredibili; chi li vende ha una grandissima possibilità: ridisegnare, ai danni dello Stato, il capitalismo italiano.


Il 1992 è l’anno della svolta, ma è nel 1993-94, con Prodi nuovamente all’IRI, che vengono vendute ben due banche, il Credito Italiano (Credit), un vero e proprio gioiello, e la Banca Commerciale Italiana (Comit), oltre all’IMI (tutto tra il dicembre 1993 e il febbraio 1994, con una velocità straordinaria). Nello stesso periodo di fuoco vengono vendute le finanziarie Italgel e Cirio-Bertolli-De Rica; per quanto riguarda il settore agroalimentare, un settore tradizionalmente importante per la nostra economia, Mauro Bottarelli ricorda che dopo il ’92 lo Stato vendette agli stranieri, specie inglesi e americani: Locatelli, Invernizzi, Buitoni, Galbani, Negroni, Ferrarelle, Peroni, Moretti, Fini, Perugina, Mira Lanza e tante altre. Tra il ’93 e il ’94 viene venduta la SME, le vetrerie Siv dell’Efim, il Nuovo Pignone dell’Eni… Nel 1994 vengono venduti Acciai Speciali Terni; nel 1995 Ilva Laminati Piani e Italimpianti e così via.


Nel 2007 è stato firmato il Trattato di Lisbona da Romano Prodi (Bilderberg, Trilaterale, Goldman Sachs, Aspen) e Massimo D’Alema (Aspen). L’Italia ha ceduto definitivamente sovranità all’Unione Europea; ha rinunciato al potere di veto su tantissime questioni importanti. Come spiega Paolo Barnard, è “un Trattato col potere di ribaltare tutta la nostra vita di comunità di cittadini, scritto in modo da essere illeggibile dai nostri governi, completamente di nascosto da noi, e volutamente di nascosto.” Ricordiamo, infatti, che il testo è praticamente identico a quello della Costituzione Europea bocciata nei Paesi dov’era stata proposta con referendum (Francia e Olanda) perché scandalosamente sbilanciato a favore delle lobby europee. ll loro progetto prevede di lasciare la Costituzione Europea immutata e, di chiamarla Trattato per evitare il referendum. Poi, per non far capire al cittadino che nulla è cambiato di sostanziale in quel testo, lo rendono illeggibile inserendo migliaia di rinvii ad altre leggi e note a piè pagina, come hanno confessato: l’ex presidente francese Valéry Giscard D’Estaing: “Il Trattato è uguale alla Costituzione bocciata. Solo il formato è differente, per evitare i referendum”; il parlamentare europeo danese Jens-Peter Bonde: “i primi ministri erano pienamente consapevoli che il Trattato non sarebbe mai stato approvato se fosse stato letto, capito e sottoposto a referendum. La loro intenzione era di farlo approvare senza sporcarsi le mani con i loro elettori”; il nostro Giuliano Amato: “Fu deciso che il documento fosse illeggibile... Fosse invece stato comprensibile, vi sarebbero state ragioni per sottoporlo a referendum”.


Nel 2007 tutto è pronto e il 13 dicembre i capi di governo si riuniscono a Lisbona per firmare il Trattato, ovvero la Costituzione Europea bocciata nel 2005 e resa illeggibile.

Il parlamento italiano ratifica il trattato di Lisbona l’8 agosto del 2008, approfittando della distrazione dei cittadini in piena settimana di ferragosto. Nessuno spiega adeguatamente cosa comporti la ratifica del Trattato, ed i media, ancora una volta, tacciono.

In realtà con quella ratifica abbiamo ceduto la nostra sovranità in materia legislativa, economica, monetaria, salute e difesa ad organi ( Commissione e Consiglio dei Ministri) che non verranno eletti dai cittadini. Il solo organo eletto dai cittadini, il Parlamento Europeo, non avrà, nei fatti, alcun potere.


Dal 2011 in poi avviene quello che è stato ampiamente illustrato nei capitoli precedenti per dare continuità al piano di conquista e alla dittatura finanziaria sempre ad opera di uomini imposti dalle stesse organizzazioni.


Fonte:

Francesco Amodeo, La Matrix Europea, Edizioni Sì, Fano 2014, pagg. 111-121,

https://francescoamodeo.it/


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