Confortiamoci e rafforziamoci a vicenda (2 Tess. 2:16, 17)

Confortiamoci e rafforziamoci a vicenda (2 Tess. 2:16, 17)

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William Turner

Penso che sarete d’accordo con me che servire l’Iddio di ogni conforto ci fa stare bene, e lui ci ricorda sempre quanto è importante rafforzare, incoraggiare e confortare i nostri fratelli. Questo è specialmente importante adesso, visti i tempi in cui viviamo, e lo è perché non sappiamo veramente cosa stanno passando i fratelli qui alla Betel oppure nelle congregazioni. Quindi mostrare empatia, ovvero riuscire a metterci nei panni degli altri, è fondamentale. Sicuramente un esempio da non seguire quando si parla di conforto ed empatia è quello dei 3 confortatori di Giobbe. Erano così impegnati a giudicarlo e a dire quello che secondo loro sbagliava che non si presero il tempo per cercare di capirlo e per mostrargli empatia. Tant’è vero che, anche se hanno parlato a lungo con Giobbe, non risulta che l’abbiano chiamato per nome neanche una volta. Una Torre di Guardia faceva un commento su questi 3 confortatori. Diceva: “Evidentemente lo consideravano più un problema che una persona”. Come si sarà sentito Giobbe? Apriamo la Bibbia in Giobbe capitolo 19. Vediamo cosa disse lui stesso. Giobbe 19:2. Dice: “Fino a quando continuerete a irritare la mia anima, abbattendomi con le vostre parole?” Davvero triste! Invece di incoraggiare e confortare Giobbe, quei 3 amici lo hanno fatto sentire solamente irritato, abbattuto e frustrato. Questo ci fa capire che, se non pensiamo bene a quello che diciamo e a quello che facciamo, e se vediamo un certo fratello più come un problema che come una persona, allora non riusciremo a dargli il conforto e il sostegno di cui potrebbe aver bisogno. Forse qui alla Betel o in congregazione c’è qualcuno che ha dei difetti o dei modi di fare che ci danno fastidio. E potrebbe essere che quei comportamenti siano davvero sbagliati. Ma se quando abbiamo a che fare con lui ci concentriamo solamente sui suoi difetti, su quei modi di fare che ci irritano, ci sarà davvero difficile vederlo come un caro fratello, come un fedele servitore di Geova. Molto probabilmente vedremo quel fratello solo come un ostacolo, un impedimento in quello che facciamo, come qualcuno che influisce negativamente sulla nostra efficienza e sulla nostra gioia. E di certo avere un atteggiamento negativo nei confronti di quel fratello non ci farà sentire bene. Allo stesso tempo lui percepirà che abbiamo questo atteggiamento. E come si sentirà? Beh, probabilmente come Giobbe si sentirà frustrato e irritato, e non avremmo fatto altro che aggravare la sua situazione. Ovviamente nessuno di noi vorrebbe mai far sentire così i fratelli. E a proposito di questo, possiamo imparare davvero tanto dal modo in cui l’apostolo Paolo si rivolse ai tessalonicesi. Pensiamo alla congregazione che si era formata lì a Tessalonica. I fratelli e le sorelle di quella congregazione dovettero subire una dura persecuzione sin dall’inizio. In Atti capitolo 17 si legge che dei giudei fanatici formarono una turba, costringendo i fratelli a mandare via Paolo e Sila per metterli al sicuro. Oltre a questo, un altro problema che i tessalonicesi dovettero affrontare era che, a quanto pare, erano profondamente addolorati per la morte di alcuni fratelli. Quindi, se ci pensiamo, stiamo parlando di una congregazione appena formata, che era sotto pressione perché dall’esterno subiva intensa persecuzione, e all’interno viveva una situazione dolorosa per la morte di alcuni fratelli. Non pensate che avessero bisogno di conforto e incoraggiamento? Non c’è dubbio. Ma è interessante che, oltre a dover affrontare la persecuzione e quei momenti tristi, quei fratelli dovevano anche combattere, dovevano lottare contro le proprie debolezze. Lo si capisce leggendo 1 Tessalonicesi 4, lì viene detto loro di astenersi dall’immoralità sessuale, di amarsi gli uni gli altri ancora di più, di badare ai fatti loro e lavorare con le loro mani. E al capitolo 5 gli viene detto di restare spiritualmente svegli, di astenersi da ogni tipo di malvagità e di prestare attenzione a diversi altri aspetti. Erano tutti problemi reali, erano questioni importanti, Paolo aveva ragione di preoccuparsi. Infatti per lui erano così importanti che poco dopo aver scritto la prima lettera decise di inviarne una seconda. Ma su cosa si concentrò Paolo? Si concentrò sui problemi o sulle persone? Vediamo con quali parole Paolo decise di iniziare questa seconda lettera. Prendete insieme a me 2 Tessalonicesi capitolo 1, cominceremo a leggere dal versetto 3. Dice: “Non possiamo fare a meno di ringraziare sempre Dio per voi, fratelli. È giusto da parte nostra, perché la vostra fede cresce straordinariamente e l’amore che ognuno di voi ha per gli altri non fa che aumentare. Perciò parliamo di voi con orgoglio alle congregazioni di Dio a motivo della perseveranza e della fede che dimostrate in tutte le persecuzioni e difficoltà che state sopportando”. Che bello, avete visto? Paolo comincia con delle lodi specifiche. Certo, c’erano delle questioni che andavano affrontate, ma Paolo inizia parlando delle loro qualità, di quello che facevano di buono. Possiamo anche noi fare la stessa cosa con i nostri fratelli? Invece di pensare subito a quello che fanno di sbagliato, pensiamo a cosa fanno di buono. Cosa apprezziamo di loro? Sarebbe molto meglio se ci concentrassimo sui loro pregi. Riflettiamo, sviluppare un atteggiamento del genere ci porterà a interessarci sinceramente degli altri. E quando gli altri percepiscono che ci stiamo interessando sinceramente di loro, sarà più facile per noi essergli di aiuto e sostenerli nel fare i dovuti cambiamenti. E un modo semplice per interessarci di qualcuno è anche solo notare la persona, magari con un saluto. Se ci pensate infatti i falsi confortatori di Giobbe non lo hanno nemmeno chiamato per nome. Eliu invece, quando ha avuto la possibilità di parlare, si è rivolto a Giobbe chiamandolo rispettosamente per nome. In Giobbe 33:1 Eliu cominciò a parlare dicendo: “Giobbe, odi le mie parole, ti prego”. E ci sono molti altri versetti in cui si legge che Eliu chiamò Giobbe per nome. Sarete d’accordo che a volte può essere facile, specialmente per noi fratelli, entrare per così dire in modalità lavoro, come se fossimo in un’azienda. Siamo così concentrati su quello che dobbiamo fare, sia che siamo qui alla Betel o in congregazione, che potremmo non accorgerci del fratello che abbiamo davanti e magari non lo salutiamo nemmeno. Quindi quello di Eliu è sicuramente un ottimo esempio da seguire. Torniamo alle parole di Paolo, dopo aver lodato i fratelli in 2 Tessalonicesi capitolo 1, nel capitolo 2 Paolo cambia completamente argomento. Di cosa parla? Affronta un problema che esisteva nella congregazione, alcuni fratelli si erano fatti un’idea sbagliata per quanto riguarda la presenza di Cristo. Da questo capiamo che l’apostolo Paolo non ignorò o sottovalutò problemi che andavano affrontati. Li tirò fuori, ma lo fece in un modo che permetteva ai fratelli della congregazione di percepire il suo amore e la sua cura. Infatti se leggete il versetto 13 noterete che l’apostolo Paolo usa la parola “comunque”, quindi cambia di nuovo argomento. E qui usa ancora parole che fanno capire la sua empatia, il suo amore, parole con cui esorta i fratelli. Paolo era sicuro, era convinto che i suoi fratelli avrebbero fatto la cosa giusta. Ricapitolando, se vogliamo essere fonte di conforto e incoraggiamento per i nostri fratelli, è fondamentale che li vediamo non come un problema o un intralcio a quello che dobbiamo fare, ma come compagni d’opera. Invece di giudicarli li lodiamo, li notiamo, ci interessiamo sinceramente di loro. E se oggettivamente ci sono dei problemi, li possiamo affrontare in modo amorevole. Facciamoci conoscere per le nostre parole di incoraggiamento più che per i consigli. Se lo faremo i nostri fratelli ci vorranno bene per il modo in cui li trattiamo. E cosa ancora più importante, ci amerà anche il nostro Padre celeste, l’Iddio di ogni conforto.

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