Commento esegetico di Silvano Fausti

Commento esegetico di Silvano Fausti

Ufficio Catechistico Diocesano Crotone


Vangelo Mc 10,46-52

COSA VUOI CHE IO FACCIA PER TE?

10,46 E giungono a Gerico.
E, uscendo egli da Gerico
con i suoi discepoli e gran folla,
il figlio di Timeo, Bartimeo,
cieco,
mendicante,
sedeva
al lato del cammino.

47 E, udito che è Gesù il Nazareno,
cominciò a gridare e dire:
Figlio di David,
Gesù,
abbi pietà di me!

48 E molti lo sgridavano,
perché tacesse;
ma egli molto di più gridava: Figlio di David,
abbi pietà di me!

49 E, fermatosi, Gesù disse: Chiamatelo.
E chiamano il cieco, dicendogli: Coraggio,
svegliati,
ti chiama.

50 Ora egli, gettato il suo mantello,
balzò in piedi,
e venne da Gesù.

51 E, rispondendogli, Gesù disse:
Cosa vuoi che io faccia per te?
Ora il cieco gli disse:
Rabbuni,
che io veda!

52 E Gesù gli disse:
Va’, la tua fede ti ha salvato.
E subito vide,
e lo seguiva nel cammino.

1. Messaggio nel contesto

“Cosa vuoi che io faccia per te?”, chiede Gesù al cieco. È la stessa domanda che a questo punto il vangelo fa a ciascuno di noi, che, come lui, si ritrova cieco, seduto e fuori strada. E noi facciamo nostra la sua risposta: “Gesù, abbi pietà di me. Che io veda”.

Solo così otteniamo la vista: abbiamo la fede che salva, e lo seguiamo nel suo cammino (v. 52).

Fine di tutta la catechesi di Gesù ai suoi discepoli e di Marco al suo lettore è portare qui, dove si compie l’ultimo miracolo, quello definitivo: la guarigione dalla cecità.

Il cammino del vangelo, è utile ripeterlo, è un’educazione del desiderio, per sapere cosa chiedere. Giacomo e Giovanni, identificati alfine con questo cieco, sanno cosa chiedere e volere. Dove non avviene questa identificazione coi cieco che guarisce, c’è quella con il fico che scopre la sua sterile nudità (11,12-14.20).

Questo miracolo è l’illuminazione battesimale che ci fa nascere, uscire dalle tenebre alla luce. È il dono dello Spirito per vedere ciò che Gesù fa a Gerusalemme e scrutare nel Crocifisso la profondità di Dio (1Cor 2,10).

Nel vangelo di Marco questo cieco è l’unico - dopo i demoni, ma in modo ben diverso! - che chiama Gesù per nome. Ha con lui un rapporto personale di conoscenza e di familiarità. Chiamare Gesù è pronunciare il Nome, il solo in cui c’è salvezza (At 4,12).

Questo cieco è specchio di ciascuno di noi. Attraverso l’ascolto ha sentito la promessa di Dio, e può desiderare e chiedere ciò che vuol donarci. L’invocazione del nome di Gesù trova risposta nella sua chiamata, che lo fa balzare in piedi, gettare il mantello, andare da lui, pregarlo e ottenere la vista, in modo da poterlo seguire nel suo cammino. Questa è la salvezza concessa a chiunque invoca il suo nome (At 2,21).

Da questo racconto la fede è orecchi per ascoltare, bocca per gridare, piedi per accorrere a lui, mani per gettare il mantello e occhi per vederlo e seguirlo. Il suo principio è la miseria riconosciuta, il suo mezzo è l’invocazione della misericordia, il suo compimento è l’illuminazione che fa vedere il Signore.

Qui, dopo le tre predizioni della passione, si compie la seconda parte dei miracolo del cieco di Betsaida. “Vedi forse qualcosa?”, gli aveva chiesto Gesù (8,23). Ora, che ci è chiaro ciò che non vediamo, sappiamo cosa chiedergli per “vedere chiaramente a distanza ogni cosa” (8,25). Subito dopo questo racconto comincia il primo dei sei giorni di Gesù a Gerusalemme. È la settimana della nuova creazione. Ora ci dà gli occhi per vederla, così che non scambiamo più gli uomini per alberi che camminano (8,24), ma vediamo Dio stesso nel Figlio dell’uomo che si offre dall’albero della vita (15,39).

Gesù è la luce del mondo (Gv 8,12), il Figlio di David che esercita la sua regalità usando misericordia, il Signore che dà la vista ai ciechi (Sal 146,8). L’invocazione del suo nome è la nostra salvezza. Infatti è il Nome. E ci salva perché è tutto misericordia rivolta alla nostra miseria.

Il discepolo è generato come tale dall’invocazione del nome di Gesù e della sua misericordia. Così guarisce dalla sua cecità, e può contemplare nel Crocifisso ciò che occhio non vide né orecchio udì né mai entrò in cuore di uomo, e che Dio ha preparato per coloro che lo amano (1Cor 2,9). È illuminato: vede finalmente la realtà.


2. Lettura del testo

v. 46 giungono a Gerico. È città inespugnabile, come la cecità dei discepoli. Ma presso Dio nulla è impossibile (v. 27). Gerico è la porta della terra promessa, che sarà aperta in modo semplice e prodigioso. Cade non con le armi, ma al suono delle trombe dei sacerdoti e al grido del popolo (Gs 6,12-20).

Da Gerico, posta a m. 250 sotto il livello del mare, inizia la salita a Gerusalemme.

con i suoi discepoli e gran folla. I discepoli vanno con Gesù. Ma il loro cuore e i loro occhi sono altrove. Ogni uomo In realtà scende da Gerusalemme a Gerico (Lc 10,30).

Bartimeo. Significa in ebraico “figlio di Timeo”. Questo cieco non ha nome; è semplicemente il “il figlio di Timeo”.

cieco. Per il cieco tutto è notte. È immagine del discepolo, che non capisce (4,13), non ha fede (4,40), è privo di intelletto (7,18), ha occhi e non vede (8,18), ha il cuore indurito (6,52; 8,17). La sua cecità è specifica: riguarda “la Parola” (8,32 s; 10,35 ss), davanti alla quale è sordo e muto (9,32 ss). Ma ora che la sordità è stata guarita dall’esorcismo che ha espulso la menzogna (7,3 I ss, 9,14 ss), rimane ancora la cecità: vede solo il buio che ha negli occhi e il vuoto che ha nel cuore. Questo, che è il luogo delle paure, per la sua promessa diventa il luogo dei desideri. Essi non producono nulla, ma raggiungono proprio ciò che, impossibile da produrre, viene solo come dono. Tutte le realtà principali - la vita e l’amore, se stessi e gli altri - sono doni. Il desiderio naturale di vedere Dio” è l’apice del nostro spirito, la nostra ultima possibilità, che ci permette di contemplare lui e diventare come lui. Questo nostro desiderio è come un occhio che non vede, fino a quando non incontra Gesù, sua luce. Il cieco è uno che non è mai venuto alla luce. È ancora come un non-nato, sepolto nelle tenebre. Per lui la realtà non ha ancora il proprio senso.

mendicante. Chi dice: “Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla”, non sa di essere un infelice, miserabile, povero, cieco e nudo. È bene che si procuri il collirio per ungere gli occhi e recuperare la vista (Ap 3,17 s)!

Il mendicante è uno che di professione “chiede” ciò che vuole. È simile al bambino, che vive di ciò che riceve. Rappresenta la situazione creaturale e filiale accettata. La parola greca indica, più che la povertà, la sua qualità di “uno che desidera, brama, chiede, domanda”. È l’unica qualità positiva del discepolo. Si può infatti commettere per orgoglio la stupidità di non chiedere ciò di cui si ha bisogno.

sedeva. Invece di camminare, siede, immobilizzato dalla sua cecità. Non vedendo, non sa dove andare.

al lato del cammino. Non cammina sulla via dei maestro: sta ai bordi.

v. 47 udito che è Gesù. Il cieco può udire e parlare. L’orecchio e la lingua fu già guarita dalla parola potente (7,3 1 ss; 9,14 ss). La fede viene dall’ascolto (Rm 10,17), principio della visione, che ne è il compimento (1Cor 13,12).

il Nazareno. È l’unica volta che il redattore dà questo appellativo a Gesù (cf 1,24; 14,67; 16,6). Sottolinea la realtà storica di Gesù - i suoi trent’anni di Nazaret, lo scandalo che la potenza e la sapienza di Dio si rivelino nella debolezza della sua carne (cf 6,1 ss).

cominciò a gridare. il grido, forma fondamentale di preghiera, esprime sofferenza e disagio. C’è un grido che si alza dall’abisso (Sal 130) e un altro che si leva dalla terra di schiavitù (Es 2,23 s). Ci sarà infine il grido di Gesù dall’alto della croce (15,37). Dio non può non udirlo, come una madre quello del figlio.

Il nostro diritto per rivolgerci al Signore non è l’apice della nostra bravura religiosa, ma l’abisso della nostra miseria - perché siamo suoi figli, e lui è il Padre delle misericordie (2Cor 1,3). La forza di questo grido farà cadere il muro della cecità.

Figlio di David. Così sarà subito dopo acclamato (11,10). Gesù è il messia, promesso a Davide come suo discendente (2Sam 7), colui che porta la regalità del Signore, che aiuta i poveri e dà la vista al ciechi (Sal 146,8). Tra poco mostrerà la sua gloria, che è la stessa di Dio. Ora ci dà gli occhi per vederla.

Gesù. Significa “JHWH salva”. È il nome di Dio tra gli uomini. Pronunciarlo ci salva (Rm 10,13; At 2,21). Non è magia. Chiamare per nome una persona vuol dire conoscerla ed amarla; e la nostra salvezza è conoscere e amare Dio. Gesù è il Dio che ci è venuto incontro. “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (At 4,12).

Noi siamo seduti nell’abisso di Gerico - inferno delle nostre solitudini - presi dagli interessi, venduti al peccato, appiccicati al nostro io, timorosi della vita e della morte. L’invocazione del suo nome è la medicina che ci libera e ci fa suoi discepoli.

È antichissima nella Chiesa la preghiera del Nome di Gesù Signore, usando il grido del cieco, abbinato a quello del pubblicano di Lc 18,13. In lui il Padre ci concede tutto e non ci nega nulla (Rm 8,32; Gv 14,13 s; 15,16). Lui infatti è solo Amen, il sì totale di Dio all’uomo come suo figlio e il sì del Figlio al Padre (2Cor 1,19 s), in cui tutte le promesse sono compiute. Attraverso lui sale a Dio il nostro amen e scende a noi ogni benedizione.

abbi pietà. La misericordia è l’essenza di Dio. Egli non è misericordioso: è misericordia - amore che si riversa necessariamente su tutti i suoi figli, non in proporzione al merito, ma al bisogno. Misericordia in ebraico si dice hesed e rahamin, due parole che indicano la fedeltà sicura e operosa di un amore viscerale, materno, uterino. Gesù rivela questo Dio proprio perché mi ha amato e ha dato se stesso per me (Gal 2,20), primo tra i peccatori (1Tm 1,15).

di me. Io in persona sono l’oggetto di tutto l’amore del Padre in Gesù. L’amore infatti non si divide per il numero dei figli, ma è tutto intero per ciascuno.

v. 48 lo sgridavano, perché tacesse. Probabilmente a sgridarlo sono gli stessi apostoli, infastiditi dal suo grido, mentre stavano discutendo su cose importanti - a chi i primi posti? Molte voci cercano di soffocare in noi questo grido che si alza nella notte. La voce che più ci vuol far desistere è quella della nostra sfiducia.

ma egli molto di più gridava. È il modo giusto di reagire alla tentazione di tacere. Il suo grido lacera le tenebre, superando ogni scoraggiamento.

abbi pietà di me. È l’unica preghiera ripetuta due volte. Due è il principio di molti. Questa preghiera, che va sempre ripetuta, è quella dell’umile, che squarcia il cielo e va oltre le nubi (Sir 35,17). Questa invocazione è come il respiro e il battito del cuore, che non possono mai cessare.

v. 49 fermatosi, Gesù. Il Signore non può non fermarsi a questo grido. Una mamma, anche se ne ode volentieri la voce, può non ascoltare le richieste del figlio, soprattutto se sono stupide o nocive. Ma non può non accorrere quando grida.

Chiamatelo. La chiamata a Gesù avviene attraverso la parola di altri. Ma chi ci chiama è sempre lui, presente nella sua parola.

chiamano il cieco. Gli apostoli, i veri ciechi, hanno l’incarico di chiamarlo. Saranno chiamati anche loro, quando capiranno di essere come lui. Finché credono di vederci, il loro peccato rimane (Gv 9,41). È comunque consolante che la chiamata del Signore operi efficacemente al di là delle qualità personali dell’apostolo.

Coraggio. È quello che manca al discepoli, che non riconoscono il fatto dei pani (6,50). Sinonimo di fede, è il contrario della paura (4,40; 5,36).

svegliati. “Svegliati, o tu che dormi, destati dal morti, e Cristo ti illuminerà”, dice un antico inno battesimale (Ef 5,14). La luce di Cristo è il suo Spirito, il suo amore per noi. Effuso sulla croce, dà la vista anche al centurione, che vede la Gloria (15,39). Ricevuto nel battesimo, si desta in noi per l’invocazione del nome di Gesù.

v. 50 gettato il suo mantello. Il mantello è tutto per lui. Vestito, coperta, materasso e casa, è la sua unica sicurezza. Per questo bisogna restituirlo al povero che l’ha dato in pegno prima del tramonto del sole, “perché egli possa dormire con il suo mantello e benedirti” (Dt 24,12). Questo povero getta via ogni sua sicurezza, senza esserne richiesto; e va da Gesù, a differenza del giovane ricco, che ne fu richiesto e si allontanò triste.

balzò in piedi. Prima era seduto.

e venne da Gesù. Gettato via il mantello, va da Gesù. Che il suo mantello sia la cecità che lo avvolge e immobilizza?

v. 51 Cosa vuoi che io faccia per te ? È la stessa domanda rivolta a Giacomo e Giovanni (v. 36). È la domanda decisiva del vangelo. Solo se sono cieco, e so di esserlo, so cosa voglio, e glielo chiedo.

Rabbuni. È forma enfatica di rabbi e significa “mio maestro”. Gesù non è solo il maestro che insegna per mestiere a tutti. È il “mio” maestro.

che io veda. Finalmente Gesù ode la domanda che da sempre aspetta. Vedere il Signore è la vita dell’uomo. Nato per questo, è sempre inquieto finché non contempla il Volto. Gesù in croce squarcerà il velo del tempio e rivelerà pienamente Dio sulla terra.

La parola greca anablépo significa “guardare in alto” o “vederci di nuovo”. La fede è un “guardare in alto” lui, appeso in croce per me. Lì io vedo ciò che mai avevo visto, perché la menzogna antica me l’aveva nascosto dal principio: il suo amore per me. Lì ottengo la sublimità della conoscenza di Gesù, mio Signore (Fil 3,8).

v. 52 la tua fede ti ha salvato. In 5,34 la stessa espressione è rivolta alla donna che lo ha toccato. La comunione con lui e la visione del suo amore è la liberazione da ogni male e la pienezza di ogni bene. La fede che salva è vedere lui.

vide. Vede il Figlio di David che gli sta davanti e gli usa misericordia; vede il Regno che è già venuto e aspetta che qualcuno desideri entrarci.

e lo seguiva. Il primo miracolo terminò con la suocera di Pietro che “serviva” (1,31). L’ultimo chiude il cerchio, terminando con il cieco che segue colui che sale a Gerusalemme, “per servire e dare la sua vita in riscatto per molti “ (v. 45).

nel cammino. È la via che va dalla morte alla vita, contraria a quella di ogni uomo, che va dalla vita alla morte.


3. Pregare il testo
  1. Mi metto in preghiera come al solito.
  2. Mi raccolgo, immedesimandomi nel cieco seduto fuori strada mentre Gesù passa.
  3. Chiedo a Gesù e ripeto con desiderio ciò che voglio: Gesù, abbi pietà di me, che io veda.
  4. Traendone frutto, immedesimato nel cieco, ascolto le persone: chi sono, che dicono, che fanno. Cosa vedo?

da notare:

  • Gerico
  • gettare via il mantello
  • cieco
  • cosa vuoi che io ti faccia?
  • mendicante
  • Rabbuni, che io veda
  • sedeva
  • la tua fede ti ha salvato
  • al lato della strada
  • vedere, seguire, cammino
  • udito
  • gridava
  • Gesù, abbi misericordia di me
  • chiamatelo


4. Testi utili
Ger 31,7-9; Sal 34; 126; Is 42,1-7; Sir 35,12-18; Gv 8,12; Ef 5,14.




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