Botros 9 - Un libro sulla Follia d' Amore

Botros 9 - Un libro sulla Follia d' Amore

Giovanna Moscato (https://t.me/BotrosGiornale) [Art. 5 Febbraio 2023]

L' Orlando Furioso

Chi di noi, nell’arco della propria vita, non ha commesso almeno una follia?

Una follia d’amore, intesa anche nei termini di una passione folle per un gruppo musicale ad esempio, in nome del quale ha fatto centinaia o anche migliaia di chilometri pur di vederlo esibire.

Oppure si può pensare ad un momento della propria vita in cui si è deciso di inseguire un sogno o realizzare un progetto follemente concepito mettendo da parte altri impegni. Ma pur scadendo nell’ovvietà, quando si pensa alla follia molto spesso la si associa alla follia d’amore, a quel sentimento che annebbia la mente e fa superare ostacoli insormontabili pur di stare accanto alla persona amata, oggetto e scopo ultimo dei propri pensieri.

La letteratura è piena di esempi simili, infatti, sin dalla sua nascita in epoca medievale, ha fatto dell’amore l’argomento principe di sonetti, madrigali e canzoni.

Un poeta che ha reso il proprio protagonista folle a causa di un amore non corrisposto è Ludovico Ariosto. L’Ariosto nasce a Reggio Emilia nel 1474 da una nobile famiglia bolognese. Il padre, Niccolò, di costumi abbastanza violenti, era un uomo di corte del duca Ercole I e svolgeva le mansioni di capitano della rocca di Reggio, al servizio degli Estensi. Ludovico era il primo di dieci figli, quando il padre decise di lavorare presso il duca Ercole I d’Este a Ferrara, tutta la famiglia fu costretta a trasferirsi in questa città.

Rimasto orfano di padre prese gli ordini minori al solo scopo di mantenere la madre e le sorelle rimaste nubili. Ariosto era un tipo abbastanza originale, mal sopportava la vita attiva e nonostante questo veniva adibito a funzioni politiche spesso molto incresciose. Fu costretto dal Duca estense a governare la Garfagnana, una zona difficile e indomabile, che però amministrò con intelligenza e umanità. 

Dopo tre anni di governo tornò a Ferrara, dove, per amore di tranquillità, rifiutò il posto di ambasciatore presso la Santa Sede (era pontefice Clemente VII), ed acquistò coi propri risparmi una casetta, sulla facciata della quale fece incidere un'iscrizione in latino, che diceva:

"Piccola ma adatta a me, non soggetta ad alcuno, comprata finalmente col mio denaro".

Rimase lì sino alla morte, avvenuta nel 1533, leggendo i classici, coltivando l'orto e correggendo per la terza volta il Furioso. Si assentò solo nel 1532, per presentare il suo poema all'imperatore Carlo V, che si trovava in quel momento a Mantova: nell'occasione gli venne conferito il titolo di poeta laureato.

Era un uomo dotato di grande intelligenza e di ironia che spesso usò per descrivere con distacco l’ambiente del suo tempo. Proprio verso l’ambiente di corte provò un sentimento ambivalente di amore e odio, di amore perché egli condivideva gli usi e i costumi di quella realtà aristocratica, ma anche di odio perché si sentiva sfruttato, nell’impossibilità di dare corso ai suoi desideri di pace e tranquillità.

Grande conoscitore dell’animo umano, nelle sue opere descrive in maniera impeccabile la vasta gamma di sentimenti nutriti dagli uomini.

L’Orlando Furioso, fu la sua più grande opera, benché ne sia sempre stato insoddisfatto, infatti la sottopose a numerose correzioni.

Il poema cavalleresco è stato pubblicato nel 1516, ma l’ultima edizione riveduta e corretta è del 1532. L’epoca in cui viene ambientata la storia è quella della lotta nel IX secolo tra Cristiani, guidati da Carlo Magno e i Saraceni di Spagna guidati da Agramante durante la battaglia dei Pirenei.
Ariosto riprende il poema del Boiardo dove questi l'aveva lasciato : quando Carlo Magno, preoccupato delle rivalità che Angelica accende tra i cavalieri cristiani, sottraendoli così alla difesa di Parigi assediata dai musulmani, la affida al duca Namo di Baviera, perché la custodisca, promettendola a chi (fra Orlando e Rinaldo) si fosse distinto di più nella battaglia imminente. Ma Angelica, approfittando della confusione che segue alla sconfitta dei cristiani, fugge, sicché i cavalieri ricominciano a cercarla, imbattendosi in varie avventure.

Angelica, fuggita dal duca Namo di Baviera, viene inseguita dai cavalieri cristiani e saraceni, invaghiti di lei, che però sceglierà di sposare un giovane soldato saraceno (Medoro) ferito in battaglia e da lei curato. Orlando capita casualmente nei luoghi che poco tempo prima videro l'amore felice di Angelica e Medoro e conclusosi con la partenza dei due sposi per il Catai. Giunto in un "locus amoenus"  vede dappertutto i segni dell'amore di Angelica e del fante saraceno, tenta dapprima di convincersi che la cosa non sia vera, finché l'incontro fortuito col pastore che aveva dato alloggio ai due amanti gli toglie ogni dubbio e lo priva del senno, facendolo precipitare in una furia cieca e distruttiva.

Infatti il pastore gli mostra il bracciale ricevuto in dono da Angelica, ed è così che Orlando non ha più dubbi: fugge e sfoga in mezzo al bosco il suo dolore. Urla, taglia in mille pezzi il sasso e gli alberi recanti le incisioni dei due innamorati, finché cade spossato e giace immobile per tre giorni. Il quarto giorno, si rialza ormai folle: butta via le sue armi, si strappa di dosso i panni, sradica alberi.
Incomincia la «grande follia», tanto spaventosa che nessuno sentirà mai parlare di un’altra maggiore di questa.  

L'episodio ha un'importanza centrale nel poema, non solo ovviamente perché spiega le circostanze in cui Orlando diventa "furioso", ma soprattutto perché dà modo all'autore di ironizzare bonariamente sulla follia di tutti gli uomini, sempre pronti a inseguire le illusioni d'amore anche a costo di perdere la ragione (come è capitato anche ad Ariosto, per sua stessa ironica ammissione).

Proseguendo nella ricerca dell'amata Orlando resta prigioniero nel palazzo incantato di Atlante, dove si trovano anche molti altri personaggi. Tutti, ingannati da Atlante, si aggirano senza riconoscere i propri amici per effetto della magia. Ognuno va all'inseguimento delle vane immagini del proprio desiderio. Il palazzo è il luogo in cui emergono i desideri più profondi dell’uomo, è il labirinto della mente umana da cui si fa fatica ad uscire nell’affannosa ricerca di vane illusioni.


La follia di Orlando perdura finché il cavaliere cristiano Astolfo, salito con l'Ippogrifo (cavallo alato) sulla Luna - dove erano raccolte tutte le cose che gli uomini avevano perso sulla Terra-, vi prende il senno di Orlando che era  racchiuso in un'ampolla, la farà poi annusare ad Orlando, restituendogli la ragione. Così Orlando può tornare a combattere contro i saraceni determinando la loro definitiva sconfitta.

La follia è l’impeto che spinge Orlando all’inseguimento di un sogno che, con il ritorno alla ragione, gliene fa considerare la vacuità.

Ma come sarebbe la vita di ognuno se ogni tanto non si desse vita ad un sogno?


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