Botros 8 - La speranza secondo i filosofi

Botros 8 - La speranza secondo i filosofi

Jessica Mauro (https://t.me/BotrosGiornale) [Art. 1 Gennaio 2023]

Il significato del termine "speranza" nella storia della filosofia trova definizione soprattutto in Aristotele che la concepisce come un atto della volontà che nasce da una abitudine virtuosa che intende al raggiungimento di un bene futuro difficile ma non impossibile da realizzare.

In questo comportamento occorre che sia ben definito il bene che si vuole ottenere e il mezzo che rende possibile conseguirlo: per cui la speranza si riferisce non solo al bene verso cui tende la volontà, ma anche a ciò con cui si ha fiducia di ottenerlo.

Aristotele poi osserva come la speranza sia un atteggiamento che muta col mutare dell'età dell'uomo: la virtù della speranza è ben presente nella sua ben definita identità nella maturità, mentre nella giovinezza si manifesta con eccesso e nella vecchiaia difettosamente:

«...I giovani sono mutevoli e presto sazi nei loro desideri...e vivono la maggior parte del tempo nella speranza; infatti la speranza è relativa all'avvenire, così come il ricordo è relativo al passato e per i giovani l'avvenire è lungo e il passato breve...»

perciò sono magnanimi perché inesperti e non ancora delusi dalla vita e, quindi, facili a sperare; i vecchi invece, amareggiati dalle asperità della vita passata e dai loro errori, sono meschini: si tengono al di sotto dei loro desideri e sperano solo ciò che attiene alla vita comune perché hanno paura del futuro.

Il tema della speranza è presente nello stoicismo con la sua visione di un Cosmo retto dalla Ragione universale dove vive l'uomo partecipe del lógos e portatore di una "scintilla" di fuoco eterno.

L'essere umano è infatti l'unica creatura, fra tutti i viventi, nel quale il Lògos si rispecchia perfettamente: egli è pertanto un microcosmo, una totalità nel quale tutto l'universo è riprodotto.
L'uomo deve dunque adeguarsi all'ordine razionale (ομολογία)annullando le sue passioni (apatheia) se vuole raggiungere la saggezza, garanzia di una vita serena.

E tra le passioni da mettere da parte vi è in primo luogo la speranza poiché «il saggio è colui che sa vivere senza speranza e senza paura». Avendo fiducia nel Λόγος, il saggio è tale in quanto abbandona il punto di vista relativo dell'io individuale per assumere un punto di vista assoluto, una visione della realtà sub specie aeternitatis. Al punto culminante del suo itinerario, reso possibile dalla filosofia, egli arriva in questo modo ad un'unione mistica e ascetica con il tutto.


Per i cristiani invece la speranza è Dio. Questa speranza cristiana è una Verità difficile perché la vita si svolge e si sviluppa in mezzo a difficoltà, contraddizioni, e fallimenti garantiti. Come si può sperare in queste condizioni? Certamente non ricorrendo a qualche sortilegio, ma leggendo nella storia di Cristo la linea del superamento del male e della disperazione.

Se è vero che Abramo credette al di là di ogni speranza, questo è ancora più vero nel Cristo Signore, perché ha operato nella sua vita di Verbo incarnato, il passaggio dalla morte alla vita. Egli è la speranza concreta, perché rivela come Dio affronta il male del mondo, reso evidente dalla morte.
Essa non è l’ultima parola di questa storia, ma la penultima. E’ la vita che viene da Dio la svolta ultima e definitiva. Così, nella morte di Gesù si rivela la vittoria di Dio sulla morte.

La speranza cristiana è il risultato del dono della grazia e quindi della presenza di Dio, di cui si fa esperienza.

Se non ci fosse questa esperienza di Dio, tutto si perderebbe nelle nostre parole. Ma la speranza, come la fede, si fonda su una esperienza dell’azione di Dio, di lui stesso, che riempie la vita. Dio non è un’idea, ma una presenza viva che fa vivere e crea e suscita la fiducia. Infatti si può dire che la speranza è la dimensione fiduciale della fede.

Dato allora, che la nostra vita è segnata dalla croce, che non aiuta a credere, ma a disperare, ciò che è decisivo è l’azione della grazia di Dio che si fa sentire presente nelle nostre difficoltà. Egli non è il Dio assente, ma colui che si china su di noi e ci porta nella vita. La vicenda di Gesù diventa così paradigmatica anche per noi. Viviamo la stessa sua esperienza, tenendo conto delle differenze fra noi e Gesù.

Il secondo motivo della speranza è data dal mistero di Dio. Anche se le cose nel mondo andassero al meglio, non per questo verrebbe meno la speranza, perché essa è connaturale al nostro rapporto con Dio, mistero inaccessibile, se egli non si avvicina a noi. Dio non è oggetto di conquista, perché altrimenti sarebbe un idolo. Egli è mistero nel senso che ci trascende, ci supera da ogni parte e può essere raggiunto da noi, solo se si dona a noi per sua iniziativa. Questo è infatti il fondamento specifico della speranza. Che si identifica con l’accoglienza del dono e con il senso di gratitudine.

Il nostro atteggiamento con Dio è quello dell’attesa fiduciosa, disponibile. E questo vale per sempre, ora e per l’eternità.
Mentre quindi l'uomo può alimentare la speranza con timore, invece, sperando in Dio, ha quasi certezza poiché è Dio, che non può mentire, che ha promesso il bene.


Dice S. Agostino:

«È perché hai promesso che mi hai fatto sperare» ed aggiunge: «La nostra speranza è così certa che è come se già fosse divenuta realtà. Non abbiamo infatti alcun timore, poiché a promettere è stata la Verità, e la Verità non può ingannarsi né ingannare».


E così anche Eusebio e Sant'Ambrogio:

«Ricorda la promessa fatta al tuo servo con la quale mi hai dato speranza»



I padri della Chiesa distinguono però non solo tra false speranze (ricchezze, potere...) e la "vera" speranza rivolta a Dio ma anche tra le caduche speranze umane (la salute, la pace in famiglia ecc.) e la speranza in Dio l'unica che appaga l'uomo poiché è naturale che l'uomo speri cose buone come la salute ecc.

«...ma deve cercare Colui che le ha fatte. È Lui la tua speranza».

Invece gli uomini conducono la loro vita affidandosi a una serie infinita di speranze terrene che, sebbene deluse, essi continuano ad alimentare.

Questo avviene perché non hanno capito, come anche quelli che si facevano cristiani per vedere realizzate le loro speranze, che come non bisogna amare le cose create ma amare in esse il Creatore (poiché colui che ha fatto le cose è meglio delle cose stesse) cosicché non bisogna attendersi la realizzazione delle speranze da Dio ma sperare Dio:

«La tua speranza sia il Signore Dio tuo. Non sperare qualcos'altro dal Signore Dio, ma sia egli stesso la tua speranza».


di Gina Gigliotti


Osservava Cartesio come

«Basta il pensiero che un bene si può acquistare o un male sfuggire per essere spinti a desiderarlo. Ma quando inoltre si considera se la probabilità di ottenere ciò che si desidera sia grande o piccola, una grande probabilità suscita in noi la speranza mentre scarse probabilità suscitano il timore.»


La connessione della paura alla speranza, che in Cartesio ha toni sfumati, assume in Spinoza un ruolo predominante nell'ostacolare la perfezione etica dell'uomo:

«La speranza non è altro che una gioia inconstante nata dall'immagine di una cosa futura o passata del cui esito dubitiamo. La paura invece è una tristezza incostante, pure nata da una cosa dubbia».

Poiché i due contrastanti sentimenti della speranza e della paura si basano sul dubbio e sull'incertezza del presente assumono toni così virulenti che né la ragione né la volontà riescono a guidarli al punto che la volontà dell'uomo o si paralizza nella rassegnazione o reagisce con violenza verso ciò che gli fa paura.

Spinoza sostiene quindi che bisogna opporsi alla speranza e alla paura non perché, come sostenevano gli stoici, questi sentimenti allontanino gli uomini, che guardano al futuro, da ciò che di buono il presente può loro offrire ma perché impediscono all'uomo di raggiungere quel perfezionamento di sé che annullerà sia la speranza, fuga dalla realtà terrena, che la paura, impedimento della saggezza.

Solo con la cessazione della speranza e della paura, fonti di passività, d'incertezza e di cieca obbedienza al potere teologico-politico, l'uomo diverrà libero, padrone di sé. Così opponendosi alla paura Spinoza, politicamente, si oppone all'assolutismo e alla ragion di Stato e, in termini religiosi, rifiuta il precetto biblico del timor Domini, initium sapientiae (Il timore di Dio è l'inizio della saggezza).

Opponendosi alla speranza, Spinoza colpisce il fulcro della religione che, sostituendosi allo Stato inefficace, promette al fedele la perfezione del Regno dei cieli.

Se invece ci convinciamo, tramite la scienza intuitiva che volontà e intelletto, mente e corpo, sono in Dio la stessa cosa, cioè che la mente è un modo dell'attributo pensiero e il corpo un modo dell'attributo estensione - poiché pensiero ed estensione sono i due attributi dell'unica sostanza divina, anzi sono essi stessi la sostanza divina - allora non essendo l'intelletto, distinto dalla volontà, e quindi non essendoci libero arbitrio, nel senso di un intelletto che guidi liberamente la volontà, noi dobbiamo vivere nel mondo, non sperando in un fine e pensando di poterlo trovare liberamente, ma convincendoci che l'uomo è compartecipe della natura divina e quindi può vivere saggiamente

«sopportando l'uno e l'altro volto della fortuna, giacché tutto segue dall'eterno decreto di Dio con la medesima necessità con cui dall'essenza del triangolo segue che i suoi tre angoli sono uguali a due retti...Non odiare, non deridere, non invidiare in quanto negli altri come in te non c'è una libera volontà (tutto avviene perché così è stato deciso).


Secondo Blaise Pascal

«La speranza dei cristiani di possedere un giorno un bene infinito è commista di gioia effettiva e di timore».

Ma di fronte a quel bene infinito vale la pena di scommettere e rischiare per guadagnarsi un premio così grande. L'incertezza che attraversa la nostra vita ci suggerisce il consiglio stoico di guardare al presente più che al futuro e di ricorrere alla conoscenza non perché essa come pensava Spinoza possa farci superare la paura connessa alla speranza ma come strumento per calcolare meglio le probabilità di vincere la scommessa della felicità ultramondana.
Nell'esistenzialismo rivolto a descrivere il mondo dell'uomo oltre i consolatori razionalismi astratti, l'appello alla speranza è un punto centrale. Afferma per esempio Karl Jaspers, nel solco già tracciato da Kierkegaard, che «ci è data l'angoscia. Ma l'angoscia è il fondamento della speranza.»


Soprattutto nell'esistenzialismo francese il richiamo alla speranza generata dall'angoscia è un elemento frequente per la salvezza dell'uomo: così Gabriel Marcel:

«La speranza, che è quella che non dipende da noi [...] quella il cui fondamento è l'umiltà e non l'orgoglio, perché l'orgoglio consiste nel non ritrovare la forza in noi stessi»

un significato del tutto diverso da quello spinoziano si ritrova ne Il principio speranza, l'opera (pubblicata in tre volumi dal 1953 al 1959), dove Bloch sosteneva che speranza e utopia sono elementi essenziali dell'agire e del pensare umano. Egli intendeva così porre in luce il contenuto utopico del pensiero di Karl Marx, che viene ad assumere, nell'interpretazione di Bloch, una peculiare tensione messianica.

Bloch tentò di stabilire un collegamento fra marxismo e Cristianesimo, poiché in quest'ultimo riconosceva un significato utopico, come speranza di una redenzione, che il marxismo avrebbe trasformato in una prospettiva rivoluzionaria.

«L'importante è imparare a sperare. Il lavoro della speranza non è rinunciatario perché di per sé desidera aver successo invece che fallire. Lo sperare, superiore all'aver paura, non è né passivo come questo sentimento né, anzi meno che mai, bloccato nel nulla. L'affetto dello sperare si espande, allarga gli uomini invece di restringerli, non si sazia mai di sapere che cosa internamente li fa tendere a uno scopo e che cosa all'esterno può essere loro alleato. Il lavoro di questo affetto vuole uomini che si gettino attivamente nel nuovo che si va formando e cui essi stessi appartengono.»



Ne Il principio speranza, Bloch mostra come la capacità dell'uomo di anticipare i progetti più alti mettendo in moto il reale sviluppo storico, si manifesti sia nelle piccole forme immaginative che caratterizzano la vita quotidiana, le favole, i racconti fantastici dei film e degli spettacoli teatrali sia nelle grandi concezioni religiose, filosofiche.

In tutte queste forme della capacità anticipante dell'uomo, l'elemento fondamentale è la speranza, la quale non è solo qualcosa di puramente soggettivo ma anche aspetto reale dello sviluppo concreto dell'essere che non è infatti ontologicamente definibile nella sua immediata staticità e cristallizzazione ma il vero, vitale essere è il non-essere-ancora ben rappresentato dalla speranza intesa come concreta forza di voler costruire, con precisione razionale, la realtà.

Tuttavia, già nell’Introduzione alla traduzione italiana di quest'opera principale di Bloch, Remo Bodei ricorda che non tutti i miti e i filosofi hanno considerato la speranza una virtù. E di ciò sembra accorgersi pure lo stesso Bloch, inserendo al capitolo 20 della sua opera un'importante alternativa: la speranza non più come sguardo diretto al futuro, bensì come immersione nelle potenzialità insite nel presente, quando l'uomo tenta di vivere cogliendo l'eternità nell'istante, il carpe aeternitatem in momento e il nunc aeternum dell'attimo oscuro.


A parer mio tutti noi, consapevolmente o meno, viviamo di speranze.
Se non ci fosse la speranza non ci sarebbe la motivazione ad impegnarci, a programmare il futuro, né a breve né a lungo termine, non ci sentiremmo disposti ad assumerci le nostre responsabilità, né le azioni per raggiungere ciò che desideriamo.
Insomma, non ci sarebbe ragione d’esistere, né di impegnarci attivamente nella vita.

Avere speranza va di pari passo anche con una versione positiva infinita del futuro. Le persone speranzose e ottimiste riescono così a giustificare le negatività del presente, mentre quelle pessimiste restano nel risentimento e nella preoccupazione.


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