Botros 8 - La SPE-Ranza, ovvero tendere verso una meta

Botros 8 - La SPE-Ranza, ovvero tendere verso una meta

Francesco Caliò (https://t.me/BotrosGiornale) [Art.1 Gennaio 2023]
E la speranza significa che non posso
intraprendere un'azione senza fare affidamento
al fatto che riuscirò a realizzarla
J.P.Sartre[1]

Difficilmente riusciamo a vivere senza sperare in qualcosa o in qualcuno, sia esso un amico/a, un familiare, un collega, o in una entità divina, oppure in un evento, sia esso probabile o improbabile.

Questo meccanismo sociale oltre ad essere individualmente diffuso è allo stesso tempo immanente all’essere umano, lo caratterizza e lo modella, lo plasma.

Oggi giorno, dobbiamo più che mai impegnarci a sperare; rappresenta un esercizio, una resistenza contro la disperazione, la sofferenza, contro le avversità della vita.
La speranza è quindi uno strumento mentale, dipende anche dalla nostra volontà e richiede di assumere e confermare le nostre convinzioni e gli orientamenti esistenziali. Non dimentichiamo che sperare è possibile solo insieme agli altri, mai senza gli altri, non è un esercizio solamente soggettivo. Insomma sperare è in un certo senso sperare per tutti.

di Gina Gigliotti


Quindi sperare non è un generico affidarsi a qualcosa, un astrattismo, ma rappresenta un modo di essere, l’uomo si sveglia già con l’attivazione sociale della speranza, quasi fosse un catalizzatore chimico, uno strumento di positività collettivo potremo definirlo.

Lettura questa, che si sgancia dalla visione passiva della speranza come mera declinazione al fato immutabile (concezione quest’ultima molto diffusa nel meridione e che ha radici storiche molto lontane, si pensi alle tragedie greche, laddove tutto è già scritto, deciso, e predetto da Tiresia[2]) e che ritroviamo persino nella letteratura Verghiana[3], chi non ricorda i Malavoglia

il mondo, da pesce vorace che egli è, se lo ingoiò… e i suoi prossimi con lui

Una contro-speranza quindi, una negazione di poter modificare il corso della propria esistenza già tracciata e decisa.

Speranza è resilienza diremmo oggi, dando ad essa una fotografia collettiva, un’immagine sociale. Non si può sperare solo per sé stessi, ma si sperano il bene, la felicità, la vita serena per tutti, mai contro gli altri. La ritroviamo persino nei meccanismi che impattano sui sistemi pensionistici (l’aspettativa/speranza di vita), con una valenza tecnica, come meccanismo di previsione ipotetica di longevità e di possibile fruizione futura della pensione, strumento quindi di politica sociale (welfare).

La speranza, rappresenta uno schema mentale che caratterizza l’uomo proprio in quanto essere sociale, è nella visione collettiva che essa ha un senso, quella egoistica non può essere speranza, ma mortificazione dell’uomo, decadimento di specie, involuzione.

Per Bauman[4] la speranza rappresenta un “principio” da cui le culture dovrebbero ripartire, il grande sociologo ricostruisce e attribuisce la responsabilità del decadimento delle società alla presunta onnipotenza della tecnica, la sfera umana ha in qualche modo abdicato la sua centralità a vantaggio di meccanismi alienanti (che vanno in direzione o di rapporti “face to face” e quindi chiusi o di estremo virtualismo social).

Sfidare le “creature liquide”[5] di oggi rappresenta quindi la vera sfida delle società, i social configurano un modo di essere astratto ed indefinito, un modo di essere, fatto di falsi miti, un terreno dove la speranza non ha residenza o ragione di esistere.
Non basta essere vivi per sperare, occorre impegnarsi nella giustizia sociale e costruirla, non c’è speranza senza speranza di giustizia:

  • Corresponsabilità; ovvero vivere il ruolo di cittadini in modo autentico, le ingiustizie poggiano su complicità e silenzi.
  • Continuità; l’indignazione ha un senso se si trasforma in un sentimento stabile, la denuncia sociale da sola non basta se non è accompagnata da una proposta.
  • Condivisione; da soli non si va da nessuna parte, ma non bisogna illudersi che possano farlo le associazioni o i gruppi che a loro volta delegano ai loro leader.

Il NOI cambia soltanto se si esclude la delega, non si guarisce dall’individualismo senza assunzione di responsabilità. Abbandonare la totalità della società liquida, riscoprire la speranza sociale, quella degli ultimi, degli esclusi è questa la strada da percorrere in chiave evolutiva e solidaristica.

La speranza, esplosa in questa dimensione non può non avere un ruolo collettivo/sociale, permea le relazioni interpersonali, plasma la mente ed influisce sul corpo. Il cervello è, per sua natura, socievole e le emozioni sono contagiose come un virus. Essa è quindi uno strumento per allenare “l’intelligenza sociale”[6] attraverso le relazioni interpersonali, il dialogo tra culture, usanze e consuetudini diverse. In un certo senso è un atteggiamento, un modo di essere (si dice banalmente speranzoso) che si lega ad un fattore non secondario, la fiducia riposta in qualcosa o qualcuno.

La speranza influisce persino sull’umore, mantenendolo o migliorandolo e ovviamente riducendolo a seconda della modalità di utilizzo (la paura per esempio innesca un meccanismo al ribasso). La fiducia, in questa accezione rappresenta quella che Durkheim chiama “elemento precontrattuale della vita sociale”, quella solidarietà di base, un accordo cooperativo implicito, morale e cognitivo che tiene insieme la società[7].

Fiducia e speranza sono le due facce della stessa medaglia, l’una oggettiva l’altra soggettiva, esplicando meglio la distinzione potremmo dire che mentre la prima è storiografica la seconda e storica parafrasando M. Bloch[8]. In un certo senso la prima è carica di valore tecnico/simbolico, non a caso essa è un indicatore macro-economico (termine spesso usato in economia), influenzata dalle variabili ambientali. La seconda invece poggia sul vissuto umano, fatta di esperienze, di emozioni, in pratica è impregnata del percorso soggettivo dell’individuo, la sua storia di vita... Essa, ha a che fare con le usanze, le culture di un determinato popolo, gruppo, etnie.

E’ forse più correttamente un fatto antropologico o micro sociale. Non è un caso che anche il detto popolarechi di speranza vive disperato muore, va letto non in senso negativo, bensì come invito a rialzarsi, avendo quella consapevolezza che nulla è immutabile, ma l’uomo poiché “essere” libero, può autodeterminarsi[9] nonostante tutte le difficoltà, gli ostacoli che si frappongono sul suo percorso vitale. Ostacoli, che in chiave sociologica sono sempre di tipo socio-economico (stratificazione della società in classi).

La speranza inquadrata come “aspettativa fiduciaria” la ritroviamo in Simmel, il quale attribuisce ad essa un significato più specifico, dove l’incertezza viene sostituita da un livello di certezza, è un investimento cognitivo. Essa attiva le relazioni sociali, che minimizzano gli eventi deludenti della vita. Questo è un terreno complesso, come complessa è la società moderna, instabile, liquida, fragile persino nelle sue strutture più solide (i conflitti bellici ne sono un esempio, basta una guerra e l’uomo regredisce nella sua bestialità tornando indietro di secoli).

La speranza nel nuovo anno, ci lascia alle spalle due anni di pandemia Covid e una tragica guerra ancora in corso con milioni di profughi (7 milioni – stima ONU) costretti a lasciare le proprie case, le proprie abitazioni, i propri legami e affetti, la peggiore dopo il secondo dopoguerra. Sperare è d’obbligo, ma l’agire collettivo non può rimanere inerme difronte a tali catastrofi, le armi non possono essere l’unico strumento per far prevalere le ragioni di uno o più stati, o peggio, di oligarchie tossiche e cancerogene per l’umanità.

Infine, non posso non citare la “speranza” di migliaia di ammalati che troppo spesso non vedono garantito quel diritto Costituzionale sancito nell’art. 32 della Carta Costituzionale[10], strutture che funzionano a macchia di leopardo, fatiscenti a sud, più innovative nel centro nord, quasi a determinare una suddivisione tra chi può attingere ai LEA[11] in modo almeno accettabile, e chi invece deve attendere mesi per un esame diagnostico. E’ quella che viene definita “Anatomia della speranza di fronte alla malattia”[12].

Essere soggetti capaci di produrre speranza tutto è, meno che attesa passiva di un mondo migliore; sperare…. è quasi una virtù, derivante da un intenso lavoro su se stessi in quanto componenti e facenti parte di organizzazioni sociali collettive pluralistiche.


[1] J.P. Sartre – La speranza oggi – Mimesis 2019
[2] A. Camilleri – Conversazione su Tiresia – Sellerio editore 2018
[3] Giovanni Verga – I Malavoglia – F. Cecco editore 2014
[4] Z. Bauman
[5] Z. Bauman – Vite che non possiamo permetterci – LaTerza 2011
[6] Daniel Goleman – Intelligenza sociale – Rizzoli 2014
[7] La fiducia – Enciclopedia Treccani
[8] M. Bloch – Apologia del mestiere dello storico - Einaudi 2009
[9] Valerio Pocar – Roberta Dameno – Sessanta’anni dopo, l’art. 32 della Costituzione in Riv. Sociologia del diritto 3/2009
[10] Art. 32 Costituzione 1 comma - La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo [38 2] e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
[11] Livelli essenziali di assistenza
[12] J. Groopman – Anatomia della speranza di fronte alla malattia – Transizioni 2006



Il tuo parere...

Clicca qui per scrivere le tue osservazioni
https://forms.gle/duL3bPKst8v5p7MX7


Report Page