Botros 8 - Educazione Civica: La speranza come anima dell’educazione

Botros 8 - Educazione Civica: La speranza come anima dell’educazione

Merida (https://t.me/BotrosGiornale) [Art.1 Gennaio 2023]

Generiamo i cittadini di oggi e di domani

Ogni epoca ha le sue emergenze educative e sappiamo che don Bosco si è significativamente misurato con le sfide del suo tempo, inventando soluzioni creative e innovative, come hanno fatto tutti i grandi educatori nel corso dei secoli.  

Oggi, si parla in molte sedi di emergenza educativa, in riferimento alla crisi morale e sociale, alle esigenze della globalizzazione, ad un rincorrersi di dinamismi sempre più veloci in cui si modifica il rapporto con lo spazio e con il tempo. Cogliere la sfida educativa ad occhi aperti non significa abbandonarsi alla sterile lamentazione, ma lasciarsi “sfidare” dalle difficoltà per rilanciare con speranza, visto che – come vedremo immediatamente – la speranza è anima dell’educazione.  

La speranza come anima dell' educazione

Per condividere una definizione di educazione pedagogicamente attrezzata possiamo fare  riferimento ad un testo di Gino Corallo (pedagogista accademico e sacerdote salesiano del XX sec.), per  cui:  

L’educazione è quel processo intenzionale che tende a formare nell’educando degli abiti ordinati di vita morale, assicurandogli un possesso quanto più è possibile largo e ricco di libertà e l’uso retto e spedito di essa. 
(G. Corallo, La pedagogia della libertà …, cit. in Porcarelli, 2012).  

Ciò significa che ogni forma di educazione anche “particolare” (educazione intellettuale, fisica, religiosa, ecc.) per essere autenticamente tale deve innestarsi nel contesto di una progressiva formazione della libertà della persona che in qualche misura è chiamata a “scegliere” colei che può diventare, giorno dopo giorno, finché non si consolida quella stessa capacità di scelta che si tradurrà in un processo (che, quello sì, dura tutta la vita) in cui ciascuno possa cercare di realizzare la propria personalità, la propria vita di uomo e di credente, il proprio ruolo sociale, la propria vocazione. 

La relazione educativa è dunque strutturalmente “generativa” nel senso che è “generativa di umanità”, ovvero consente il rigenerarsi dell’umano nella mente e nel cuore delle persone che crescono.  

Negli Orientamenti Pastorali della CEI si sottolinea in modo particolare la dimensione relazionale del rapporto educativo:

Chi educa è sollecito verso una persona concreta, se ne fa carico con amore e premura costante, perché sboccino, nella libertà, tutte le sue potenzialità. 

Educare comporta la preoccupazione che siano formate in  ciascuno l’intelligenza, la volontà e la capacità di amare, perché ogni individuo abbia il coraggio di decisioni  definitive . 

Anima dell’educazione, scrivono ancora i vescovi riprendendo un pensiero di papa Benedetto, può essere solo una speranza affidabile (ivi, n. 5), che si incarna nella testimonianza dell’educatore e nella sua capacità di testimoniare un amore attivo per le persone che gli sono affidate.
La speranza anima la relazione educativa - rendendola autenticamente generativa - a diversi livelli:  

  • Speranza nell’umanità e nei confronti dell’educazione in se stessa, in quanto attività autenticamente “umana” e metafisicamente fondata sulla struttura intima della persona umana, che si colloca (per così dire) “sulla linea di orizzonte e di confine tra le sostanze corporee e quelle spirituali” (Tommaso D’Aquino), 
  • speranza nei confronti della persona educabile, alla cui libertà si affida l’esito ultimo di tutto il processo educativo, l’educatore è una persona che pone il fine della propria azione nel futuro contingente di una persona libera,  
  • speranza nei confronti della vita, che merita di essere vissuta ed in cui ciascuno può costruire un  “progetto sensato” di vita orientato alla felicità (“vita buona”).
    Maritain scrive che è importante promuovere una disposizione nei confronti dell’esistenza che si può descrivere come “l’atteggiamento di un essere che esiste volentieri, non si vergogna di esistere, sa reggersi nell’esistenza, e per il quale esistere e accettare le naturali limitazioni dell’esistenza sono l’oggetto di un consenso altrettanto semplice, altrettanto franco e candido” (J. Maritain, L’educazione al bivio; cfr. A. Porcarelli, Educazione e politica …, 2012), 
  • speranza nei confronti di ciascuna persona, quali che siano i “segnali” che si ricevono di ritorno dalla propria azione educativa, perché è proprio dell’agire educativo lavorare per il bene di umanità che si vede sempre come possibile, e non in funzione delle più o meno azzeccate “diagnosi” che pure sono opportune per regolare l’azione educativa, ma non ne dirigono i fini.

  

I più idioti della classe siano l’oggetto delle loro sollecitudini; incoraggino, ma non avviliscano mai. Interroghino tutti senza distinzione e con frequenza, e dimostrino grande stima ed affezione per tutti i loro allievi, specialmente per quelli di tardo ingegno. Evitino la perniciosa usanza di taluni, che abbandonano a loro stessi gli allievi che fossero negligenti e di troppo tardo ingegno
[S. Giovanni Bosco, Il metodo preventivo, La Scuola, Brescia 1952, p. 116].  


L' educatore

una guida autorevole e un testimone che accompagna nel cammino di generazione in generazione.
Non è possibile agire “direttamente” sulla volontà, soprattutto se si tende a sviluppare una volontà libera, ma tale libertà non si traduce in un’assenza di “guida”, in analogia con quanto avviene con il cammino della conoscenza, in cui ciascuno è chiamato ad appropriarsi di ciò che apprende, anche grazie al lavoro dei suoi maestri.  

Il lavoro dell’educatore sulla volontà della persona educabile non avviene dunque attraverso la via della “causalità efficiente”, ma attraverso quella della “causalità finale”, nel senso che l’educatore –  oltre a fare la propria parte sul piano dell’istruzione umana e morale – agisce cercando di conferire “efficacia valorizzante” ai beni che propone come valori, attraverso la sua testimonianza, che si realizza soprattutto nel contesto dell’azione educativa (pur implicando una più generale testimonianza di vita).  

L’educazione si realizza, di generazione in generazione, con il passaggio “da vita a vita”.

Ogni adulto è chiamato a prendersi cura delle nuove generazioni, e diventa educatore quando ne assume i compiti relativi con la dovuta preparazione e con senso di responsabilità. L’educatore è un testimone della verità, della bellezza e del bene , cosciente che la propria umanità è insieme ricchezza e limite.

Ciò lo rende umile e in continua ricerca. Educa chi è capace di dare ragione della speranza che lo anima ed è sospinto dal desiderio di trasmetterla. La passione educativa è una vocazione, che si manifesta come un’arte sapienziale acquisita nel tempo attraverso un’esperienza maturata alla scuola di altri maestri
(CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, n. 29).  

Va detto che ordinariamente il processo di accompagnamento nel mondo dell’esperienza da parte dell’adulto nei confronti dei giovani porta avanti, in parallelo, due registri educativo-formativi.  

Da un lato vi è l’azione dell’adulto in quanto persona responsabile, capace di discernimento, che accompagna il bambino e il giovane nella realtà, in modo che possa esplorarla e abitarla con crescente saggezza. Parallelamente vi è una comunicazione di conoscenze e abilità di tipo culturale ed anche tecnico-operativo, mediante le quali l’adulto opera come formatore e “attrezza” il giovane, in modo che possa agire nella realtà in modo efficace. Ma sopra di tutto vi sia la carità, ovvero la consapevolezza chiara che l’educatore si mette al servizio degli allievi e li attrae verso i fini della loro stessa crescita attraverso l’amore.  

L’educatore è un individuo consacrato al bene de’ suoi allievi, perciò deve essere pronto ad affrontare ogni disturbo, ogni fatica per conseguire il suo fine, che è la civile, morale, scientifica educazione de ’ suoi allievi.  

(…) L’educatore tra gli allievi cerchi di farsi amare, se vuole farsi temere. In questo caso la sottrazione di benevolenza è un castigo che eccita l’emulazione, dà coraggio e non avvilisce mai
[S. Giovanni Bosco, Il metodo preventivo, La Scuola, Brescia 1952, pp. 112-113].  


di Gina Gigliotti

Il passaggio del testimone genera cittadini responsabili

Ogni società si rigenera, di generazione in generazione, educando le persone che – per ciò stesso – divengono anche “cittadini”: la dimensione sociale è parte integrante dell’identità dinamica della persona umana la quale, per natura, è fatta per vivere in società. Se ci muoviamo in una prospettiva pragmatico-materialista il fondamento della socialità viene indicato nella “connaturale indigenza” dell’essere umano che ha bisogno degli altri (e della società) per sopravvivere e per vivere.  

Se ci muoviamo in una prospettiva personalista e comunitaria, aperta alla dimensione spirituale, ci rendiamo conto – per dirla con Maritain – che la nostra socialità si fonda su una “connaturale sovrabbondanza”, che è propria della vita dello spirito e che – come tale – chiede di essere coltivata.  

La coltivazione della dimensione sociale e civica della vita della persona si basa su alcune “leve pedagogiche” (Corradini, Porcarelli 2012; Mollo, Porcarelli, Simeone 2014) che si fondano sul riconoscimento della dignità della persona umana, la coltivazione del senso di appartenenza, della relazione con gli altri, della partecipazione responsabile.

Cogliere la dignità della persona significa riconoscere il valore di ogni persona umana per quello che è e non per quello che ha o fa; significa trattare sempre ogni persona umana come qualcuno e mai come qualcosa. Il senso di appartenenza si  struttura innanzitutto ad un livello inconscio, quasi “arcaico”, in cui prende forma la cerchia del “noi” (da cui inizialmente e implicitamente vengono esclusi gli “altri”) ed è solo con il tempo – e grazie all’azione educativa – che tale cerchia tende ad allargarsi e può assumere confini sempre più ampi.  

Coltivare la relazione con gli altri significa far sorgere in ciascuno quel senso di reciprocità, che non si configura semplicemente come un “contratto sociale” nella forma del “do ut des”, ma piuttosto  significa costruire quella che Aristotele definiva “amicizia politica”, in cui ciascuno considera l’altro  come “un altro se stesso” ed insieme si coopera per il bene comune della città.

La partecipazione responsabile alla vita della Pòlis si può coltivare fin dalla più tenera età, attribuendo delle responsabilità che consentano alla persona di percepire il senso di una “cittadinanza meritata”, ovvero del riconoscimento intersoggettivo e sociale per ciò che uno responsabilmente compie in vista di un obbiettivo comune (il bene comune)...

Educare alla speranza significa rapportarsi con gli altri, con se stessi, con il mondo, in modo positivo. Nei momenti di delusione e di sconforto è importante dare speranza, risvegliare la fiducia su di sé, sulla vita, sugli altri, sullo stato.


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